La lettera
Io sono e resto un uomo di sinistra
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 22.04.2013)
CARO direttore,
non è mia abitudine replicare a chi critica le mie scelte o quel che scrivo. Ma l’articolo di ieri di Eugenio Scalfari esige alcune precisazioni, per ristabilire la verità dei fatti.E, soprattutto, per cogliere il senso di quel che è accaduto negli ultimi giorni.
Si irride alla mia sottolineatura del fatto che nessuno del Pd mi abbia cercato in occasione della candidatura alla presidenza della Repubblica (non ho parlato di amici che, insieme a tanti altri, mi stanno sommergendo con migliaia di messaggi). E allora: perché avrebbe dovuto chiamarmi Bersani? Per la stessa ragione per cui, con grande sensibilità, mi ha chiamato dal Mali Romano Prodi, al quale voglio qui confermare tutta la mia stima.
Quando si determinano conflitti personali o politici all’interno del suo mondo, un vero dirigente politico non scappa, non dice «non c’è problema », non gira la testa dall’altra parte. Affronta il problema, altrimenti è lui a venir travolto dalla sua inconsapevolezza o pavidità. E sappiamo com’è andata concretamente a finire.
La mia candidatura era inaccettabile perché proposta da Grillo? E allora bisogna parlare seriamente di molte cose, che qui posso solo accennare.
È infantile, in primo luogo, adottare questo criterio, che denota in un partito l’esistenza di un soggetto fragile, insicuro, timoroso di perdere una identità peraltro mai conquistata.
Nella drammatica giornata seguita all’assassinio di Giovanni Falcone, l’esigenza di una risposta istituzionale rapida chiedeva l’immediata elezione del presidente della Repubblica, che si trascinava da una quindicina di votazioni. Di fronte alla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, più d’uno nel Pds osservava che non si poteva votare il candidato “imposto da Pannella”. Mi adoperai con successo, insieme ad altri, per mostrare l’infantilismo politico di quella reazione, sì che poi il Pds votò compatto e senza esitazioni, contribuendo a legittimare sé e il Parlamento di fronte al Paese.
Incostituzionale il Movimento 5Stelle? Ma, se vogliamo fare l’esame del sangue di costituzionalità, dobbiamo partire dai partiti che saranno nell’imminente governo o maggioranza. Che dire della Lega, con le minacce di secessione, di valligiani armati, di usi impropri della bandiera, con il rifiuto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con le sue concrete politiche razziste e omofobe? È folklore o agire in sé incostituzionale?
E tutto quello che ha documentato Repubblica nel corso di tanti anni sull’intrinseca e istituzionale incostituzionalità dell’agire dei diversi partiti berlusconiani? Di chi è la responsabilità del nostro andare a votare con una legge elettorale viziata di incostituzionalità, come ci ha appena ricordato lo stesso presidente della Corte costituzionale?
Le dichiarazioni di appartenenti al Movimento 5Stelle non si sono mai tradotte in atti che possano essere ritenuti incostituzionali, e il loro essere nel luogo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, e il confronto e la dialettica che ciò comporta, dovrebbero essere da tutti considerati con serietà nella ardua fase di transizione politica e istituzionale che stiamo vivendo.
Peraltro, una analisi seria del modo in cui si è arrivati alla mia candidatura, che poteva essere anche quella di Gustavo Zagrebelsky o di Gian Carlo Caselli o di Emma Bonino o di Romano Prodi, smentisce la tesi di una candidatura studiata a tavolino e usata strumentalmente da Grillo, se appena si ha nozione dell’iter che l’ha preceduta e del fatto che da mesi, e non soltanto in rete, vi erano appelli per una mia candidatura.
Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come mai persone storicamente appartenenti all’area della sinistra italiana siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano, invece, sollecitato l’attenzione del Movimento 5Stelle.
L’analisi politica dovrebbe essere sempre questa, lontana da malumori o anatemi.
Aggiungo che proprio questa vicenda ha smentito l’immagine di un Movimento tutto autoreferenziale, arroccato. Ha pubblicamente e ripetutamente dichiarato che non ero il candidato del Movimento, ma una personalità (bontà loro) nella quale si riconoscevano per la sua vita e la sua storia, mostrando così di voler aprire un dialogo con una società più larga.
La prova è nel fatto che, con sempre maggiore chiarezza, i responsabili parlamentari e lo stesso Grillo hanno esplicitamente detto che la mia elezione li avrebbe resi pienamente disponibili per un via libera a un governo.
Questo fatto politico, nuovo rispetto alle posizioni di qualche settimana fa, è stato ignorato, perché disturbava la strategia rovinosa, per sé e per la democrazia italiana, scelta dal Pd. E ora, libero della mia ingombrante presenza, forse il Pd dovrebbe seriamente interrogarsi su che cosa sia successo in questi giorni nella società italiana, senza giustificare la sua distrazione con l’alibi del Movimento 5Stelle e con il fantasma della Rete.
Non contesto il diritto di Scalfari di dire che mai avrebbe pensato a me di fronte a Napolitano. Forse poteva dirlo in modo meno sprezzante. E può darsi che, scrivendo di non trovare alcun altro nome al posto di Napolitano, non abbia considerato che, così facendo, poneva una pietra tombale sull’intero Pd, ritenuto incapace di esprimere qualsiasi nome per la presidenza della Repubblica.
Per conto mio, rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa, convinto che la cultura politica della sinistra debba essere proiettata verso il futuro. E alla politica continuerò a guardare come allo strumento che deve tramutare le traversie in opportunità.
Quirinale: l’evento storico
risponde Furio Colombo (il Fatto, 23.04.2013)
CARO COLOMBO, perchè questa prima volta in cui un presidente della Repubblica si ricandida e viene rieletto non vi sembra un evento storico?
Marcella
ERRORE. L’evento è certamente storico. Una parte rilevante del Parlamento ( due terzi, i due maggiori partiti,i due principali contendenti delle ultime elezioni ) è salita al Quirinale per dire solennemente: noi non vogliamo più scegliere, non vogliamo più decidere, non vogliamo più votare un presidente della Repubblica o un governo. Fate voi.
Il problema è che non sappiamo chi sono i "voi." Qualcuno infatti ha messo alla finestra la figura di Napolitano, con tutto il peso della sua storia e il significato della sua figura. Vista da lontano e da chi è stato tagliato fuori dalla grande e strana e improvvisa composizione di un quadro del tutto alterato rispetto al risultato delle elezioni, la figura di Napolitano riportato alla finestra sembra un ostaggio, uno scudo umano messo in mezzo, tra destra e sinistra, per far passare indenne Berlusconi.
Una manovra così costa molto. Costa la fiducia nella democrazia. Costa il coinvolgere impropriamente nella mischia la sola istituzione che deve essere condivisa. Costa il nome, l’immagine e la credibilità del Partito democratico, che da oggi è un’altra cosa (pur aspettando di sapere se e quale parte di esso si dichiarerà estranea e ne uscirà relativamente intatta). Infatti la grande finzione è che sia in discussione la decisione di rieleggere Giorgio Napolitano. No, è discussione il perchè si è scelto quel percorso. Esso forza, in modo automatico e indissolubile, l’associazione, distruttiva per il centrosinistra, di Pd e Pdl. E pone tutto il potere nelle mani del Pdl. Facile e desolante capire che questa è la conseguenza inevitabile.
Il meccanismo obbligato che fa tenere alla finestra l’ex presidente della Repubblica: rende d’ora in poi impossibile opporsi alle volontà e interessi e protezioni richieste dal Pdl. Ogni mossa in dissenso farebbe infatti crollare l’intera dolorosa costruzione e sarebbe interpretata "contro" il presidente - ostaggio.
Dunque si torna alla domanda che ho fatto prima. Chi sono coloro che hanno voluto questo colpo durissimo alle istituzioni, che rovescia il risultato elettorale ed elimina il Pd dalla scena politica italiana?
Larghe malintese
Repubblica, il Fondatore restò solo
di Marcello Santamaria (il Fatto, 23.04.2013)
Aria pesante a Repubblica. Da resa dei conti. Non bastavano le spaccature fra alcune grandi firme, l’estate scorsa, sulle telefonate Napolitano-Mancino contro le indagini sulla trattativa Stato-mafia e sul conflitto alla Consulta contro la Procura di Palermo (da una parte Eugenio Scalfari, difensore d’ufficio dell’amico Presidente, dall’altra i cronisti come Bolzoni e gli editorialisti Gustavo Zagrebelsky, Barbara Spinelli e Franco Cordero). Stavolta c’è una guerra fratricida ancor più sanguinosa, visto che non solo contrappone Scalfari a uno storico collaboratore del quotidiano di largo Fochetti come Stefano Rodotà, ma investe la linea politica del giornale su un punto ben più cruciale delle indagini palermitane: l’inciucio prossimo venturo fra Pd e Pdl nel governo di larghe intese patrocinato da Napolitano. Scalfari è decisamente a favore, mentre altre firme molto popolari come Curzio Maltese, Michele Serra e Concita De Gregorio non fanno mistero della loro contrarietà, avendo più volte invitato il Pd a confluire insieme ai 5 Stelle sulla candidatura di Rodotà al Colle.
IERI RODOTÀ ha replicato aspramente alle critiche politiche e alle offese personali rivoltegli domenica da Scalfari, con una lettera formalmente elegante ma sostanzialmente durissima. Scalfari avrebbe preteso che lui rifiutasse la candidatura per i 5Stelle, definiti addirittura “un movimento incostituzionale”?
“Ma, se vogliamo fare l’esame del sangue di costituzionalità, dobbiamo partire dai partiti che saranno nell’imminente governo o maggioranza”: dalla Lega al Pdl, quelli sì incostituzionali per le loro posizioni politiche, oltrechè per il Porcellum.
Invece “le dichiarazioni di appartenenti al M5S non si sono mai tradotte in atti che possano essere ritenuti incostituzionali, e il loro essere nel luogo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, e il confronto e la dialettica che tutto ciò comporta, dovrebbero essere considerati con serietà nella ardua fase di transizione politica e istituzionale che stiamo vivendo”.
E poi la sua non era “una candidatura studiata a tavolino e usata strumentalmente da Grillo”, ma è nata “da mesi e non soltanto in rete” anche da “appelli” di esponenti della cultura e della società civile. “Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come mai persone storicamente appartenenti all’area della sinistra (Rodotà cita gli altri nomi usciti dalle Quirinarie, da Zagrebelsky a Caselli alla Bonino, ndr) siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano invece sollecitato l’attenzione del Movimento 5Stelle”.
E aggiunge che “proprio questa vicenda ha smentito l’immagine di un Movimento autoreferenziale, arroccato” visto che “i responsabili parlamentari e lo stesso Grillo hanno esplicitamente detto che la mia elezione li avrebbe resi pienamente disponibili per un via libera a un governo”, ma “questo fatto politico nuovo è stato ignorato perchè disturbava la strategia rovinosa, per sé e per la democrazia italiana, scelta dal Pd”.
Quando a Scalfari, poteva essere “meno sprezzante” con lui, o magari accorgersi che continuando a ripetere a macchinetta il nome di Napolitano “poneva una pietra tombale sull’intero Pd, ritenuto incapace di esprimere qualsiasi nome per la presidenza della Repubblica”.
COLPITO E AFFONDATO, Scalfari balbetta una risposta in cui dice di aver sollecitato Bersani, tramite Zanda, a contattare Rodotà nei giorni della corsa al Quirinale. Poi sostiene che un governo Pd-M5S sarebbe stato “severamente sanzionato dall’Europa” e dalla “speculazione”. Infine difende l’inciucio in arrivo come un governo di “convergenze parallele”, paragonando Pd e Pdl a Berlinguer e a Moro.
E accusa Rodotà di non aver “annunciato il suo ritiro” alla notizia del ritorno dell’amato Napolitano. Anzi, di Napolitano e di Amato. Chissà che ne diranno i lettori: quelli che possono esprimersi nei social network legati a Repubblica sono quasi tutti per Rodotà. E contro l’inciucio.
Elezione del Presidente della Repubblica 2013
Napolitano giura e si commuove
“Tutti si assumano le responsabilità
Bisogna ripartire dal lavoro dei saggi”
Ma il problema
è il governo
Il presidente accelera sul governo
«Basta omissioni e irresponsabilità»
Monito ai partiti: «Basta indulgenza, attenzione alle pulsioni eversive»
I grillini in piedi non applaudono *
Roma
Riforme istituzionali ed economiche. Sono gli obiettivi essenziali per il Paese, fissati da Giorgio Napolitano nel discorso davanti al Parlamento riunito. Parole dure, pronunciate con un velo di commozione, con la consapevolezza che «la condizione è una sola: fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e quali siano le esigenze e l’interesse generale del paese».
La giornata
Giorgio Napolitano è partito alle 16.45 dal Colle in auto per raggiungere Montecitorio dove, davanti al Parlamento riunito in seduta congiunto, ha tenuto discorso di insediamento del suo secondo settennato. Per tutta la durata del tragitto hanno suonato a festa le campane di Montecitorio.
Napolitano, visibilmente commosso, ha ringraziato il Parlamento. «È un segno -ha detto iniziando il suo discorso di insediamento il Capo dello Stato- di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie forze : e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi eletti in Parlamento, che appartengono a una generazione così distante, e non solo anagraficamente, dalla mia».
Gli applausi
Il Parlamento ha applaudito in piedi l’ingresso del presidente della Repubblica. In piedi ma senza applaudire i deputati e i senatori del M5S che non hanno condiviso la sua rielezione sostenendo invece la candidatura di Stefano Rodotà. «Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica» ha detto Napolitano. «Non potevo declinare, preoccupato per le sorti del Paese».
I problemi
Il capo dello Stato non ha negato i problemi, e ha chiesto ai partiti un senso di responsabilità pari a quello dimostrato da lui. «A questa prova che non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità».
Il monito alla politica
Poi, un durissimo monito ad una classe politica «autoindulgente»: alla richiesta di riforme e di rinnovamento, «non si sono date soluzioni soddisfacenti: hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi». È imperdonabile, ha detto, la mancata riforma delle legge elettorale. «Non meno imperdonabile- ha proseguito- resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario. Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese».
Le sfide
È preoccupato, Napolitano. «Le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando».
Occorre grande attenzione di fronte a esigenze di tutela della libertà e della sicurezza da nuove articolazioni criminali e da nuove pulsioni eversive, ha detto il capo dello Stato, «e anche di fronte a fenomeni di tensione e disordine nei rapporti tra diversi poteri dello Stato e diverse istituzioni costituzionalmente rilevanti».
Il passaggio sui Cinque Stelle
Un passaggio è dedicato anche al Movimento 5 Stelle: «Apprezzo l’impegno con cui» il Movimento «ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta: quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento». La Rete, ha detto Napolitano, «fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi, ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del metodo democratico».
Le larghe intese
Infine, l’appello: «Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono dare ora» il loro «apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese. Senza temere di convergere» sulle soluzioni. «Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche».
Gli scenari
Da domani inizieranno le consultazioni-lampo per la formazione del nuovo governo, che potrebbe veder la luce già mercoledì. Questa mattina le Borse hanno brindato alla rielezione mentre continuano ad arrivare gli attestati di stima internazionali al Presidente. «L’Italia è in una situazione atipica e difficile, Giorgio Napolitano è tenuto in alta considerazione per il suo profilo personale dal governo tedesco come nel contesto internazionale», ha commentato per ultimo il portavoce di Angela Merkel.
* La Stampa, 22/04/2013
Il libro di Paolo Peluffo
E Ciampi studiò: il bis è incostituzionale
Mancava meno di un anno alla fine del mandato di Carlo Azeglio Ciampi. Paolo Peluffo, consigliere per la stampa e la comunicazione durante la sua presidenza, racconta nel libro Carlo Azeglio Ciampi: “Per molti mesi, Ciampi aveva preparato, come gli è solito fare, un piccolo fogliettino, scritto a mano in una mattinata insonne, tra le cinque e le sei, in pigiama nel letto, con le ginocchia ritirate su a sostegno di un block notes, in una grafia insieme sintetica, minuscola, illegibile”.
Era quel fogliettino “una sorta di garanzia offerta a se stesso che l’incarico stesse per terminare davvero. In fondo, erano ben tre anni che talvolta il Presidente stupiva gli ospiti nel suo studio alla Palazzina rivelando loro il numero esatto di giorni e ore che mancavano al termine del mandato. Settecentoventidue giorni alla fine”. Ciampi era consapevole del consenso sulla sua persona, e per ciò stesso passò “gli ultimi sei mesi del suo mandato a costruire, volutamente e pervicacemente, il rifiuto categorico a ogni possibilità di sua rielezione”.
Scrive Peluffo: “Ricordo un pomeriggio di fine settembre del 2005, nel quale il Presidente scese in studio particolarmente soddisfatto. ‘Ci sono precedenti, Segni addirittura nel suo messaggio alla Camere, l’unico, propose di modificare la Costituzione per inserire l’inelegibilità per due volte del capo dello Stato. I costituenti hanno previsto un periodo di sette anni, perchè fosse abbastanza lungo da escludere la rielezione’”. Il 3 maggio 2006 quel testo divenne un comunicato ufficiale del Quirinale.
“È il documento - scrive l’attuale sottosegretario del governo Monti - eticamente più intenso della vita pubblica di Ciampi. È il frutto della visione complessiva di cosa sia il ‘potere’, e di quale differenza fondamentale separi ‘autorità’ e ‘potere’. Se non si ha la capacità di tagliare netto, di chiudere quando è il momento, il ‘potere’ manifesta tutta la sua natura moralmente ambigua e diventa pericoloso per sè, per l’individuo, e per la comunità”. C’era scritto che la rielezione “mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”.
* il Fatto, 22.04.2013