IL PRESIDENTE NAPOLITANO A L’AQUILA, A ONNA. Non sono qui per farmi fotografare.
IL "GRANDE RACCONTO" EDIPICO DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E’ FINITO.
25 Giugno: salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi
di Federico La Sala
(Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” ["charitas"] e “Mammona” ["caritas"] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore [Charitas] dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
IL PRESIDENTE NAPOLITANO A L’AQUILA, A ONNA. Non sono qui per farmi fotografare.
FARE COME GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II: RESTITUIRE L’ANELLO A GIUSEPPE!!!
IL "GRANDE RACCONTO" EDIPICO DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E’ FINITO.
ANSA» 2009-04-10 18:34
L’ITALIA IN LUTTO PIANGE I MORTI D’ABRUZZO
dell’inviato Matteo Guidelli
L’AQUILA - Le donne, le madri, sono sempre le piu’ forti: ma non ce n’e’ una che, passando davanti alla bara di Antonio Iovan, che ha vissuto solo 5 mesi e che ora sta chiuso in 50 centimetri di legno bianco, sia riuscita a trovare dentro di se’ quella forza che le impedisse di piangere. Non e’ un funerale qualsiasi, questo dell’Aquila, perche’ 205 bare tutte insieme sono troppe: i morti della stazione di Bologna furono 85, due volte e mezzo meno di quelli di oggi. E quelli della Moby Prince 140, 65 in meno.
A Gemona, nel terremoto del Friuli del ’76 morirono 369 persone, ma non ci fu un rito collettivo. Ecco, all’Aquila oggi c’e’ stata una cosa nuova a cui solo la storia, domani, dara’ un nome e che difficilmente l’Italia dimentichera’. 205 bare tutte insieme non ci sono mai state: 50 per fila, quattro file, ciascuna di 300 metri. Fanno male. Cosi’ come annienta la Spoon River che c’e’ sopra: foto, biglietti, peluche, una maglia da rugby, un solo fiore, un anello. Ricordi di vite sparite. Alle 7 sono gia’ la’, mentre i primi parenti cominciano ad arrivare in questa immensa scuola della Guardia di Finanza, che e’ l’unica cittadella sopravvissuta di una citta’ distrutta.
’’Dio voglia che da questa insopportabile e assurda storia di morte nasca una nuova e luminosa storia di vita e di speranza’’ dice dall’altare il vescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari, anche lui terremotato, strappando un applauso convinto durante una cerimonia, che, senza colonne, capitelli e organi, perde un po’ di solennita’, ma acquista molta umanita’. Ha ragione, Molinari e i primi a saperlo sono proprio gli aquilani che riscoprono nella piazza d’Armi della caserma l’Agora’ greca, il centro della vita in comune: si avvicinano, si rincontrano, si abbracciano, ricordano. ’’Ce la faremo’’; ’’Lo sapevo che stavi bene’’, ’’Non piangere, vieni qui’’; ’’Ero in bagno, perche’ sono salvo non lo so’’; ’’Fate una new town’’, Fate l’Aquila 1, l’Aquila 2 , l’Aquila 24 , ma fatela’’, ’’Dammi la mano’’; ’’Mamma domani posso andare da Giulia?’’. Mai come oggi lo Stato e’ presente. Con le prime quattro cariche dello Stato, i ministri, l’opposizione dentro e fuori il Parlamento, le forze armate e quelle di polizia, i Comuni, le Regioni e le Province e i volontari. Defilati, scegliendo di non togliere ai parenti spazio davanti alle bare. C’e’ lo Stato, perche’ sa che questa partita non la puo’ perdere, pena la perdita di dignita’ di un Paese. Napolitano e’ stretto nel cappotto nero e i suoi occhi passano da una bara all’altra non riuscendo a nascondere la sofferenza. Berlusconi piange: lascia il settore riservato alle autorita’ e si piazza tra i parenti in piedi. Stringe mani, accarezza volti.
Ad un giovane inginocchiato prova a infondere fiducia. ’’Non in ginocchio, ma schiena dritta’’. Ma e’ difficile anche per un ottimista come il Cavaliere crederci fino in fondo. ’’Esperienza lancinante - dira’ poi - non dimentichero’’’. Bertolaso, l’uomo delle emergenze, e’ spaesato, lui cosi’ sempre presente e sicuro. Loro, i parenti, sono invece nella terra di nessuno: quel mondo di dolore senza risposte, dove soli si entra e soli si esce. C’e’ chi non ce la fa e sviene, chi sta seduto affianco alla bara del proprio caro, chi guarda nel vuoto per non guardare dentro di se’. Ci sono i sopravvissuti della casa dello studente, uno dei simboli di questo incubo. E ci sono le mamme di Onna, il paese distrutto, 39 morti su 250 abitanti, stanno mano nella mano, facce dure, di gente che sa cosa vuol dire soffrire, perche’ la vita, anche prima del terremoto, non era facile.
E facce dolci, di gente semplice e genuina. C’e’ anche il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, terremotato anche nell’anima. ’’Devo salutare troppi amici, troppi vicini, troppi figli di colleghi in quelle bare. E’ una tragedia’’. ’’Questa cosa segnera’ la storia dell’Aquila - conferma il presidente della Regione, Gianni Chiodi - questo e’ il giorno del dolore per la citta’ e dell’Italia’’. A tutti loro si rivolge Benedetto XVI nel messaggio letto dal suo segretario, padre Georg Gaenswein. ’’Vi sono spiritualmente vicino in questa immane tragedia - scrive il papa - non bisogna cedere allo sconforto, perche’ questo e’ il momento di impegno in sintonia con lo Stato’’. C’e’ anche il messaggio del presidente dell’Ucoii Mohammed Nour Dachan, perche’ tra le vittime ci sono anche sei musulmani e non importa che le loro bare oggi qui non ci sono. I morti sono tutti uguali, come dovrebbero essere i vivi. ’’Il Dio unico - dice - aiuti l’Abruzzo a tornare a fiorire’’.
Ma non e’ oggi il giorno per scacciare l’incubo. Lo ricordano a tutti madre e figlia che i vigili del fuoco tirano fuori dalle macerie proprio mentre sono in corso i funerali. Sono morte domenica e solo ieri e’ stata segnalata la loro scomparsa. Da qualche altra parte, nel centro deserto dell’Aquila, ci sono ancora morti da trovare. E incubo, peggiore, sono gli sciacalli, quei quattro romeni che con la complicita’ di una loro concittadina che faceva la badante a un vecchio hanno svaligiato la casa mentre l’Aquila piangeva i suoi morti. Segno che il mondo sa essere cattivo e brutto anche quando potrebbe risparmiarselo. Meglio, allora, tornare ad Antonio Iovan e i suoi cinque mesi: se ne e’ andato con la mamma Darnica e il papa’ Laurentiu. Romeni venuti in Italia a cercare un futuro migliore e morti da italiani. Assieme ad Alessio, Caterina, Adriana, Salvatore, Giuseppina, Chiara, Michele, Maria Incoronata...
L’Aquila, tantissima gente ai funerali, nel piazzale 205 feretri
Berlusconi lo segue commosso tra la gente. Il messaggio del Papa: "Tragedia immane"
Bare bianche, lacrime e dolore
L’addio alle vittime del terremoto
L’AQUILA - Quando mancano ancora due ore all’inizio dei funerali delle vittime del sisma che ha colpito l’Abruzzo, in tanti già affollano il cortile della caserma della Guardia di Finanza di Coppito. Una lunga fila di macchine è incolonnata sulle strade che portano alla caserma. Alla fine il grande spiazzo si riempirà completamente. Di gente e di dolore. Nel mezzo ci sono 205 bare allineate. Alcune sono bianche. Coperte di peluche e orsacchiotti. Quella di Antonio Iovan, la vittima più piccola del terremoto, è lunga poco meno di mezzo metro. Antonio è morto prima di compiere tre mesi e la piccola cassa che lo contiene è sopra quella della mamma Darinca.
Sono funerali di Stato quelli di oggi. Funerali di una tragedia che ha segnato l’intero Paese. E che ha aperto gravi interrogativi sulle responsabilità. Alla spicciolata arrivano le autorità. Il presidente Napolitano, i presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, il ministro dell’Interno Maroni e il sottosegretario Letta, il segretario del Pd Dario Franceschini, l’ex presidente Ciampi. Arriva anche Berlusconi che punta verso i familiari delle vittime. E’ commosso, stringe mani e abbraccia. Si siede tra i parenti, una strana smorfia di dolore, quasi d’incredulità, sul volto. Le mani intrecciate che, in certi momenti oscillano dall’alto al basso, come a porre una domanda senza risposta. Più tardi, verso la fine delle esequie, raggiungerà i posti riservati alle autorità.
Si comincia con il messaggio del Papa letto dal suo segretario personale, monsignor George Gaenswein. Benedetto XVI definisce il terremoto "un’immane tragedia" ma chiede che si "continui a sperare senza cedere allo sconforto". In attesa di una sua visita in Abruzzo il Santo Padre dice di "condividere l’angoscia" e chiede a tutti "il coraggio di continuare a sperare senza cedere allo sconforto". Assicurando che la Chiesa "farà la propria parte", adesso che è il momento "dell’impegno in sintonia con gli organismi dello Stato".
Poi tocca al cardinal Bertone invitare alla speranza: "Sotto le macerie dell’Abruzzo la c’è la voglia di ripartire, di tornare a sognare". E nelle parole del prelato si fa strada il ricordo di Marco Cavagna, il pompiere morto per infarto mentre cercava di aiutare le vittime.
La commozione è palpabile. Le lacrime rigano i volti. Anche quelli dei rugbisti della squadra dell’Aquila. Sotto le macerie ha perso la vita uno di loro, Lorenzo Sebastiani, il pilone della squadra. Sulla bara qualcuno ha steso la maglia della Nazionale. Dolore e ancora dolore. C’è chi non regge e viene colto da malore. Chi si aggrappa ai volontari della protezione civile cercando conforto. Bertone e il vescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari, benedicono le bare. Le note del Miserere rompono il silenzio. E’ un dolore che unisce quello di oggi. Cristiani e mussulmani sono morti sono le macerie. Lo dice anche l’imam che legge un messaggio che parla di fratellanza tra le genti.
Alcuni parenti passano davanti alle sedie delle autorità, quasi per ringraziare. C’è una signora con un golf grigio e un grosso cerotto sull’orecchio che vuole stringere la mano a tutti: presidenti, premier, ministri. Lo fa con paziente insistenza e, a uno a uno, Napolitano, Berlusconi, Ciampi, Letta, Fini, Schifani, si alzano e l’abbracciano. E’ un gesto come di coinvolgimento; contiene una richiesta d’impegno preso personalmente tra la signora col golf grigio e le autorità in grisaglia.
All’esterno una fila interminabile di carri funebri attende la fine dei funerali. La maggior parte della bare saranno sepolte nel cimitero dell’Aquila. Fuori i volontari non si fermano. Continuano a scavare tra le macerie. Nonostante le scosse non smettano di far tremare la terra.
* la Repubblica, 10 aprile 2009