[...] una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’ amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni [...]
La lettera del Capo dello Stato a Vietti *
ROMA - Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, la seguente lettera, resa nota dall’Ufficio Stampa del Quirinale:
"Il prossimo 9 maggio si celebrerà al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Quest’anno, il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche. Le sarò perciò grato se - a mio nome - vorrà invitare alla cerimonia i famigliari dei magistrati uccisi e, assieme, i presidenti e i procuratori generali delle Corti di Appello di Genova, Milano, Salerno e Roma, vertici distrettuali degli uffici presso i quali prestavano la loro opera Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione".
"La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria costituisce anche una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’ amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".
* la Repubblica, 18 aprile 2011
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
GIUSTIZIA
Napolitano: esasperazioni pericolose
Fini: magistrati pilastro della legalità
Il capo dello Stato condanna
i manifesti Br apparsi a Milano.
Il presidente della Camera
riceve delegazione dell’Anm *
ROMA «Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’amministrazione della giustizia, si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti». È quanto afferma il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una lettera inviata al presidente del Csm Michele Vietti. Giorgio Napolitano ha scritto al vice presidente del Csm Michele Vietti annunciandogli che quest’anno sarà dedicata la giornata del 9 maggio al ricordo dei magistrati italiani uccisi dai terroristi per dare «una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta ’Associazione dalla parte della democrazia’, per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto - aggiunge il capo dello Stato - rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non».
Fini difende l’Anm Il presidente della Camera si schiera senza tentennamenti con la magistratura, «pilastro della legalità e dello stato di diritto». «Nell’architettura costuituzionale voluta dai padri costituenti la magistratura, non solo ordinaria, rappresenta il vero pilastro a salvaguardia dei principi di legalità a difesa di tutti i cittadini». Con queste parole la terza carica dello stato - che proprio ieri era stato accusato da Berlusconi - di aver fatto un ’patto scellerato’ con la magistratura- si sarebbe rivolto alla giunta dell’Anm nel corso di un incontro svoltosi nel suo ufficio e al quale hanno preso parte, tra l’altro, il presidente Luca Palamara e e il segretario Giuseppe Cascini. «Con riferimento alle polemiche politico-istituzionali di queste ultime settimane - avrebbe detto la terza carica dello stato nel corso dell’incontro durato circa quaranta minuti - esprimo vivo apprezzamento per la posizione istituzionale assunta dall’Anm. Il rispetto reciproco tra le istituzioni - avrebbe aggiunto e sottolineato ancora Fini - è la premessa indispensabile per la salvaguardia dello stato di diritto e per la leale collaborazione tra poteri dello stato».
Nel corso dell’incontro, Fini avrebbe soprattuto ascoltato con attenzione la preoccupata fotografia sulla «fibrillazione istituzionale» denunciata dall’Anm. «Al presidente della Camera - ha riferito ai cronisti Luca Palamara - abbiamo rappresentato tutta la gravità del momento e il forte stato di preoccupazione della magistratura». Palamara ha sottolineato alla terza carica dello stato che «i magistrati non intendono farsi trascinare sul terreno politico di scontro, non essendo la magistratura un soggetto politico». «Quanto sta accadendo - hanno fatto rilevare inoltre i rappresentanti dei magistrati - non è riconducibile a un problema tra Berlusconi e i magistrati, ma a un ben più grave problema di fibrillazione delle istituzioni, alle quali ci siamo rivolti».
Due sono per l’Anm le situazioni che destano preoccupazione: l’avvicinarsi delle amministrative che, appunto «tendono a trascinare la magistratura sul terreno dello scontro politico», e «le vicende giudiziarie del premier, che potrebbero portare a riforme della giustizia disomogenee e dettate da situazioni contingenti». Le reazioni alla presa di posizione del presidente della Camera non si sono fatte attendere.
Daniele Capezzone, portavoce Pdl, taglia corto: «Gianfranco Fini può raccontare quello che vuole. Ma un fatto politico è evidente: da mesi, ha scelto di infilarsi politicamente nel fronte giustizialista insieme all’Idv e alla sinistra. E per capire questo non occorrono carte segrete: è sufficiente sentir parlare Fini e i suoi». Anche il ministro Gianfranco Rotondi ritorna sul ’patto scellerato’ tra Fini e le toghe e annuncia che «presto la fonte lo rivelerà a tutti gli italiani».
* La Stampa, 18/04/2011
La maggioranza lontana dalla democrazia
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 18 aprile 2011)
Siamo di fronte ad una aggressione continua, manifestazione pericolosa di una ossessione quotidiana di un presidente del Consiglio che, privo da sempre del senso delle istituzioni, affida la propria sopravvivenza alla riduzione d’ogni istituzione ad un cumulo di macerie. La sua furia si nutre di insinuazioni, minacce, aggiunge all’attacco alla magistratura, abituale oggetto polemico, un nuovo affondo contro la scuola pubblica.
In questi giorni la Repubblica italiana sta prendendo congedo dall’Europa e dalla sua stessa Costituzione. Sta così tagliando le proprie radici. Non siamo solo di fronte ad una crisi istituzionale e politica, pur profondissima. Sprofondiamo in un tunnel oscuro, diviene sempre più evidente una "tirannia della maggioranza" ben al di là dei timori manifestati da Alexis de Tocqueville, perché la perversa legge elettorale maggioritaria e la sciagurata deriva verso il bipolarismo hanno separato i "designati" dai cittadini, hanno fatto perdere al Parlamento la sua virtù rappresentativa.
Ha scritto un filosofo liberale, Ronald Dworkin, che «l’istituzione dei diritti è cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla minoranza che la sua dignità ed eguaglianza saranno rispettate. Quando le divisioni tra i gruppi sono molto violente, allora questa promessa, se si vuole far rispettare il diritto, dev’esser ancor più sincera». Questi principi non scritti, ma fondativi della città democratica, sono ormai estranei al modo d’essere dell’attuale maggioranza. E forse la stessa nozione di maggioranza parlamentare ha perduto il suo significato storico, poiché siamo di fronte ad una semplice propaggine del potere di un autocrate, che premia famigli e designa successori, riceve suppliche da chi vuole andare ad occupare qualche posto di governo, dispone delle cariche pubbliche come di un pezzo del suo patrimonio personale.
Compiuta la prima fase della sua alta missione con l’edificazione di un muro a tutela della sua persona, il presidente del Consiglio annuncia ora una inquietante e pericolosa "fase due". Possiamo legittimamente chiamarla "decostituzionalizzazione". Questo è il tratto che unisce le proposte che dovrebbero segnare l’imminente stagione legislativa, nella quale si vuole sfruttare la spinta propulsiva delle radiose giornate del processo breve. Si tratta dell’«epocale» riforma costituzionale della giustizia, del minaccioso ritorno della legge bavaglio sulle intercettazioni, della disciplina ideologica e proibizionista del testamento biologico.
La riforma della giustizia, infatti, vuole in primo luogo rendere disponibile per i voleri della maggioranza l’intero sistema giudiziario. Questo non avviene soltanto attraverso una crescita complessiva del peso della politica in snodi fondamentali. Il punto chiave della riforma è rappresentato dal fatto che materie oggi affidate ad una diretta garanzia costituzionale vengono trasferite alla legislazione ordinaria. Due esempi. Nell’attuale articolo 112 della Costituzione si stabilisce che: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».
La riforma proposta dal Governo aggiunge le parole «secondo i criteri stabiliti dalla legge»: sarà dunque la maggioranza del momento a stabilire in quali casi il pubblico ministero può indagare. Nell’attuale articolo 109 si stabilisce che «l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria». La riforma proposta dal Governo prevede che «il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge»: sarà dunque la maggioranza del momento a determinare le informazioni di cui i magistrati potranno disporre. Il mutamento è radicale, la decostituzionalizzazione è compiuta. Ciò che la Costituzione aveva voluto sottrarre alla possibile prepotenza delle maggioranze, per garantire l’autonomia della magistratura, dovrebbe essere assoggettato proprio a questa ipoteca.
Ed è sempre la decostituzionalizzazione a comparire negli altri casi. Sappiamo bene che la stretta sulle intercettazioni colpisce uno dei fondamenti della democrazia, la libertà d’informazione di cui parla l’articolo 21. E la proposta di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (il testamento biologico) è congegnata in modo tale da espropriare ogni persona del diritto fondamentale all’autodeterminazione, riconosciuto dalla Corte costituzionale sulla base degli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione.
Per chiudere definitivamente questa partita, l’obiettivo finale è indicato appunto nell’odiata Corte costituzionale, con la quale il presidente del Consiglio annuncia un definitivo regolamento di conti, probabilmente affidato ad una legge che escluderebbe la possibilità di decidere con il voto della maggioranza dei suoi componenti, sostituito da un quorum particolarmente elevato. Una mostruosità giuridica, sconosciuta a ogni civile sistema giuridico, che produrrebbe l’assurdo effetto di mantenere in vigore leggi che la maggioranza dei giudici costituzionali ha ritenuto illegittime. Il risultato complessivo di tutte queste mosse sarebbero la scomparsa di un effettivo sistema di garanzie, una alterazione degli equilibri costituzionale che ci porterebbe verso un mutamento di regime.
Quest’orizzonte ravvicinato, realistico e ineludibile, è quello al quale si deve guardare per individuare le strategie possibili per opporsi a questa ascesa, che appare a qualcuno non più resistibile con i mezzi ordinari della democrazia. Ma immaginare rovesciamenti del tavolo rischia di distogliere l’attenzione dalla faticosa ricerca di quel che deve essere fatto qui e ora.
Dicevo che la fase due, quella della decostituzionalizzazione, è inquietante, ma pure pericolosa. Il pericolo nasce dal fatto che siamo di fronte a proposte che potrebbero dividere il fronte delle opposizioni. Quando comparve la proposta di riforma costituzionale della giustizia, subito si materializzò il singolare partito dei «sedersialtavolisti».
Ma chi mai accetterebbe di sedersi ad un tavolo da gioco insieme ad un baro, al tavolo di un ristorante dove il cuoco è un noto avvelenatore travestito da chef creativo? Mi auguro che la lezione del processo breve alla Camera sia servita a dissuadere gli aperturisti ad ogni costo, convincendo tutti della necessità di mantenere saldo un fronte comune. Allo stesso spirito l’opposizione dovrebbe ispirarsi in tutti gli altri casi, compreso quello del testamento biologico dove qualche cattolico potrebbe essere sedotto dall’ingannevole richiamo a valori non negoziabili.
In questi ultimi mesi Berlusconi ha costruito un conglomerato di cui non possono soltanto essere denunciate le modalità corruttive e i rischi grandi che fa cogliere al paese senza accompagnare questa diagnosi con una strategia politica conseguente - parlamentare, sociale, elettorale. E allora. Riprodurre in tutte le prossime occasioni parlamentari i comportamenti tenuti in occasione del processo breve, sfruttare ogni spazio parlamentare per far discutere le proposte dell’opposizione.
Può reggere la maggioranza ad una mobilitazione permanente che coinvolga l’intero Governo? Non chiudersi in Parlamento, troppe cose avvengono nel paese. Costruire, quindi, una solida sponda politica per il crescente numero di cittadini che non si limitano a manifestare nelle piazze reale e virtuali ma, così facendo, costruiscono una concreta agenda politica. Ma, soprattutto, per le opposizioni scocca l’ora obbligata dell’unione, la sola a poter ricostruire le condizioni per una vera dialettica democratica.
Forse solo la saggia parola alle Camere del Presidente della Repubblica può ricordare a tutti che la politica deve essere sempre «costituzionale».
Il giurista
Intervista a Carlo Federico Grosso
«Il premier offende ma il vilipendio scatta solo con l’ok di Alfano»
«Berlusconi denuncia continuamente il potere giudiziario. È gravissimo. Ma per il codice l’accusa scatta solo se lo vuole il Guardasigilli»
di Claudia Fusani (l’Unità, 18.04.2011)
Professor Grosso, ci si interroga sulle continue esternazioni del Presidente del Consiglio contro la magistratura. Un potere dello stato, l’esecutivo, contro un altro potere, quello giudiziario definito a più riprese dal premier “eversivo”. Tutto questo senza conseguenze?
«Ciò che sta accadendo è assolutamente intollerabile. Da un punto di vista giuridico però la questione è complessa. E dopo una consultazione comparata dei codici e della nostra Carta costituzionale, sono arrivato alla conclusione che, nonostante la gravità dei comportamenti, non esiste uno strumento penale efficace per far desistere il Presidente del Consiglio dal dire quello che sta dicendo».
Berlusconi accusa quotidianamente la magistratura di compiere attività «eversiva» contro di lui. Ripete che «vogliono farlo fuori con i processi».
«Se crede che la sue accuse abbiano un fondo di verità abbia il coraggio di denunciare nelle sedi opportune, che non sono i comizi elettorali, indicando situazioni, particolari e persone». Se invece sono campate in aria.... «Allora queste ripetute esternazioni vanno inquadrate in un contesto di delegittimazione sistematica e continua di un potere dello stato contro un altro potere dello stato. Politicamente e giuridicamente questo è molto grave».
Cosa è possibile fare?
«Ho consultato i codici alla ricerca di strumenti adeguati. Ma non ne ho trovati. Prendiamo l’articolo 283 del codice penale che riguarda gli attentati agli organi dello Stato. E’ stato modificato nel 2006. Prima recitava: “Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni”. La modifica ha inserito “con atti violenti” e ha abbassato la pena a cinque anni”».
La violenza delle parole non è assimilabile ad atti violenti? «Direi di no». Perchè fu modificato?
«Su imput leghista. In quegli anni il Carroccio aveva guai giudiziari per l’articolo 283.... Più in generale si può dire che nel capitolo del codice dedicato ai delitti contro la persnalità dello stato, non mi pare ci possa essere nulla di riferibile alla situazione attuale. Lo dico meglio: la delegittimazione per quanto sistematica ma sempre a parole purtroppo non è sufficiente per far scattare un’incriminazione di questo genere. La dico ancora meglio: lo Stato ha scaricato la pistola». Roberto Lassini, l’ideatore dei manifesti “Fuori le Br dalle procure”, è stato indagato per vilipendio. «Certo, l’articolo 290, ci stavo arrivando, vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e dell’ordine giudiziario».
Reato d’opinione...
«Che punisce con la multa faccio notare la mula da 1000 a 5000 euro chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le assemblee legislative o il Governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario. In ogni caso per procedere è necessaria la richiesta di autorizzazione del ministro di Grazia e Giustizia».
Codice penale spuntato?
«Resterebbe forse spazio per la diffamazione. Comunque anche qui poca cosa. Più in generale quando si verificano situazioni di contrasto anche fortissime tra poteri dello stato il codice penale è strumento improprio».
E la Carta costituzionale?
«Ci sono i poteri che la Carta riconosce al Presidente della Repubblica. Egli ha il potere di vigilare sul buon funzionamento degli organi costituzionali. La vigilanza si può però specificare solo con strumenti di moral suasion efficaci se i destinatari sono propensi ad ascoltare. Il Presidente può anche inviare i messaggi alla Camere che però non ne sono vincolate». Anche il Quirinale quindi, pur in un momento così drammatico, ha strumenti spuntati? «Il Presidente oggi è forse l’unico riferimento morale forte di questo paese. L’auspicio è che questa forza morale e il suo indiscutibile prestigio riescano a disinnescare il dramma istituzionale che il Paese sta vivendo».