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LIBRI
I sacrilegi delle mafie
Padrini e picciotti ostentano la loro devozione, che in realtà più che fede è superstizione. E quando i preti oppongono alla cultura omertosa la vera religione, sparano: da don Peppino Diana a don Puglisi
Il saggio di Alessandra Dino evidenzia il processo di maturazione della Chiesa nei confronti della mentalità mafiosa, verso un sempre maggior impegno nell’educazione dei giovani
DI GOFFREDO FOFI (Avvenire, 15.11.2008)
La mafia devota di Alessandra Dino, antropologa palermitana, è uno dei testi più significativi usciti sulla questione mafiosa ( intendendo con mafia anche le associazioni criminali di altre regioni come camorra, ’ ndrangheta, Sacra corona unita). Affrontando l’argomento da un punto di vista trascurato, procedendo a molte interviste con magistrati, preti, pentiti, vedendo della questione gli aspetti più specificamente religiosi ma anche collocandoli sullo sfondo di una più generale questione civile, la Dino aiuta a comprendere un ambiente, una cultura, distinguendo nettamente tra gli aspetti esteriori - quelli, diciamo, di una ritualità di facciata, che serve al mafioso per affermare il suo potere all’interno di una comunità, o quelli di una devozione deviata - e quelli più intimi del dilemma morale che può investire, come è ben noto o come si vorrebbe che fosse, anche il criminale più incallito.
Hanno sconcertato molti, le professioni e le espressioni di fede di alcuni noti mafiosi ( per esempio Provenzano), e la “ lettura” dei comportamenti religiosi di altri - o di un pentitismo sulle cui motivazioni alcuni sacerdoti hanno espresso dei dubbi, perché spesso causato soltanto dall’interesse alla riduzione della pena e dunque moralmente inautentico. Tra i preti che la Dino ha accostato ci sono quelli che sembrano partecipare ( ma più ieri che oggi) di una cultura ambientale coinvolgente, quelli che molto più seriamente distinguono tra il ruolo della Chiesa e il ruolo dello Stato e rivendicano la netta differenza dello sguardo, della posizione, dei doveri nei confronti di chi pecca ( e delinque), e quelli infine che insistono sulla “questione morale” vedendone gli aspetti più latamente etici, civili, sociali. Se di cultura-ambiente si tratta, è su questa che essi pensano di dover intervenire, e lo hanno fatto a volte (don Peppino Diana a Casal di Principe, don Puglisi a Palermo) lasciandoci la vita.
Oggi che molti libri ( non ultimo Gomorra) hanno messo in rilievo la profondità dei legami e degli interessi mafiosi in settori molto importanti dell’economia e della finanza e ben oltre i territori tradizionali, in tutto il Paese e altrove, in Europa come in America; oggi che le classi dirigenti di molti Paesi ( la stessa grande Russia) trattano con le mafie e se le fanno alleate, ovviamente a caro prezzo; oggi che il disordine morale della post- modernità abbassa enormemente il livello di difesa della morale dei singoli, occorrerebbe affrontare anche la questione mafiosa da presupposti assai vasti, che mettano in discussione l’intero assetto di società la cui prosperità deriva in parte dal crimine. Se è vero che, secondo le stime, il Pil italiano è prodotto per il dieci-dodici per cento dall’economia criminale ( e non vengono considerati in questi calcoli, per esempio, la produzione e lo smercio di armi) ne deriva che le risposte alle attività mafiose dovrebbero essere ben più radicali che quelle esclusivamente giudiziarie. E, di fatto, come si sconfiggono le mafie? Non credo, personalmente, che i “professionisti dell’antimafia” riescano sempre a incidere in profondità nel concreto delle culture mafiose, né che la denuncia sia di per sé sufficiente ( in un Paese come il nostro dove la denuncia sembra spesso un’arte e un mestiere, una retorica e un alibi: milioni di denunce giornalistiche, cinematografiche, letterarie, ma anche di buona propaganda sul territorio, hanno cambiato relativamente poco, anche se hanno costretto le mafie a inventare nuovi modi di agire).
La risposta viene da molte delle interviste e delle considerazioni che ne ricava la Dino, e sintetizzando si può dire che sono tre i modi necessari: l’intervento nell’economia, che è il fondamentale perché se non cambia l’economia non scema il potere che le organizzazioni mafiose possono avere su un ambiente sociale, l’attrazione che possono esercitare sui più deboli - per esempio i giovani, i precari, i disoccupati; quello giudiziario, del rispetto delle leggi, il cui vero limite consiste nella constatazione che le leggi non tutti le rispettano, nelle nostre classi dirigenti; e infine l’educazione, l’intervento assiduo e radicato in un territorio soprattutto nei confronti dei più giovani, per allargare la loro visione e dar loro solide fondamenta etiche. È in questo settore, dice la Dino, che la Chiesa può intervenire con efficacia, oltre che sul terreno che le è proprio della cura delle anime.
Tre cortei per contestare le scelte del ministro dell’Istruzione
Università, in piazza contro i tagli
Studenti, ricercatori e docenti arrivano da tutta Italia per manifestare a Roma contro i previsti tagli a fondi e personale. Alla protesta, voluta dai sindacati, partecipano solo Cgil e Uil. Epifani: "Chi non c’è sbaglia". Gli slogan non solo anti Gelmini. Tra i più gettonati: "Vogliamo lo tsunami che porti via i due nani"
Roma, 14 nov. (Adnkronos/Ign) - E’ il giorno dei cortei a Roma. Tra studenti, ricercatori e docenti dovrebbero essere almeno in 100 mila a manifestare nella capitale contro la riforma Gelmini, in particolare contro i previsti tagli a fondi e personale. Allo sciopero generale dell’Università e della ricerca voluto dai sindacati, partecipano solo Cgil e Uil. Cisl e Ugl si sono ritirate dalla protesta in seguito all’incontro con il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini ritenuto positivo.
Bachelet (Pd) in corteo con gli studenti
’’Credo nel Parlamento e nel dialogo. Ma devo constatare che con questo governo il dialogo non c’è stato. Il dibattito parlamentare non ha permesso di modificare in alcun modo i tagli previsti per l’università e la ricerca, mentre invece di fronte alla piazza il ministro Gelmini ha iniziato a fare marcia indietro. Così oggi sono qui a manifestare, insieme agli studenti e ai professori dell’Università La Sapienza’’. Lo dichiara Giovanni Bachelet, deputato Pd, che partecipa alla manifestazione.
Epifani: "Chi non c’è sbaglia"
"Chi non c’è sbaglia". Così il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che ha raggiunto il corteo dei sindacati. "E’ una manifestazione molto ampia, con tante anime. Chi non c’è sbaglia. Ogni volta che provano a isolarci -afferma Epifani rispondendo a chi gli chiede se vi sia un tentativo in tal senso- gli va male. Però persistono e perseverare è diabolico. Sto preparando -annuncia riferendosi agli incontri che ci sarebbero stati a Palazzo Grazioli- le lettere a Bonanni e Angeletti. Chi dice le bugie ha le gambe corte".
Gli slogan
Non solo il ministro Gelmini bersaglio degli slogan degli studenti in corteo ma anche il premier Silvio Berlusconi e il responsabile della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Oltre all’ormai consueto "Noi la crisi non la paghiamo", dal corteo si leva a gran voce "Siamo capitani di ventura e non ne possiamo più, fannullone sarai tu, Brunetta fannullone sarai tu", e ancora "Tagli alla ricerca e all’università, la riforma del governo è tutta qua". Poi, sulle note di un motivo degli anni ’60 un invito al ministro della Pubblica amministrazione a ritirare i provvedimenti "Renato, Renato, Renato, l’emendamento va ritirato". Non manca qualche slogan che va sul personale: "Vogliamo lo tsunami che porti via i due nani", e "Berlusconi stai calmino senza la ricerca avresti il parrucchino".
Dalle Marche in duemila
"Sono oltre 2.000 gli studenti e i precari del mondo della scuola e dell’università ad aver raggiunto dalle Marche con treni e autobus, la grande manifestazione di Roma partita dalla Sapienza proprio in questi minuti". A sostenerlo sono gli studenti dell’’Onda anomala marchigiana’.
Milano, presidio studenti in piazza Duomo
E’ iniziato alle 10 e terminerà alle 14 il presidio indetto in piazza Duomo a Milano, in concomitanza con la manfiestazione nazionale di Roma. Tra precari, studenti, dottorandi e ricercatori dei diversi atenei e delle accademie sono scesi in piazza in 1.500.
Proteste anche a Palermo, in corteo centinaia di studenti
Proteste contro la riforma della scuola anche a Palermo, dove ha preso il via il corteo degli studenti universitari e delle scuole medie superiori che stanno sfilando lungo la via Libertà. Il corteo a cui partecipano centinaia di giovani è stato aperto con un grande striscione con la scritta: "Difendiamo il nostro futuro. Abroghiamo la Gelmimi".
Ferrero: "A corteo assenza rumorosa del Pd"
Il corteo di questa mattina è "un corteo a due, che ha due mancanze, quella della Cisl che per ragioni politiche ha scelto un rapporto con il governo di subalternità e l’assenza rumorosa del Pd che disegna un’opposizione di sua maestà". E’ questo il giudizio espresso dal segretario del Prc Paolo Ferrero, uno dei pochi politici, e tutti di partiti non parlamentari, presenti al corteo partito da piazza Bocca della Verità.
Unione studenti: "Partecipazione altissima a corteo Roma"
L’Unione degli Studenti annuncia: "La partecipazione a questo corteo è altissima".
Corteo sindacati parte da piazza Bocca della Verità
E’ partito con quasi un’ora e mezza di ritardo il corteo dei sindacati da piazza Bocca della Verità. Ad aprire il corteo, preceduto da un camioncino che trasmette musica di Bob Marley lo striscione ’Insieme per il futuro del Paese’, firmato Flc-Cgil, Uil-Pa, Ur-Afam. Il ritardo nella partenza, è dovuto all’attesa delle decine di pullman e treni che stanno giungendo da tutta Italia. Sono infatti previsti 10 pullman da Firenze, 13 dall’Emilia Romagna, 10 dalla Calabria, 7 dalla Puglia mentre 200 delegati arriveranno dalla Sicilia e 1.500 dalle Marche. Da Napoli sono previsti 17 pullman e oltre 200 persone che arriveranno con i treni. Molto nutrita la rappresentanza degli Enti di ricerca che con striscioni e magliette ricordano la situazione drammatica in cui versano.
Roma, deviati bus per corteo studenti
Un corteo di studenti si sta muovendo a Roma da piazzale Aldo Moro in direzione di piazza della Repubblica, dove partirà una delle due manifestazioni in programma per la mattinata di oggi. I manifestanti raggiungeranno piazza della Repubblica passando per viale dell’Università, viale Castro Pretorio, poi via San Martino della Battaglia e piazza dei Cinquecento. Previste temporanee deviazioni per i bus in transito. Lo comunica l’Atac.
Pantaleo (Flc-Cgil): "Oggi in piazza per cambiare provvedimenti sbagliati"
"Ci aspettiamo una manifestazione pacifica, colorata e allegra, come quella del 30, che costringa il governo a cambiare dei provvedimenti sbagliati". così il segretario generale della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo ’presenta’ la manifestazione di Roma.
Civica (Uil): "Gelmini convinca governo a cambiare"
Un invito affinché il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini "convinca il governo a cambiare" i provvedimenti che riguardano l’Università e la ricerca è stato espresso dal segretario generale della Uil Università Alberto Civica, che questa mattina è in piazza, insieme alla Flc-Cgil.
I percorsi dei tre cortei a Roma
Tre i cortei previsti per manifestare contro la politica del governo in materia di università. Quello dei sindacati parte da piazza Bocca della Verità e si concude a piazza Navona. Due sono invece i cortei degli universitari di ’Roma Tre’ e de ’La Sapienza’ cui partecipano anche gli studenti medi, che partono uno da piazzale dei Partigiani e l’altro da piazzale Aldo Moro per raggiungere poi piazza della Repubblica e di lì proseguire per Termini, via Cavour, piazza Venezia e infine arrivare a piazza Navona.
Gelli: il nuovo capo della P2? «Il mio erede è Berlusconi»
Per il "gran maestro" un programma tv
Adesso ha un programma tutto suo su Odeon tv e sfrutta la rinnovata ribalta per passare il testimone. Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, non ha dubbi: per l’attuazione del Piano di Rinascita democratica della P2, «l’unico che può andare avanti è Berlusconi». L’investitura arriva durante la conferenza stampa di presentazione di Venerabile Italia, il programma che Gelli condurrà sull’emittente tv: «L’unico che può andare avanti è Berlusconi: non perché era iscritto alla P2, ma perché ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora mostra un po’ di debolezza perché non si avvale della maggioranza parlamentare che ha».
Sembra una barzelletta. Invece è una vergogna. Soprattutto perché a Gelli viene regalata una tribuna tutta per sé. Il tema del programma sarà la storia d’Italia. Il capo della loggia massonica P2 racconterà la sua versione, magari sulla strage di Bologna, per cui è stato condannato per depistaggio. O sulla repubblica di Salò a cui aderì, o su Gladio, o su qualsiasi delle pagine grigie (se non nere) dalla storia del nostro paese a cui Gelli è legato.Il programma ha già degli ospiti, Anche questi poco fantasiosi: per la prima puntata Giulio Andreotti, Marcello Veneziani e Marcello Dell’Utri. Si parlerà di fascismo.
Forse, per chiarire il contesto, è utile ricordare la sua fedina penale. Licio Gelli è stato condannato con sentenza definitiva per i seguenti reati: procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato, calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Colombo, Turone e Viola, tentativi di depistaggio delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna e Bancarotta fraudolenta (per il fallimento del Banco Ambrosiano è stato condannato a 12 anni). Se lui considera Berlusconi il suo erede più credibile non abbiamo troppo di che stare tranquilli.
Anche perché, come se non bastasse quello che sta facendo, Gelli dà anche consigli al suo “figliol prodigo”: «Se uno ha la maggioranza deve usarla, senza interessarsi della minoranza. Non mi interessa la minoranza, che non deve scendere in piazza, non deve fare assenteismo, e non ci devono essere offese. Ci sono provvedimenti che non vengono presi perché sono impopolari, e invece andrebbero presi: bisogna affondare il bisturi o non si può guarire il malato».
* l’Unità, Pubblicato il: 31.10.08, Modificato il: 31.10.08 alle ore 17.33
LA SCUOLA NELLA BUFERA
Famiglie nei guai se chiudono le paritarie
In molte zone sono l’unica realtà educativa
Da Nord a Sud sono migliaia i piccoli Comuni nei quali
le materne o le elementari non statali sono il solo luogo formativo
-DA MILANO ENRICO LENZI (Avvenire, 30.10.2008)
Con il taglio di 133 milioni di euro alle scuole paritarie, per i piccoli della monosezione della materna di Vione, in Alta Vallecamonica nel Bresciano, potrebbe aprirsi la via del pendolarismo verso Temù, Comune a una decina di chilometri da Ponte di Legno. Un viaggio di parecchi chilometri lungo la tortuosa via che risale la Vallecamonica. E la stessa sorte potrebbe capitare ai loro amici di Marmertino in Val Trompia, che avrebbero come meta Tavernole sul Mella, scendendo di oltre 400 metri di altitudine. Ma lo scenario montano potrebbe ripetersi tranquillamente anche nella pianura dove si trova la ma- terna di Martignana vicino Empoli: anche in questo caso la chiusura dell’attività costringerebbe le famiglie o a rinunciare al servizio o a trasportare i propri figli in altri Comuni. Già, perché in molti centri abitati di piccole dimensioni la materna paritaria è l’unico centro educativo presente e non ha alternative.
Sono soltanto tre delle centinaia di esempi che si potrebbero fare. Sono scuole, ma anche volti, storie, famiglie reali, che rischiano di veder sparire un servizio pubblico oggi garantito anche dalle ottomila materne aderenti alla Federazione scuole materne di ispirazione cristiana (Fism) e alle centinaia di scuole elementari che aderiscono alla Fidae, la Federazione che riunisce le scuole cattoliche dalle elementari alle superiori. «Troppo spesso pensiamo alle grandi città - sottolinea Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism -, dove l’alternativa di un’altra scuola esiste. Ma le nostre materne sono spesso sorte là dove lo Stato non ha un proprio istituto scolastico e dove magari il Comune, viste le proprie finanze, preferisce sostenere con un piccolo contributo la nostra scuola paritaria», il tutto in un’ottica non solo di sana sussidiarietà, ma anche nel principio sancito con la legge 62 del 2000, quella nota come legge sulla parità, in cui si parla di un unico sistema scolastico pubblico, a cui partecipano scuole di diversi gestori, compreso lo Stato. «E non dimentichiamo - rivendica Morgano - che il sostegno degli Enti locali nasce anche dall’apprezzamento della qualità delle nostre scuole».
Un principio importante che riceve, però, dallo Stato solo 534 milioni di euro, che la Finanziaria 2009 potrebbe ridurre di un quarto. Legittimo allora domandarsi cosa accadrà alle sezioni delle materne di Trecchina, Senise, Maratea, Castelluccio Superiore, Oppido Lucano, o San Costantino Albanese in provincia di Potenza, ma anche a quelle di Bagnoli di Sopra o Rio di Ponte San Nicolò nel Padovano. O, per restare nel Nord-Est, la «San Giovanni Bosco» di Piano di Riva vicino ad Ariano Polesine, o la «San Gottardo » di Bagnolo di Po, entrambi Comune in provincia di Rovigo, dove sono presenti soltanto le sezioni di scuola materna paritaria della Fism.
«Ma anche nelle grandi città - aggiunge don Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae - le nostre scuole sono spesso sorte e sono ancora presenti nei quartieri periferici o popolari dei capoluoghi». Ora arriva «questo taglio indiscriminato e grande nelle proporzioni, visto il nostro punto di partenza, che è fermo da ben sei anni» ricorda il presidente Fidae. Insomma una decisione che fanno apparire lontane le parole pronunciate dal presidente Napolitano all’apertura dell’anno scolastico, quando, rammenta don Macrì, «ha auspicato che la scuola sia collocata tra le priorità per l’avvenire del Paese, tanto da meritare - sono ancora parole di Napolitano - una speciale considerazione quando si affronta il problema della riduzione della spesa pubblica ».
Preoccupazione condivisa anche da Vincenzo Silvano, presidente della Federazione Opere Educative (Foe), le scuole che fanno riferimento alla Compagnia delle Opere. «Diminuire ulteriormente gli esigui fondi alle scuole paritarie - commenta - è un colpo alle famiglie che già sopportano oneri economici per garantirsi la propria libertà di scelta in campo educativo. Tra le scuole nostre associate circa un quarto restano aperte grazie proprio all’impegno delle famiglie che sono subentrati alle Congregazioni religiose nella gestione diretta delle scuole paritarie. Un impegno accettato e sostenuto, ma se ci saranno questi tagli per loro diventerà ancora più difficile». E alle famiglie va il pensiero anche di Luigi Morgano della Fism: «Le nostre scuole con meno fondi si troverebbero davanti al bivio: interrompere il servizio o alzare le rette, con un ulteriore aggravio di spesa». Uno scenario rifiutato pure da don Francesco Macrì della Fidae. Insomma ritirare quel taglio ai fondi permetterebbe ai bambini della materna di Vione (e a tutte le altre migliaia di sparse in tutto il Paese) di continuare la loro formazione nella comunità in cui sono nati.
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Il premier: correggeremo la manovra sui tagli
Emendamenti presentati da Pd e dall’Udc Casini:
la libertà di istruzione vale anche per le «non statali»
Appello al governo
DA MILANO ENRICO LENZI (Avvenire, 30.10.2007)*
«Vorrei mantenere la Finanziaria così com’è. Ciò non vieta che all’interno della manovra ci siano margini di correzione. Penso per esempio alla scuola privata » . All’indomani del grido dall’allarme lanciato dalle associazioni del mondo della scuola paritaria per i 133 milioni di euro tagliati nella Finanziaria in discussione in Parlamento, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annuncia la disponibilità ad apportare « qualche modifica al testo » , citando espressamente il caso della scuola paritaria. Lo fa a margine dell’incontro con la Confcommercio. Promessa che ora deve trasformarsi in un atto concreto. Se lo augura l’Udc, il cui leader nazionale Pierferdinando Casini ha sottolineato che « nel triennio 2008- 2011 sono previsti 500 milioni di tagli per le scuole paritarie » . Per questo, prosegue Casini « noi solleviamo in Parlamento e nel Paese una grande questione: la libertà nell’istruzione vale per tutti, anche per le scuole libere » . Un secco «no» a questi «inaccettabili tagli». E per questo, con i deputati Antonio De Poli, Amedeo Ciccanti e Gian Luca Galletti, l’Udc ha presentato un proprio emendamento affinché «siano ripristinati i 133 milioni di tagli, anche perché la scuola paritaria oggi sta vivendo una crisi profonda, grazie al fatto che i contributi pubblici sono minimi. Le scuole non statali sono da sempre impegnate a promuovere l’educazione del bambino, secondo una visione cristiana dell’uomo, del mondo e della vita. È necessario sollecitare il governo affinché anche questo tipo di insegnamento sia sostenuto ».
Anche dal Partito Democratico arriva «la solidarietà alla scuole paritarie che a causa dei tagli previsti nella Finanziaria stanno manifestando la loro impossibilità di proseguire nell’erogazione dei servizi scolastici » . E con la deputata del Pd, Rosa De Pasquale, componente della commissione Istruzione, annuncia la presentazione « di un emendamento che ripristini i 113 milioni per le scuole paritarie, perché questi sono tagli gravissimi, che ledono il sistema pubblico dell’istruzione, colpendo in particolare le scuole dell’infanzia e quelle primarie ».
E poi, commenta monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, rispondendo a una precisa domanda dei giornalisti, « ribadisco che le scuole cattoliche sono una ricchezza e non un peso per lo Stato ».
Insomma le opposizioni incalzano il governo affinché accolga questi emendamenti che eliminano i tagli al capitolo di spesa per la scuola paritaria. Ma anche dall’interno della stessa maggioranza di centrodestra si sono levate in più occasioni voci contro questa misura della Finanziaria. Già in occasione del passaggio del testo in commissione Istruzione di Montecitorio, il testo venne approvato con la richiesta di modificare proprio la decisione del taglio alle paritarie. Tra i sostenitori di tale posizione lo stesso presidente della commissione, Valentina Aprea. Anche al Senato l’esame del testo si è concluso con un analogo invito all’esecutivo, con una esplicita richiesta da parte anche del capogruppo del Pd in commissione Istruzione, il senatore Andrea Rusconi.
La palla torna dunque nel campo del governo che nelle prossime settimane, in fase di votazione della manovra finanziaria dovrà dare attuazione a quanto promesso ieri dal presidente del Consiglio. Del resto le sollecitazioni per un ripristino completo dei 534 milioni di euro previsti dal capitolo di bilancio sono davvero bipartisan.
Enrico Lenzi
Il Parlamento non decide?
Perda un turno
di MICHELE AINIS (La Stampa, 20/10/2008)
C’è un modo per uscire dallo stallo, dal gioco di reciproci dispetti e di veti incrociati che sta paralizzando le due Camere? C’è una soluzione tecnica all’impasse della politica? Sì che c’è, e andrebbe sperimentata con urgenza. Perché sta di fatto che il Parlamento è moribondo. Pensavamo d’aver scoperto l’assassino, dopo il monito del Capo dello Stato contro l’abuso dei decreti, ospitato sulle colonne di questo giornale. Ma non è colpa del governo lo spettacolo che è poi andato in scena nei giorni successivi. Non è un caso d’omicidio quello cui assistiamo da dietro le vetrate del Palazzo. No, si tratta piuttosto di suicidio. E la 19ª fumata nera per eleggere il successore di Vaccarella alla Consulta, nonché il blocco prolungato sul presidente della Vigilanza Rai, ne offrono la prova più eloquente.
Insomma il Parlamento non sa più fare le leggi (soltanto 6 in 6 mesi, ma 4 per ratificare trattati internazionali stipulati dal governo) e non sa decidere le nomine, pur costituzionalmente doverose. Sicché muore d’inedia, come un corpo che rifiuti gli alimenti. Oltretutto, non è neppure un suicidio dignitoso. Le Camere da giovedì scorso convocate a oltranza, ma sconvocate venerdì. Sempre giovedì, sciami di parlamentari che ondeggiano contro il bancone della presidenza, supplicando d’annullare la terza votazione, perché coincide con la cena. I trolley accatastati uno sull’altro nel guardaroba di Montecitorio, dato che il giorno dopo c’è uno sciopero dei voli. Gli sms di Cicchitto e Gasparri sui cellulari dei peones, per invitarli a disertare il voto. Le 87 anime presenti in aula venerdì mattina, meno del 10% di tutto il Parlamento. Lo striscione dei radicali, con il vicepresidente della Camera Leone che chiede per due volte di rimuoverlo e l’altra vicepresidente Bonino che s’oppone, finché non intervengono i commessi. E sullo sfondo l’improprio baratto fra la Consulta e la Rai, fra l’acqua santa e il diavolo.
Per salvare il moribondo, e per salvare inoltre ciò che resta del comune senso del pudore, la terapia può essere una sola: poteri sostitutivi. Formula ermetica, che tuttavia ricorre già nella Costituzione italiana così come in altri sistemi federali. In sintesi, significa che quando una regione o qualche ente locale rimanga inerte circa un particolare adempimento, lo Stato vi provvede al posto suo. La macchina pubblica, difatti, non può arrestarsi solo perché il conducente di turno schiaccia un pisolino. In questi casi si cambia conducente. E allora perché non dovremmo togliere il volante pure al Parlamento? Quando s’incarta sulle nomine basta fissare un tempo massimo, oppure un massimo di votazioni a vuoto: facciamo 10, benché la metà sarebbe già abbastanza.
Semmai il problema è individuare il sostituto, senza ledere la dignità delle assemblee legislative, senza inventarci un salvatore della Patria. Ma non è affatto un problema insormontabile. Rispetto al quindicesimo giudice costituzionale potremmo farlo scegliere ai 14 che hanno già un ufficio alla Consulta: è il sistema della cooptazione, in uso per il Senato dell’antica Roma. Oppure potrebbe entrare in gioco il Capo dello Stato, anticipando la sua futura nomina salvo poi restituirla la volta dopo alle due Camere; in questo modo gli equilibri costituzionali non verrebbero alterati. Più arduo rimediare alla paralisi quando si tratta d’eleggere il presidente della Vigilanza Rai, così come di qualsiasi altra commissione formata in Parlamento. Qui ogni soccorso esterno suonerebbe come un’invasione dell’autonomia parlamentare, dunque la soluzione va trovata dentro le mura della stessa commissione. Potremmo assegnare la poltrona al commissario più anziano, come del resto avviene in occasione della prima riunione delle Camere, presieduta per l’appunto dal decano; ma l’età non è mai un segreto, e sapendo come andrà a finire ci sarebbe sempre un partito cui conviene lo stallo. Meglio il sorteggio, quindi, meglio una puntata ai dadi. Dopotutto nell’antica Grecia le cariche pubbliche erano quasi sempre sorteggiate, fu con questo sistema che la democrazia diffuse i suoi primi vagiti. Usiamolo di nuovo, trasformiamo il moribondo in un neonato.
michele.ainis@uniroma3.it
La mela stregata per Roma Capitale
di Mario Pirani (la Repubblica, 20.10.2008)
Che il federalismo d’impianto leghista si prestasse ad aggravare i guasti apportati dalla modifica del titolo V della Costituzione ad opera delle sinistre, era stato denunciato più volte su queste colonne. La rubrica scorsa, appunto, lamentava come i post comunisti, nell’ansia di cancellare le proprie radici, avessero finito per gettare via, oltre a Marx e Stalin, anche Garibaldi e Cavour. Ed ora se ne vedono i frutti velenosi. Il «Comitato per la bellezza», un organismo dedito alla difesa artistica e paesaggistica, presieduto da Vittorio Emiliani, mi ha inviato in proposito una mappa delle fasi di fioritura di una di queste «mele stregate», destinata non certo ad avvelenare Biancaneve. L’11 settembre il governo presenta il disegno di legge sul federalismo fiscale che, sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni, passa quasi indenne. Il 3 ottobre il medesimo testo arriva al Consiglio dei ministri. A fine seduta viene inserito un copioso articolo aggiuntivo di cui non si era parlato fino a quel momento, neppure con le Regioni, col quale viene, tra le altre cose, trasferita all’Ente Roma Capitale «la tutela e la valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali», sin qui di competenza statale o demaniale, nonché le funzioni di urbanistica e pianificazione finora devolute alla Regione.
Appena venuto a conoscenza dell’inserimento dell’«articolo aggiuntivo» su Roma Capitale nella legge sul federalismo fiscale il sindaco Alemanno se ne rallegra pubblicamente: «E’ un risultato storico. La città avrà uno statuto europeo. I più importanti processi decisionali - inclusa la tutela dei beni culturali e ambientali - invece di passare per tre diversi livelli Comune-Provincia-Regione (e Stato) sono concentrati nell’assemblea capitolina. Così si potranno prendere con più rapidità le decisioni». Contemporaneamente il ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, dice di non saperne nulla.
La cosa, però, non finisce qui. Prima di proseguire vorrei, però, premettere che la legge su Roma Capitale è un obbiettivo da lungo tempo giustamente atteso. Non è possibile, infatti, governare con gli stessi strumenti regolamentari di un qualsiasi capoluogo, una metropoli dove, oltre alla amministrazione comunale, sono installate tutte le istituzioni di governo e di rappresentanza della Repubblica, nonché quelle vaticane. Ciò non significa, però, che Roma debba essere sottratta ad ogni vincolo di controllo, soprattutto in tema di salvaguardia ambientale e culturale. E qui l’articolo approvato dal Consiglio dei ministri entra in conflitto con la stessa Costituzione, laddove, all’art. 9, proclama che «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Non si tratta, si badi bene, di una proclamazione retorica ma di una direttiva pratica: se questa tutela fosse stata delegata ad enti, altri dallo Stato, e in special modo a quelli locali, ne sarebbero derivati continui conflitti d’interesse per la presenza sul territorio di forze potenti, capaci di influire direttamente e indirettamente sulle rappresentanze, per loro natura più permeabili ad operazioni clientelari. Lo scandalo esploso a Roma, allorquando venne permessa la costruzione dell’Hilton sui crinali di Monte Mario, si sarebbe ripetuto ovunque e su più larga scala. Gli scempi ci sono stati egualmente ma senza il potere vincolante autonomo delle Sovrintendenze, ripreso anche dal Codice attuale dei Beni culturali sulla scia di tutti quelli precedenti, dalla legge giolittiana del 1908, a quella di Croce del ‘22, dalle due leggi Bottai del ‘39 al Testo unico del 1999, ebbene l’intera Penisola sarebbe uscita devastata.
Ricordato tutto questo, torniamo alla vicenda del famigerato articolo aggiuntivo di cui sopra. Ebbene, uscito da Palazzo Chigi il 3 settembre, si perde per strada e non arriva al Quirinale. Al presidente della Repubblica, che deve firmare il testo prima di avviarlo all’iter parlamentare, viene sottoposta la stesura precedente, quella sancita dalla Conferenza Stato-Regioni, che non contiene la corposa aggiunta su Roma Capitale, malgrado, nel frattempo, i ministri Calderoli e Matteoli dichiarino di averla approvata. Cosa c’è dietro? Probabilmente la stessa tattica seguita con l’emendamento salva-manager infilato di soppiatto nel decreto Alitalia: si nasconde la «mela stregata» agli occhi del Quirinale per non incappare in una possibile obiezione ostativa del Presidente, quindi la si ripresenterà, come emendamento, nel corso della discussione parlamentare sul federalismo. Come dice Andreotti a pensar male si fa peccato, ma si indovina. Del resto gli interessi in gioco sono enormi.