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L’economia e il ritorno della morale
di Giorgio Ruffolo (la repubblica, 09.03.2009)
Trent’anni fa un giovane economista inglese, Fred Hirsch, poi immaturamente scomparso, pubblicò un libro intitolato I limiti sociali dello sviluppo. Era un libro elegante e intrigante, che affrontava allora il cuore di quello che è poi diventato il problema della crescita. Al di là dei livelli di produzione che soddisfano i bisogni di autosufficienza - questo era il tema - le soddisfazioni che se ne traggono dipendono in misura crescente non dal proprio consumo individuale, ma dai consumi degli altri. Per un uomo affamato la pagnotta è un bene tipicamente privato. Per un pedone che transita in città l’aria che respira è un bene pubblico. Elementare, Watson. Ma mica tanto.
La scienza economica, infatti, ha riconosciuto il fenomeno dell’interdipendenza (le cosiddette economie e diseconomie esterne) ma lo ha relegato (quell’aggettivo «esterne» è significativo) in secondo piano rispetto all’importanza primaria dei bisogni e dei consumi individuali. Sono stati così gravemente sottovalutati i limiti che all’accumulazione e al consumo della ricchezza derivano dai comportamenti sociali. Il problema è diventato drammatico per quanto riguarda i guasti inferti dai comportamenti collettivi all’ambiente naturale. E sta diventando sempre più drammatico per quel che riguarda i comportamenti «morali». Leggendo l’articolo di Jean Paul Fitoussi (Se torna l’etica nel capitalismo, Repubblica del 23 febbraio) mi sono venute in mente proprio le considerazioni fatte da Fred Hirsch a proposito della morale come bene collettivo e della esigenza vitale, per la stessa sopravvivenza del capitalismo moderno, di quella che egli definiva una «moral reentry»: un «ritorno alla morale».
Hirsch era un disincantato economista liberale e non incline alle prediche. Ma sapeva bene che le due forme tipiche del capitalismo, l’impresa e il mercato, non possono tenersi insieme se non sulla base di una legittimazione morale: che può essere la «pietas» cattolica, la «grazia» calvinista, o la «simpatia» di Adam Smith. Ciascuna di queste «passioni», religiose o laiche, pone limiti al comportamento egoista. Limiti logici, prima che morali: come quello dell’impossibilità che tutti possano stare «meglio degli altri». Quei limiti impediscono che il comportamento egoista, varcando i limiti della logica, diventi distruttivo.
Ora, proprio questo è avvenuto nelle due grandi crisi che hanno investito il capitalismo moderno, quella degli anni Trenta del secolo scorso e quella attuale. È avvenuto che l’avidità e il successo individuale sono stati eretti a principio collettivo: l’ideale impossibile che tutti possano star meglio degli altri. Il che ha indotto istituzioni severissime, come le Banche Centrali, a praticare politiche di indebitamento sconsiderate, che a loro volta incoraggiavano comportamenti irresponsabili scorretti o criminosi da parte di amministratori, dirigenti, consulenti, di ogni ordine e grado.
È significativa l’analogia tra guasti ambientali e guasti morali dell’economia. Entrambi discendono dall’insostenibilità di comportamenti distruttivi: degli equilibri naturali nel primo, degli equilibri etici nel secondo caso. Ma questa insostenibilità non è il risultato di una patologia del sistema. È invece il frutto di una esasperazione della sua logica. La logica del capitalismo è l’accumulazione. La quale è per natura illimitata. Si dovrebbe dire, più propriamente, sterminata. Ed è una logica impossibile, quindi illogica.
È la logica della sterminatezza che sta alla base sia dei disastri ambientali che di quelli finanziari. E dovrebbe essere venuto il momento di opporre a questa logica dissennata l’etica dei limiti. Di combattere la vergogna criminale dei paradisi fiscali. Di limitare la «creatività» delle scommesse finanziarie. Di rallentare i movimenti di capitale speculativi. Di reintrodurre politiche dei redditi che proporzionino lavoro e produttività. Di introdurre misure di decenza nella sfrenata corsa delle rendite manageriali. Di osservare proporzioni programmatiche nella dinamica rispettiva dei consumi pubblici e di quelli privati.
Insomma, di realizzare una «moral reentry» dalla follia che ci ha condotto a questo passo. E che non riguarda solo l’economia, ma anche e soprattutto la politica. Vedete: quando dalla sommità della politica, si fa per dire, giunge un messaggio di comprensione dell’evasore fiscale, è lì che si misura il guasto arrecato all’etica del capitalismo. Quando io difendo le ragioni dell’antiberlusconismo non mi curo delle battute sulle donne (ciascuno ha i suoi gusti) ma dell’immoralità politica di quel messaggio (come di tanti altri dello stesso «tenore», nel doppio senso) e dell’insensibilità che insigni maestri di «liberalismo» dimostrano nell’accantonarlo.
Intervista a Berlusconi. La battuta su Obama? "Lui stesso si è fatto una risata"
Sulle riforme: "La Bicamerale di Fini? Mi occupo di cose importanti"
"Basta con la tv che mi dileggia
questa sinistra è contro l’Italia"
di CLAUDIO TITO*
ROMA - "Basta con questa tv che mi dileggia solo. Anche lì c’è la mano dell’opposizione. La verità è che la sinistra vuole quattro anni e mezzo di campagna elettorale. Polemizzano solo, soffiano sulla protesta. Lo stanno facendo pure con l’Alitalia. Mi insultano infischiandosene degli interessi del Paese". Silvio Berlusconi si sfoga. Punta l’indice contro il centrosinistra. Reo di provocare un clima di ostilità nei suoi confronti . Ma se la prende soprattutto con i giornali e le televisioni. Che, a suo giudizio, si esercitano in un "continuo e insopportabile dileggio". Su tutti i canali, in prima serata, ogni giorno.
Il Cavaliere ha appena incontrato il presidente brasiliano Lula ("Una persona simpaticissima") e per allentare un po’ la tensione del vertice ufficiale, invece di tornare a Via del Plebiscito, fa fermare la macchina a Corso Vittorio. All’angolo con Piazza del Gesù e a pochi passi da Palazzo Grazioli. Si infila in un negozietto di bigiotteria. Spille, anelli, ciondoli, collanine. Colori sgargianti, tutto rigorosamente in plastica. "Sapete - spiega cogliendo i dubbi dell’interlocutore - io ricevo tante scolaresche, tanti bambini e quando li saluto regalo a ciascuno di loro una cosetta. Roba di pochi euro...". La scorta aspetta fuori. Nessun curioso fa capolino. E lui, tra uno scaffale e l’altro, si trasforma in un fiume in piena. Liquida la Bicamerale proposta da Fini e D’Alema. Poi parla della "crisi economica che rischia di peggiorare", dell’"inaccettabile ricatto" dei piloti Alitalia, del "Pallone d’oro" Kakà che presto scenderà in politica, di Obama che dovrà imprimere "subito una svolta come ho fatto io a Napoli, altrimenti il consenso si perde in un momento".
Ma soprattutto, appunto, punta l’indice contro il Pd. E contro quel sistema della comunicazione che "non va". Lo stallo sulla Rai è il suo obiettivo. Da settimane sottolinea con la matita rossa il "disfattismo televisivo". In questa fase, quindi, i nuovi vertici di Viale Mazzini stanno diventando una priorità. Le tv "mi dileggiano" e "la presa per il c... sta diventando un’abitudine insopportabile". La colpa è della sinistra che "soffia sempre e comunque sul fuoco delle polemiche". Niente a che vedere con il socialista Lula: "Lui è una persona simpaticissima. Lo conosco dal 2002, ci siamo visti in tanti vertici internazionali. E’ davvero una persona capace, un vero amico".
Il Brasile sarà un importante anche per affrontare la tempesta finanziaria che sta investendo le economie mondiali?
"Non può che avere un ruolo importante rispetto alle scelte che ci attendono. Abbiamo un accordo per vederci in Brasile a febbraio". Si ferma, si sposta da un angolo all’altro del negozio per evitare la luce dei neon. Abbassa la voce e passa ad una digressione di carattere personale: "Nessuno lo sa, ma io ho costruito un ospedale in Amazzonia che porterà il nome di mio padre. L’ho fatto insieme a Don Verzè. Un tempo lì i bambini venivano operati di appendicite stendendo un lenzuolo sui cofani delle jeep".
Anche al presidente brasiliano ha illustrato la sua linea sui rapporti tra gli Usa e la Russia?
"Certo ed è d’accordo con me nel considerare decisivo risolvere immediatamente la crisi missilistica. E’ ancora più importante della crisi delle borse. Se si continua a puntare le armi uno contro l’altro, allora si fa un alto indietro alla Guerra Fredda. Una cosa pazzesca. Per questo mi sto impegnando in un’opera di mediazione e Obama è il primo a sapere che nessuno come me può aiutarlo".
Sul nuovo presidente americano, però, qualche polemica lei l’ha scatenata.
"Solo in Italia la sinistra poteva pensare che quella mia battuta avesse qualcosa di razzista. In America nessuno ci ha fatto caso e lui stesso si è fatto una risata. Io ho solo detto che è intelligente, bello e abbronzato. Non ho detto che è alto perché stavo con Putin e Medvedev che sono quanto me". Si blocca, come se volesse soppesare le parole. D’un tratto sorride e volge la faccia verso le lampadine del negozio: "Eppoi noi stiamo tutta l’estate a cercare di abbronzarci al sole e d’inverno ci mettiamo sotto le lampade. Anche lui ci scherza: avete visto che sta cercando un cane che sia un "incrocio" come lui?".
Sarà in grado di affrontare i tanti problemi che stanno vivendo gli Usa?
"E’ una persona valida. Qualcuno sostiene che è solo il prodotto di una campagna pubblicitaria. Non è assolutamente vero. Farà grandissime cose. Certo, gli è caduta addosso una fase difficilissima. Anzi, la crisi lì sta anche peggiorando. Deve imprimere subito una svolta come ho fatto io a Napoli e quasi sull’Alitalia. Altrimenti il consenso si perde in un momento. Ma là la situazione è diversa".
In che senso?
"Avete visto il discorso di McCain? Da noi invece la sinistra vuole quattro anni e mezzo di campagna elettorale. Polemizzano solo, soffiano sulla protesta e se ne infischiano degli interessi del Paese. Attaccano sempre il presidente del consiglio senza tenere conto dell’Italia".
Eppure c’è chi, come Fini e D’Alema, propone la Bicamerale per le riforme insistendo sul dialogo.
"Non c’entro nulla, è una cosa loro. Io mi occupo delle relazioni internazionali e della crisi economica. Di cose importanti". Si passa tra una mano e l’altra un piccolo monile e poi riattacca: "Chi pensate, ad esempio, che stia soffiando su Alitalia? Sempre loro, la sinistra".
La Cgil, però, ha firmato l’accordo.
"Lo fanno nonostante la firma della Cgil".
Ma come pensate di risolvere questa vertenza?
"Quello di questi giorni è un atteggiamento irresponsabile, inaccettabile. Noi di certo non ci piegheremo ai ricatti. Alla fine, la Cai dovrà andare avanti facendo le assunzioni individuali. A sinistra, insomma, stanno sbagliando tutto".
Ammetterà che in Trentino hanno vinto?
"Era prevedibile. Ma se vedete i dati assoluti hanno perso voti. Io poi non mi sono impegnato, ho dato una sola intervista. In Abruzzo invece ci andrò, almeno 3-4 volte e vedrete che la musica sarà diversa. Ma c’è un’altra cosa che davvero non riesco a digerire".
Ossia?
"Quello che non sopporto più è il continuo dileggio sulle televisioni e sui giornali".
A cosa si riferisce in particolare?
"In tv, ogni giorno, su tutti i canali, in prima serata mi prendono per il c.... Questa abitudine sta diventando insopportabile. Deve finire". Ricomincia a scegliere le collanine e saluta. Poi torna indietro. Giusto il tempo di raccontare cosa è successo tra Lula e i calciatori brasiliani del Milan: "E’ stato contentissimo di incontrarli. Vorrebbe portare in politica Leonardo. Che è davvero una persona intelligente e che ha a cuore la sorte dei bambini. Ma Lula mi ha detto che in futuro anche Kakà potrà essere interessato alla politica".
* la Repubblica, 12 novembre 2008.
Cartolina per il premier: «Siamo tutti imbecilli» *
Berlusconi li ha chiamati «imbecilli». Sono quelli che lo criticano, quelli che non capiscono le sue battute su Obama «l’abbronzato».
Una valanga di messaggi ha travolto i giornali italiani e americani, lui si è stupito: «Non pensavo ce ne fossero in giro così tanti».
L’Unità ha preparato una cartolina per fargli vedere quanti siamo: potete scaricarla qui sotto e mandarla direttamente a Palazzo Chigi.
* l’Unità, Pubblicato il: 07.11.08, Modificato il: 07.11.08 alle ore 22.33
Il premier non intende chiedere scusa per la battuta sul nuovo presidente Usa "abbronzato"
"Ho letto i giornali e sono di buon umore, si sono autodichiarati pubblicamente"
Obama, Berlusconi dopo la gaffe attacca
"Non pensavo fossero così imbecilli" *
MOSCA - "Li conoscevamo già ma non pensavamo fossero così tanto imbecilli". Così Silvio Berlusconi, lasciando Mosca, diretto a Bruxelles per il Consiglio europeo straordinario, ha risposto ai cronisti italiani che gli chiedevano il suo stato d’animo dopo la lettura dei giornali e le tante critiche piovutegli addosso per le sue parole su Barack Obama.
"Ho letto i giornali - ha spiegato il presidente del Consiglio - certo che sono ancora di buon umore...". Poi ha aggiunto: "Pensavamo che ci fossero tanti imbecilli in circolazione, quello che non immaginavamo è che fossero così imbecilli da autodichiararsi, autocertificarsi pubblicamente. Lo hanno fatto. Li conoscevamo già, ma - ha concluso Berlusconi- non li pensavo così tanto imbecilli".
Ieri Berlusconi, parlando dopo l’incontro a Mosca con il presidente russo Medvedev, aveva definito Obama "giovane, bello e abbronzato", scatenando un putiferio di reazioni. Il commento è stato ripreso infatti tra scandalo e stupore da tutta la stampa internazionale e da diversi siti americani, in molti casi per stigmatizzare l’ambiguità razzista di quella che il presidente del Consiglio si è affretato a definire una "carineria".
* la Repubblica, 7 novembre 2008
Dal suo blog, l’esponente del Pdl avanza pesanti insinuazioni
"Abbasso la mignottocrazia, viva la Repubblica"
"Calendarista delle pari opportunità
quali favori ha fatto al premier?"
Il senatore Guzzanti ancora contro la Carfagna, duro attacco a Berlusconi
di MARCO PASQUA *
ROMA - Paolo Guzzanti, senatore di Forza Italia, torna a criticare Silvio Berlusconi e, stavolta, attraverso le pagine del suo blog, se la prende anche con Mara Carfagna. Il ministro viene definito "calendarista alle pari opportunità", "inadatta" a ricoprire quel ruolo. Non solo: quella di Berlusconi, nei suoi confronti, sarebbe stata una "nomina di scambio", offerta in cambio di qualcosa che il senatore non specifica.
Una presa di posizione che fa seguito alle dichiarazioni, rilasciate lo scorso 8 ottobre, quando Guzzanti aveva attaccato il premier per aver lodato la Russia di Putin. "Berlusconi mi fa vomitare", aveva detto in quell’occasione. Adesso critica senza troppe mezze misure il ministro delle Pari Opportunità: "Secondo quanto dicono alcuni testimoni che considero credibili, attendibili e tutt’altro che interessati - scrive nei commenti, rispondendo ad un suo lettore - esistono proporzionati motivi per temere che la signorina in questione occupi il posto per motivi che esulano dalla valutazione delle sue capacità di servitore dello Stato, sia pure apprendista. La sua intelligenza politica è nulla".
Ancora: "Resta aperta una questione irrisolta: quali meriti straordinari hanno condotto questo giovane cittadino della Repubblica ad una carriera così fulminea? Mi chiedo come questa persona abbia ottenuto il posto".
Ma l’accusa di Guzzanti è più pesante, perché è quella di una vera e propria nomina di scambio, un favore fatto alla Carfagna dal premier. Facendo riferimento ad alcune intercettazioni mai pubblicate dai giornali, ma che lui avrebbe letto, Guzzanti risponde ad un lettore che gli chiede se le "nomine di scambio" fossero più d’una: "Per quel che ne so, dai testi oculari, più di una. Per questo lo scandalo sarebbe devastante, costituzionalmente e istituzionalmente devastante. Più di scambio, tratterebbesi di compenso. Come scrisse Cossiga: ’ai miei tempi si offriva un filo di perle o un appartamento’".
Guzzanti è padre della comica Sabina, alla quale proprio la Carfagna ha chiesto un milione di euro di danni. A chi lo attacca per questa sua presa di posizione contro la Carfagna, Guzzanti dice: "C’entra il senso dello Stato, il primato delle regole, la limpidezza della democrazia. Abbasso la mignottocrazia, viva la Repubblica". E nel post vero e proprio, il senatore si chiede se sia possibile che in una democrazia "il capo di un governo nomini ministro persone che hanno il solo e unico merito di averlo servito, emozionato, soddisfatto personalmente? Potrebbe essere il suo giardiniere che ha ben potato le sue rose, l’autista che lo ha ben guidato in un viaggio, la meretrice che ha ben succhiato il suo uccello, ma anche il padre spirituale che abbia ben salvato la sua anima, il ciabattino che abbia ben risuolato le sue scarpe". Infine, un altro interrogativo: "è lecito o non è lecito che si faccia ministro in uno Stato immaginario e anzi in un Pianeta di un’altra costellazione, una persona che ha come suo merito specifico ben soddisfatto il capo del governo?".
Dopo la richiesta di danni alla figlia Sabina ora tocca al padre
Il ministro Carfagna querela Guzzanti
Nel mirino le frasi sul blog: «Calendarista alle pari opportunità, inadatta. Una nomina di scambio»
ROMA - L’ufficio stampa del ministro per le Pari Opportunità ha annunciato la decisione di Mara Carfagna di presentare querela penale per diffamazione nei confronti di Paolo Guzzanti per «quanto di falso da lui sostenuto nel suo blog». Il ministro aveva già chiesto un milione di euro di danni a Sabina Guzzanti, difesa dal padre, per alcune sue dichiarazioni durante una manifestazione dell’Idv nei mesi scorsi.
IL BLOG - Il ministro viene definito «calendarista alle pari opportunità», «inadatta» a ricoprire quel ruolo. Non solo: quella di Berlusconi, nei suoi confronti, afferma il sen. Guzzanti sul suo blog, sarebbe stata una «nomina di scambio». Nel suo sito, deputato del Pdl, definisce Mara Carfagna «calendarista dalle pari opportunità» e sostiene di non voler parlare della persona ma di un principio. «Il punto, lasciamo perdere la Carfagna, facciamo finta che non esista - scrive tra l’altro Paolo Guzzanti - è: è ammissibile o non ammissibile, in una democrazia ipotetica, che il capo di un governo nomini ministro persone che hanno il solo e unico merito di averlo servito, emozionato, soddisfatto personalmente?». In serata, l’accesso al blog dell’ex presidente della commissione Mitrokhin era molto difficile.
BERLUSCONI: POLIZIA NELLE SCUOLE? NON L’HO MAI DETTO
dell’inviata Milena Di Mauro
PECHINO - Mentre in Italia la protesta degli studenti monta come un fiume in piena, da Pechino Silvio Berlusconi prova ad arginare: "Mai detto né pensato che la Polizia debba entrare nelle scuole". Ma non è un dietrofront, quello del premier, che anzi ancora una volta punta il dito contro i mezzi di informazione, rei di descrivere l’inesistente. Nessuna marcia indietro, dunque, perché esiste il "dovere" del governo di tutelare il "diritto essenziale di andare a scuola da parte di chi non vuole protestare". Nel mirino del premier - che parla dalla Cina dove è arrivato per il settimo summit euro-asiatico Asem - finiscono anche studenti e rettori delle Università italiane in rivolta. "Protestano? Ma se per l’Università addirittura ancora non è stato fatto niente...", osserva incredulo.
"Se qualcuno va in piazza è perché gli piace andare in piazza - aggiunge polemico - A qualcuno piace la musica, a qualcuno piace manifestare... Noi, in realtà, per ora abbiamo solo detto che ci saranno 5.500 corsi di laurea, qualcuno addirittura con uno studente solo". Oggi il premier ammorbidisce i toni. "Volete manifestare in piazza? Siete i benvenuti, ma almeno non sparate bufale sul numero dei partecipanti, di solito moltiplicato per 25". Berlusconi poi non dice più che le occupazioni non saranno tollerate. Afferma invece di avere in mente "spiritosi" metodi di "convincimento". "Se ci sarà chi vorrà occupare a prescindere - prova a sorridere - con opportune azioni di convincimento, e ne ho in mente qualcuna molto spiritosa, bisognerà garantire agli altri che vogliono imparare la possibilità di non essere disturbati da costoro". Quali possano essere questi metodi, il premier non vuole svelarlo.
"Non lo dico, altrimenti farei i titoli". Ancora all’attacco, invece, dei mezzi di informazione con l’accusa di non essere obiettivi. "Accade di frequente, anzi molto spesso che io non riesca a riconoscermi nelle situazioni che ho vissuto da protagonista. Posso perciò parlare di un divorzio tra la realtà di quanto da me vissuto e la realtà che raccontano i giornali". Così è stato oggi, afferma, di fronte alla lettura dei quotidiani. "I titoli che ho letto venendo qui, che parlano di Polizia nelle scuole, non sono condivisibili, sono un divorzio dalla realtà - segna con la matita blu il premier - Io non ho mai detto né pensato che la polizia debba entrare nelle scuole. Ho detto invece che chi vuole è liberissimo di manifestare e protestare ma non può imporre a chi non è della sua idea di rinunciare ad un suo diritto essenziale". "Ho detto soltanto - precisa ancora Berlusconi - che lo Stato non è più legittimato ad essere Stato, se non garantisce ai cittadini i propri diritti. E io sento questo come un preciso dovere del governo. Con tutta la preoccupazione e la necessaria ’leggerezza’ che il caso richiede, non possiamo non intervenire e sottrarci così al nostro dovere".
Assolutamente "pretestuose" sono quindi le polemiche da parte della sinistra "che ha preso la scuola a pretesto per fare qualcosa che andasse contro al governo" e "protesta oggi contro il maestro unico nello stesso modo in cui fece una battaglia quando si introdusse la pluralità degli insegnanti". Quanto alle divisioni degli avversari politici, il premier glissa. "Le cose sono lì - afferma - Lasciamo a chi non ha incarichi di dare valutazioni. Noi vediamo quello che succede, quando ci toccano reagiamo, ma non possiamo addossarci il diritto o la responsabilità di tranciare giudizi o fare fotografie della situazione interna alla sinistra. In casa d’altri io non sono mai entrato". Con un pensiero alla scuola in rivolta, Berlusconi a Pechino cerca di allargare ad oriente il suo ’protagonismo’ internazionale delle ultime settimane. Della crisi finanziaria globale parlerà insieme ai capi di stato e di governo dei 43 paesi dell’Asem, il vertice Europa-Asia che si apre domani. Oggi conferma intanto il G20 di Washington del 15 novembre, e con il presidente cinese Hu Jintao ed il premier Wen Jiabao, che incontra appena arrivato in Cina, parla di un G-plus che assumerà la responsabilità di un controllo sullo sviluppo economico nel mondo. "Ma Bretton Woods - mette in chiaro - non lo scriveremo certamente a Washington, in un giorno solo".
* ANSA» 2008-10-23 18:27
Ansa» 2008-10-22 13:48
SCUOLA, BERLUSCONI: NON PERMETTEREMO OCCUPAZIONI
ROMA - Non permetteremo che vengano occupate scuole università. Lo ha detto il premier, Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. "E’ una violenza, convocherò oggi pomeriggio Maroni per dargli indicazioni su come devono intervenire le forze dell’ordine".
"L’ordine deve essere garantito. Lo Stato deve fare il suo ruolo garantendo il diritto degli studenti che vogliono studiare di entrare nelle classi e nelle aule". Afferma Berlusconi sottolineando cosa intende quando annuncia che le forze dell’ordine impediranno le occupazioni.
"Sulla scuola troppe cose divorziano con la realtà". Sostiene il premier: "La sinistra è contro il decreto Gelmini, che, ricordo, è un decreto e non la riforma della scuola. Tenta di costruire un’opposizione di piazza su un terreno circoscritto, perché come governo siamo inattaccabili su tutta una serie di provvedimenti".
"Al ministro Gelmini dico: andiamo avanti. Dobbiamo applicare questo decreto e non ritirarlo. La sinistra dice solo menzogne e falsità a proposito del tempo pieno, dei tagli e dei licenziamenti. Non è vero". "La sinistra parla di 86mila insegnanti in meno. E’ falso. Con la riforma nessuno sarà cacciato. Ci sarà solo il pensionamento di chi ha già raggiunto l’età e il blocco del turn over", ha concluso Berlusconi.
GELMINI, INVITO AD ABBASSARE I TONI DELLA PROTESTA - "Invito ad abbassare i toni della protesta". E’ l’esortazione lanciata dal ministro dell’ Istruzione, Mariastella Gelmini, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi. "Il Governo - ha detto - da sempre è aperto al confronto. Sulla natura della protesta è chiaro che la sinistra ha scelto la scuola e l’università come terreno di scontro".
VELTRONI, GOVERNO RITIRI DECRETO - Alle proteste così ampie e diffuse contro la riforma della scuola, il governo dovrebbe "ritirare il decreto Gelmini e le misure con i tagli alla scuola e all’università", dandosi comunque degli "obiettivi di finanza pubblica" che affrontino il problema della diminuzione della spesa. Lo ha detto il segretario del Pd, Walter Veltroni, intervenendo a Radio anch’io.
DI PIETRO, PREMIER FOMENTA NUOVA STRATEGIA TENSIONE - "Per come sta affrontando il capitolo della scuola, dalla riforma Gelmini alle violenze contro gli studenti, Berlusconi sta riportando la situazione a come era negli anni ’70’’. Il leader dell’Idv Antonio Di Pietro commenta così la decisione del presidente del Consiglio di convocare il ministro dell’Interno a Palazzo Chigi "per dargli indicazioni su come devono intervenire le forze dell’ordine" nelle scuole e nelle università per fermare la protesta. "Berlusconi - aggiunge - in questo modo sta creando le premesse come mandante politico (e di questo dovrà assumersene la responsabilità), per creare in Italia una nuova strategia della tensione".
EPIFANI, GOVERNO FA ERRORE, NON MINACCI STUDENTI - "E’ profondamente sbagliato rispondere alle ragioni del movimento degli studenti con una modalità che non sia quella del dialogo". Lo dice il leader della Cgil Guglielmo Epifani, dopo la cerimonia funebre per Vittorio Foa, commentando l’annuncio di Berlusconi di non voler permettere le occupazioni. "Il governo - sottolinea Epifani - non può ricorrere alle minacce. Questo è un movimento che ha caratteristiche del tutto nuove, che non ha senso paragonare al ’68 ne’, tanto meno, al ’77. E’ un movimento pacifico, gli studenti chiedono di investire nella scuola, è gente che chiede di studiare di più e meglio. Il governo - sottolinea Epifani - deve saper dialogare. Bisogna aprire canali di dialogo con gli studenti e anche con il sindacato confederale".
LA RUSSA, MAESTRO UNICO? SBAGLIATO DOPO LA TERZA - "Penso che dalla terza elementare o dopo la terza sia sbagliato un solo maestro, ma va invece bene per i primi due-tre anni di vita scolastica", quando il bambino ha bisogno, a scuola, di un punto di riferimento principale. E’ l’opinione di Ignazio La Russa, ministro della Difesa e padre di un bambino di 6 anni. "Io personalmente sono d’accordo con il maestro unico, l’ho detto quando abbiamo votato in Consiglio dei ministri", dice il ministro ai giornalisti, a margine della sua visita ufficiale negli Usa, conclusasi oggi. "Nei primi 2-3 anni di vita scolastica - dice La Russa - oltre agli altri insegnanti che comunque ci sono (ginnastica, lingue), credo sia importantissimo" avere un punto di riferimento principale. "Mio figlio ha 6 anni e vi assicuro che è molto importante per un bambino di quell’età il rapporto che lo lega principalmente a una persona".
SACCONI, GIOVANI PRESUNTUOSI, MONDO AUTOREFERENZIALE - Le proteste di questi giorni contro il decreto Gelmini sono guidate da "giovani presuntuosi e politicizzati", frutto di una scuola e di una università "autoreferenziali" nate negli anni Settanta. Lo ha affermato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, nel corso di VivaVoce su Radio24. Secondo Sacconi le proteste sono dettate dal "pregiudizio: si tratta di minoranze politicizzate, con giovani presuntuosi che talora guidano queste manifestazioni. Presuntuosi perché presumono di avere capito tutto. Sono politicizzati: peccato però che non facciano il loro interesse e quello della loro generazione, che dovrebbe essere quello di contestare una scuola e un’università molto autoreferenziali, rese così dai loro padri" negli anni Settanta, che vi hanno introdotto "una sorta di nichilismo nella nostra società". Secondo il ministro, inoltre, "non è un caso che le maggiori criticità si trovino nel sistema educativo dove c’é una generazione di docenti cinica e autoreferenziale". Bisognerebbe invece preoccuparsi del fatto, conclude, che "in Italia ci si laurea mediamente a 28 anni, ma non in ingegneria, in scienze della comunicazione".
La vergogna e il Bagaglino
di Concita De Gregorio *
Quando stamattina ho letto su internet della morte di Haider ho provato un sentimento di cui mi sono vergognato. Anche ora mi imbarazza definirlo. Forse la parola adatta non esiste. Non è «soddisfazione», ma onestamente le somiglia. Non è stata la prima volta. Ero un ragazzo quando morì Franco. Rafael Alberti disse qualcosa come: «Le fiamme dell’inferno non sono sufficienti per accoglierlo». Mi piacque. Quella frase mi tornò in mente quando morì Pinochet. Mi è tornata in mente oggi, dopo Haider. Poi mi sono vergognato. Forse perché Haider aveva la mia età e questo mi ha fatto avvertire che non era solo un simbolo, era un uomo. Ho guardato le sue foto. Ho letto che lo paragonano a Bossi. Ho pensato ai loro vestiti tirolesi, alle camicie nere di Berlusconi al Bagaglino, ai simboli neofascisti esibiti da chi ci governa. Ho provato pena per Haider, alla fine, poi anche per me.
Giovanni Pera
È una bella lettera, la leggo e la rileggo. Bella perché parla di vergogna senza vergogna e di pena senza pudore. Perché entra con semplicità in un terreno complesso: l’ambiguità dei propri sentimenti e nei sentimenti, è chiaro, alberga anche la politica. Non ci si rallegra per la morte di nessuno: mai. Di un tiranno a lungo subìto, questo sì può accadere: «Beviamo a viva forza, è morto Mirsilo», scriveva Alceo. Però Haider non era un tiranno e neppure un dittatore, non era Franco né Pinochet. Era un leader politico della destra estrema, la destra vincente fatta di simboli odiosi e a questo può ridurre l’esasperazione e la frustrazione di chi si trova, davanti all’onda, in minoranza: a confondere la battaglia politica con l’odio personale. È un errore gravissimo che nasce dalla cultura sommaria dominante, rafforza questa cultura anziché combatterla: buoni contro cattivi, indiani contro cow boy e chi vince non fa prigionieri. Non è questo il terreno di scontro: non è la vita o la morte dell’avversario. È il prevalere delle idee e dei valori di cui ciascuno è portatore, è la mia opinione contro la tua e la forza delle ragioni che la sostengono, il comune sentire da cui germinano.
Questo il vero campo di battaglia: lo spirito del tempo e gli elementi che lo costruiscono, lo consolidano. Il problema non è che Berlusconi la sera vada al Bagaglino, nel fine settimana da Messeguè, la notte in discoteca vestito in «total black». Le donne se sono mogli di qualcun altro, dice la sua barzelletta, si pagano. È evidente che personalmente - finché è nel lecito - può vestire e passare il tempo come vuole.
Il problema è il compiacimento e l’identificazione che suscita come «modello politico vincente». Il berlusconismo. L’idea che del fascismo non mi occupo perché ho da lavorare, che il Parlamento mi deprime. Che se hai i soldi puoi aggiustare i conti delle banche e delle città, puoi comprarti l’impunità e delle regole chi se ne frega, roba da moralisti tristi. È da qui che germinano i cori «duce duce» che ormai accompagnano la nostra nazionale di calcio all’estero, i caschi rosa con la svastica che le adolescenti comprano al mercato «perché vanno». Di questo sì c’è da vergognarsi: di non saperglielo spiegare. Meno male che si torna in piazza. Protestare va bene ma anche proporre, per favore. Indicare una rotta diversa, se possibile. Che non sia speriamo che muoia. Come per Haider, che non ci mancherà ma che se fosse invecchiato sconfitto a trastullarsi coi falconi in una baita sarebbe stato meglio. Per lui e per tutti.
* l’Unità, Pubblicato il: 12.10.08, Modificato il: 12.10.08 alle ore 11.30
GOVERNO: DI PIETRO, DOBBIAMO RESISTERE RESISTERE RESISTERE
NON DIMENTICO PAROLE DI BORRELLI, QUESTA DIVENTERA’ PIAZZA DELLA LEGALITA’
Roma, 11 ott. (Adnkronos) - "C’e’ un solo modo sicuro per non perdere: dobbiamo resistere. Non dimentico quello che mi diceva il mio procuratore capo a Milano, Francesco Saverio Borrelli e cioe’ che dobbiamo resistere, resistere, resistere!". A fine serata, Antonio Di Pietro sale di nuovo sul palco di piazza Navona dove si sta concludendo la manifestazione dell’Italia dei Valori per la raccolta delle firme contro il lodo Alfano. L’ex pm invita "tutti a non rassegnarsi al governo Berlusconi. Noi lavoriamo per trasformare questa piazza in un agora’ della democrazia. faremo in modo che piazza Navona diventera’ sempre di piu’ la piazza della legalita’". Il leader dell’Idv lancia un messaggio a Walter Veltroni: "non andiamo alla ricerca del voto degli altri ma cerchiamo di riconquistare la fiducia della gente che l’ha persa".
Oggi in piazza l’Unione contro la legge che garantisce l’immunità
alle 4 più alte cariche dello stato. Idv in piazza Navona e in altre 655 città
Firme e cortei contro Lodo e governo
Di Pietro: "Contro la dittatura del bagaglino"
Aderisce anche l’ex ministro Parisi. Nel pomeriggio il corteo di Prc, Verdi, Sd e Pdci
Il Guardasigilli si dice pronto a difendere le norme che portano il suo nome "anche in piazza" *
ROMA - E venne il giorno in cui la sinistra tornò in piazza. Per contarsi. E capire dove andare: contro Berlusconi ma anche verso qualcosa. Due manifestazioni distinte, un nemico comune: il lodo Alfano, le politiche del governo. Una è promossa da Di Pietro e dall’Italia dei Valori, postazione fissa in piazza Navona a Roma fin dal mattino e avanti tutto il giorno per raccogliere firme per promuovere il referendum abrogativo del lodo Alfano, l’immunità per le quattro più alte cariche dello Stato. "Siamo di fronte a un governo che sta tra i bagaglino e la truffa e che non fa niente per evitare l’impoverimento del Paese. Tutti ci opponiamo alla politica delle truffe e quindi dobbiamo guardare la trave e non il dito", dice Di Pietro. "C’è chi fa un opposizione dura come no e chi ne fa una gentile ma anche loro - sottolinea il leader dell’Idv - vanno rispettati. Non siamo qui contro gli alleati ma per denunciare un’anomalia del sistema Paese".
Con Di Pietro, contro il lodo Alfano, scendono in piazza oggi pezzi del Pd (i vertici non credono nel referendum) guidati da Arturo Parisi. Ma anche, e soprattutto, Rifondazione, entrambe le anime, da Ferrero a Vendola, Verdi, Sinistra democratica e Comunisti italiani.
Sinistra radicale in corteo. Partenza da piazza Esedra per il corteo della sinistra radicale, poi il lungo serpentone di bandiere rosse ha sfilato per il centro della capitale fino alla Bocca della Verità. "Siamo trecentomila" dicono gli organizzatori, un numero che le forse dell’ordine riducono a 100 mila. Sul palco, accompagnati dalle note di bandiera Rossa, il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, quello del Pdci, Oliviero Diliberto, i leader dei Verdi e di Sinistra democratica, rispettivamente Grazia Francescato e Claudio Fava. Una bella fetta si è diretta verso piazza Navona in tempo per ascoltare Di Pietro. L’Unione in piazza sotto lo slogan "Firma e fermali". Manca solo il Pd di Veltroni. Anche lui vuole salvare l’Italia. A prescindere dal lodo Alfano. E rinvia l’appuntamento al 25 ottobre.
Diliberto: "Il Pd non fa opposizione". "Il Pd non fa opposizione. Quindi sulla manifestazione del 25 ottobre non saprei che dire". Così Diliberto replica ai cronisti che gli chiedono cosa farà la sinistra in occasione della manifestazione promossa dal Pd. E proprio al Pd si rivolgono alcuni degli slogan scanditi nel corso del corteo: "Pd Pinocchio" e "Pd traditore". Alcuni ragazzi di Rifondazione urlano "Con il Partito Democratico non vogliamo più avere a che fare perché sono diventati gli amici del governo".
La raccolta di firme. Ressa ai tavolini, persone in fila per firmare a Roma e nelle altre 655 città e paesi italiani dove è stata organizzata la raccolta delle firme. L’ex pm è soddisfatto per il numero delle persone che hanno partecipato all’iniziativa: "Solo fino alle 16 abbiamo raccolto 30 mila firme. Oggi a piazza Navona siamo di più dell’altra volta". Un successo di numeri che non passa inosservato tanto che il ministro Guardasigilli ribatte subito da Messina: "Il referendum è un esercizio di democrazia che noi stimiamo e apprezziamo. Ma difenderemo in piazza in Lodo Alfano perché pensiamo di avere fatto una legge giusta nell’interesse del Paese". Una raccolta che va avanti tutto il giorno, dalle 15 in poi, fino all’arrivo di Di Pietro e di parlamentari dell’Idv, cantanti e artisti tra cui Dario Fo e Franca Rame, "Le Coccinelle", la compagnia teatrale Opera Prima, l’orchestra di percussioni Akuna Matata, Andrea Rivera, Enrico Capuano, Tammurriata Rock e Simone Cristicchi. E poi associazioni di giuristi e costituzionalisti.
* la Repubblica, 11 ottobre 2008
Piazze e piazzisti
di Pietro Spataro *
Laggiù si urla «governo sfascista ti abbatteremo a vista», qui si ritma «premier infame per te ci son le lame». Dietro il palco domina la scritta «contro il regime per la libertà». In lontananza una bara con la foto del presidente del Consiglio s’avvia mesta in corteo. No, non è la cronaca di una manifestazione annunciata. Non è un flash anticipato dal corteo che oggi porterà in piazza a Roma la sinistra radicale. E nemmeno una scena fantastica di quello del Pd del 25 ottobre. Quegli slogan sono stati già urlati. Quella parola d’ordine sul palco è già stata esposta. Quella bara ha già sfilato. Era sabato 2 dicembre 2006. Roma, Piazza San Giovanni: il capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi si scagliò con parole dure e battute pesanti contro il premier Romano Prodi. Disse che la sinistra aveva fatto i brogli e che il popolo aspettava una guerra di secessione per riconquistare la libertà. È tutto scritto sui giornali di allora, basta controllare.
Oggi però, a parti invertite, Berlusconi ritiene che scendere in piazza sia un’offesa, un pericolo, un attentato. Dice che con chi sfila nei cortei non si dialoga, figurarsi. Aggiunge che non si lascerà prendere in giro. La piazza diventa quindi un luogo di perdizione e di maledizione. Il posto degli istinti animali. Grande elemento di disturbo per chi invece “deve lavorare” e “deve fare” e non può perdersi in chiacchiere.
Se non fosse preoccupante nemmeno varrebbe la pena perderci tempo. In questi lunghi quindici anni di berlusconismo abbiamo assistito a tanti di quegli strappi che rischiamo quasi quasi di farci il callo. Ma il punto è delicato e riguarda la corretta vita democratica del Paese.
Ci sono, infatti, due parole del dizionario democratico che vanno storte al Berlusconi Capo del Governo: Parlamento e Opposizione. Abbiamo già visto in questi mesi quale idea abbia di Camera e Senato. Bei palazzi nel centro di Roma nei quali si aggirano strani signori che pretendono di fare le leggi, discutere proposte, magari votare anche ed emendare. Addirittura esercitare il potere loro conferito dagli elettori. Così Berlusconi ha deciso che si deve perdere tempo e che si governa per decreto, si va avanti con i voti di fiducia trasformando il luogo simbolo della democrazia in una specie di grande pulsantiera. Al presidente della Repubblica che lo avverte e gli dice vigilerò risponde: sissignore. Poi però sforna altri decreti. Aleggia addirittura in queste ore (nonostante la smentita del ministro Alfano nell’intervista rilasciata ieri al direttore di questo giornale) un maxidecreto sulla giustizia.
Siamo visionari? Non pare, se è vero che su questo tema il Quirinale tiene gli occhi bene aperti. E se anche ieri Napolitano ha sentito il bisogno di ricordare che la nostra è una Repubblica Parlamentare e che allontanarsi da questa via può «condurre veramente fuori strada e in vicoli ciechi».
L’altro caposaldo delle moderne democrazie è l’opposizione. Proprio perché siamo in democrazia nessun governo ha il potere assoluto, ma le sue prerogative vengono compensate da una serie di contrappesi. L’opposizione è uno dei più importanti. Certo, è una cosa ovvia. Ma per il nostro premier non sembra sia così. Chi non adora, nel suo caso, non ha diritti, è un nemico e spesso un comunista. La sua è una idea di democrazia senza contestazioni, nella quale la scena è tutta e solo degli yesmen. Preoccupante? Abbastanza preoccupante.
L’opposizione, come si sa, può esercitare il suo ruolo dentro e fuori il Parlamento. Nelle aule e nelle piazze. E la esercita con più o meno durezza ma con spirito democratico e con senso dello Stato. È stato così quando c’era il Pci. Lo è ancora oggi che non c’è più.
Andare in piazza il 25 ottobre per il Pd (così come sarà oggi per la sinistra radicale ed è stato ieri per gli studenti) è un modo forte per far sentire la propria voce e dare voce alla propria gente. Per essere, certo, contro il governo ma con l’obiettivo di risolvere i problemi del Paese in un momento delicato e difficile. Insomma per gridare le proprie critiche e poter dire dei “no” e dei “basta”. È tutto a posto, tutto naturale. Legittimo. Succede qui e succede in tutte le democrazie del mondo. Non succede nei posti dove comanda uno solo che pensa, propone, vota, decide, accoglie e respinge. Sono posti, quelli, che non ci piacciono. Per questo quel refolo di dubbio (che Franceschini ridimensiona nell’intervista a Eduardo Di Blasi a pagina 8) che abbiamo visto serpeggiare dentro il Pd sul tema andare in piazza o no, andarci per criticare o per appoggiare, ci è sembrato alquanto disorientante.
Non bisogna offrire alcun alibi al decisionismo berlusconiano. La piazza non fa paura, non deve far paura. La piazza è il luogo delle idee, dell’incontro e della partecipazione. È un luogo della democrazia. Non bisogna diffidarne. Meglio diffidare, invece, di quei piazzisti che preferiscono il Billionaire o il Bagaglino per raccontare barzellette e farsi piacere. E poi decidono sempre tutto da soli.
pspataro@unita.it
* l’Unità, Pubblicato il: 11.10.08, Modificato il: 11.10.08 alle ore 8.36
Il premier italiano a colloquio con il presidente Usa alla Casa Bianca
"D’accordo per un G8 straordinario nelle prossime settimane"
Berlusconi in visita a Washington
"Bush un grandissimo presidente"
WASHINGTON - Con un’accoglienza con tutti gli onori, di solito riservata solo ai capi di Stato e non ai leader di governo, il presidente americano George W.Bush ha dato un caloroso benvenuto alla Casa Bianca al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, "statista di una grande nazione e un cordiale amico degli Stati Uniti", che si è recato in visita a Washington in occasione del Columbus Day. Un raggiante Berlusconi ha contraccambiato il benvenuto, parlando di Bush come di un leader che "la storia definirà un grande, grandissimo presidente".
Strette di mani e gesti di familiarità a parte, è stata la crisi finanziaria il tema principale del colloquio nello Studio Ovale. "Sono assolutamente d’accordo" con l’idea del presidente Usa di organizzare "nelle prossime settimane" una riunione straordinaria del G8 per affrontare la crisi finanziaria, ha detto Berlusconi nel corso della conferenza stampa congiunta nel Giardino delle Rose alla Casa Bianca. "Credo che tutto ciò che si può fare per un’azione coordinata, che è l’unico metodo per un comportamento nei confronti di questa crisi che è globale, è assolutamente positivo" ha aggiunto. E ancora: "Un’azione concorde e comune dei Paesi europei può far sì che l’economia reale non abbia un gravame".
Italia e Stati Uniti operano insieme per far fronte alla crisi economica ma anche alla sfida del terrorismo, ha sottolineato George W. Bush. "Stiamo lavorando per aiutare i mercati globali" ha detto il presidente statunitense, "apprezzo la partecipazione dell’Italia al G7 e al G20 che hanno dato contributi importanti e accolgo le azioni intraprese dalle nazioni europee. Continueremo ad applicare le misure previste dal piano del G7 per aiutare le banche ad avere accesso ai capitali, per rafforzare il sistema finanziario, per sbloccare il mercato creditizio e ripristinare la fiducia nel nostro sistema finanziario. Sono tempi duri per l’economia e l’America lavorerà con le altre nazioni".
Il presidente americano ha anche sottolineato il ruolo svolto dall’Italia nella lotta contro il terrorismo. "Le truppe italiane stanno aiutando l’America a difendere la libertà e a combattere i terroristi. Da quattro anni è con noi in Afghanistan dove dà anche aiuto per la ricostruzione e stiamo mettendo a punto nuovi mezzi per lavorare insieme e sostenere le missioni di addestramento".
"I soldati italiani stanno facendo un buon lavoro anche in Iraq dove aiutano ad addestrare gli iracheni e in Libano dove danno grande aiuto nelle operazioni di peacekeeping e, sul fronte diplomatico, contribuiscono al mantenimento delle relazioni tra il governo libanese a i Paesi vicini". Bush ha avuto parole di lode anche per la presenza italiana nei Balcani e ha detto di aver parlato con Berlusconi del programma nucleare iraniano e della questione georgiana. "L’Iran non deve avere un’arma nucleare e con Berlusconi abbiamo parlato di applicare le sanzioni Onu contro Teheran e di lavorare insieme per sostenere la democrazia georgiana e la sua integrità territoriale che include l’Ossezia e l’Abkhazia". "La Russia - ha concluso Bush - deve avere rispetto per la sovranità e l’integrità del territorio dei suoi vicini".
"La nostra amicizia affonda nella comunanza dei valori" e abbiamo di fronte nuove più vaste sfide "nelle quali non possiamo esimerci dal dare risposte concrete" ha detto il presidente del Consiglio. "I nostri due Paesi - ha aggiunto Berlusconi - hanno affrontato insieme avversità e sfide che il tempo ci ha imposto". "Sarò sempre grato all’America per aver salvato il mio popolo dal fascismo, dal nazismo e dal comunismo. Negli anni a venire continuerò ad avere lo stesso rapporto di gratitudine verso l’America" ha detto ancora Berlusconi rivolgendosi a Bush. Anche per questo, ha proseguito il premier, i rapporti dell’Italia con gli Stati Uniti non cambieranno anche dopo l’elezione del prossimo presidente.
* la Repubblica, 13 ottobre 2008
La politica ai tempi della crisi
di LUCIA ANNUNZIATA (La Stampa, 15/10/2008)
Due storie emblematiche di questi giorni. Berlusconi arriva a Washington, accolto con grandi cerimonie e affetto dal presidente Bush ma, per la prima volta nella sua storia politica, neanche questo viaggio gli ridà quel ruolo da protagonista che da settimane gli ha strappato il suo ministro Tremonti. Veltroni arriva all’anniversario del Pd, pronto a misurare la sua forza con una manifestazione lungamente attesa e preparata contro il governo, ma la coalizione si spacca sull’opportunità di mantenere l’appuntamento: anche questa discussione sa di prima volta.
Disagi impalpabili, impatti ancora non pienamente visibili, ma segni di come la crisi internazionale, tenuta (forse) fuori dagli sportelli bancari, sia comunque arrivata fra noi. Lo tsunami finanziario ha infatti già strappato la politica nazionale dal suo piccolo orto al di qua delle Alpi, obbligandola a misurarsi con il mondo. Gli effetti di questo shock, sono qui per restare. Il primo colpo si è avvertito sulle proporzioni. Dopo anni di prediche contro il «teatrino» italiano, eccolo finalmente scoperchiato. Quanto più immense le proporzioni del crollo internazionale, tanto più insignificanti gli affari cui di solito la nostra nazione s’appassiona. Meschine le divisioni interne ai partiti, frantumate le grida degli studenti, in polvere le piccanti polemiche sulle capacità dei ministri donna, trivialissima l’impasse fra commissione di Vigilanza Rai e Consulta, sospesa nel vuoto persino la riforma della Giustizia: di fronte al panico vero, buona parte della nostra realtà politica ha rivelato di quanta irrilevanza sia fatta.
Ma la caduta di significato, da cui eventualmente usciremo non appena ci sentiremo più sicuri, ha portato allo scoperto, come la caduta di un telo di protezione, anche alcune debolezze strutturali dei due principali leader politici del Paese. Iniziamo dal premier. Berlusconi è stato colto dal crack finanziario nel momento migliore di tutta la lunga carriera: il 67% di consensi, ministri delegati più che comprimari, alleati tutto sommato in riga. Questi primi mesi di governo sono stati in effetti la consacrazione di quella che era stata finora la sua maggiore debolezza, il conflitto d’interessi. Punita alle elezioni del 2006, la commistione fra politica ed economia è tornata in gloria in quelle del 2007: la vicenda più rilevante nel segnare questa rivincita del conflitto di interessi è stata l’Alitalia, non a caso vissuta in maniera così appassionata, quale la resa dei conti che è stata, da tutti gli italiani.
Il Berlusconi che in campagna elettorale era riuscito a smantellare una proposta di vendita già quasi firmata dal governo in carica per prometterne un’altra migliore è il Berlusconi che ha esercitato in pieno il suo doppio peso come imprenditore e come leader politico; una volta al governo, la realizzazione della nuova cordata promessa è stata poi il trionfo della forza di questo doppio ruolo, in cui la parola del businessman rafforza l’agibilità promessa dal politico e viceversa. Un trionfo ben sottolineato dallo sdoganamento della neutralità degli affari anche da parte di grandi banchieri e imprenditori di fede politica lontana dal Pdl. Sfortunatamente per il premier, lo tsunami finanziario si è incuneato di nuovo proprio in questo suo doppio ruolo: non c’è bisogno d’essere economisti per capire che il leader del Paese che nella crisi vede precipitare anche le sue imprese non è esattamente neutrale nel giudizio né nelle proposte (ricordate la gaffe dei consigli per gli acquisti di azioni?).
Nel momento della crisi i cittadini hanno posto le loro domande non ai banchieri o ai manager, ma allo Stato come pura rappresentanza politica della società, al di là e al di sopra degli affari. È un caso che nella crisi sia brillata la stella del ministro del Tesoro? È un caso che questo ministro si sia distinto, dentro il governo, contro una concezione spregiudicata degli affari? Amato o meno, Tremonti in questi mesi si è collocato come un politico puro e diverso dal suo premier ed è questo che, prima in Italia e poi a Washington, gli è valso la credibilità di rappresentanza. Mentre Berlusconi nella crisi ha avuto peso decisamente minore. È stata ancora l’ex Alitalia, adesso Cai, a indicare questa debolezza ora, come prima la gloria: la crisi finanziaria ha messo in crisi la cordata che con tanta grazia e persuasione il premier aveva assemblato.
Il caso di Veltroni è più lineare. Schiacciato dai numeri in Parlamento e dalla sua crisi interna, il centro sinistra non ha avuto né gran ruolo né successo nel periodo di trionfo berlusconiano. Eppure, anche su queste forze la crisi finanziaria si è abbattuta in maniera crudele, arrivando proprio mentre il Pd lavorava alla lunga e paziente ricostruzione della sua forza e alla manifestazione nazionale indetta il 25 ottobre prossimo. Un corteo contro il governo, convocato - ironia della furia della crisi - proprio mentre la situazione è divenuta così grave da obbligare tutti a collaborare per fronteggiare il disastro. Da dentro il Pd si chiede ora di cancellare il corteo o almeno di cambiarne le parole d’ordine: persino l’atto più semplice, un rituale ben oleato come una sfilata, è diventato un problema. Se non la debolezza, la crisi ha certo accentuato la confusione del centro sinistra.
Rimpiccioliti dal peso del mondo, i problemi di leadership italiani ci lasciano di fronte a una doppia domanda. Se la crisi in futuro dovesse peggiorare e il premier dovesse sempre più confrontarsi con i danni alle sue imprese, riuscirà a non coinvolgere il Paese nel suo conflitto d’interessi? E la sinistra, così presa dal dipanare torti e ragioni del proprio recente passato, avrà mai la capacità di divenire, come la nuova fase richiede, una parte delle istituzioni?