25 GIUGNO 2006: SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI
di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore [Charitas] dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
Sul tema, nel sito, si cfr.:
NO CAV DAY - INTERVENTO DI MONI OVADIA
GRECIA - Una sede della "Caritas greca". |
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA
di Federico La Sala *
FLS
Nel messaggio del Pontefice alla Settimana Sociale dei cattolici italiani, che si apre a Torino, la riaffermazione della famiglia espressione della "prima società naturale", "scuola di generosità contro l’individualismo", messa a rischio da "scelte di carattere culturale e politico". Bagnasco: "No a fughe in avanti, resti salda la roccia della differenza sessuale" *
TORINO - "La Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana". E’ un passaggio del messaggio autografo inviato da Papa Francesco alla 47esima Settimana Sociale dei cattolici italiani, dal tema "La famiglia, speranza e futuro per la società italiana", aperta oggi pomeriggio a Torino dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco.
Tanto diverso dal predecessore Ratzinger nelle manifestazioni pubbliche del proprio Pontificato, Bergoglio resta invece all’interno del solco tracciato dalle Sacre Scritture nella considerazione del matrimonio, inteso come cellula primordiale della società, caratterizzata dall’obiettivo fondamentale della procreazione. Non lasciando alcuno spiraglio a qualsiasi ragionamento sul matrimonio omosessuale, legalizzato giorno dopo giorno in un numero sempre crescente di Paesi nel mondo. "Vogliamo riaffermare - sottolinea infatti il Pontefice - che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta".
Come in precedenza Benedetto XVI si era scagliato contro la "rivoluzione antropologica" del "matrimonio per tutti", anche Papa Francesco punta l’indice contro "le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia". Conseguenze che "toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico, che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia, alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà".
"La famiglia è scuola privilegiata di generosità, di condivisione, di responsabilità, scuola che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nelle nostre società. Sostenere e promuovere le famiglie, valorizzandone il ruolo fondamentale e centrale, è operare per uno sviluppo equo e solidale".
La famiglia, anche guscio protettivo, scrigno di tesori. "Un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa - scrive il Papa -. Il futuro della società, e in concreto della società italiana, è radicato negli anziani e nei giovani: questi, perché hanno la forza e l’età per portare avanti la storia, quelli, perché sono la memoria viva".
Ma Bergoglio invita a non "ignorare la sofferenza di tante famiglie, dovuta alla mancanza di lavoro, al problema della casa, alla impossibilità pratica di attuare liberamente le proprie scelte educative; la sofferenza dovuta anche ai conflitti interni alle famiglie stesse, ai fallimenti dell’esperienza coniugale e familiare, alla violenza che purtroppo si annida e fa danni anche all’interno delle nostre case".
"A tutti dobbiamo - continua Bergoglio - e vogliamo essere particolarmente vicini, con rispetto e con vero senso di fraternità e di solidarietà. Vogliamo però soprattutto ricordare la testimonianza semplice, ma bella e coraggiosa di tantissime famiglie, che vivono l’esperienza del matrimonio e dell’essere genitori con gioia, illuminati e sostenuti dalla grazia del Signore, senza paura di affrontare anche i momenti della croce che, vissuta in unione con quella del Signore, non impedisce il cammino dell’amore, ma anzi può renderlo più forte e più completo".
Infine, rivolgendosi ai protagonisti dell’evento torinese, Papa Francesco esprime l’auspicio che "questa Settimana Sociale possa contribuire in modo efficace a mettere in evidenza il legame che unisce il bene comune alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, al di là di pregiudizi e ideologie. Si tratta - conclude il Papa - di un debito di speranza che tutti hanno nei confronti del Paese, in modo particolare dei giovani, ai quali occorre offrire speranza per il futuro".
Bagnasco: "No a fughe in avanti, salda roccia la differenza sessuale". "Quando attraverso una decisione politica vengono giuridicamente equiparate forme di vita in se stesse differenti, come la relazione tra l’uomo e la donna e quella tra due persone dello stesso sesso, si misconosce la specificità della famiglia": così il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione alla Settimana dei Cattolici.
Occorre mantenere salda "la roccia della differenza sessuale" per evitare il rischio che "la famiglia resti imbrigliata in immagini stereotipate o in utopiche fughe in avanti" chiede il presidente della Cei, che definisce "fondamentale" l’impegno "per ritessere l’umano che rischia diversamente di essere polverizzato in un indistinto egualitarismo che cancella la differenza sessuale e quella generazionale, eliminando così la possibilità di essere padre e madre, figlio e figlia".
"Volendo eliminare dalla dimensione sessuale le sovrastrutture socio-culturali espresse con la categoria di ’genere’, si è giunti - denuncia Bagnasco - a negare anche il dato di partenza: la persona nasce sessuata". Di qui, secondo Bagnasco, l’obsolescenza della domanda che ha angosciato tante generazioni passate: "Che mondo lasceremo ai nostri figli?", l’urgenza di un nuovo interrogativo: "A quali figli lasceremo il mondo?".
"No omofobia, ma non criminalizzare chi sostiene matrimonio uomo-donna". "Frequentemente ci si oppone alle ragionevoli considerazioni della Chiesa per motivi ideologici. Nei mesi scorsi, il dibattito sulla legge contro l’omofobia ha manifestato con chiarezza questa tendenza", premette il cardinale Bagnasco. "Nessuno discute il crimine e l’odiosità della violenza contro ogni persona, qualunque ne sia il motivo" osserva il presidente della Cei, ribaltando poi la prospettiva: "Per lo stesso senso di civiltà, nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno poter incriminare in alcun modo, chi sostenga pubblicamente ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura".
Gaynet: anche famiglia gay è naturale. "Il Vaticano è in guerra? Il Papa parla di famiglia naturale nella Costituzione, ma pure quella gay è naturale". E’ quanto afferma Franco Grillini,presidente di Gaynet Italia, commentando il messaggio di Papa Francesco.
Zan (Sel): diritti, Italia si affranchi da ingerenze vaticane. "Il cardinal Bagnasco è libero di essere contro i matrimoni gay, ma non si può più tollerare che la Chiesa e la Cei cerchino di orientare le scelte politiche italiane in tema di diritti". Lo afferma Alessandro Zan, deputato di Sel ed esponente del movimento gay. "C’è una parte considerevole della politica italiana - aggiunge - che da sempre viene orientata dal volere delle gerarchie vaticane su questi temi e non è un caso che anche oggi Bagnasco renda esplicita la posizione della Cei sulla legge contro l’omofobia in discussione alla Camera. L’Italia ha urgente bisogno di affrancarsi dalle ingerenze vaticane".
* la Repubblica, 12 settembre 2013
Chiesa anestetizzata dal fascismo
di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 4 giugno 2013)
Il rapporto fra Chiesa e fascismo è questione storica di ovvia importanza. Appassiona i professionisti del mestiere così come lo studio delle relazioni tra cattolicesimo e Terzo Reich, ortodossia e Urss, clero e franchismo, o tra episcopati e giunte militari dell’America Latina.
Tuttavia nel rapporto Chiesa-fascismo del periodo 1921-1945 c’è qualcosa di più: perché ciò che si consuma riverbera nella storia italiana ben oltre la parabola della dittatura. Quasi che il cattolicesimo romano abbia allora acquisito mentalità che perdurano nell’Italia della guerra e in quella repubblicana, in quella democristiana e in quella postdemocristiana. Una cultura del nemico, una presunzione d’astuzia nel giudicare le situazioni, un agnosticismo istituzionale e costituzionale che si fida di interlocutori improbabili: purché capaci d’interpretare gli «interessi superiori» della Santa Sede, così come appaiono al fallibilissimo giudizio di chi se ne fa custode.
È per questo, a mio avviso, che non sbaglia chi dietro ai grandi disastri antichi e recenti della storia nazionale postula una qualche responsabilità ecclesiastica: mai univoca (il cattolicesimo porta sempre in sé gli anticorpi della riformabilità); mai generalizzabile (le opzioni sconfitte lasciano spesso le tracce di un possibile riscatto); mai priva di compensazioni (il lavoro di formazione delle coscienze fatto negli anni del «Du-ce, Du-ce» ha alimentato per decenni le scorte morali del Paese). Eppure una responsabilità reale: che dipende dalle posture politiche apprese durante il fascismo e con le quali la Chiesa italiana non si è mai misurata con la limpidità d’altri.
I vescovi tedeschi, all’indomani della sconfitta, avviarono edizioni e studi organici sul rapporto col nazismo; i vescovi argentini, per prendere un caso diverso ed ora a tutti noto, hanno accolto l’appello alla purificazione di Wojtyla e hanno fatto solenne ammenda della loro tiepidezza e complicità davanti alle sparizioni.
Il cattolicesimo italiano non ha fatto né l’uno né l’altro. Associatasi in nome di Pio XII defensor urbis al riscatto resistenziale, rigenerata nella sua credibilità politica dalla Dc di Dossetti e De Gasperi, la Chiesa ha rinviato, derubricandola a propaganda ostile, la domanda di fondo: perché un mondo capace di vedere i mali del regime, di elencarli nero su bianco, ne subisce la propaganda e la seduzione? E la ricerca storica, che quarant’anni fa aveva iniziato una riflessione su questo problema, s’è poi frantumata in molte analisi specialistiche tutte di pregio, ma di scarso costrutto.
Oggi le cose sono cambiate: l’apertura delle carte di Pio XI permette di progettare un «progetto culturale» degno di questo nome per rispondere alla domanda sul cattolicesimo; e la mancanza di un quadro rigoroso d’insieme è stata colmata dal ricchissimo volume di Lucia Ceci L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini (pp. 338, 22), in libreria per i tipi di Laterza.
A Lucia Ceci, punta di lancia dell’Università di Roma Tor Vergata, si dovevano già scoperte documentarie fondamentali su quell’assioma - il Papa non deve parlare - che poi deflagrerà durante la Seconda guerra mondiale e la Shoah.
In questa sua nuova fatica ripercorre invece i rapporti Chiesa-fascismo nella loro interezza, quasi a riprendere il filo d’un discorso lasciato interrotto da Pietro Scoppola quarant’anni fa: riconnette con intelligenza in una visione di insieme quasi tutti gli studi che avevano trovato, capito o equivocato, singoli episodi. L’opera è seria e profonda: ma insieme ha una leggibilità di tipo anglosassone (quanto mai apprezzabile in una storiografia come la nostra, che ritiene sgradevole rendersi comprensibili o, peggio che mai, interessanti) e si presta, se avrà le traduzioni che merita, a far conoscere fuori dall’orto italico lo spessore di una ricerca di cui è un frutto alto.
Nel concreto L’interesse superiore fa capire che la grande anestesia del cattolicesimo, davanti a un regime di cui volta a volta qualche voce riconosce la pericolosità e la bestialità liberticida, è la somma di una infinità di microanestesie locali: la paura dei rossi, il sogno di una restaurata cristianità, il trascinamento della predicazione del disprezzo antiebraico, l’anticomunismo, la dottrina del matrimonio, si mescolano e fin dalla prima apparizione di Mussolini sulla scena pubblica convincono i grandi opinion leader della Santa Sede a comparare costi e benefici.
Un sistema di cui alla fine della vita Pio XI percepisce la perversione: ma il tardivo pianto (quando pronuncia la frase sul «siamo tutti spiritualmente semiti», Papa Ratti piange) non muta l’atteggiamento di fondo.
Pio XII, nota giustamente Lucia Ceci, arriva a far sparire il discorso del predecessore sul Concordato non perché questo fosse particolarmente puntuto: ma solo perché avrebbe ridotto le capacità di interlocuzione che durano nel tempo, fino a poche ore dalla fucilazione di Dongo.
In questo volume appaiono le figure di questa interlocuzione: da quella meschina e viscida di Pietro Tacchi Venturi a quella contraddittoria di Ildefonso Schuster. Emergono i percorsi, da quello degli allucinati difensori del razzismo cattolico (quello «sano», che non offendeva gli ebrei convertiti) fino a quello dei Montini e dei De Gasperi.
Mentre viene mostrato il progressivo soffocamento dell’antifascismo alle origini del regime - oggetto di un non meno importante studio di Alberto Guasco in uscita dal Mulino - la riemersione di una ostilità al regime non viene censita con la stessa metodicità: e per un motivo ragionevole. È proprio la cultura della sottrazione - quella che pensa che la verità storica si ottenga sottraendo gli eroismi dei singoli agli errori delle istituzioni - che L’interesse superiore rifiuta: e in questa opzione mostra cosa sia stato, alla luce di una ricerca vasta ma prima d’ora dispersa, il rapporto fra la Chiesa e il regime, nel suo tempo e forse anche un po’ dopo.
DIMISSIONI DI STATO E LOTTA DI LIBERAZIONE, IERI (E OGGI)
Elsa Morante scrisse nel suo "Diario":
Roma 1° maggio 1945 *
Mussolini e la sua amante Clara Petacci sono stati fucilati insieme, dai partigiani del Nord Italia. Non si hanno sulla loro morte e sulle circostanze antecedenti dei particolari di cui si possa essere sicuri. Così pure non si conoscono con precisione le colpe, violenze e delitti di cui Mussolini può essere ritenuto responsabile diretto o indiretto nell’alta Italia come capo della sua Repubblica di Sociale. Per queste ragioni è difficile dare un giudizio imparziale su quest’ultimo evento con cui la vita del Duce ha fine.
Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini). Fra tali delitti ricordiamo, per esempio: la soppressione della libertà, della giustizia e dei diritti costituzionali del popolo (1925), la uccisione di Matteotti (1924), l’aggressione all’Abissinia, riconosciuta dallo stesso Mussolini come consocia alla Società delle Nazioni, società cui l’Italia era legata da patti (1935), la privazione dei diritti civili degli Ebrei, cittadini italiani assolutamente pari a tutti gli altri fino a quel giorno (1938).
Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti. Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo.
Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti di questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani). Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto.
Mussolini, uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine. In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita.
Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare.
Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo. Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti, i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando.
Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.
* Cfr.: Elsa Morante, Opere, Mondadori (Meridiani), Milano 1988, vol. I, pp. L-LII.
E allora mi sono guardato negli occhi. Raramente ci si guarda, con se stessi, negli occhi, e pare che in certi casi questo valga per un esercizio estremo. Dicono che, immergendosi allo specchio nei propri occhi - con attenzione cruciale e al tempo stesso con abbandono - si arrivi a distinguere finalmente in fondo alla pupilla l’ultimo Altro, anzi l’unico e vero Se stesso, il centro di ogni esistenza e della nostra, insomma quel punto che avrebbe nome Dio. Invece, nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d’amore ormai scaduta e inservibile, ma ostinata fino all’indecenza. È strano come l’eternità si lasci captare piuttosto in un segmento effimero che in una continuità estesa.
* Cfr.: Elsa Morante, Aracoeli, Einaudi, Torino, 1982.
REGGIO EMILIA, 31 luglio 1945: TRIPLICE VITTORIA (don Giuseppe Dossetti, su "Reggio democratica")
Perché non possiamo non dirci laburisti
di Giuseppe Dossetti (l’Unità, 10 febbraio 2013)
Trascorse le primissime ore di sorpresa, di fervore, di entusiasmo, l’esito delle elezioni inglesi appare sempre meglio come la vittoria di un mondo nuovo in via di faticosa emersione. Vittoria innanzi tutto del lavoro più che, come alcuni hanno detto, vittoria del socialismo; vittoria cioè di una effettiva, concreta e universale realtà umana, meglio che di una particolare dottrina e prassi politica concernente l’affermazione sociale di quella realtà.
Certo il Partito laburista ha contrastato e vinto i conservatori opponendo alla loro caparbia cristallizzazione di interessi e di metodi, un vasto programma di trasformazioni sociali; ma si tratta di tali socializzazioni che, per i principi teorici cui si richiamano (e che non hanno a che vedere con le dottrine classiche del socialismo, né di quello utopico, né di quello marxista), per il campo di applicazione (le industrie chiave e i grandi gruppi finanziari) e soprattutto per il metodo di realizzazione (proprietà sociale e non statale) non consentono, se non per approssimazione giornalistica o propagandistica, di parlare di socialismo, almeno come da decenni lo si intende nell’Europa continentale, e come da mesi lo si intende nella ripresa italiana.
Ben più propriamente invece dobbiamo parlare di un programma di concreta e realistica inserzione, al vertice della gerarchia sociale e politica, del lavoro, inteso come la prima e fondamentale esplicazione della personalità umana, come il genuino e non fallace metro delle capacità, dei meriti, dei diritti di ognuno: programma che non è logicamente né praticamente connesso con la teoria socialista e che può essere condiviso, come di fatto lo è, da altri partiti non socialisti.
In secondo luogo la «vittoria della solidarietà», più e meglio che come qualcuno si limita a dire vittoria della pace. Gli elettori inglesi rifiutando con così grande maggioranza a Churchill, vincitore della guerra, il compito di organizzare il dopo-guerra, non hanno semplicemente voluto esprimere la loro volontà di pace e il proposito di allontanare gli uomini, gli interessi, gli atteggiamenti che hanno portato alla guerra e potrebbero perpetuarla in potenza o in atto, ma ben più essi hanno voluto mostrare la loro preferenza per quelle forze e quegli uomini che, appunto per la loro qualità e il loro spirito di lavoratori e di edificatori, hanno dato prova di avere una volontà positiva e attiva per l’edificazione di una nuova struttura sociale e internazionale in cui, nei rapporti tra singoli, tra classi e tra nazioni, non solo siano psicologicamente superate, ma persino oggettivamente rimosse, le possibilità concrete di egoismi, di privilegi, di sopraffazioni e in cui siano poste garanzie effettive di solidarietà e di uguaglianza.
Infine, «vittoria della democrazia»: non solo per l’aspetto dai giornali e dai commentatori più rilevato, cioè per il fatto che, con l’avvento del laburismo al potere, la democrazia inglese entra finalmente nella linea della sua coerenza plenaria e la democrazia quasi esclusivamente formale (cioè di forme costituzionali e parlamentari di fatto accessibili solo a una minoranza di privilegiati) quale sinora è stata, si avvia a essere democrazia sostanziale, cioè vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo a quello politico, ma anche a quello economico e sociale; ma vittoria della democrazia in un senso ancor più profondo e definitivo che molti non considerano e forse alcuni vogliono ignorare, cioè per il fatto che per la prima volta nella storia dell’Europa contemporanea si è potuto effettuare, nonostante le difficoltà dell’ambiente (la «Vecchia Inghilterra» conservatrice per eccellenza) e le difficoltà del momento (l’indomani della più grandiosa storia militare), una trasformazione così grave, decisa e inaspettata, che tutti consentono nel qualificarla «rivoluzione» e che tuttavia questa rivoluzione è avvenuta proprio per le vie della legalità e attraverso i metodi della democrazia tipica e gli istituti del sistema parlamentare.
Questo fatto è quello che riassume e corona, è quello che consacra nel presente e garantisce per l’avvenire la definitività delle altre vittorie. Ma è soprattutto quello che veramente conclude la storia dell’Europa moderna e apre non un nuovo capitolo, ma un nuovo volume, ponendo fine all’età del liberalismo europeo e preannunziando insieme la fine del grande antagonista storico della concezione liberale; cioè il socialismo cosiddetto scientifico. Non sembri un’affermazione paradossale: essa è veramente il frutto di una meditazione storica.
La vittoria del Partito laburista, che non è partito di classe, ma partito interclassista (in quanto accoglie il filatore di Manchester, Mac Farlane, il proletario del Galles e il maresciallo Alexander), del Partito laburista che non ha vinto solo con i voti dei distretti operai, ma anche con quelli dei centri rurali più legati alle concezioni tradizionali della Vecchia Inghilterra, del Partito laburista che ha vinto con una elezione popolate e veramente libera, tale vittoria, diciamo, ha non solo concluso il periodo delle dittature o delle aristocrazie conservatrici, ma ha smentito per la prima volta con la prova dei fatti le dottrine e le prassi (già da tempo confutare in teoria) che solo nel ricorso alla forza, nella dittatura di una classe sulle altre e nella metodologia dell’attivismo sopraffattore vedono una possibilità di ascesa per i lavoratori e di instaurazione di una vera democrazia.
Da oggi i lavoratori di tutto il mondo finalmente sanno di potere con fiducia rispondere ad un grido che li invita all’unità, ma non nel nome di un mito di classe e di lotta, ma nel nome di una volontà di solidarietà con tutti e di libertà e giustizia per tutti. Volontà che, come ha riconosciuto Clemente Attlee, è veramente cristiana.
Reggio Emilia, 31 luglio
COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.
Federico La Sala (18.02.2013)
Lo Ior si fa beffe dell’Italia
di Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2012)
Il Vaticano sta prendendo per il naso da mesi la giustizia e la Banca d’Italia. Il Governo Monti dovrebbe fare la voce grossa e ottenere il rispetto degli impegni assunti in materia di antiriciclaggio ma c’è un piccolo particolare: il ministro della giustizia che dovrebbe essere in prima linea in questa battaglia, è stato l’avvocato del presidente della banca vaticana, lo IOR, Ettore Gotti Tedeschi.
La linea del Vaticano in questa materia non corrisponde affatto alle promesse di trasparenza contrabbandate in pubblico. Lo dimostra un documento che Il Fatto pubblica in esclusiva.
Si intitola “Memo sui rapporti IOR-AIF” ed è un documento “confidenziale” e “riservato” circolato negli uffici del Papa e della Segreteria di Stato e annotato a penna da una mano che - secondo gli esperti di cose Vaticane - potrebbe essere quella di monsignor Georg Ganswein, il segretario di Benedetto XVI. E’ stato scritto da un personaggio molto in alto che si può permettere di sottoporre la sua analisi ai vertici del Vaticano.
Al di là di chi sia l’autore, il “memo” dimostra che il Papa, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, il presidente dello AIF, l’autorità di controllo antiriciclaggio Attilio Nicora e i vertici dello IOR sono tutti a conoscenza della linea sul fronte antiriciclaggio che si può sintetizzare così: non si deve collaborare con la giustizia italiana per tutto quello che è successo allo IOR fino all’aprile 2011.
Il “Memo”, come dimostrano le note appuntate a penna dalla segreteria del Santo Padre, è stato “Discusso con SER (Sua Eminenza Reverendissima) il Cardinale Bertone il 3 novembre” 2011. L’autore della nota, favorevole a una maggiore apertura verso Bankitalia e le Procure, aggiunge: Bertone “Si è trovato d’accordo sulle mie considerazioni! Incontrerà SER il cardinale Attilio Nicora (Presidente dell’AIF) e il direttore AIF (Francesco Ndr) De Pasquale”. Il memo, così annotato, è stato poi girato, al presidente dello IOR e al direttore dell’AIF.
Basta scorrere il testo per capire la rilevanza della partita in gioco: “Dall’entrata in vigore della legge vaticana anti-riciclaggio, avvenuta il primo aprile 2011, si sono tenuti numerosi incontri tra lo IOR e l’AIF (Autorità creata dalla nuova legge del Vaticano Ndr), rivolti da una parte a dimostrare alla nuova Autorità le iniziative intraprese per l’adeguamento delle procedure interne alle misure introdotte dalla legge....”
IN QUESTA prima parte il memo ripercorre la vicenda del mutamento della normativa antiriciclaggio, intervenuto sotto la spinta dell’indagine della Procura di Roma. Il pm Stefano Rocco Fava e il procuratore aggiunto Nello Rossi - a settembre del 2010 - avevano sequestrato 23 milioni di euro che stavano per essere trasferiti dal conto dello IOR presso il Credito Artigiano alla Jp Morgan di Francoforte (20 milioni di euro) e alla Banca del Fucino (3 milioni) e aveva indagato il presidente IOR, Ettore Gotti Tedeschi e il direttore Cipriani. Secondo i pm, lo IOR si era rifiutato di dire “le generalità dei soggetti per conto dei quali eventualmente davano esecuzioni alle operazioni”. Cioé chi era il reale proprietario dei soldi. Dalle indagini della Guardia di Finanza emergeva un quadro inquietante: lo IOR mescolava sul suo conto al Credito Artigiano i 15 milioni di euro provenienti dalla CEI, e frutto dell’8 per mille dei contribuenti italiani, con fondi di soggetti diversi.
Non solo: da altre operazioni emergeva che lo IOR funzionava come una fiduciaria e i suoi conti erano stati usati per schermare persino i proventi di una presunta truffa allo Stato italiano realizzata dal padre e dallo zio (condannato per fatti di mafia) di don Orazio Bonaccorsi.
DI FRONTE a un simile scenario i pm romani si erano opposti al dissequestro dei 23 milioni di euro nonostante le dotte motivazioni dell’avvocato del presidente dello IOR, il professor Paola Severino. Il ministro ora ha lasciato lo studio e si è cancellato dall’Albo anche se non ha comunicato alla Procura chi la sostituirà nella difesa di Gotti Tedeschi.
A sbloccare la situazione comunque non fu l’avvocato Severino ma il Papa in persona. Con una Lettera Apostolica per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario il 30 dicembre 2010, Benedetto XVI ha istituito l’Autorità di informazione finanziaria (AIF), per il contrasto del riciclaggio.
I pm romani motivarono così il loro parere favorevole al dissequestro nel maggio 2011: “l’AIF ha già iniziato una collaborazione con l’UIF fornendo informazioni adeguate su di un’operazione intercorsa tra IOR e istituti italiani e oggetto di attenzione”.
Peccato che, un minuto dopo essere rientrato in possesso dei suoi 23 milioni, lo IOR ha cambiato completamente atteggiamento. Tanto che in Procura non si nasconde il disappunto per quel dissequestro “sulla fiducia”. Ora si scopre che la giravolta vaticana è una scelta consapevole delle gerarchie, come spiega lo stesso “memo” discusso dai cardinali Nicora e Bertone e dallo stesso Gotti Tedeschi. “L’AIF (.... ) ha inoltrato allo IOR alcune richieste di informazioni relative a fondi aperti presso l’Istituto, cui quest’ultimo ha corrisposto, consentendo tra l’altro lo sblocco dei fondi sequestrati dalla Procura di Roma (....)
Ultimamente, tuttavia la Direzione dell’Istituto ha ritenuto di riscontrare le richieste dell’ AIF - relative ad operazioni sospette o per le quali sono in corso procedimenti giudiziari - fornendo informazioni soltanto su operazioni effettuate dal primo aprile 2011 in avanti.
Nel corso dell’ultimo incontro tra IOR e AlF del 19 ottobre u.s. tale posizione è stata sostenuta dall’Avv. Michele Briamonte (dello studio Grande Stevens Ndr), sulla base di un generale principio di irretroattività della legge, per il quale le misure introdotte dalla legge antiriciclaggio, (....) non possono valere che per l’avvenire”.
Questa linea interpretativa, ovviamente, ostacola enormemente il lavoro degli investigatori italiani e l’Aif ne è consapevole tanto che, come si evince dal memo ha ribadito “il proprio diritto/dovere ad accedere a tutti i dati e le informazioni in possesso dello IOR (...) motivando tale posizione con argomentazioni attinenti alla lettera e alla ratio della legge, al rispetto degli standard internazionali cui la Santa Sede ha aderito, allo svuotamento dell’effettività della disciplina appena introdotta, al rischio di una valutazione negativa dell’organismo internazionale chiamato a esaminare il sistema Vaticano di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”.
PURTROPPO l’operazione trasparenza era solo uno specchietto per le allodole. Nel frattempo il Vaticano ha spostato la sua operatività dalle banche italiane alla JP Morgan, soprattutto a Francoforte. La banca americana ha però un solo sportello (non accessibile alla clientela comune) a Milano, che è già finito, da quello che risulta al Fatto, nel mirino dell’attività ispettiva della Banca d’Italia. E così il 25 gennaio è stato pubblicato un decreto pontificio che ha ratificato tre convenzioni contro il riciclaggio. Sembra ci sia anche un articolo sull’obbligo di “adeguata verifica” prima del fatidico primo aprile. In Procura però stavolta non si fidano.
’NDRANGHETA: BOCCASSINI, RICONOSCIMENTO A BOSS DA VATICANO * (AGI) - Milano, 1 dic. - Giulio Lampada, uno dei componenti del clan al centro dell’operazione anti ’ndrangheta di ieri, "ha ricevuto un importante e prestigiosa riconoscenza dal Vaticano". Lo ha sottolineato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini durante una conferenza stampa. La famiglia Lampada "ha cominciato a vendere panini ed e’ finita a fatturare miliardi", ha aggiunto. Dalla lettura del provvedimento di custodia cautelare firmata da Giuseppe Gennari e’ emerso come il boss Giulio Lampada ha ricevuto l’onoreficenza vaticana di Cavaliere di San Silvestro.
Il gran ritorno dei cattolici
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 19 novembre 2011)
"Siamo passati dal Carnevale alla Quaresima": lo ha detto il neoministro Andrea Riccardi ma lo abbiamo pensato in molti. Il passaggio è stato brusco e totale. Un governo sottoposto a una cura dimagrante da cavallo nei numeri, sullo sfondo di scenari austeri.
Senza la profusione di colori e i sontuosi sfondi rinascimentali delle conferenze stampa d’una volta; e non parliamo della sobrietà e della severità quasi luttuosa dei discorsi e dei rituali. È finito il ciclo carnevalesco delle feste in ville e palazzi, del "bunga bunga", della carnalità traboccante e colorata, del corteggio di nani e ballerine che circondava, seguiva, abbracciava un re Carnevale in doppiopetto. Qualcuno un giorno rievocherà forse con nostalgia i nostri ruggenti anni dieci del secondo millennio, con quelle donne belle ed eleganti dai soprannomi ammiccanti, dalle professioni surreali - l’Ape regina, l’igienista dentaria, le escort - introdotte nel sacrario del potere col solo compito di far sentire amato il padrone.
Ma ecco, appunto, la Quaresima che irrompe sulla scena e sconfigge re Carnevale: ancora una volta si affaccia sulla società italiana una immagine antica, legata come poche altre alla cultura popolare del nostro paese, elevata a chiave di lettura della storia d’Italia da chi, come Francesco De Sanctis , vide la Controriforma come una Quaresima piombata sul Carnevale italiano del Rinascimento cancellando con una maschera di finta devozione la vera modernità, quella che si riassumeva per lui nel nome di Machiavelli. Oggi l’immagine coniata dal liberale e anticlericale De Sanctis, vero maestro intellettuale dell’Italia, che non ebbe simpatia né per il Carnevale né per la Quaresima viene usata da uno storico cattolico che proprio in quanto cattolico impegnato nei problemi del mondo è stato chiamato a far parte del nuovo governo. E si levano toni trionfalistici dal mondo dei cattolici impegnati in politica: si afferma così negli storici del presente la tesi secondo cui il grande rivolgimento nell’assetto governativo a cui assistiamo sarebbe stato concepito nel recente convegno tenutosi nel convento di Montesanto presso Todi. Il suo atto di fondazione sarebbe dunque l’invito del cardinal Bagnasco ai laici cattolici a portare nella società i principi della dottrina sociale della Chiesa. Mentre ci chiedevamo perché le autorità ecclesiastiche fossero così reticenti davanti alle voci critiche che si levavano dal mondo dei cattolici italiani, in realtà quelle stesse autorità stavano preparando il mutamento di cavalli.
La questione merita una qualche attenzione perché non c’è dubbio che la componente culturalmente più significativa di questo governo appena nato è quella di un cattolicesimo di alta qualità, nutrito di impegno sociale e culturale, che rappresenta qualcosa di molto remoto dai "laici devoti" e dai "convertiti" dell’apparato berlusconiano.
Ma intanto andrà detto prima di tutto che senza l’iniziativa politica assunta in prima persona dal Presidente della Repubblica, interprete straordinariamente lucido delle necessità primarie del Paese che in lui si è riconosciuto, questo cambiamento - tanto urgente nella realtà quanto remoto dalla mente di Berlusconi e della sua maggioranza - non sarebbe avvenuto e adesso, nella migliore delle ipotesi, staremmo assistendo a una campagna elettorale lacerante e affondando sempre più in una crisi devastante. Ma se è vero che una parte del mondo cattolico - la più consapevole e seria - si è resa disponibile per prendere il timone degli affari italiani, bisognerà ricordare che è stata la cultura laica italiana a battere sul chiodo costituzionale della necessità di stili di vita adeguati da parte dei rappresentanti eletti del popolo italiano: sul bisogno di trasparenza nell’intreccio tra affari e politica: sul fatto che gli uomini delle istituzioni devono essere rispettabili se vogliamo che le istituzioni siano rispettate: sul fatto che la sopraffazione dei diritti e delle leggi esercitata dalla ricchezza e dal potere scardina l’ordinamento democratico.
Il disvelamento delle macchine del fango nelle inchieste giornalistiche di Giuseppe D’Avanzo, la lucida difesa delle regole contro il malaffare e l’illegalità da parte di Stefano Rodotà, la testimonianza di Roberto Saviano sono stati contributi di una cultura che ha difeso i diritti di tutti e ha richiamato al rispetto dei principi consacrati nella nostra Costituzione, contro il mantra dell’intoccabilità del potere di chi ha avuto la maggioranza dei voti.
Non si tratta di spartirsi i meriti di una svolta che per ora è solo annunciata e che non sarà facile portare a buon fine. Né è il caso in questo momento di ricordare la distrazione, i silenzi e talvolta gli sghignazzi che hanno accolto i "moralisti": la parola stessa è stata usata come un insulto, una gogna.
Fa bene Rodotà a rigraduare il valore della parola professandosi moralista incallito e non pentito nel suo magnifico "Elogio del moralismo"(Laterza). Il problema è un altro: ai cattolici che caratterizzano con la loro presenza il nuovo governo si deve chiedere conto di come intendono interpretare la loro appartenenza religiosa.
Abbiamo alle spalle un governo dove l’alleanza con la Chiesa è stata pagata coi diritti dei cittadini, delle donne, dei malati, degli studenti della scuola pubblica. Non è quella l’interpretazione della testimonianza di fede che può andare d’accordo con la costituzione. Ma non possiamo dimenticare che a Todi il cardinal Bagnasco ha indicato ai cattolici in politica l’obbligo di difendere alcuni punti, dove sarebbero in gioco valori definiti con aggettivi assai robusti - "essenziali, nativi, irrinunciabili, inviolabili, inalienabili, indivisibili, e dunque non negoziabili". E quei principi sarebbero in gioco laddove si discute dell’inizio e della fine della vita, del matrimonio come legame tra un uomo e una donna, della libertà religiosa ed educativa. Il futuro prossimo chiarirà se quelli che sono entrati nel governo e lo caratterizzano sono dei "cattolici adulti" oppure no.
Senza parole, fino alla fine
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2011)
Alla crisi del berlusconismo il Vaticano arriva smarrito e disorientato. E muto. Anno dopo anno i vertici vaticani hanno sostenuto il Cavaliere nonostante la sua indecenza e la sua incapacità e soltanto il 22 settembre scorso, recandosi in Germania, papa Ratzinger ha segnalato al presidente Napolitano l’esigenza di un “sempre più intenso rinnovamento etico” per il bene dell’Italia. Poi Oltretevere non ha più disturbato il premier, lasciando che la situazione degenerasse. Le foto della Minetti e altre pupe vestite da suore, pubblicate dal Fatto, stanno lì a testimoniare a chi il Vaticano stagione dopo stagione, a forza di contestualizzare, ha rinnovato la fiducia. Si è dovuto aspettare il 26 settembre perché il cardinale Bagnasco denunciasse a nome dell’episcopato l’“aria ammorbata” dal regime berlusconiano e chiedesse discontinuità. Subito dopo, però, il segretario della Cei monsignor Crociata si è affrettato a comunicare che la Chiesa non fa i governi “e non li manda a casa”. Ennesimo aiutino mediatico alla tattica dilazionatrice di Berlusconi, disastrosa per il Paese.
E COSÌ ANCORA per settimane, mentre l’Italia rotolava verso la rovina, le gerarchie ecclesiastiche
a differenza della Confindustria che finalmente aveva imboccato la strada della pressione
crescente per voltare pagina - hanno scelto di stare zitte invece di chiarire ulteriormente che il bene
comune dell’Italia richiedeva l’allontanamento urgente di Berlusconi. Nemmeno la constatazione
che tre quarti degli italiani bocciano B. (come da sondaggio di Famiglia Cristiana) ha spinto i
vescovi a farsi sentire. Paradossalmente è stato il Financial Times a lanciare l’esclamazione, che
avrebbe potuto venire dai pulpiti: “In nome di Dio, dell’Italia e dell’Europa, Berlusconi vattene!”.
In realtà, esaurita la stagione di Ruini che non a caso ha premuto finché ha potuto per far tornare Casini ad allearsi con Berlusconi, la Chiesa italiana non ha più una linea strategica su come affrontare la perigliosa e complicata transizione a quella che sarà la Terza Repubblica. Non ha una sua visione dell’Italia post-berlusconiana, ma non ha nemmeno il coraggio di affidare decisamente il timone ai cattolici impegnati in politica. A Todi il cardinale Bagnasco, pressato dal Vaticano, dagli atei devoti e dai conservatori ecclesiali, ha dovuto risfoderare la dottrina dei principi non negoziabili, Un diktat inadatto per qualsiasi moderno governo europeo, di destra o di sinistra. In queste settimane cruciali si è liquefatta anche l’ambizione della carovana di Todi di rappresentare quel “soggetto culturale e sociale” cattolico in grado di “interloquire con la politica”. È nel vivo della battaglia che si affermano i protagonisti. A cose fatte sono bravi tutti a chiedere rappresentanza. Nella crisi attuale un singolo democristiano come Pisanu ha rappresentato di più e meglio la tradizione del cattolicesimo politico moroteo di quanto non siano riusciti a fare i grandi oratori di Todi.
Naturalmente la rete, messa in piedi con il convegno umbro, continuerà ad agire, ma per l’oggi - nelle ore drammatiche che l’Italia sta vivendo - si registra nuovamente la generale afasia dell’associazionismo cattolico. Unica eccezione le Acli, che dopo aver chiesto il mese scorso le dimissioni di Berlusconi sono tornate a ribadire fermamente la necessità del suo allontanamento. E la Cisl, che ha insistito sull’esigenza di un governo di larghe intese.
LA GERARCHIA ecclesiastica, nella tempesta in corso, è rimasta come acquattata sotto la bufera. Non si esprime. Sul piano sociale ha dalla sua una posizione più volte rimarcata di attenzione ai problemi del precariato giovanile e di denuncia dell’intollerabile evasione fiscale. Nonché l’aiuto economico prestato in questi anni da organizzazioni ecclesiali a tante famiglie in difficoltà. Questione del lavoro e tutela della famiglia sono temi sistematicamente toccati. L’immagine di Bagnasco con l’ombrello tra i disastrati di Genova mostra una Chiesa vicina alle angosce della gente. Ma sul piano politico la gerarchia ecclesiastica naviga a vista. Avrebbe visto di buon occhio un governo post-berlusconiano basato sull’alleanza Pdl-Lega-Udc. Ma anche in Vaticano hannocapito che è un’utopia. Adesso la Cei e i vertici vaticani sembrano affidarsi - loro malgrado - alla strategia di Casini per la creazione di un governo d’emergenza trasversale che vada dal Pdl ai Democratici.
Più di ogni cosa il Vaticano teme nuove elezioni, che sancirebbero lo sfaldamento del partito berlusconiano, il ridimensionamento della Lega (con la sua ambigua difesa dei principi non negoziabili ratzingeriani) e l’emergere di un forte blocco di centrosinistra. Ancora una volta la stella polare sembra essere la tutela delle posizioni di privilegio economico-istituzionale conquistate. E soprattutto Oltretevere hanno il terrore di una maggioranza che sblocchi in Parlamento quelle leggi sulle coppie di fatto e il testamento biologico, che Berlusconi e i suoi alleati hanno sempre affossato.
«I maturandi portati al Divino Amore»
Cinquemila ragazzi del quinto anno delle superiori romane «ad orientarsi» sul futuro in un Santuario. Paga Gelmini
di Gioia Salvatori (l’Unità, 15.03.2011)
Chissà che ne penserebbe Socrate di un ministro dell’Istruzione che nell’anno domini 2011 manda i giovani delle superiori in un santuario per una giornata di orientamento universitario.
Coi soldi pubblici (l’ufficio scolastico regionale del Lazio ha organizzato i trasporti) e per conoscere una vasta gamma di atenei pubblici e, ovviamente, privati. Eh già, infatti l’ecumenico orientamento dell’era Gelmini nasce da una collaborazione dell’ufficio ministeriale regionale con la conferenza dei rettori delle università del Lazio (CRUL) e la Conferenza dei Rettori delle Università Pontificie Romane (CRUPR) che magari si sentono più a casa al santuario del Divino Amore, luogo di pellegrinaggi in mezzo ai campi di Roma Sud. D’altronde si sa, la scelta dell’università è cosa seria, si ripercuote «sul lavoro e sulla vita, richiede consapevolezza e serenità indispensabili per ridurre il rischio dell’errore e decidere con responsabilità», quindi meglio proporre ai giovani un’ampia scelta di atenei e corsi, tante brochure, tanti, depliant, workshop e una giornata di “festa dell’orientamento”. Animata anche da un musical: “Oggi scelgo io”, interpretato dalla Star Rose Academy fondata dalle suore orsoline della sacra famiglia e diretta da Claudia Koll.
Cosa può volere di più, a cento giorni dalla maturità, uno studente? Altro che pranzi dei cento giorni... Così ieri dopo aver ricevuto l’invito coi virgolettati qui riportati, i ragazzi sono stati in Chiesa a conoscere le università pubbliche e private del Lazio. A firmare l’invito inoltrato alle scuole qualche giorno fa è il direttore generale dell’ufficio scolastico regionale Lazio, Maria Maddalena Novelli. Nomen omen, la dirigente così giustifica la non casuale scelta del luogo: «il Santuario del Divino Amore è meta tradizionale di pellegrinaggi che si svolgono soprattutto di notte. Oggi come ieri, il Santuario si offre a tutti cattolici e di altra religione, credenti e non credenti, italiani e stranieri, tutti cittadini e pellegrini di Roma - come il traguardo di un viaggio notturno, passaggio umano denso di difficoltà ma che si conclude nella luce del mattino». Che il pellegrinaggio serva è certificato: si narra, infatti, che il candidato sindaco Gianni Alemanno lo fece a piedi nella notte elettorale...
Per scegliere l’università giusta tutti in processione al santuario
5000 ragazzi al Divino Amore. I genitori: “Una vergogna”
di Caterina Perniconi (il Fatto, 15.03.2011)
Un prato sterminato, un mare di fango, 5000 ragazzi. No, non è Woodstock, ma il santuario del Divino Amore, a Roma. Le note che accompagnano la giornata non sono quelle di Jimi Hendrix, ma del musical della Star Rose Accademy, fondata dalle suore orsoline e guidata da Claudia Koll, ormai lontanissima dalla versione “Tinto Brass”. Il tutto sotto l’occhio vigile di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della pastorale e universitaria e neo cappellano di Montecitorio. Anche lui infangato fino ai polpacci. E no, non è nemmeno la giornata mondiale della gioventù promossa dal Vaticano, ma un appuntamento organizzato dall’ufficio scolastico regionale col vicariato di Roma per orientare i maturandi di tutte le scuole del Lazio (pubbliche e private) alla scelta universitaria.
IL LUOGO, aveva comunicato il ministero a tutti i dirigenti scolastici, non è scelto a caso, ma “sottolinea l’intento” del convegno. Perché “il santuario del Divino Amore è meta tradizionale di pellegrinaggi che si svolgono soprattutto di notte (...). Il pellegrinaggio, lungo cammino attraverso la notte, è evocativo di un messaggio simbolico per i nostri giovani: la vita che viviamo e che costruiamo incontra momenti di buio e sforzo, soprattutto quando si affrontano scelte importanti”. La circolare si concludeva prevedendo addirittura che “le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, valutino l’opportunità di riconoscere la partecipazione degli studenti come credito formativo”.
Ieri, sul prato del santuario, i ragazzi più che a un pellegrinaggio sembravano in gita. Gli stand allestiti erano sei. Il primo, riservato all’accoglienza, dove i presenti potevano ritirare il loro pacco “dono”: borsa, maglietta e cuscino. Infatti la struttura più grande, quella sotto la quale si sono rifugiati appena ha cominciato a piovigginare, non aveva sedie. Poi quattro gazebo, divisi per settore, dove gli studenti trovavano informazioni sull’ambito scientifico-tecnologico, artistico-letterario, giuridico-economico e bio-antropologico. Insieme alle università pubbliche (anche se i cartoni di depliant della Sapienza erano quasi tutti chiusi) quelle private. In prima fila, naturalmente, la Luiss. Poi l’università lateranense, la Cattolica, la pontificia salesiana, la pontificia auxilium, il campus bio-medico. Private battevano pubbliche almeno 6 a 3. Vicino un’altra sola struttura, per la pastorale universitaria. Nessuna informazione sull’ente per il diritto allo studio o su altre associazioni studentesche.
GLI ARTISTI dell’accademia della Koll si sono esibiti nel pomeriggio, ed erano ormai solo poche centinaia di ragazzi attenti allo spettacolo. Gli altri, sparsi nelle poche parti asciutte del prato. “La mia vita ha senso? - cantava una ragazza dal palco - credo che Dio abbia un progetto sulla mia vita”. Qualche gruppo si è allontanato. Subito dopo la celebrazione della messa, presieduta dal rettore dell’università lateranense, monsignor dal Covolo. Del resto, per romaset te.it , giornale on-line della diocesi di Roma, l’evento è promosso “dall’Ufficio scuola cattolica, pastorale scolastica, pastorale universitaria e pastorale giovanile del Vicariato di Roma”. Il ministero non è mai citato.
Impossibile, tramite l’ufficio scolastico regionale, ricevere una risposta per capire a quanto ammonta la spesa per un evento di queste proporzioni e in che parte lo Stato lo abbia finanziato. Quindi ci siamo rivolti a una società di organizzazione eventi, la Goodlink, per capire quale può essere la cifra in ballo. “Considerando che organizza lo Stato e non un privato, quindi ipotizzando numerose convenzioni - spiegano - possiamo stimare una spesa sicuramente superiore ai centomila euro. Ma se non ci fossero accordi, crescerebbe ancora”.
ECCO CHE, senza vedere con i propri occhi lo sviluppo dell’evento, molti genitori dopo aver letto le informazioni sulla giornata si sono opposti all’obbligo di far seguire ai propri figli l’orientamento. E in molti licei, come il Plauto per esempio, chi non è andato al Divino Amore oggi dovrà giustificare l’assenza. “A mia figlia - spiega la madre di un’alunna - hanno negato anche il diritto allo studio, perché è dovuta restare a casa. E ora avrà solo altre due ore per l’orientamento in una unica facoltà. É incerta ma non potrà vederne due”.
Un nutrito gruppo di genitori del liceo Tasso ha definito l’iniziativa “una vergogna”. “Ma vi rendete conto di quello che hanno avuto il coraggio di fare? - dice un genitore - si tratta di un evento con una forte impronta confessionale pagata con soldi pubblici. Esclude chi appartiene ad altre confessioni religiose o chi religioso non lo è. E vale anche come credito formativo. Uno scandalo”.
La regione Lazio, con l’assessore alla Formazione e Lavoro, Mariella Zezza, ha messo il cappello all’iniziativa spiegando che “l’orientamento per noi è un aspetto fondamentale del sistema dell’istruzione che forma per il mondo del lavoro”. A rispondergli la consigliera Idv, Giulia Rodano: “C’è sicuramente da chiedersi perché la Regione Lazio e il ministero abbiano promosso una giornata di orientamento scolastico con un taglio quasi confessionale o senz’altro non caratterizzato dalla laicità che dobbiamo esigere dall’istruzione pubblica. Chiederemo spiegazioni ufficiali agli assessori regionali competenti”.
Il Vangelo secondo Marchionne
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 11.01. 2011)
Quanto c’è di cristiano nelle nuove regole imposte da Marchionne a Mirafiori? L’interrogativo potrebbe suonare paradossale, ma si pone dal momento che il firmatario-guida del documento, Raffaele Bonanni, è il leader del sindacato che si richiama consapevolmente alla Dottrina sociale della Chiesa. Tanto più che la Cisl in anni passati si è spesa per portare gli altri sindacati confederali a festeggiare il 1º maggio in piazza San Pietro e, più recentemente, si è schierata con la Conferenza episcopale in quel Family Day, che sabotò la legge sulle coppie di fatto.
Nel crollo delle ideologie il sindacato di matrice cattolica ha sempre voluto attingere al patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, arricchito da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Giovanni Paolo II ha dedicato al tema lavoro molta parte del suo magistero. All’inizio - sul piano geopolitico - l’attenzione era focalizzata sul diritto dei lavoratori polacchi di organizzarsi in un sindacato “indipendente” (sebbene da subito, negli anni Ottanta, difendesse a São Paolo anche i diritti dei sindacati brasiliani, guidati dall’allora trotzkista Lula). Tuttavia, dopo il crollo dell’impero sovietico, Wojtyla ha continuato negli anni Novanta a occuparsi energicamente dell’argomento a fronte di un capitalismo che lui chiamava “radicale”, cioè tendente a sopraffare ogni regola.
Lontanissimo e anzi avverso ad ogni concezione di antagonismo di classe, Karol Wojtyla ha messo al centro della sua riflessione il carattere del lavoro come “dimensione fondamentale dell’esistenza”, rigettando quel tipo di prassi in cui “l’uomo viene trattato come strumento di produzione” e il lavoro come semplice “merce”. E usando questi termini - cattolici - sottolineava che il pericolo non andava relegato all’epoca dell’industrializzazione primitiva, ma appartiene al tempo presente laddove prevalga una “civiltà unilateralmente materialistica”.
IL PERICOLO di trattare l’uomo come mera “forza lavoro” - scriveva nella sua enciclica Laborem Exercens - “esiste sempre, e specialmente qualora tutta la visuale della problematica economica sia caratterizzata dalle premesse dell’economismo materialistico”. Ciò che colpisce nel documento Mirafiori, esaltato come innovativo, simbolo di modernità, spartiacque di una nuova era da coloro che quasi certamente non lo hanno nemmeno letto, è precisamente il fatto che non c’è nulla di innovativo. Non è una rivoluzione nell’organizzazione della produzione o nell’individuazione di nuovi metodi di valorizzazione della persona-operaio. Non è neanche una rivoluzione o, più modestamente, un passo in avanti sulla via della partecipazione dei prestatori d’opera alla gestione dell’azienda: nel senso della Mitbestimmung, la cogestione tedesca, letteralmente “codeterminazione”. La vera carta che la Cisl per la sua tradizione potrebbe giocare e di cui non c’è traccia nel documento Mirafiori.
Il punto non è dunque di schierarsi aprioristicamente per l’una o l’altra componente sindacale, il punto è di valutare le norme del contratto.
E qui, in tema di rappresentanza, la divaricazione con la dottrina sociale della Chiesa è totale. Sosteneva Giovanni Paolo II che il diritto di associarsi è fondamentale perché ha come scopo la “difesa degli interessi vitali degli uomini impiegati nelle varie professioni”. Cioè di assicurare la “tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione”. Il corollario, nella vicenda Solidarnosc, era che non toccava al proprietario dell’azienda - lo Stato in questo caso - decidere chi potesse parlare o no a nome dei lavoratori.
Leggendo il testo Mirafiori (e sono gli articoli su cui Bonanni tiene un profilo bassissimo, perché sa che gridano vendetta al cospetto di Dio... per usare un linguaggio biblico) si vede che tutti i paragrafi sotto il titolo “Sistema di relazioni sindacali” sanciscono il radicale smantellamento della presenza in azienda di qualsiasi organizzazione sindacale, che dissenta dal contratto firmato. Chi ha il 51%, cancella gli altri.
ORA UN CONTO è accettare democraticamente i risultati di un referendum, un conto è imbavagliare totalmente un soggetto sindacale che la pensa diversamente. L’articolo 1 permette la costituzione di rappresentanti sindacali soltanto alle Organizzazioni firmatarie. Chi non è Organizzazione firmataria NON usufruisce di permessi sindacali (art. 2), NON può convocare un’assemblea (art. 3), NON ha diritto a un locale per esercitare le funzioni di rappresentanza sindacale (art. 5), NON fa più parte del sistema per cui l’azienda trattiene direttamente dallo stipendio i contributi sindacali versandoli alle rappresentanze. L’abolizione della legge 1993 sull’elezione dei delegati in azienda (festeggiata dai ministri berlusconiani Sacconi e Romani) e la clausola di umiliazione, per cui chi aderisce dopo deve ottenere il consenso di “tutti” i firmatari, completano un impianto che cozza contro la libera partecipazione dei prestatori d’opera e l’organizzazione sindacale dentro l’azienda come “indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle moderne società industrializzate”. (Laborem Exercens)
Per chi ritenesse che gli anni passano, Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in Veritate del 2009 sottolinea come segno caratteristico dell’epoca contemporanea la diminuzione delle libertà sindacali e della capacità negoziale dei sindacati. Tuttavia che si arrivasse a dividere i “bianchi” dai “neri” neanche un papa poteva prevederlo.
NEL NOME DEL "PAPI"
di MARIA G. DI RIENZO *
Credo si debba dar credito di almeno una cosa alla Ministra Gelmini: pur facendo malissimo il suo lavoro, in una sola frase e’ riuscita a fotografare il "pensiero dominante" degli ultimi trent’anni italiani. Guardando dalla finestra, per cosi’ dire, la signora e’ sconcertata dal vedere pensionati e studenti protestare insieme. Che hanno a che fare gli uni con gli altri?, si chiede basita, Che interessi comuni possono avere?
Nel supermercato della giungla infatti, dove la Ministra vive e dove il suo governo pascola, tutti si vendono e/o comprano altri, ed ognuno e’ solo sino alla disperazione, perche’ chiunque si trovi accanto - se non e’ un oggetto da usare o un potente da agganciare - e’ un competitore, un ostacolo, un fastidio. Gli italiani non si sono tirati indietro: sulla base degli esempi e degli impulsi forniti dagli uomini e dalle donne "di successo", incoraggiati dalla propaganda ossessiva dei media, abbagliati dai premi forniti alla disonesta’ e alla cialtroneria, hanno contribuito ad alzare il livello di violenza nel paese senza pensare che sarebbe ricaduto su di loro. Hanno giustificato ogni iniquita’ propria e altrui esattamente sul fondamento di una solitudine egoista. Ma singolarizzati non si vive.
Se l’ambiente e’ un terreno di caccia e sfruttamento l’immondizia si accumula sulle tue strade, il tuo fiume straripa, le tue case crollano, le varie patologie da inquinamento fanno ammalare ed uccidono te e i tuoi figli. Se le scuole sono aziende che devono produrre profitto, e parcheggi per i ragazzi in attesa che trovino da fare gli idioti in tv, e’ perfettamente normale che il bullismo sia esploso come un fungo atomico. Quando le donne non possono essere viste e rappresentate se non come imprenditrici del sesso a pagamento, hostess da tavolo, cigni da cubo, vassoi viventi e "talenti futuri", ecco cosa aumenta: violenza domestica, violenza sessuale, disturbi dell’alimentazione nelle adolescenti, molestie sul lavoro (abbiamo il record europeo in quest’ultimo settore). Ed ecco cosa accade quotidianamente: bambine di quattro anni vestite come pornostar fanno balletti "sexy" nel giorno del loro compleanno o nel cortile dell’asilo, bambini delle elementari - tutti o quasi "fidanzati" con coetanee - cercano pornografia su internet, studenti delle medie molestano pesantamente le compagne in classe, quando non le stuprano nei bagni, sotto gli occhi indifferenti degli insegnanti. Questi sono tutti episodi di cui io ho conoscenza diretta. Soli, ipersessualizzati, violenti e senza orizzonte: dai quattro anni in poi gli italiani e le italiane sembrano avere quest’unica prospettiva.
Di recente se n’e’ accorto anche il Censis (44mo rapporto annuale sullo stato dell’Italia, dicembre 2010), definendo l’Italia "una societa’ senza regole e senza sogni" attraversata dal "gusto apatico di compiere delitti comuni". Il suo presidente De Rita ha rilasciato al proposito coltissime dichiarazioni piene di "auctoritas" e di "sregolazione pulsionale", ma di fronte alla richiesta di rimedi si e’ rivelato un po’ meno profondo. Cosa possiamo fare, dunque? Preoccuparci del "padre che evapora" (santo cielo, abbassate i termostati!), quindi "ridare senso alla figura paterna" e "alla dimensione sociale del peccato", ripartendo da un "desiderio" che nasca dalla "mancanza". Il rapporto rileva con giusta perplessita’ i bambini affogati in giocattoli che neppure hanno chiesto e la mezza dozzina di cellulari a cranio italico, ma provate a portarglieli via e vedremo come il desiderio nato dalla mancanza si esprimera’: non si tratta solo di quante cose si hanno, signor presidente, ma di a che servono, di chi le usa e come le usa e per quali motivi, perche’ di fatto esse hanno sostituito le relazioni sociali e definiscono il posto nel mondo - il "successo", il valore - di chi le possiede.
Giuseppe Roma, direttore del Censis, contribuisce: ripartiamo dal singolo, invoca, per ritrovare "impulsi vitali" ed "energie positive". No, grazie: al "singolo" (uno contro tutti nella competizione globale) ci siamo gia’. E’ la coscienza che il singolo esiste all’interno di un sistema di relazioni che manca, e’ la consapevolezza che ogni individuo umano e’ stato portato all’esistenza da una relazione che manca, e che il nostro stesso pianeta e’ una rete di relazioni viventi. E’ il riconoscere che viviamo grazie alla cooperazione, non grazie alla competizione, che manca. Quanto al desiderio di un "padre" che ci metta a posto fomentando in noi l’idea del peccato e strapazzandoci per farci rigare diritto lo rispedisco al mittente: cio’ che i signori del Censis hanno osservato con le lacrime agli occhi e’ esattamente il prodotto estremo e spettacolarizzato della "legge dei padri", il patriarcato.
Quando Mister "Ghe pensi mi" (l’attuale capo di governo) metteva in fila le cameriere nelle sue ville per dar loro lo sculaccione augurale, affinche’ quel giorno lavorassero bene e nessuna piega si formasse sulla tovaglia per gli ospiti, non stava facendo altro che il suo lavoro da padre-padrone e quasi nessuno - oltre a me - lo ha trovato ignobile; quando assieme ai suoi lacche’ ha sponsorizzato la pagliacciata del "Family Day", delegittimando ed insultando la mia, di famiglia, perche’ "sregolata" e "non tradizionale" (come non e’ "tradizionale" la maggioranza delle famiglie italiane), il padre-padrone si sentiva perfettamente in regola circondato da prelati, beghine, le sue due famiglie ed il corteggio di amanti a pagamento: e’ "tradizione", infatti, che il patriarca possa concedersi cio’ che ai comuni mortali e’ negato; quando le suddette dame di compagnia sessuale gli chiedevano favori (risolvimi l’abuso edilizio, prestami l’avvocato da talk show per i miei problemi legali, trovami un posto in tv o da parlamentare: e quelle che hanno sollevato i veli dell’ipocrisia lo hanno fatto solo perche’ non hanno ottenuto cio’ che volevano) stavano ridando pieno "senso alla figura paterna", quella del "tradizionale" padre onnipotente che da’ e toglie a suo capriccio, che ha piena potesta’ sulla figliolanza reale e simbolica, e che e’ autorizzato ad usarla per il proprio godimento: fra i figli, quindi, deve scatenarsi la lotta piu’ implacabile per ottenere i favori del padre, eliminare gli avversari, e infine prenderne il posto.
In questo quadro, lo stupore ministeriale che citavo all’inizio ("Che interessi comuni possono avere pensionati e studenti?") e’ perfettamente logico: ognun per se’ e dio per chi puo’ pagarlo con le regalie alle scuole private, mentre quella pubblica affonda. So che la Ministra non leggera’ mai la spiegazione che sto per fornirle, e che quand’anche cio’ accadesse probabilmente non riuscirebbe (ancora) a capirla, tuttavia eccola qua: pensionati e studenti, lavoratori e attivisti sociali, stanno cominciando a ricordare di essere umani, e che sono umani solo grazie al fatto che altri esseri umani li hanno messi al mondo, hanno avuto cura di loro, si preoccupano per loro, li amano. Se al Censis non hanno le fette di "papi" sugli occhi dovrebbero accorgersi che tutto questo ricorda molto di piu’ l’agire di una madre (o di un padre nient’affatto "tradizionale"). Una madre che non ti indica l’inferno piu’ o meno trascendente - il "senso sociale del peccato" - ma un quotidiano esistere fatto di buone relazioni, di negoziazioni, di condivisione di abilita’ e risorse, di responsabilita’ e rispetto, come sistema per vivere meglio, insieme, tutte e tutti. Se vogliono prove di quanto dico, e’ probabile che non debbano guardare piu’ lontano di casa propria.
* TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 395 del 5 dicembre 2010 Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Da Porta Pia ai nuovi banchieri di Dio
Le vie dello Ior sono infinite
di Nicola Tranfaglia (l’Unità, 21.09.2010)
Lo Ior ritorna di attualità, e non a caso. Leggiamo la notizia battuta ieri dall’Ansa: «Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto Opere di Religione del Vaticano e un altro importante dirigente della stessa banca vaticana, sono indagati dalla Procura della Repubblica di Roma per violazione del decreto legislativo 231 del 2007 che è la normativa di attuazione della direttiva dell’Unione Europea sulla prevenzione del riciclaggio». È stato inoltre eseguito il sequestro preventivo di 23 milioni di euro (su 28 complessivi) dell’Istituto che si trovavano su un conto corrente aperto su un conto corrente aperto presso la sede romana del Credito Artigiano spa. Il sequestro, precisa la Procura di Roma, non è stato disposto perché esiste una prova di riciclaggio ma perché, secondo gli inquirenti, è stato già commesso il reato omissivo della norma antiriciclaggio.
Fin qui la cronaca. Ma se si va oltre si scopre subito che da due anni sono in corso accertamenti su una decina di istituti di credito che sono in rapporto con lo Ior e che scambiano operazioni tra loro e con l’Istituto di Religione Vaticano per centinaia di milioni di euro. E si apprende anche che controlli finanziari compiuti dalla Guardia di Finanza in questi ultimi anni si sono trovati di fronte alla difficoltà di identificare i beneficiari degli scambi o di verificare che quando la magistratura ha chiesto nomi e cognomi, ha verificato che quelli forniti non hanno retto alla verifica tanto da suscitare il sospetto che fossero fittizi e non corrispondenti alla realtà.
Ora, per chi ricorda i casi clamorosi che hanno portato alla luce della scena pubblica l’Istituto vaticano e hanno rivelato i rapporti che c’erano stati negli anni Ottanta con Michele Sindona, Roberto Calvi e con la P2 e che si erano conclusi con la messa fuori legge della loggia di Licio Gelli e l’inchiesta parlamentare voluta dal governo Spadolini terminata con relazioni di maggioranza e di minoranza, diverse tra loro ma tutte persuase dell’illiceità delle operazioni condotte dai “banchieri di Dio”, si guarda con un certo timore a quello che sta emergendo dalla nuova inchiesta giudiziaria.
Tutto questo avviene dopo la grottesca cerimonia di domenica per i 140 anni della breccia di Porta Pia che ha visto protagonista il cardinal Bertone, segretario di Stato vaticano e grande amico del presidente dello Ior Gotti Tedeschi. Una cerimonia grottesca perché, in nome di una ennesima riconciliazione tra lo Stato e la Chiesa, si è dimenticato il significato storico della conquista di Roma da parte dello Stato liberale per farne la capitale proprio in opposizione a quel potere temporale dei Papi che sembra proprio ora essere risorto nell’Italia governata da Silvio Berlusconi e dal suo populismo autoritario.
Lui e il Vaticano, questione di feeling
di Bruno Tinti (il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2010)
Adesso si capisce un po’ meglio perché Vaticano e B&C vanno così d’accordo. In effetti un cattolico praticante e, per la verità, anche un laico raziocinante, avevano qualche difficoltà a capire come le più alte gerarchie della chiesa cattolica continuassero a gratificare B. della loro affettuosa solidarietà nonostante la figura morale dell’uomo fosse certamente abbietta. Probabilmente nei cattolici destava minor stupore il fatto che B, colpevole di gravi reati e assolto per prescrizione a seguito di una legge costruita da lui e nel suo personale interesse, venisse ciò non di meno ricevuto in Vaticano; in fondo di reati fiscali, societari, contro la pubblica amministrazione si trattava, il loro tasso d’immoralità poteva essere giudicato modesto da chi si occupa di anime e non di soldi (?).
Meno comprensibile poteva sembrare che le gerarchie ecclesiastiche continuassero ad avere rapporti cordiali con persona amica di imputati e condannati per mafia, chi in primo grado, chi in secondo, chi in via definitiva, e che aveva addirittura ospitato in casa sua un riconosciuto mafioso: ma insomma, che mafia e religione costituiscano un binomio pressoché inscindibile (basta osservare l’esibita ma sincera devozione dei mafiosi frequentatori abituali delle messe) è noto a tutti. Certamente incomprensibile e incoerente era però il permanere di ottimi rapporti con persona che si scopava puttane previamente convocate in allegri festini presso la residenza di governo, che frequentava senza apparenti ragioni istituzionali o semplicemente amicali una minorenne, che era, ohibò, divorziato e risposato civilmente, ragione per la quale a milioni di fedeli è rifiutato il sacramento della comunione. Questo proprio non si riusciva a capire.
Fino ad oggi, veramente, quando abbiamo scoperto che anche le alte gerarchie ecclesiastiche sono convinte che gli unti dal signore meritino l’impunità giudiziaria. Magistratura e polizia belghe indagano su atti di pedofilia commessi da ecclesiastici? Cercano le prove di questi disgustosi delitti? Eseguono perquisizioni e, chissà, intercettazioni telefoniche (lì si può, pare che sia considerata una cosa intelligente da fare se si vogliono scoprire reati e colpevoli)? Addirittura trovano documentazione comprovante le violenze sessuali commesse da ecclesiastici in danno di bambini? Perfino sequestrano questa documentazione? E come reagisce la chiesa belga? La commissione nominata dalla conferenza episcopale si dimette per protesta: perché le indagini le dovevano fare loro per primi; poi, in piena trasparenza, ne avrebbero comunicato i risultati a polizia e magistratura. Da morir dal ridere, se non fosse drammatico.
Ma questa è la chiesa belga, si dirà, intemperanze alla periferia dell’Impero; che c’entra il Vaticano? Eh, non è stato il Vaticano a esprimere stupore e sdegno per le indagini della polizia belga? E non è stato tale padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, a sostenere che le condotte tenute dalla Chiesa “non hanno inteso e non hanno favorito alcuna copertura di tali delitti, ma anzi hanno messo in atto un’intensa attività per affrontare, giudicare e punire adeguatamente tali delitti nel quadro dell’ordinamento ecclesiastico”? E alla fine non è stato il Vaticano che ha presentato un ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti sostenendo la sua immunità a fronte delle denunce delle vittime di tale Andrew Ronan, un prete pedofilo, come tale noto alla sua gerarchia, che però si era limitata a trasferirlo di sede in sede ogni volta che veniva denunciato? E, alla fine, non sono stati lo stesso Papa e il cardinale Bertone ad incazzarsi con la polizia e la magistratura belghe?
Così adesso si capisce perché c’è tanto feeling tra B. e il Vaticano. Sono tutti e due convinti di essere al di sopra della legge. Il Vaticano perché è unto dal Signore; e B. perché è unto dal popolo. È quest’originale battesimo che rende inapplicabile ai preti pedofili la giustizia secolare: i loro delitti saranno puniti “adeguatamente nel quadro dell’ordinamento ecclesiastico”. Il che comunque sarebbe sempre meglio (se davvero avvenisse, ma la storia di padre Ronan non autorizza molta fiducia) di quanto avviene nell’entourage di B&C, dove non solo non si “punisce” nessuno ma chi commette delitti fa carriera politica. Sarà perché in Italia manca una figura (per dire, vista l’impresentabilità di B&C, magari il presidente della Repubblica) che possa convincentemente affermare, come ha fatto il premier belga Yves Leterme: “Ciò che mi interessa, come primo ministro di questo paese, è che il potere giudiziario possa esprimersi in modo autonomo ed è proprio questo che sta succedendo. Le perquisizioni sono la prova che in questo paese c’è una separazione di poteri tra Stato e Chiesa e che il potere giudiziario può agire in modo autonomo”?
Una croce fondata sulla P2
Nasce un movimento per la difesa del crocifisso: ispirato dal Venerabile
di Carlo Tecce e Giampiero Calapà (il Fatto, 03.07.2010)
Il crocifisso di legno cade tre volte dal trespolo di una lavagna. Le braccia dell’emozionato Roberto Mezzaroma che l’agitava, in quel momento mistico e (un po’) pacchiano, erano le protesi di Licio Gelli, il gran maestro della P2.
Il cosiddetto Venerabile ha ispirato il Movimento etico per la difesa internazionale del crocifisso (Medic), presentato nella sala congressi del Michelangelo di Roma, un albergo a pochi passi dal Vaticano. La politica è corsa a sostenere l’iniziativa: c’era Olimpia Tarzia, consigliere regionale Pdl, l’ex direttore del Tg1 Nuccio Fava, atteso invano l’ex mezzobusto del Tg1 Francesco Pionati (Adc) e sono stati annunciati telegrammi ricevuti (ma non letti) dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente emerito Francesco Cossiga e dal “divo” Giulio Andreotti.
Il disegno dell’uomo P2
Per la Chiesa è un appuntamento imperdibile: don Walter Trovato, cappellano della polizia di Stato, è il primo a sedersi al tavolo degli oratori; l’anziano monsignore Antonio Silvestrelli è l’ultimo. Non è facile contare i collarini bianchi dei preti. Gelli ha scritto il codice etico e addirittura disegnato il simbolo dell’associazione: una sfera tagliata da cerchi concentrici su sfondo azzurro, una croce nera avvolta in una stretta di mano, quattro frecce ai bordi. Il Venerabile è nella sua Villa Wanda sulle colline di Arezzo: “Questa è la mia nuova battaglia - spiega al Fatto Quotidiano - e il colore scelto per il simbolo rimanda al mare, al cielo e al grembiule della Madonna, il resto a San Francesco e le frecce rappresentano i punti cardinali”.
L’età avanzata ha impedito a Gelli di officiare la cerimonia in una sala moderna, affollata di uomini e donne vestiti con abiti scuri da sera nel caldo di mezzogiorno. Un amico di Gelli ha rimpianto l’assenza del Venerabile, criticando “la gestione troppo rude della cerimonia del costruttore Mezzaroma”. Accenti che si mescolano, spillette che si confondono. Segni, simboli, messaggi più o meno occulti, più o meno massonici. Il secondo capitolo di uno Statuto suggellato da Gelli, più che a un piano di rinascita nazionale, somiglia a una crociata pop: difendere, coinvolgere, riconoscere.
“Medic vuole far emergere - declama Mezzaroma - le radici giudaico-cristiane del mondo occidentale e promuovere il significato autentico del crocifisso quale simbolo condiviso di amore assoluto; nasce con l’ambizione di essere un movimento trasversale, che raccoglie non solo cattolici ma anche ebrei, musulmani, atei, convinti che la croce abbraccia l’umanità intera”. Quasi un comizio, senza leggere, e un po’ fuori dal protocollo per un evento mondano in pieno giorno.
L’imprenditore Mezzaroma, ex europarlamentare di Forza Italia, è stato nominato segretario generale del Medic in una riunione a Villa Wanda che, diretta come è logico da Gelli, ha indicato presidente onoraria la duchessa d’Aosta, Silvia Paternò, dei marchesi di Regiovanni , dei conti di Prades, dei baroni di Spedalotto, appartenente al Sovrano Militare Ordine di Malta .
Una roba da far impallidire la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare di fantozziana memoria. Araldica pesante, insomma, tanto che “siamo già in 500: faccio politica per passione, sono iscritto al Pdl; stimo tantissimo Gel-li, ma non mi confido al telefono con nessuno” e attacca la cornetta Mezzaroma, contattato all’ultima forchettata di un banchetto fastoso. Il costruttore romano è un fan della prim’ora dei Circoli del buon governo di quel Marcello dell’Utri appena condannato a 7 anni in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ex romanista parente di Lotito
Ex europarlamentare, responsabile del dipartimento “lotta alla povertà” del partito ai tempi di Forza Italia, Mezzaroma è lo zio della moglie di Claudio Lotito. Nel 2005 diventò il secondo azionista della Lazio vantandosi di “aver già salvato la Roma nel 1992 assieme ai miei fratelli, perché bisogna costruire non demolire”. E detto da lui vale un capitale, perché di cemento se ne intende. L’avventura con la Lazio è costata una condanna a un anno e 8 mesi, per un accordo definito “interpositorio” che permise a Mezzaroma di acquistare il 14,61% delle azioni biancocelesti di fatto per conto di Lotito, in modo da nascondere la titolarità del pacchetto completo con cui lo stesso Lotito avrebbe poi lanciato l’Opa. Aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza, per Lotito la condanna è di due anni.
Tra i padrini chiamati a battezzare il Medic, c’era anche monsignor Alberto Silvestrelli: un alto prelato che risponde all’invito di Licio Gelli. Esponente del governo Vaticano con l’incarico di sottosegretario alla Congregazione per il clero, oltre ad essere giudice di appello del Vicariato di Roma (il tribunale dei preti) e commissario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, si occupa di sociale: alcolismo e disabili. Ai tempi della gestione Ratzinger, monsignor Silvestrelli ha ricoperto incarichi anche nella Congregazione per la dottrina della fede, la moderna Inquisizione.
Il consigliere regionale (Lazio) Olimpia Tarzia, altra commensale, vanta un ampio curriculum tra fede e politica: fondatore (e segretario generale dal ‘97 al 2006) del Movimento per la vita, il cui successo più importante è stato il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita nel 2005. “Il crocifisso - ha affermato Tarzia - è simbolo di vita: si invoca lo Stato laico, ma lo Stato laico come democratico difende i diritti umani e il primodiquestidirittièquelloalla vita”.IlMedicèprontoadifendere il crocifisso “anche con azioni forti, a promuovere un referendum che rimetta al popolo italiano la decisione di continuare a riconoscersi in quei valori che hanno delineato i confini culturali e spirituali dell’Italia e dell’Europa”. A quei valori che affascinano Licio Gelli.
TAGLI
In un anno 4% di insegnanti in meno
ma i prof di religione sono ancora in crescita
In 12 mesi i bidelli e i tecnici del 6%. L’unico dato in controtendenza, tra quelli forniti dal ministero, riguarda i docenti dell’unica ora facoltativa. Per il resto meno cattedre e classi, e precari espulsi
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - Per la scuola italiana travolta dai tagli, l’unico segno più è per gli insegnanti di Religione. Il ministero dell’Istruzione ha appena pubblicato l’annuale dossier dal titolo "La scuola statale - sintesi dei dati, anno scolastico 2009/2010": il corposo volume di 342 pagine che contiene tutti i numeri dell’anno appena trascorso. Una pubblicazione di routine, che quest’anno però riserva una sorpresa: in mezzo a tanti segni meno, rispetto al 2008/2009 una delle poche voci che cresce è quella dei docenti di Religione. E’ lo stesso ministero a certificarlo.
Il confronto con un anno fa consegna un quadro della scuola italiana con sacrifici per tutti, dagli alunni disabili ai precari, tranne che per gli insegnanti di Religione. Un dato che appare in netta controtendenza col taglio delle classi e con il lento ma graduale spopolamento delle aule quando sale in cattedra il docente individuato dal vescovo. Quella dei docenti che impartiscono l’unica ora di lezione facoltativa prevista dall’ordinamento scolastico italiano è questione che ha destato sempre polemiche.
Quando nel 2004 l’allora ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, pensò di stabilizzarli attraverso due distinti concorsi il mondo politico-sindacale si spaccò in due. Anche perché tra i titoli necessari per accedere al concorso, riservato a coloro che avevano prestato servizio per almeno 4 anni negli ultimi dieci (dal 1993/1994 al 2002/2003), occorreva essere in possesso dell’idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano. Ma il secondo governo Berlusconi non si curò troppo delle polemiche e bandì ugualmente il concorso, che nel settembre 2005 consentì per la prima volta nella storia dello Stato italiano l’immissione in ruolo dei primi 9167 docenti di Religione. Da allora il loro numero è sempre cresciuto, fino alla cifra record (26.326 unità) dell’anno scolastico appena archiviato. I quasi 14 mila prof di ruolo, in leggera flessione rispetto a 12 mesi fa, sono stati abbondantemente compensati dai colleghi precari: 12.446 in tutto.
Nel frattempo, la scuola italiana è stata oggetto di tagli senza precedenti. Nel triennio 2009/2012 spariranno 133 mila cattedre per un totale di 8 miliardi di euro. Ma non solo: l’incremento degli alunni disabili (da 175.778 a 181.177 unità) è stato fronteggiato con un taglio netto di oltre 300 cattedre di sostegno. Quasi 37 mila alunni in più sono stati stipati in 4 mila classi in meno. E sono diminuiti persino i plessi scolastici: 92 in meno. È toccato al personale della scuola pagare il prezzo più alto al risanamento dei conti pubblici. In un solo anno gli insegnanti di ruolo sono calati del 4%, senza nessun recupero da parte dei precari che hanno dovuto salutare quasi 14 mila incarichi con relativo stipendio. Per non parlare del personale di segreteria, dei bidelli e dei tecnici di laboratorio: meno 6% in 12 mesi.
L’anno appena trascorso ha visto anche il varo della riforma Gelmini per il primo ciclo (scuola elementare e media), col calo delle ore di lezione e del tempo prolungato alla scuola media. Ma è stato anche l’anno delle proteste dei dirigenti scolastici per il taglio ai fondi d’istituto e del congelamento per un triennio (dal 2011 al 2013) degli stipendi degli insegnanti.
* la Repubblica, 02 luglio 2010
Laicità in croce
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2010)
Da Bagnasco a Berlusconi, da Bertone a Napolitano: in attesa della sentenza definitiva della Corte europea sul crocifisso si moltiplicano gli interventi. Sorge artificialmente lo spettro di giudici decisi a conculcare il sentimento religioso italiano. Ha detto il capo dello Stato che le sentenze europee “devono essere comunque accettate”. Ma ha soggiunto che la “laicità dell’Europa non può essere concepita e vissuta in termini tali da ferire sentimenti popolari e profondi”. In realtà la Corte di Strasburgo, a novembre scorso, ha sancito un principio pacifico in tanti altri Paesi: l’esposizione nelle aule scolastiche del simbolo religioso (per di più unico simbolo esposto) rappresenta una “violazione della libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni”.
Da allora sono partite pressioni molteplici perché il secondo grado della Corte di Strasburgo sconfessi la prima sentenza. Si è mobilitata la Cei, si è mosso il governo, si sono allertato l’associazionismo cattolico, facendo un gran parlare di identità, tradizioni, libertà. Berlusconi proclama che la decisione “inaccettabile per la stragrande maggiorana degli italiani”, il cardinal Bagnasco chiede il “rispetto della libertà religiosa”, il cardinale Bertone definisce la croce “espressione identitaria, strettamente connessa con la storia e la tradizione dell’Italia come pure dei popoli europei”. In realtà non un solo argomento, portato in campo in questi mesi per difendere la presenza obbligatoria del crocifisso nelle aule e nei tribunali, ha un fondamento. L’Unione europea tranne la pattuglia isolata di Polonia, Irlanda, Italia e Malta - respinse a schiacciante maggioranza dei suoi 27 stati la menzione delle “radici cristiane” nella propria costituzione. Non fu negazione del ruolo del cristianesimo nella storia europea, bensì rifiuto che da un generico richiamo costituzionale potessero scaturire, direttamente o indirettamente, situazioni di privilegio per una religione.
Che l’Europa sovranazionale sia laicista o antireligiosa è falso: infatti il trattato costituzionale prevede un “dialogo permanente” con le varie Chiese. Falso è anche dire che la sentenza respingerebbe la fede nell’ambito angusto del “recinto privato”. Il cristianesimo, come ogni altra fede, è totalmente libero di esprimersi collettivamente e visibilmente nello spazio pubblico e sociale dei paesi Ue. Parlare in Italia di un cristianesimo che rischia di essere conculcato, è una gag.
Ciò che indica la prima sentenza della Corte europea è, correttamente, l’impossibilità che in uno spazio istituzionale come la scuola (o i tribunali) vi sia un simbolo religioso che visivamente rappresenti il supremo principio ispiratore dell’educazione (o della giustizia). Non ci può essere nella società pluralistica contemporanea il dito indice di una sola religione, che all’interno di un’istituzione segni la via da seguire. Perché non è vero che il crocifisso sia nelle aule o nei tribunali “per tradizione”. La croce nei luoghi istituzionali è il retaggio dei secoli in cui il cattolicesimo era religione di stato. E il tentativo di imporne la presenza, anche oggi che la Costituzione e il Concordato hanno eliminato qualsiasi riferimento ad una religione di stato, non ha più nessuna base giuridica. Meno che mai è giustificato il tentativo surrettizio delle gerarchie ecclesiastiche di creare e crearsi uno status privilegiato di “religione di maggioranza”. Peraltro i giovani italiani, come dimostra l’ultima indagine Iard riportata dall’Avvenire, si sentono “cattolici” soltanto al 52 per cento.
Neanche è vero che il cattolicesimo sia un tratto universale dell’identità italiana. Ogni cittadino ha la sua storia, la sua cultura, le sue credenze. Sul piano istituzionale è certo che un solo simbolo, il Tricolore, rappresenta tutti (con buona pace di Bossi) e una sola immagine rappresenta nei luoghi pubblici l’unità della nazione, quella del presidente della Repubblica (Berlusconi se ne faccia una ragione). Da questo punto di vista rimane insuperabile la chiarezza del principio costituzionale americano (nazione assai religiosa e spesso citata da Benedetto XVI come esempio di laicità positiva), secondo cui lo Stato non può “né favorire né contrastare una religione”. Nelle scuole americane c’è la bandiera a stelle e strisce, non il crocifisso.
C’è un accenno interessante nel recente intervento di Napolitano. Il richiamo ad una una laicità “inclusiva”, disponibile ad accogliere ed amalgamare le “tradizioni più diverse”. Se è così, si abbia il coraggio di lasciare scegliere gli alunni se nella propria classe vogliono una parete neutrale oppure tale da accogliere la pluralità dei simboli religiosi e filosofici, che ciascuno sente consono.
O si rispetta la libertà di coscienza come astensione volontaria da qualsiasi marchio o si lascia libera l’espressione di tutti. Decidere, invece, di imporre un simbolo dichiarato unilateralmente valido per tutti è totalitarismo mascherato.
L’obbligo della verità dopo troppi silenzi
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 27 marzo 2010)
Nel caso dei preti pedofili bisognerà evitare almeno che tutto si riduca alla solita diatriba fra clericali e laici. O che ci si metta addirittura a contare i numeri: quanti i pedofili tra i preti, quanti tra i non preti.
Sono cose che abbiamo già visto quando si discuteva su quanti eretici e quante streghe fossero stati mandati a morte dai tribunali della Chiesa cattolica e quanti da altre chiese e da altri poteri. E intanto passava in secondo piano la sofferenza delle vittime e la tenebra dell’intolleranza e si cancellava la responsabilità storica, giuridica, culturale degli assassini.
L’apologetica e la controversia uccidono la verità. E qui la questione della verità è fondamentale: e deve stare a cuore agli uomini di governo della Chiesa più che a chiunque altro se sono capaci di prendere sul serio il loro stesso ufficio e di capire quale sia la tremenda responsabilità che si sono assunti. Per candidarsi al governo delle coscienze bisogna dimostrare di saper rispettare la verità.
L’occultamento del vero, avvenga per trascuratezza burocratica o per malinteso spirito di corpo, uccide la fiducia. Tanto più quando si tratta di una verità orrenda che dovrebbe far tremare chi la viene e a conoscere e dovrebbe accendere di furore, di pena, di fame di giustizia chi ha il compito di governare e di giudicare.
Non per niente a tanti è venuto spontaneo citare la terribile parola del Gesù dei vangeli: bisogna che gli scandali avvengano ma guai a coloro che sono causa degli scandali. La macina al collo e il suicidio come la sola pena adeguata per chi scandalizza questi piccoli: questa la violenza estrema della parola evangelica. Gli echi di questa pagina hanno risuonato nei secoli: le abbiamo ritrovate in un grande capolavoro di Dostoevskij che tutti hanno letto o dovrebbero leggere.
E si ricorderà che Gesù di Nazareth non scendeva nei dettagli. Chissà cosa avrebbe detto delle attenuanti che sono state evocate in questi giorni: l’età del colpevole, il suo stato di salute, il silenzio delle vittime, di quelle creature piccole. Piccole e mute: non solo perché prive dell’uso della parola. Mute, perché per uscire dal buio e dal silenzio senza parole di quella lurida aggressione, al bambino e alla bambina che l’hanno subìta può non bastare una vita intera. Una vita compromessa, avvilita, oscurata per sempre da chi gode della fiducia dei fedeli in grazia del suo abito e della parola evangelica - quella frase, «lasciate che i pargoli vengano a me», si provi a immaginarla sulle labbra del prete pedofilo.
Per questo ci è parso singolarmente infelice il grido «Basta scandali!» che è risuonato in Piazza San Pietro e che ha unito per un attimo il capo della Chiesa cattolica al responsabile della protezione civile italiana. C’è chi davanti al brontolio di tuono della tempesta che ruggiva nel mondo intero e che bussava ormai alle porte dell’ovattato mondo della comunicazione italiana, sempre timoroso e pronto a inginocchiarsi davanti ai poteri consacrati e agli abiti talari ha evocato l’idea di una congiura anticristiana.
Ma simili bassi servigi hanno il torto di nascondere agli occhi degli italiani la gravità del problema. Non solo per la Chiesa: anche per il nostro paese che non può permettersi di subire tutta insieme la vergogna dell’ondata di discredito internazionale che si abbatte oggi sui due volti che lo rappresentano nel mondo: e passi pure che l’opinione pubblica rida di noi per le grottesche performances di un leader politico che dichiara guerra al cancro. Ma se la tempesta si abbatte sul papa di Roma e sulle autorità cattoliche, allora sì che le fondamenta storiche del Paese sono scosse.
E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al Sant’Uffizio dell’Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i colpevoli: in realtà era la via d’uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia: Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l’intero corpus del diritto canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del popolo cristiano.
La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l’obbligo del celibato ecclesiastico, preparò un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile del Sant’Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il buon nome del clero: fino a oggi. E il segreto è diventato anche più fitto e ha coperto altre e più gravi turpitudini quando, per opera del cardinal Alfredo Ottaviani prefetto del Sant’Uffizio, fu approvata una istruzione per il «crimen sollicitationis» immediatamente sepolta nel segreto dei palazzi vaticani.
Quella istruzione imponeva un segreto assoluto sulle materie relative non solo al reato di «sollicitatio» ma anche a quello che veniva definito il «crimine pessimo»: cioè l’atto sessuale compiuto da un chierico con fanciulli impuberi dei due sessi o con animali. Chissà perché al cardinal Ottaviani venne in mente di includere anche questo nuovo versante del crimine sotto l’antico mantello protettivo.
Il Sant’Uffizio scomparve ufficialmente dalla nomenclatura istituzionale vaticana nel 1965 e Ottaviani uscì di scena, mentre il Concilio Vaticano II sembrava aprire scenari nuovi: scenari di fiducia verso il mondo moderno incluso il principio fondamentale fra tutti della trasparenza e della verità come obbligo dei governanti verso i governati. Ma concluso il concilio il vento cambiò. E la nuova Congregazione per la dottrina della fede fece sua l’istruzione del cardinal Ottaviani. Un documento ufficiale della Congregazione governata dal prefetto cardinal Joseph Ratzinger datata 18 maggio 2002 ne riprese la sostanza. Si intitola «De delictis gravioribus». Dunque il cardinal Ratzinger ha coperto con quel segreto specialissimo le vicende che per il suo ufficio doveva conoscere e governare.
Oggi non per sua scelta ma per la pressione di un mondo in rivolta gli si pone nella sua nuova veste il problema di decidere quale percorso proporre alla Chiesa cattolica. Ed è un singolare esempio dei corsi e ricorsi storici che tocchi di nuovo a un papa tedesco, il secondo dell’età moderna dopo quell’Adriano VI che dovette fare i conti con la Riforma luterana, affrontare un problema che ha trovato specialmente nella coscienza della Germania un’eco profonda: un problema che ripropone ancora una volta e su di una materia terribile la questione della capacità della Chiesa di interpretare i segni dei tempi. Si tratta di decidere se conservare o abbandonare quello che è stato fin dall’inizio uno strumento per difendere dalla verità e dalla giustizia i membri del clero.
Bagnasco: "La politica sia trasparente votate contro l’aborto e per la vita" *
ROMA - Non ci possono essere "alibi preventivi" o "coperture impossibili" per quei politici o amministratori che rubano, per proprio tornaconto personale, dalla "cosa pubblica", con "grave scandalo dei cittadini comuni". E’ severo il giudizio espresso dal presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco che, aprendo stasera i lavori del Consiglio episcopale permanente, esorta gli uomini di Stato a porre fine "a comportamenti iniqui" e " contiguità affaristiche", e a tornare "sul piano della politica vera". E alla politica arriva anche un’indicazione precisa. La difesa della vita umana, innanzitutto dal "delitto incommensurabile" dell’aborto in tutte le sue forme, è uno dei valori "non negoziabili" in base al quale i cattolici devono votare nelle prossime regionali.
Pedofilia e Chiesa. Nessuna minimizzazione del problema degli abusi sessuali commessi da sacerdoti ma nessuna accusa generalizzata alla Chiesa. Perché la pedofilia è diffusa in molti ambiente e non solo nella Chiesa. "Nel momento stesso in cui sente su di sè l’umiliazione, la Chiesa - spiega Bagnasco - impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla. Questo però non significa subire, qualora ci fossero, strategie di discredito generalizzato". I vescovi italiani. continua il cardinale, hanno applicato per tempo le severe norme stabilite dal Vaticano contro i preti pedofili.
Celibato. I vescovi non vogliono "mettere in discussione il sacro celibato che ci scalda il cuore e ispira la vita". E questo nemmeno sull’onda di campagne di stampa che accostano il celibato a problemi che sono ben diversi. "Essere preti - spiega Bagnasco - è qualcosa di più di una semplice decisione morale, ma una risposta d’amore ad una dichiarazione d’amore". Bagnasco si rivolge agli uomini di Chiesa per incoraggiarli: "Siate sereni sapendo che le nostre comunita’ hanno fiducia in voi e vi affiancano con lo sguardo della fede e le esigenze dell’amore evangelico. Il sacerdote non è un disagiato, nè uno scompensato, benchè il clima culturale odierno non faciliti certo la crescita armonica di alcuno. Il sacerdote è un uomo che, non solo nel tempo del seminario, coltiva la propria umanità nel fuoco dell’amore di Gesu’".
Crisi economica. ’’Le crisi non si superano tagliando semplicemente i posti di lavoro e arrendendosi alla logica della remunerazione di breve periodo, ma anzitutto sforzandosi di immaginare il nuovo, ricercando innovazione di prodotto insieme a strategie di sistema, in una parola perseguendo senza ingenuita’ cio’ che da sempre connota il progresso autentico di un’economia’’. Il presidente della Cei torna sulla difficile situazione economica e sulle ricadute occupazioni che comporta. "E’ necessario, all’insorgere delle difficolta’, ricercare un dialogo inesausto tra le parti, ed esplorare tutte le possibili soluzioni, avendo come riferimento costante il vero interesse di quanti formano la comunita’ d’impresa’’.
L’arcivescovo di Genova si sofferma sui ’’casi di suicidi verificatisi negli ultimi mesi tra i lavoratori minacciati dalla crisi, ma anche tra i piccoli imprenditori, in particolare del Nord-est, che nell’impossibilita’ a far fronte agli impegni nei confronti dei propri dipendenti disperatamente non scorgono alternative diverse dal tragico gesto’’. Sono gesti, ha commentato, che dicono che ’’si e’ dinanzi ad una coscienziosita’ tirata allo spasimo, fino ad essere inaccettabilmente indirizzata contro se stessi’’. A subire gli effetti della crisi sono soprattutto i giovani ’’che gia’ costituivano la fascia di popolazione piu’ in sofferenza perche’ meno garantiti e poco sussidiati nel loro tuffo verso la vita’’ e che ’’oggi rischiano di demoralizzarsi definitivamente’’, e i meridionali, che ’’tendono a trasferirsi al Settentrione, ma gia’ e’ iniziato il fenomeno inverso, quello della gente del Sud che, perdendo il lavoro al Nord, torna a casa’’.
* la Repubblica,22 marzo 2010
Il Papa, Ruini e la rivolta degli atei devoti
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano” , 11 febbraio 2010)
Sulla Curia attonita è calata la parola di Benedetto XVI in difesa di Bertone e di Vian. Ma ora è la rivolta degli atei devoti. Ferrara sbeffeggia il comunicato e il Giornale irride: “Il Papa fuori dalla grazia di Dio”.
Eccoli i rimasugli imprevisti e velenosi del lungo regno del cardinal Ruini, che dopo il crollo della Dc pensò di posizionare la Chiesa al centro del gioco politico. Scegliendosi alleati in campo cosiddetto “laico”, difensori improvvisati di un cristianesimo senza Cristo, araldi dell’identità cattolica d’Italia nel nome di un Vangelo agitato come libretto di Mao. Contro gli “uomini di Bertone” lancia frecciate sprezzanti Giuliano Ferrara, evangelista del pensiero ratzingeriano e infaticabile combattente a fianco delle gerarchie ecclesiastiche contro la 194 o i Dico o il testamento biologico.
La smentita vaticana, motteggia, è “squillante e molto tardiva”, di una “violenza verbale inconcludente”, stilata per “silenziare e mettere alla gogna l’informazione laica, libera, amica che denuncia il fattaccio”.
Doveva succedere prima o poi. Se la Chiesa, durante il ventennio ruiniano, è stata gestita come soggetto partitico, manovrata come un Comitato centrale per organizzare astensioni ai referendum, animare manifestazioni di piazza contro disegni di legge, intimidire governi... doveva finire che i mass media la considerassero alla stregua di un partito come gli altri, con le sue fazioni e i suoi intrighi, e che gli “alleati” di ieri si lanciassero a gettare benzina sulle divisioni interne come succede nel teatrino politico.
L’iperpoliticizzazione ruiniana ha condotto la Chiesa a perdere la sua “diversità”. Perché una cosa è combattersi nei ranghi ecclesiali su temi come il Concilio, il negazionismo, la sessualità, il rapporto con l’islam, altro è lasciare che venga proiettata l’immagine di corvi che portano pacchi maleodoranti di nido in nudo.
Un tale degrado d’immagine non si era mai visto in epoca contemporanea. E il verminaio è stato prodotto proprio da coloro che la strategia ruiniana aveva eletto come punta di diamante dell’inf luenza cattolica in partibus infidelium.
Gli elefantini allegramente neo-integralisti, “alla laica”, il cardinale Ruini, da presidente della Cei, se li era bene allevati. Facevano da pendant perfetto agli arditi ciellini. Gli ossequienti alla Ferrara tornavano utili per dare smalto al Comitato Scienza e Vita (sapiente mix di cattolici e agnostici), messo in piedi dietro le quinte dall’allora dirigenza Cei, per imporre la linea astensionista al referendum sulla fecondazione assistita.
Tornavano utili per predicare contro le “stragi” dell’aborto e buttare bombe intellettuali contro l’I l l u m i n ismo, nell’esaltazione delle perenni “radici cristiane” dell’Italia e dell’E u ro p a Nel 2006 al convegno nazionale della Chiesa italiana a Verona il cardinal Ruini incoraggiò Benedetto XVI all’e l ogio degli atei devoti, portati in palmo di mano perché erano testimoni dell’“insuf ficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’e t ica troppo individualista”. Elogiati perché sensibili alla “gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà”. Erano - s c a ndì Benedetto XVI - una “grande opportunità” che la Chiesa italiana doveva “cogliere”.
Si è visto. In queste settimane la “grande opportunità” ha armato la canizza assieme ai ciellini e ai falchi ruiniani contro l’Osservatore Romano per mettere al tappeto il cardinale Bertone. E adesso che il Papa (malvolentieri, peraltro) è dovuto intervenire di persona, Ferrara demolisce il comunicato, smontandone la “violenza verbale inconcludente ” e accusando nuovamente Vian di avere avvalorato la “cacciata di uno stimato giornalista cattolico” come Boffo. Mentre il G i o rnale, in passato estremamente rispettoso nei confronti della Chiesa, invita il Papa a informarsi “in tre minuti” della fondatezza della condanna per molestie di Boffo. In questo girotondo di bande il mondo dei fedeli cattolici appare ferito, disgustato e disorientato.
Alcuni punti fermi sono tuttavia acquisiti. La “velina”, che Feltri pubblicò l’agosto scorso, è nata in ambienti cattolici milanesi: avversari di Boffo per la concentrazione di potere avvenuta nelle sue mani come zar del sistema mediatico cattolico (Avvenire, la televisione della Cei, la rete delle radio cattoliche) e come portavoce politico di Ruini ormai in pensione. La “velina” è stata spedita in primavera, con buste e francobolli vaticani, all’indirizzo di circa duecento vescovi. Sarebbe morta nei cassetti se Feltri non l’avesse messa in pagina per punire Boffo, reo di avere criticato su Avvenire Berlusconi per l’affare escort. Il paradosso è che Boffo, solo premuto dalla base cattolica e con l’assenso del nuovo presidente della Cei Bagnasco, aveva attaccato il premier. Prima dello scandalo aveva sempre seguito la linea Ruini favorevole al centro-destra. Anche Bertone, il “nemico” di Ruini, è peraltro favorevole al centrodestra. Perciò fece intervenire ai primi di settembre Vian con un’intervista al Corriere della Sera per bacchettare l’Avvenire: proprio per salvaguardare i buoni rapporti istituzionali con Berlusconi. Un gioco degli specchi.
Emarginato Boffo, si sono mossi ora a gennaio gli atei devoti e manipoli ciellini e ruiniani per “ridare l’onore” all’ex direttore dell’Avvenire e mettere in difficoltà Bertone diventato troppo potente in Vaticano. Ma nel polverone del campo di battaglia si stagliano alcuni fatti precisi. Feltri dichiara chiuso il caso e annuncia che non “rivelerà” nomi. (E Berlusconi, con le elezioni incombenti, dichiara d’i mprovviso di essere tanto dispiaciuto per gli attacchi portati a Boffo a mezzo stampa).
Bagnasco continua in silenzio la sua “linea pastorale” né con Bertone né con Ruini. E lo scarno comunicato Cei testimonia la volontà di non mettere neanche un dito nel verminaio. I grandi porporati della Chiesa italiana - Scola, Sepe, Tettamanzi, futuri protagonisti del Conclave - tacciono, per mostrarsi superiori a queste miserie. E i cardinali di Curia stranieri sospirano: “Robe tutte italiane”.
Lo Ior e il Vaticano
risponde Luigi Cancrini (l’Unità, 30.01.10)
Non posso fare a meno di ringraziare Margherita Hack che a «Otto e mezzo» ci ha ricordato che in Italia oggi comanda un Vaticano che, francamente, non mi pare intenzionato a diffondere il messaggio evangelico sull’eguaglianza degli uomini, ma quello più redditizio del profitto economico.
Silvana Stefanelli
RISPOSTA
In «Qualunque cosa succeda» (Sironi editore), dedicato alla memoria di suo padre Giorgio, Umberto Ambrosoli ha lucidamente ricostruito l’imbroglio che Sindona aveva organizzato ai danni del nostro paese. C’erano, con lui, la Democrazia Cristiana di Andreotti e lo Ior, la banca del Vaticano legata alla P2 che tanta parte ha avuto nella vicenda politica italiana del secondo dopoguerra. Margherita Hack fa bene a ripeterlo, c’è una continuità impressionante fra quello che accadeva allora e quello che accade oggi che a capo del Governo c’è un uomo che nella P2 ha iniziato la sua carriera. Di lui infatti il Vaticano (che la rappresenta ma, per fortuna, non è la Chiesa) ha sfacciatamente auspicato e favorito (scendendo in capo col Family Day) il ritorno al potere. Continuando a godere senza problemi di coscienza i frutti di questo appoggio: la spregiudicatezza della finanza tanto cara agli uomini (o ai prelati) dello Ior, la tutela degli insegnanti di religione nominati dai Vescovi nella scuola pubblica e la difesa di leggi (l’ultima è il testamento biologico) ipocritamente confessionali. Come con la Dc di Sindona.
Roma sfida l’Europa per difendere il crocifisso
di il manifesto (il manifesto, 22 gennaio 2010)
Galeotto, probabilmente, fu l’incontro nel pieno delle polemiche sull’approvazione del processo breve al Senato tra il premier Silvio Berlusconi e l’ex capo dei vescovi italiani Camillo Ruini avvenuto proprio l’altro ieri. Fatto sta che ieri mattina il «gran visir» Gianni Letta ha dato l’annuncio, in occasione della presentazione del libro «I viaggi di Benedetto XVI in Italia»: «Il ricorso italiano contro la sentenza della Corte di Strasburgo sull’esposizione dei crocifissi nei luoghi pubblici è pronto - ha spiegato - proprio stamane c’è stato un incontro alla Farnesina per mettere a punto gli ultimi dettagli».
Nella cornice dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede, Letta ha definito la decisione della Corte di Strasburgo «il grave torto», e ha aggiunto: «Abbiamo fiducia che il nostro ricorso possa trovare accoglimento, anche perché sono molti i paesi europei che stanno venendo sempre più numerosi a sostegno dell’azione italiana». Presto dunque al Consiglio d’Europa andrà in onda l’ennesima puntata della lunga saga sul crocifisso.
La Corte, pochi mesi fa, aveva accolto il ricorso di una cittadina italiana di origini finlandesi Soile Lautsi che da quasi dieci anni si batte perché nelle aule scolastiche non sia esposto il crocifisso. Secondo i magistrati del Consiglio d’Europa, con sentenza emessa all’unanimità, la presenza del crocifisso in classe condiziona l’educazione degli studenti che possono interpretarlo come simbolo di una religione ufficiale. E, riscontrando la violazione degli articoli della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo riguardanti i diritti all’istruzione e alla libertà di pensiero, coscienza e religione, la Corte ha condannato l’Italia a risarcire con cinquemila euro la Lautsi per danni morali.
Sin da subito il governo si è schierato contro la decisione della Corte europea, promettendo di fare ricorso. Ma poi non se ne aveva più avuto notizia. Ieri, l’annuncio del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Letta, che parla a poche ore dall’incontro tra il premier e Ruini.
L’approvazione della Chiesa non si è fatta attendere: «Quella del governo italiano è un’iniziativa da apprezzare e da lodare», ha detto il presidente della Cei Angelo Bagnasco. «La sentenza - ha aggiunto il cardinale - veramente va contro non solo all’oggettività della storia europea ma anche al sentire popolare, della gente».
«La famiglia, icona di Dio»
di Benedetto XVI (Avvenire, 27.12.2009)
Cari fratelli e sorelle!
Ricorre oggi la domenica della Santa Famiglia. Possiamo ancora immedesimarci nei pastori di Betlemme che, appena ricevuto l’annuncio dall’angelo, accorsero in fretta alla grotta e trovarono “Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2,16). Fermiamoci anche noi a contemplare questa scena, e riflettiamo sul suo significato. I primi testimoni della nascita del Cristo, i pastori, si trovarono di fronte non solo il Bambino Gesù, ma una piccola famiglia: mamma, papà e figlio appena nato. Dio ha voluto rivelarsi nascendo in una famiglia umana, e perciò la famiglia umana è diventata icona di Dio! Dio è Trinità, è comunione d’amore, e la famiglia ne è, in tutta la differenza esistente tra il Mistero di Dio e la sua creatura umana, un’espressione che riflette il Mistero insondabile del Dio amore. L’uomo e la donna, creati ad immagine di Dio, diventano nel matrimonio “un’unica carne” (Gen 2,24), cioè una comunione di amore che genera nuova vita. La famiglia umana, in un certo senso, è icona della Trinità per l’amore interpersonale e per la fecondità dell’amore.
La liturgia odierna propone il celebre episodio evangelico di Gesù dodicenne che rimane nel Tempio, a Gerusalemme, all’insaputa dei suoi genitori, i quali, stupiti e preoccupati, ve lo ritrovano dopo tre giorni mentre discute con i dottori. Alla madre che gli chiede spiegazioni, Gesù risponde che deve “essere nella proprietà", nella casa del suo Padre, cioè di Dio (cfr Lc 2,49). In questo episodio il ragazzo Gesù ci appare pieno di zelo per Dio e per il Tempio. Domandiamoci: da chi aveva appreso Gesù l’amore per le “cose” del Padre suo? Certamente come figlio ha avuto un’intima conoscenza del Padre suo, di Dio, una profonda relazione personale permanente con Lui, ma, nella sua cultura concreta, ha certamente imparato le preghiere, l’amore verso il Tempio e le Istituzioni di Israele dai propri genitori.
Dunque, possiamo affermare che la decisione di Gesù di rimanere nel Tempio era soprattutto frutto della sua intima relazione col Padre, ma anche frutto dell’educazione ricevuta da Maria e da Giuseppe. Qui possiamo intravedere il senso autentico dell’educazione cristiana: essa è il frutto di una collaborazione sempre da ricercare tra gli educatori e Dio. La famiglia cristiana è consapevole che i figli sono dono e progetto di Dio. Pertanto, non li può considerare come proprio possesso, ma, servendo in essi il disegno di Dio, è chiamata ad educarli alla libertà più grande, che è proprio quella di dire “sì” a Dio per fare la sua volontà. Di questo “sì” la Vergine Maria è l’esempio perfetto. A lei affidiamo tutte le famiglie, pregando in particolare per la loro preziosa missione educativa.
Benedetto XVI ha tenuto il tradizionale discorso di inizio anno al corpo
diplomatico accreditato presso la Santa Sede
Molti i temi affrontati legati da un forte appello alla difesa del
creato "minacciato dalla mentalità egoistica e materialistica"
Appello del Papa in difesa di pace e ambiente
"Egoismo crea danni al creato e all’economia" *
CITTA’ DEL VATICANO - L’egoismo alla base della recente crisi economica è la stessa causa del degrado ambientale, secondo il Papa, che fa appello ad un accordo internazionale dopo la conferenza di Copenaghen. Facendo l’esempio dei regimi comunisti, in particolare, il Papa ha affermato: "La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione". In occasione del tradizionale discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha affrontato molti temi, legando il suo lungo discorso alle tematiche ambientali.
Crisi economica. Benedetto XVI ha citato la "drammatica crisi che ha colpito l`economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa instabilità sociale". "Con l’enciclica caritas in veritate - ha proseguito - ho invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato".
Comunismo e danni ambientali. Il Papa, in particolare, ha citato il comunismo: "Vent’anni fa, quando cadde il muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione. Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio".
Accordo sull’ambiente. In questo senso, il Papa, dopo aver citato la conferenza di Copenaghen, ha aggiunto: "Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune nazioni, in particolare, alcuni stati insulari".
"Corretta gestione delle risorse naturali". ’’Per coltivare la pace, bisogna custodire il creato", ha detto con forza papa Benedetto XVI. Il Papa ha ricordato ’’che la lotta per l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni’’. ’’Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia della creazione implica - ha poi aggiunto il Pontefice - una corretta gestione delle risorse naturali dei Paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati’’. Il Papa ha voluto rivolgere un pensiero particolare al Continente africano ricordando come ’’l’erosione e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile’’ avviene anche ’’a causa dello sfruttamento sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente’’. ’’In Africa, come altrove - ha quindi aggiunto - è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti’’.
Difesa della natura e della vita umana. La Chiesa Cattolica benedice quanto viene detto e fatto a difesa della natura. "Occorre tuttavia - ha precisato il Papa - che tale attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle grandi sfide che si pongono all’umanità". "Se si vuole edificare una vera pace", infatti non è possibile "separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita". "E’ nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa - ha spiegato agli ambasciatori - che si manifesta il suo senso di responsabilità verso il creato: l’uomo rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo".
Appello ai terroristi. Il terrorismo rappresenta una minaccia che "mette in pericolo un così gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia", ha sottolineato papa Benedetto XVI rinnovando il suo appello a "quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace".
Stop alla produzione delle armi. Nel corso del suo lungo discorso, il Papa ha indicato ’’fra le tante sfide’’ lanciate dalla necessità di salvaguardare il pianeta, in un contesto di pace e giustizia, anche quella ’’dell’aumento delle spese militari, nonché quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei popoli, soprattutto di quelli più poveri’’, ha notato papa Ratzinger. ’’Confido, fermamente - ha quindi aggiunto - che nella conferenza di esame del trattato di non-proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari’’.
’’Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur, in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo - ha poi detto - All’incapacità delle parti direttamente coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti, si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino l’ambiente’’.
Medio Oriente. Benedetto XVI è tornato anche sul tema del Medio Oriente. "Ancora una volta - ha detto - levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente".
"Mi preme inoltre - ha aggiunto - sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale". "Solo così - ha affermato il Papa - questa città unica, santa e tormentata, potrà essere segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana".
Europa e cristianesimo. In "alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffonde negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e talvolta di ostilità, per non dire di disprezzo, verso la religione, in particolare quella cristiana", ha denunciato papa Benedetto XVI. "Urge", ha aggiunto il Papa riferendosi in particolare all’Unione europea, "definire una laicità positiva e aperta" che "riconosca il ruolo pubblico" della comunità dei credenti.
Droga. Il Papa ha chiesto alla comunità internazionale "che non si rassegni al traffico di droga e ai gravi problemi morali e sociali che essa genera". Ha sollecitato perciò, durante l’udienza concessa al Corpo diplomatico presso la Santa Sede" a "custodire il creato con la riconversione di tali attività, e ad adottare "scelte politiche ed economiche che assicurino "forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti".
Immigrati. Nuovo appello alle autorità pubbliche perché seguano la via della ’’giustizia, della solidarieta’ e della lungimiranza’’ nel trattare i migranti. ’’Le gravi violenze, unite ai flagelli della poverta’ e della fame, come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra’’, ha ricordato il Papa. ’’Di fronte a tale esodo - ha quindi detto - invito le Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza’’.
Nozze gay. Benedetto XVI ha criticato le leggi sulle unioni omosessuali e sul matrimonio gay che sono state approvate in alcuni Paesi europei e americani. Il riferimento era al Portogallo, al distretto Federale di Città del Messico dove sono le nozze omosessuali sono diventate legge, e all’Argentina dove una legge in materia è in discussione mentre nello Stato della Tierra del fuego, sempre in Argentina, nei giorni scorsi è stato celebrato il primo matrimonio gay dell’America Latina con il permesso del governatore. "Le creature sono differenti le une dalle altre - ha detto il Papa - e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi, come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti, che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra i sessi".
"Mi riferisco, per esempio - ha aggiunto il Pontefice - ad alcuni Paesi europei o del Continente americano". "La libertà - ha spiegato - non può essere assoluta, perchè l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore".
Iran. Il Papa nel suo discorso ha fatto anche riferimento alla difficile situazione in Iran. Ratzinger ha auspicato per l’Iran che ’’attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale’’. ’’Per amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione - ha poi aggiunto - esorto i governanti e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese’’.
* la Repubblica, 11 gennaio 2010
La retorica delle “riforme”
di Nadia Urbinati (la Repubblica, 28.12.2009)
Nel discorso politico attuale, molta ipocrisia e molti pericoli per la nostra democrazia. “Riforma” è la parola passepartout della politica italiana. Non c’è discorso politico che non la contempli.
Negli anni della cosiddetta prima repubblica era la sinistra parlamentare che la invocava per marcare la fedeltà alla democrazia costituzionale e un’identità non rivoluzionaria. “Riforme di struttura” era una delle espressioni più spesso pronunciate nel Partito comunista (e per qualche tempo anche in quello socialista): voleva dire portare la democrazia oltre le istituzioni politiche; estendere i metodi elettivi di selezione e controllo nei luoghi di lavoro e nelle scuole; fare politiche di redistribuzioni per dare al maggior numero possibilità concrete di esercitare la cittadinanza. Questa è stata dal 1948 in poi, l’utopia riformatrice italiana.
Alcune riforme importanti sono state fatte: gli Anni 70, ci hanno dato il decentramento amministrativo, un sistema sanitario e di previdenza nazionali, la pratica della concertazione tra le parti sociali per risolvere contenziosi sulle dinamiche salariali, le politiche occupazionali e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Il termine riforma ha per decenni significato incremento e ampliamento della democrazia.
A partire dalla fine della Guerra fredda e del consenso largo che l’ha accompagnata, “riforma” è diventata una formula sulla quale si sono stabilizzati partiti nuovi o rinnovati nella convinzione che la crisi del sistema politico fosse essenzialmente una questione di ingegneria istituzionale e di tecnica elettorale. La retorica della riforma ha così cominciato a transitare dal sociale all’istituzionale. A partire dai referendum elettorali che si sono succeduti negli ultimi due decenni, le “riforme istituzionali” hanno sostituito nel linguaggio partitico le “riforme di struttura”, con una modifica radicale: non solo i partiti di opposizione ma anche quelli di governo hanno preso a dirsi riformatori o riformisti.
Oggi, tutti auspicano, propongono, vogliono riforme, con il risultato che il termine ha perso il significato che nella tradizione politica moderna ha generalmente avuto: realizzare le promesse scritte nella carta dei diritti costituzionali. L’esito è che riformare può anche significare smantellare quelle promesse: per esempio decurtando i diritti sociali, impoverendo la scuola pubblica, istituendo un federalismo che ricusa la solidarietà nazionale. Infine, dalla nascita di Forza Italia ad oggi, e con una responsabilità nemmeno troppo velata dello schieramento opposto, la retorica delle riforme ha fatalmente esteso le sue mire sulla Costituzione e il sistema di giustizia. Non c’è settore della vita pubblica sul quale i nostri politici non si dilettino con proposte a volte bislacche e immaginifiche, sempre sollevando lo spettro dell’emergenza. La retorica delle riforme segue i cicli delle fortune politiche di chi la usa, la rilancia o l’atterra. Tutto il paese, noi tutti, dipendiamo da questi cicli e da questi leader guicciardiniani.
Con la recente riorganizzazione del Pd, la retorica delle riforme è tornata a fare da centro magnetico del discorso pubblico. Sul tappeto, non c’è la realizzazione delle promesse della democrazia, ma invece l’urgente bisogno del presidente del Consiglio di tutelarsi da possibili futuri guai giudiziari. L’attacco ai giudici comunisti si sta mescolando, colpevole il recente grave attentato alla sua persona, alla predica buonista della grande riconciliazione: “concordia” è la parola che torna spesso in questi giorni; non perché siamo in clima natalizio e la bontà di cuore è di pragmatica, ma perché si deve riuscire a convincere l’opinione pubblica che senza un intervento urgente per salvare il premier, sarà l’Italia intera a rimetterci. Bisogna far credere agli italiani l’opposto di quel che è, poiché è evidente che non è l’Italia ad aver bisogno di “queste” riforme.
Occorrerebbe aver il coraggio di dire che occorre conservare, non riformare: l’Italia ha urgente bisogno di conservare lo stato di diritto e il governo della legge. Scriveva Massimo Giannini su queste pagine alcuni giorni fa che esiste un condizionamento ferreo per il quale «se non c’è lo scudo processuale a breve per il suo capo, a prescindere dal tempo lungo delle modifiche per via costituzionale del Lodo Alfano e dell’immunità parlamentare, il Pdl non può concepire altre riforme di struttura». In sostanza, la maggioranza non è autonoma; la sua politica è direttamente dipendente dalla necessità di “queste” riforme, e con essa lo è la vita intera del nostro paese.
Questa mancanza di autonomia politica della maggioranza non può essere trascurata dalle opposizioni. Anni fa si cercò con una regìa non dissimile di imbastire una bicamerale. Quale che fosse l’intenzione ragionata, si trattò di una politica improvvida perché ha abituato i politici a usare la nostra costituzione come merce di scambio per creare o affossare alleanze. In quell’occasione, i leader politici (allora al governo) non ebbero l’acume di imbrigliare il potere dell’interlocutore prima di farci compromessi politici. Non fecero caso al fatto che solo tra eguali ci si può accordare perché chi ha un potere sovrastante fa quel che vuole e non onora gli accordi. Ora si ripropone uno scenario simile, con l’aggravante che quel potere esorbitante governa il paese e l’opinione pubblica. Non si tratta di resistere alle sirene della concordia per ragioni di pragmatismo, una forma nobile di politica che non ha nulla a che fare con il trasformismo (“inciucio” in gergo). E nemmeno di appellarsi alla fiducia nelle buone intenzioni del premier. Il veto viene da un fatto più semplice e che domina l’arena politica con la forza di una legge naturale: chi vuole “queste” riforme non può permettersi di ottenerne altre rispetto a quelle di cui ha urgente bisogno.
Cei, i vescovi in assemblea ad Assisi
Bagnasco: "Basta odio, serve disarmo"
ASSISI - Basta con un clima di odio "pericoloso" per l’Italia, basta con una "conflittualità sistematica" che abbandona i cittadini a se stessi e li porta a disaffezionarsi verso la loro nazione: con un forte appello al "disarmo" nella vita pubblica il presidente dei vescovi italiani, cardinal Angelo Bagnasco, ha aperto stasera ad Assisi la sessantesima assemblea generale della Cei. A tutti gli schieramenti ha chiesto "onestà intellettuale", "buona volonta" e il superamento di "matrici ideologiche" che sembrano "rigurgitare da un passato che non vuole realmente passare".
Clima politico. "E’ necessario e urgente svelenire il clima generale, perché da una conflittualità sistematica, perseguita con ogni mezzo e a qualunque costo, si passi subito ad un confronto leale per il bene dei cittadini e del Paese intero", dice il presidente Cei. "Ci piacerebbe - spiega il presidente dei vescovi italiani - che, nel riconoscimento di una sana, per quanto vivace, dialettica, inseparabile dal costume democratico, si arrivasse ad una sorta di disarmo rispetto alla prassi più bellicosa, che è anche la più inconcludente".
Scuole cattoliche. L’auspicio che i fondi destinati al sistema dell’istruzione non statale, cioè alla scuola libera non siano tagliati nella prossima Finanziaria è stato formulato dal cardinal Bagnasco. "Ci si augura - ha detto il presidente della Cei - che le cifre inizialmente previste con decurtazioni consistenti, possano essere prontamente reintegrate in modo da consentire agli enti erogatori dei servizi di mantenere gli impegni già assunti".
Crisi economica. L’Italia "oggi come non mai" dovrebbe rivelarsi "scattante" per "cogliere al balzo i cenni di uscita dalla crisi e potenziarli, così da accorciare le sofferenze che la situazione dell’economia mondiale ha finito per scaricare sulle categorie più deboli, specialmente sul fronte del posto del lavoro", sottolinea Bagnasco. "Il Paese - osserva il porporato - deve tornare a crescere, perché questa è la condizione fondamentale per una giustizia sociale che migliori le condizioni del nostro Meridione, dei giovani senza garanzie, delle famiglie monoreddito".
Imprenditori. Nella sua prolusione, Bagnasco incoraggia poi l’imprenditoria italiana a farsi onore anche all’estero. "Una creatività operosa, una collaudata professionalità, una generosità solidale qualificano solitamente - rileva il presidente della Cei - l’apporto italiano ovunque si esplichi nel mondo, ben oltre gli stereotipi ingenerosi".
Immigrati. "Il nostro Paese, con la sua esposizione geografica, quasi a ponte tra Nord e Sud del mondo, è chiamato a rinvigorire la propria tradizionale apertura ai popoli africani, aiutandoli anzitutto a promuovere il loro sviluppo interno", afferma il presidente della Cei. Bagnasco esorta a trovare "le formule più adeguate per un partenariato in grado di onorare la nostra e altrui dignità".
Africa. Dopo aver fortemente rimproverato in più occasioni le manipolazioni delle parole del Papa riguardo all’Aids e i preservativi, Bagnasco, torna a lamentare che nuovi interventi di Benedetto XVI sull’Africa, in particolare in occasione del Sinodo, "hanno avuto un ascolto debole, anche per il rilancio troppo flebile che i media internazionali hanno riservato a questo appuntamento". L’Italia, auspica il presidente della Cei, è chiamata a "rinvigorire la propria tradizionale apertura ai paesi africani" in un partenariato "in grado di onorare la nostra e altrui dignità":
Sudan. "Anche il nostro è tempo di martiri, per quanto ai popoli della libertà talora sprecata possa sembrare incredibile, e quasi impossibile", afferma Bagnasco. Il presidente della Cei rileva la "risonanza" che ha avuto nelle settimane scorse, "ma assai di più ne avrebbe meritato", l’annuncio "choccante" che sette cristiani sono stati orribilmente uccisi nel Sudan meridionale "in una macabra parodia della crocifissione".
L’Aquila e Messina. Le tragedie per cause naturali che "ciclicamente colpiscono il territorio nazionale", come quelle verificatesi all’Abruzzo e a Messina, dice Bagnasco, "invocano una disponibilità da parte di tutte le forze politiche a scelte risolutive sulle annose questioni che rendono debole il sistema-Italia".
Media. Nel rapporto tra la Chiesa e i media "si annidano alcuni motivi di sofferenza". "Non di rado - denuncia il presidente della Cei - c’è, da una parte, una sottovalutazione del concreto-essenziale nella vita della Chiesa, di ciò che le consente di essere nonostante tutte le resistenze e le avversità, e - dall’altra - la tendenza a far figurare preponderante ciò che non lo è". Secondo Bagansco, "quando si trascura o si ignora il quadro delle priorità nel quale si collocano i singoli eventi o pronunciamenti del Pontefice e dell’Episcopato diventa difficile evitare rappresentazioni parziali o fuorvianti, critiche ideologiche e finanche preconcette, letture volte ad attribuire intenzioni o parole che non hanno motivo di esserci in quei termini".
"In ogni singola circostanza - spiega con le parole del Papa - alla Chiesa preme, in nome del Vangelo, partecipare alla vita del Paese, e portare il proprio contributo nel libero dibattito culturale e sociale lieta e grata di essere raccontata dai media per gli argomenti che ella attinge dalla fede come dalla ragione". Bagnasco sottolinea che "nel corso dei lavori assembleari" i vescovi parleranno dell’immagine della Chiesa "nella sua proiezione mediatica", ma nella prolusione si astiene dal "fare anticipazioni". E così i nomi dei successori di Dino Boffo alla guida di Avvenire, Sat 2000e Radio In Blu restano ancora sconosciuti.
Crocifisso. Di fronte alla ’’surreale’’ sentenza emessa dalla Corte europea di Strasburgo a proposito della presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane, ’’bene ha fatto il Governo ad annunciare ricorso’’. Dice Bagnasco che parla di una sentenza ’’sorprendente’’ e ’’alquanto surreale’’. "Un’impostura" di minoranze esigue che rischiano di far allontanare l’Europa dalla gente.
Il Muro di Berlino. A vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, l’Europa, afferma il presidente della Cei "ha ripreso a respirare con entrambi i suoi polmoni". Ma mentre "cambiamenti vorticosi si sono succeduti" purtroppo "difficoltà inedite sono affiorate ad Ovest come ad Est, dove l’elemento della secolarizzazione ha finito con l’imporsi quale denominatore comune più rapidamente di quanto si sia radicato il costume democratico". "Sappiamo - spiega - che alla base del cammino europeo non vi possono essere solo strategie politiche o strutture burocratiche, perchè le une e le altre, pur necessarie, non sono sufficienti per scaldare i cuori dei singoli e dei popoli in ordine a quel senso di cordiale appartenenza che è indispensabile per sentirsi comunità"
Islam e ora di religione. La Cei ribadisce le proprie riserve sull’ora di religione islamica. "Non è in discussione - ha spiegato Bagnasco - la libertà religiosa di chicchessia, ma la peculiarità della scuola e le sue specifiche finalità che, in uno stato positivamente laico, sono di ordine culturale ed educativo". Il porporato, aprendo stasera ad Assisi l’assemblea generale della Cei, ha ribadito che l’insegnamento della religione cattolica "non è un’ora di catechismo" ma una occasione di conoscenza di una fede che fa parte del "patrimonio storico del popolo italiano".
Ru 486. Dopo la registrazione della Ru 486 da parte dell’Aifa "non si potrà non riconoscere, come già fa la legge 194, la possibilità dell’obiezione di coscienza agli operatori sanitari, compresi i farmacisti e i farmacisti ospedalieri, che non intendono collaborare direttamente o indirettamente ad un atto grave", afferma il cardinale.
Cattolicesimo. "La nostra Chiesa - afferma Bagnasco - non si riconosce in una ’religione civile’ a servizio di qualche potere, ma si identifica nella missione che le è stata affidata, quella di annunciare a tutti il mistero di Cristo con le implicazioni che ne conseguono sul piano antropologico, etico, cosmologico e sociale".
Il nuovo rito delle esequie. La nuova edizione italiana del rito delle esequie, dice il presule, sarà pubblicata dai vescovi italiani "con l’intendimento di volerne esplicitare le virtualità di annuncio rispetto alla novità portata da Cristo Gesù dinanzi al mistero della morte".
Morte, giudizio, Inferno. "Morte, giudizio, inferno e paradiso sono termini non ignoti, non silenziati, non spiegati secondo categorie falsamente buoniste o erroneamente crudeli. Rappresentano invece il traguardo da lumeggiare con la Parola risanatrice di Dio, senza fatalismi o sotterfugi scaramantici", dice Bagnasco. Il cardinale ha poi proseguito spiegando che morte, giudizio, inferno e paradiso, "sono tappe di una vita che va oltre la morte e sfocia nella vita eterna. Ciò che saremo non sappiamo descriverlo, ma esiste".
Anglicani. Il cardinale Bagnasco plaude alla decisione del Papa di aprire le porte a quegli anglicani che ne hanno fatto richiesta in quanto non si sentivano più in comunione con la loro Chiesa: è questo un gesto che non indebolisce l’ecumenismo ma anzi lo rafforza in quanto il vero problema odierno è la scomparsa di Dio dall’orizzonte degli uomini, ha spiegato.
* la Repubblica, 9 novembre 2009
Campo della Gloria del cimitero monumentale di Milano, 1 novembre 2009
Intervento di Mons. Gianfranco Bottoni a nome dell’arcivescovado della Diocesi di Milano
La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l’evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza.
È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia di un’Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello stato e della moralità pubblica. Infine, in questi ultimi 150 anni di storia della sua unità, l’Italia si è sempre ritrovata con la “questione democratica” aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l’involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l’avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un’Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una “democrazia bloccata” (come fu definito), è stata comunque democrazia a sovranità popolare.
La caduta del muro di Berlino aveva creato condizioni favorevoli per superare questo limite posto alla nostra sovranità popolare fin dai tempi di “Yalta”. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. L’elenco dei fatti che l’attestano sarebbe lungo ma è noto.
Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse; alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro sempre più capillare e garantita penetrazione economica e sociale; mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti...
Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. Differente invece resta la valutazione politica se oggi in Italia possiamo ancora, o non più, dire di essere in una reale democrazia. È una valutazione che non compete a questo mio intervento, che intende restare estraneo alla dialettica delle parti e delle opinioni. Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva “eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista.
Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può persino servire la ridicola volgarità dell’ignoranza o della malafede di chi pensa di liquidare come “comunista” o “cattocomunista” ogni forma di difesa dei principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano la stampa democratica mondiale.
Il senso della realtà deve però condurci a prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e recriminatori, ignorando i cambiamenti irreversibili avvenuti negli ultimi decenni. Servono invece proposte positivamente innovative e democraticamente qualificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni del paese. Perché finisca la deriva dell’antipolitica e della sua abile strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente.
Ci attendiamo non una politica che dica “cose nuove ma non giuste”, secondo la prassi oggi dominante. Neppure ci può bastare la retorica petulante che ripete “cose giuste ma non nuove”. È invece indispensabile che “giusto e nuovo” stiano insieme. Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura, unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia, giustizia e pace.
Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza. Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della città terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi giorni. La fede ne attende la risurrezione dei corpi alla pienezza della vita e dello shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana per l’oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà.
Vorrei che l’appello si rivolgesse in particolare a coloro che, nell’una e nell’altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici, dentro la maggioranza e l’opposizione, si richiamano ai principi della libertà e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e dell’etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia - e, per chi crede, dinanzi a Dio - avete la responsabilità di fermare l’eutanasia della Repubblica democratica. L’appello è invito a dialogare al di là della dialettica e conflittualità politica, a unirvi nel difendere e rilanciare la democrazia nei suoi fondamenti costituzionali. Non è tempo di contrapposizioni propagandistiche, né di beghe di basso profilo.
L’attuale emergenza e la memoria di chi ha combattuto per la Liberazione vi chiedono di cercare politicamente insieme come uscire, prima che sia troppo tardi, dal rischio di una possibile deriva delle istituzioni repubblicane. Prima delle giuste e necessarie battaglie politiche, ci sta a cuore la salute costituzionale della Repubblica, il bene supremo di un’Italia unitaria e pluralista, che insieme vogliamo “libera e democratica”.
Non si può riconoscere a chi ha contrastato lo Stato italiano sovrano schierandosi con la Repubblica sociale il titolo di combattente. La Cassazione è chiara in merito. Tutte quelle pronunce sono concordi nel definire i repubblichini come nemici. Giuliano Vassalli, 8 gennaio 2009 (l’Unità, 25.10.2009)
L’uomo delle sfide eroiche
di GIORGIO NAPOLITANO (La Stampa, 24.10.2009) *
La lettura degli scritti di Giuliano Vassalli consente, pur presentando un ben preciso profilo, di cogliere la triplice dimensione - se così posso dire - di una personalità fra le maggiori della nostra vita democratica. Quella del grande giurista, impegnato a offrire il contributo della sua dottrina all’azione di governo e alla riflessione su esperienze ed evoluzioni altamente significative della nostra epoca nel campo del diritto. Quella di coerente e coraggioso antifascista e combattente della libertà. Quella di appassionato militante politico, sempre fedele agli ideali e alla storia del socialismo italiano. Appare chiaro lo strettissimo nesso tra questi tre aspetti della straordinaria figura di Giuliano Vassalli.
Io l’ho potuto - pur appartenendo ad una generazione un po’ più giovane - seguire e ammirare per lunghi anni nel corso della mia attività parlamentare, al di là delle rispettive collocazioni partitiche. E in tempi recenti ho avuto occasione di ascoltare suoi splendidi discorsi, come quello, che molto mi colpì, dedicato a Giacomo Matteotti.
Nella commemorazione di Aldo Moro ho ritrovato in felice sintesi il punto di vista dello studioso vicino al pensiero giuridico del collega democristiano, l’ammirazione - da giurista e da politico - per l’ispirazione morale dell’impegno di Aldo Moro e il convinto richiamo, da parte di Vassalli, alle posizioni da lui sostenute nel tormentato periodo della prigionia che avrebbe avuto per epilogo l’assassinio del presidente della Dc.
Ma quel che nella lettura degli interventi e degli scritti raccolti in questo libro suscita uno speciale interesse è la trama di vicende personali e collettive che unifica i ritratti di uomini di primo piano del movimento socialista e dell’antifascismo (compresi gli ardimentosi che accorsero in Spagna a difendere la Repubblica e caddero, come Mario Angeloni).
Si sente qui quanto profonda sia stata la identificazione di Giuliano Vassalli con momenti cruciali di una storia da lui vissuta direttamente o assunta come retaggio di generazioni precedenti la sua come quella di Matteotti e di Di Vagno. Una profonda identificazione, ideale, politica e - aggiungo e sottolineo - umana e morale, perché nell’antifascismo, socialista e di ogni altra radice, si espressero un patrimonio di valori e di esempi, una carica di intelligenza, di cultura e di generosità, che esercitano ancora oggi una suggestione senza uguali per chi voglia esplorare le radici della nostra democrazia repubblicana.
E colpisce l’affetto, quasi filiale, con cui Giuliano Vassalli si avvicina alle figure di Pertini, di Saragat, di Nenni; la modestia con cui si colloca accanto a loro nel ricordo del rapporto di collaborazione che stabilì con ciascuno di essi.
Così come colpisce il pudore di Vassalli nell’accennare alla parte che personalmente ebbe nella Resistenza e in sfide eroiche - si può ben dirlo, al di fuori di ogni retorica - contro il fascismo e contro l’occupazione e l’oppressione nazista.
Sono onorato e lieto di poter dare, con la presentazione di questo libro, un piccolo segno della riconoscenza che la Repubblica fondata sulla Costituzione deve a Giuliano Vassalli come rigoroso «giudice delle leggi», come strenuo combattente per la libertà e la dignità della patria e come sapiente servitore dello Stato democratico.
*Il ricordo di Giuliano Vassalli del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tratto dal libro Frammenti di storia, dello stesso Vassalli. Il volume, edito da Palomar e a cura di Matteo Lo Presti, sarà a giorni in libreria.
Addio a Vassalli, giurista partigiano
di Bruno Gravagnuolo *
Antifascista assoluto. Giurista sottile, avvocato di grido, partigiano, uomo mite e coraggioso. Ma soprattutto «un socialista e da sempre, almeno da quando giovanissimo in pieno regime entrò in contatto con il gruppo romano di Iniziativa socialista, con Zagari e Matteotti». Così, Mauro Ferri, antico compagno d’arme e di «dottrina», non solo giuridica, descrive a caldo la figura di Giuliano Vassalli, più volte ministro e presidente dal 1999 al 2000 della Corte Costituzionale. Un’amicizia robusta quella di Ferri e Vassalli, entrambi giudici costituzionali, rinsaldata dalle battaglie parlamentari e politiche. Nonché dalla comune milizia prima nel Psi, poi nel Psu e poi di nuovo nel Psi dopo la scissione.
Ma chi era Vassalli, scomparso il 21 ottobre a Roma, e che incidenza ha avuto nella politica italiana? Nasce nel 1915 a Perugia, figlio di un illustre civilista, Filippo Vassalli. Precocissimo studioso di diritto è ben presto docente di diritto penale, e da cospiratore passa alla Resistenza romana, all’ombra delle due grandi figure socialiste di quel momento, Nenni e Saragat.
Da resistente compie una mirabolante impresa, durante l’occupazione nazista. Libera sette reclusi socialisti da Regina Coeli tra i quali Saragat e Pertini, grazie a falsi documenti per un finto trasferimento di detenuti. Era il gennaio 1944, e Vassalli fa già parte della giunta centrale del Cln. Poi nell’aprile viene catturato e sottoposto a torture in Via tasso dalle Ss, fino alla liberazione alla vigilia del 4 giugno, data dell’ingresso degli americani nella capitale, per intercessione di Pio XII.
Una vicenda splendida, di coraggio e di passione, commista anche a riflessioni sul modo migliore di condurre la lotta clandestina, delle quali v’è nota in un memoriale letto dallo stesso Vassalli l’anno passato alla Fondazione Nenni: Tra cuore e ragione. E in discussione, a distanza con Nenni a Milano, v’era il quesito: attentati agli occupanti, o singole azioni mirate contro gli aguzzini per evitare rappresaglie? Ma il dopoguerra incalza, e Vassalli collabora dall’esterno ai lavori della Costituente, partecipando da «saragattiano di sinistra» alla scissione di Palazzo Barberini del 1947. Esce poi dal Psdi su una questione capitale: la rottura dell’unità sindacale. E si immerge fino al 1959 nell’attività professionale, che da penalista lo vedrà protagonista per la difesa di processi celebri. Il caso Montesi e l’omicidio Bebawi.
Dopo il 1959 riprende l’attività politica, nel Psi che s’avvia al centrosinistra. Diventa consigliere comunale, deputato, senatore, e Ministro di Grazia e Giustizia con Goria, De Mita e Andreotti. Fu anche candidato nel 1992 alla Presidenza della repubblica, quando venne eletto Scalfaro, e fa parte di tutte le commissioni insediate per la riforma dei codici di procedura penale e civile. Da ultimo la Corte Costituzionale dove troverà come giudici, antichi allievi del calibro di Capotosti, «incapaci- dice sempre Ferri- di dare del tu al prestigioso maestro universitario di un tempo» (si accordarono sul tu, «con Capotosti che continuava a chiamarlo però Professore»...).
Garantista, critico del protagonismo di certi Pm, ma «inflessibile difensore dell’obbligatorietà dell’azione penale, come elemento di salvaguardia dell’autonomia dei giudici, che intendeva preservare da coazioni del potere esecutivo». Altro punto: i diritti umani. Come elemento di raccordo con la legislazione e le convezioni internazionali. E la Costituzione? Da difendere integralmente, salvo il bicameralismo ridondante e da riformare. Quanto al presidenzialismo a Vassalli non piaceva, malgrado fosse fortemente sponsorizzato da Craxi, nel quadro della cosiddetta «grande riforma». Infine, le idee politiche. Socialista da sempre, s’è detto. E in bilico tra Saragat e Nenni, spiega Ferri, «vicino con la mente al primo, ma col cuore al secondo». E socialista in che senso? Riformista, laico, convinto che le idee socialiste fossero il veicolo dell’emancipazione dei ceti subalterni, attraverso il diritto. E i diritti: civili, sociali, economici. E attraverso la redistribuzione, saggia e da coniugare con un’economia in crescita.
Resta un piccolo giallo. Perché tanta discrezione nel diffondere la notizia della morte a decesso avvenuto due giorni dopo? Ferri, che lo aveva visto il 12 ottobre - «vivacissimo e desideroso di altri incontri» - fa un’ipotesi. Era profondamente deluso di un’Italia, quella berlusconiana che non amava e che anzi detestava: «un’Italia in decadenza e regredita». Sentiva la scomparsa del suo mondo, della sinistra e del suo influsso etico, come una ferita. Ecco, in quel suo modo di andarsene non c’è stata solo eleganza e signorilità. Ma anche una specie di protesta.
* l’Unità, 24 ottobre 2009
Eurispes smentisce Berlusconi: crolla consenso del Governo
Crolla anche la fiducia nel Vaticano *
martedì 13 Ottobre 2009 (08h21) :
Eurispes
Rapporto Italia 2009 smentisce Berlusconi crolla consenso del Governo.
Il 70% degli italiani non crede nel Governo in carica.
Oggi a Roma l’Eurispes istituto privato di studi politici, economici e sociali, senza fini di lucro, ha presentato il “Rapporto Italia 2009” che da ventun’anni fotografa la società italiana. Con gli stipendi più bassi d’Europa per gli impiegati e da capogiro per troppi manager il rapporto rileva che più del 70% degli italiani non crede nel Governo in carica. Dunque un dato importantissimo che smentisce categoricamente i dati sul consenso a questo Governo che Berlusconi sbandiera ai quattro venti ogni giorno.
Dal rapporto emerge una realtà nazionale caratterizzata da stipendi bassi, precariato e assenza di lavoro. Mentre le retribuzioni in Italia risultano le più basse d’Europa, gli stipendi dei livelli dirigenziali risultano quasi quattro volte superiori a quelli degli impiegati che operano nello stesso comparto. Un divario che cresce ulteriormente se si guarda ai top manager con compensi 243 volte maggiori delle retribuzioni medie.
Solo il 12,4% ritiene che la flessibilità nel lavoro sia uno strumento per eliminare la disoccupazione. Per la maggioranza questa peggiora le possibilità occupazionali dei giovani e rende il lavoro più incerto.
Quasi la meta’ degli italiani boccia l’uso dell’energia nucleare. Con motivazioni differenti, affermano di essere contrari alla attivazione di centrali sul nostro territorio il 45,7% dei cittadini, a fronte del 38,3% dei favorevoli. In particolare, le motivazioni di quanti si oppongono al nucleare sono il non ritenere questa una soluzione rapida per risolvere i problemi connessi all’energia (18,4%) e il timore dei rischi che una tale scelta comporterebbe (27,3%).
Inoltre dal Rapporto Italia 2009 emerge che il 58,9% degli italiani si dice favorevole al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Un dato importante che rileva come gli italiani siano molto più avanti di coloro che siedono in Parlamento. La maggioranza degli italiani afferma - dice l’Eurispes - di considerare l’omosessualità una forma di amore come l’eterosessualità”, e meno di un italiano su 10 (9,3%) la considera immorale.
La Chiesa di Papa Benedetto XVI, invece, registra un forte calo da un anno all’altro, passando dal 49,7% del 2008 al 38,8% di quest’anno. Le “aree deboli” del consenso, per il Vaticano, sono soprattutto il Nord - Ovest (fiducia al 25,9%) e coloro che si dicono di sinistra (fiducia al 23,1%). Al contrario, il sostegno è più forte tra gli over 65enni (51,7%), nel Sud Italia (60,7%) e tra quanti si dicono politicamente di centro (56,3%).
La notizia sul rapporto Eurispes di oggi è stata già censurata dai principali media on line, Corriere.it e Repubblica.it infatti, sono tra le prime testate on line a non dare la notizia nella loro homepage.
Il Ministro Maroni ha, infatti, rubato la scena dell’attenzione della stampa con il “traffico di organi di bambini” - notizia gravissima - ma che in queste ore sta eclissando tutte le notizie drammatiche che arrivano sulla recessione negli Usa e sicuramente occuperà le prime pagine dei quotidiani di domani e le aperture di tutti i tg di prima sera. E’ una notizia che cerca ovviamente di distrarre gli italiani da tutto il resto.
Fonte: Eurispes Rapporto Italia 2009 smentisce Berlusconi crolla consenso del Governo. Il 70% degli italiani non crede nel Governo in carica.
Di : da italianspot martedì 13 Ottobre 2009
* Il Dialogo, Martedì 13 Ottobre,2009 Ore: 16:17
Educazione e media: Ruini rilancia il modello-egemonia
L’ex presidente della Cei propone un nuovo patto e trova sponde nel ministro Gelmini. Che ha fornito ampie assicurazioni, dall’ora di religione ai crocifissi nelle classi
di Roberto Monteforte (l’Unità, 23.09.2009)
Una società sempre più lacerata, che ha abdicato al suo compito di indicare modelli e sistemi di valore, in particolare ai giovani, viene meno ad un suo preciso dovere. Un futuro incerto, segnato dalla precarietà: questa è la dura prospettiva per le nuove generazioni. Con questo, con l’emergenza educativa, occorre misurarsi. La Chiesa lancia la sua sfida-provocazione rivolta al mondo cattolico, ma soprattutto a quello laico.
Se ne fa portavoce il cardinale Camillo Ruini, presidente emerito dei vescovi italiani e responsabile del Progetto culturale della Cei che ieri ha presentato il volume «La sfida educativa» edito da Laterza che raccoglie approfondimenti e proposte sulle agenzie educative classiche: scuola, famiglia, comunità cristiana, ma anche sul lavoro, l’impresa, i mass media, lo spettacolo, il tempo libero, lo sport. Tutte realtà che concorrono alla formazione della persona. «L’educazione è una urgenza, o meglio, è una emergenza» scandisce Ruini. «L’educazione per sua natura impone sfide a lungo termine spiegaattorno all’educazione deve trovarsi una convergenza che superi il variare delle persone, delle idee, degli interessi. Il nostro rapporto vuole essere un invito aggiunge a muoverci nella direzione di una alleanza educativa di lungo termine».
Così la Chiesa si propone come luogo di confronto per una società divisa e lacerata, riproponendo una sua centralità. È la strategia che ha segnato l’«era Ruini» e che ieri ha trovato sponde robuste. Ha colto a volo l’occasione il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini per rilanciare il tema dell’identità culturale del nostro paese, contraddistinta dai valori cattolici, con cui devono rapportarsi i giovani figli di immigrati. È da lì che passa l’integrazione per il ministro che ha rassicurato: nulla cambierà sull’ora di religione e sul crocifisso nelle aule. Le sollecitazioni sulla funzione formativa ed educativa dei media contenute nella proposta della Cei sono state raccolte dal presidente della Rai, Paolo Galimberti, che ha riconosciuto la difficoltà a proporre una televisione di qualità. Al confronto ha partecipato anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. ❖
Il voto di religione
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 15.10.2009)
Alla democrazia ci pensa il Cavaliere, alla religione ci pensa la ministra Gelmini. Una divisione dei compiti in un lavoro comune: marciare divisi e colpire uniti. La questione è la stessa. Non ci può essere un sistema di garanzia democratica dei diritti individuali dove non c’è libertà di religione. Norberto Bobbio ricordava spesso la passione con cui Francesco Ruffini, lo studioso dei diritti di libertà, tornava sul punto ricordando che storicamente e idealmente la libertà di religione è stata la madre di tutte le libertà. Ma qualcuno penserà che sia eccessivo allarmarsi per le intenzioni ribadite a ogni passo dalla ministra e stavolta aggravate dall’intenzione, dichiarata ieri all’VIII Giornata europea dei genitori e della scuola, di far presto concorrere alla pari con gli altri voti anche il voto sull’insegnamento della religione.
Si dirà che la libertà religiosa non è in pericolo nel nostro paese: la Costituzione ha accolto e ribadito questo diritto, in Italia accanto ai cattolici abbiamo anche noi i nostri protestanti, insediati storicamente nelle valli alpine dove resistettero nei secoli lontani agli eserciti sabaudi guidati da inquisitori e predicatori gesuiti. E ci sono tante minoranze religiose non cattoliche e non cristiane.
Ma l’attacco alla libertà di religione che sta minando passo dopo passo quelle affermazioni teoriche e quelle eredità storiche conquistate dalle minoranze è aperto e grave, svuota di contenuto il dettato costituzionale e impone in materia uno stato di fatto che viola il diritto scritto e poggia solo sulla prepotenza di un potere politico in cerca di favori vaticani.
Avviene insediando nella scuola pubblica, vera cittadella della democrazia, una religione dominante insegnata al di fuori del controllo pubblico da insegnanti a cui è richiesto solo il permesso del vescovo. Religione dominante ed esclusiva di fatto: sia perché manca la possibilità concreta di scegliere altri insegnamenti di altre confessioni cristiane o di altre religioni sia perché l’insegnante di cattolicesimo concorre alla formazione del giudizio conclusivo sul rendimento scolastico e - come la ministra adesso si impegna a garantire - disporrà di un vero voto di profitto, con lo stesso peso dell’insegnante di matematica o di inglese.
Si tratta di un attacco portato nel cuore di quella scuola pubblica alla quale hanno accesso tutti i cittadini italiani con tutte le differenze culturali e ideali che si portano dietro. A loro, quale che sia la loro base di partenza personale e familiare, quale che sia la loro volontà di aprirsi nella scuola e grazie alla scuola alla conoscenza del mondo, inclusi i grandi testi fondanti delle religioni dell’umanità dalla Bibbia al Corano, da Confucio a Budda, sarà impartita la visione cattolica del mondo da insegnanti direttamente formati e controllati dalla gerarchia cattolica. Insegnanti, si badi bene, che se perdono il permesso vescovile, passano nel ruolo di docenti di filosofia.
Filosofia a braccetto con la religione, dunque, non più col marxismo come denunciava anni fa una preoccupatissima Comunione e Liberazione. Certo, tra gli studenti ci saranno quelli che si asterranno dalle lezioni. Alcuni, una minoranza, rinunceranno eroicamente al voto aggiuntivo dell’insegnante, che alzerà la media dei loro compagni.
Ma, anche se l’opportunismo delle famiglie e la corruttibilità di giovani ancora incerti di se stessi non finiranno per avere la meglio, costoro resteranno confinati nel vuoto di una negazione, saranno i "non avvalenti", refrattari all’usignolo della Chiesa cattolica, ma incuriositi e attirati da quei grandi discorsi sul mistero di Dio che è in realtà il mistero che ogni uomo è per se stesso: e la loro refrattarietà sarà sterile, genererà un’inquietudine che potrà un giorno dare luogo a quella "conversione" che la sapienza secolare della Chiesa si aspetta e dalla quale ha raccolto storicamente grandi frutti, fin dai tempi di Sant’Agostino di Ippona.
Ma lasciamo che la Chiesa faccia i suoi calcoli e nutra le sue attese. Non è a lei, storicamente avversa alla democrazia e ai diritti di libertà, in lotta perenne col grande nemico, quell’Illuminismo definito "turpe" e "torvo" da autorevoli ecclesiastici, che si rivolge il pensiero del cittadino italiano ma allo stato: lo stato che svende i diritti sacrosanti dei cittadini, primo fra tutti quello alla libertà di coscienza e di religione, sul mercato dei consensi del clero. È vero che questo diritto è stato riconosciuto solennemente dai padri conciliari cattolici del Concilio Vaticano II.
Ma quando i concili si chiudono la parola torna alla Curia romana. E qui si ha l’impressione che l’aria che tira nei conflitti religiosi del mondo abbia riportato in auge un clima che sembrava tramontato. Viene in mente quello che disse papa Pio XI a Mussolini nell’incontro dell’11 febbraio 1933, che sancì le intese sull’educazione cattolica degli italiani: il totalitarismo fascista poteva andare d’accordo col "totalitarismo cattolico"; al primo il governo dei corpi, al secondo le anime. L’importante era affermare i principi di ordine, autorità, disciplina, contro il pericolo di una ragione individuale libera di decidere.
Eppure c’è stata tanta storia dopo di allora. C’è stata anche la crescita di un mondo cattolico italiano che si è mostrato spesso all’altezza degli appuntamenti culturali e politici del mondo moderno e ha contribuito fin dai tempi dell’assemblea costituente a garantire il rispetto dei diritti di tutti - l’unico modo per tutelare i deboli, le minoranze culturali e religiose e l’indifesa e ancor molle coscienza di bambini e di giovani. È dunque a chi, credente cattolico o diversamente credente, agnostico o ateo, crede però nel diritto di ognuno a elaborare in libertà le sue scelte nel contesto di un’offerta informativa e formativa libera e non coartata, che si rivolge l’appello a non tollerare questa nuova prepotenza, a non lasciar passare questo modo furbesco e prepotente di offrire privilegi a una sola religione e chiesa da parte di una classe di governo autoselezionata, in cambio dell’avallo di una politica che continua a scoraggiare e impoverire le famiglie, a colpire i dannati della terra, a strumentalizzare l’immagine e il corpo femminile, a esaltare miti e a proporre etiche diametralmente opposte a ogni autentica riflessione
Il Vaticano: l’ora di religione non diventi multiconfessionale
La Santa Sede: "Danneggia gli alunni" *
L’insegnamento della religione cattolica non può essere limitato a un’esposizione delle diverse religioni, ciò sarebbe una forma di relativismo e di indifferentismo. Inoltre l’insegnamento della religione non può essere marginalizzato senza creare un grave danno agli alunni. È quanto scrive la Congregazione per l’educazione cattolica in una lettera inviata lo scorso 5 maggio Presidenti delle Conferenze episcopali sul tema dell’insegnameto della religione cattolica. Il testo è firmato dal Prefetto della Congregazione, cardinale Zenon Grocholewski.
«La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica - si legge nel testo - ad assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e neutro».
«Con questi presupposti - si afferma ancora nel testo - si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: ’il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o di impedire gli atti religiosì. Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico».
L’ora di religione è la «partita di scambio del governo per la pace con la Santa Sede» protesta la Rete degli Studenti. Quella chiesta dal Vaticano, spiega, è «un’impostazione lontana anni luce da quella della maggior parte degli studenti che, come rivela anche un recente sondaggio, pensano che l’ora di religione cattolica dovrebbe essere riformata e rivista, aprendola allo studio di altre religioni o trasformandola in un’ora di discussione su temi etici e sociali».
* La Stampa, 9/9/2009 (16:14)
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!!: IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
Una ferita alla democrazia
di NADIA URBINATI *
Fatte salve le forme dell’uguaglianza civile e politica, ogni moderna democrazia funzionante è in grado di scegliere, di selezionare classi di governo in senso proprio, e di consentire il formarsi, nella società, di ceti dirigenti in senso lato, sulle basi dell’ingegno, dell’impegno e del merito. Sono le élites - aristocratiche, borghesi, operaie - quelle che hanno anticipato i nuovi orizzonti della società.
L’hubrys dominandi sembra rendere il nostro premier incapace perfino di comprendere il senso del limite e della limitazione. Il fatto preoccupante è che nessun contenimento tradizionale del potere sembra efficace abbastanza. La ragione di questa inefficacia non sta nelle strategie costituzionali, che sono chiare e ottime, ma in un fattore che è culturale e per questo difficile da modificare o contenere. Per dirla in parole povere, i contrappesi costituzionali e ogni azione di contenimento di carattere giuridico e istituzionale funzionano soltanto e fino a quando c’è da parte di chi governa la volontà di rispettarli, fino a quando cioè la costituzione formale e quella materiale coincidono. È proprio questa coincidenza che oggi si è spezzata cosicché alla costituzione scritta, come ha messo in evidenza più volte Gustavo Zagrebelsky, se ne è come sovrapposta un’altra, quella che si riflette nelle leggi, nelle politiche e nei comportamenti del governo e del suo leader. La regola che governa il nostro paese è funzionale a uno scopo molto semplice nella sua brutalità: conservare il potere ed esercitarlo per il bene e l’interesse di chi lo esercita. Qui sta il vulnus dispotico del quale soffre la democrazia italiana oggi.
Certo, si tratta di un vulnus che gode della maggioranza dei voti degli italiani; ma è bene essere consapevoli che quello che la maggioranza esercita non è un potere innocente, perché è stato costruito affidandosi in larga parte all’uso spregiudicato e poi al dominio diretto e incontrastato dei media. Ieri Berlusconi ha attaccato l’informazione nel suo complesso: ma quante sono le reti televisive e le testate libere in Italia?
Per questa ragione è fuorviante parlare di tirannia della maggioranza, perché, come ben compresero i liberali ottocenteschi, in un governo rappresentativo è sempre e comunque una minoranza a tenere le fila del potere della parola. Questo vale in maniera spropositata nella nostra democrazia, dove il rischio alle libertà civili primarie - in primis quella della libera formazione e manifestazione delle idee - - viene dai pochi, i molti essendo uno strumento di sostegno passivo. I cittadini sono ridotti a semplici spettatori con l’aggravante che lo spettacolo al quale assistono è scientemente manipolato e decurtato. Gli italiani - quell’80% che si affida alla televisione per informarsi - - vivono come in uno stato di autarchia mediatica, chiusi al mondo del loro paese e a quello che del loro paese il mondo pensa e scrive. Questa è la situazione gravissima nella quale ci troviamo.
Il premier considera e tratta l’Italia come il suo cortile di casa: con collaboratori domestici o addomesticati che si preoccupano di allontanare da lui ogni sospetto di dissenso, che confezionano notizie con lo scopo di nascondere la verità ai cittadini e passano leggi per accomodare il diritto alle necessità del premier; con intrattenitori e intrattenitrici che rallegrano la sua vita; con ministri che come visir sfornano politiche che falcidiano la cosa pubblica, dalla scuola alla sanità, e dirottano risorse non si sa bene dove e per fare cosa.
Perché tutto questo si tenga il dissenso deve essere azzerato con tutti i mezzi: dal mercato alle strategie intimidatorie. L’obiettivo è terrorizzare e ridurre al silenzio chi pensa liberamente per infine circondarsi di yes-men e yes-women. Che sia un segno di impotenza invece che di forza è evidente, tuttavia per chi tiene ai diritti e alla libertà gli effetti di questo potere di dominio sono disastrosi. Ora, non c’è da dubitare che il Pdl ospiti molti liberali, persone convinte che i diritti di libertà siano un bene prezioso che non può essere sacrificato a nessuna maggioranza - come possono questi liberali restare in silenzio? Come possono non comprendere che nella nostra Costituzione scritta è anche la loro sicurezza? Si usa dire che le costituzioni sono scritte quando il popolo è sobrio e pensando all’eventualità che potrebbe non esserlo sempre. I liberali hanno voluto legare la volontà della maggioranza con le costituzioni perché sono pessimisti abbastanza da non escludere che si possano formare maggioranze non sobrie che traghettino il paese verso acque pericolose. I liberali tutti non possono non vedere che l’Italia si trova oggi a navigare in un mare in tempesta, battuta da un lato da pericolose ondate di razzismo e intolleranza e dall’altro da un leader che ha in disprezzo i diritti fondamentali. L’attacco frontale a Repubblica, quello subdolo all’Avvenire, la critica durissima alla stampa estera - e l’ultima accusa al sistema informativo tout court - costituiscono un pericolo che nessun liberale serio può sottovalutare.
Le strategie di difesa contro questo esorbitante potere sono molteplici. In primo luogo è urgente che l’opposizione di scrolli dal torpore delle sue solipsistiche diatribe che ne paralizzano l’azione politica e si faccia promotrice di un coerente discorso politico alternativo che rimetta in moto un movimento civile di opinione che chieda a voce alta verità e giustizia, che sappia riportare i cittadini nell’agorà pubblica; in secondo luogo vanno usati tutti gli strumenti giuridici di cui il nostro Stato e l’Ue dispongono: portare il caso italiano davanti al parlamento europeo propone Gianni Vattimo, ma si dovrebbe anche aggiungere, rivolgersi direttamente alla Corte Europea dei Diritti; in fine, mettere in moto tutti gli strumenti dei quali l’opinione politica libera può disporre, e visto che non pare facile strappare il bavaglio imposto dalle televisioni nazionali, occorrerebbe attivare una rete di controinformazione tramite il web, i giornali, le associazioni della società civile, i movimenti. Ci troviamo in una condizione di emergenza e di eccezionale rischio. è la nostra dignità di cittadini che deve essere riscattata da questo clima di docilità e servizievole sudditanza. Ed è la nostra Costituzione scritta che ci legittima a fare quello che dobbiamo per difenderla.
* la Repubblica, 5 settembre 2009
Il cinismo delle élite
di Carlo Galli (la Repubblica, 05.09.2009)
Il nostro governo costituisce un serio problema per le libertà civili e l’ordine democratico del nostro paese. E come si è avuto modo di toccare con mano in questi giorni, esso costituisce un serio problema per l’Europa e i fondamenti di libertà sui quali è nata e si fonda l’Unione Europea.
Sono le élite che hanno elaborato categorie, stili, forme, linguaggi, in grado di imporsi in ambiti più vasti. Nella società di oggi, politici, imprenditori, professionisti, docenti, scienziati e intellettuali, gerarchie religiose, alti burocrati, giornalisti, a volte anche artisti - ciascun gruppo con forme diverse di selezione, con diversi gradi di chiusura o di apertura - perseguono il medesimo fine: esercitare influenza o potere nella società, presentando i propri interessi come indispensabili agli interessi generali del Paese. La democrazia di una società complessa si articola nella concorrenza di diverse proposte egemoniche.
Sono le élites ad avere la capacità, e il dovere, di esercitare più consapevolmente le virtù sociali e politiche, di esserne l’esempio concreto. Infatti, i loro membri sono sì orientati al successo, ma anche alla lungimiranza, alla disciplina, al differimento dell’utile, al merito, al decoro, all’efficienza; non per amore della virtù, ma per legittimare le proprie pretese. La loro deontologia - l’insieme dei doveri di ciascuno verso la professione, verso se stesso e verso i pari - è la loro morale civile: è l’assunzione di responsabilità, fondata sul rigore e sul merito, verso la società intera. E’ una morale in cui sono centrali le nozioni di prestigio e di vergogna, di efficienza e di credibilità.
Certo, i processi di democratizzazione e il formarsi di una società di massa, rendono le élites apparentemente meno legittimate davanti al senso comune; eppure, una società moderna ne ha bisogno. La controprova è data da quelle situazioni - fra cui purtroppo rientra, in parte, il nostro Paese - in cui le élites sono in sofferenza. Le nostre élites sembrano non volersi più sobbarcare il peso del rigore disciplinato che è necessario per articolare in chiave universale i propri interessi particolari, per coniugare al futuro, e non nella miopia dell’eterno presente, i verbi dell’agire sociale; per essere esempio civile.
A parte le splendide individualità o piccoli gruppi isolati di eccellenza che spesso hanno vita difficile - le élites italiane corrono il rischio di trasformarsi in corporazioni chiuse (a volte dinastiche, con modalità nepotistiche di trasmissione del potere), in un pulviscolo di piccoli o grandi privilegi o di snobismi, in Palazzi e Caste (non solo della politica); lungi dall’esibire l’orgoglio del merito, i membri delle élites aspirano piuttosto a essere vip; anziché vigilare sulle modalità di ingresso, di selezione, di addestramento dei propri membri, rilassano le pratiche di controllo, chiudono un occhio su insufficienze e infrazioni (purché sia garantita la docilità dei nuovi entrati).
È il cinismo delle élites - facilmente trasmesso all’intero corpo sociale - una delle più gravi tare del Paese, l’origine della sconnessione fra morale e politica, della corrosione dello spazio civile, del frammentarsi del discorso pubblico in una congerie di particolarismi dialettali. Ed è anche l’origine - oltre che il prodotto - dei tentativi della politica di polverizzare la società, di governarla attraverso il combinato disposto della propaganda e del populismo.
La forma civile complessiva di un Paese è data infatti oltre che dalle istituzioni, anche da quei nuclei di interessi e di sapere, di orgoglio professionale e di autostima, di senso del decoro e di vergogna sociale, che fanno sì che la civile convivenza non consista in un ammasso informe di atomi privi di relazione reciproca, ma sia un complesso e multiforme paesaggio, con un profilo e una fisionomia definiti, non plasmabili a piacere dal potere politico. Non a caso, quindi, le cronache italiane delle ultime settimane mostrano che chi ha come programma di governare senza contrappesi e istanze di controllo si appella con fare plebiscitario a una generica «gente», scavalca quando può le istituzioni e lotta contro quanto resta di élites autorevoli, o contro le loro frange non docili: magistrati, giornalisti, Scuola e Università, gerarchie ecclesiastiche (ultimi, gli economisti).
Né è un caso che Berlusconi resista aggressivamente a uno scandalo che avrebbe travolto (grazie alla reazione della stampa, delle tv, dell’opinione pubblica più qualificata, dei partiti) ogni altro leader politico di ogni altra democrazia occidentale: ha infatti potuto appellarsi alla compiaciuta tolleranza dei «molti», nella impotenza o nella indifferenza o nel cinico silenzio-assenso dei ‘pochi’ che avrebbero dovuto utilizzare il loro sapere e il loro prestigio per criticarlo e per rischiarare il giudizio collettivo.
Perché l’intero Paese non rischi di trasformarsi in un deserto morale, oltre che in una società inerte e inefficiente, e di pagare il proprio deficit collettivo di virtù democratica con la moneta della decadenza, qualcuno dovrà combattere credibilmente contro il cinismo, la rassegnazione, la passività, il conformismo, il mancato rispetto di sé e degli altri. Con un programma - in qualche misura neo-risorgimentale - di una riforma morale degli italiani, si tratta di ricominciare dai pochi (che saranno certo tacciati di moralismo, azionismo, giacobinismo), cioè da élites nuove o rinnovate, la cui rigorosa esemplarità sappia riportare la decenza e la vergogna fra le virtù civili della nostra democrazia.
La partita con la Chiesa
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 04.09.2009)
No, non sono affari interni della Chiesa, come ha commentato chi ancora impugna la pistola fumante - e la impugna perché chi l’ha armato non gliel’ha mai tolta di mano. Singolare affermazione, del resto: ma non era questo il governo che si professava più vicino alla Chiesa, quello che aveva avuto fin dall’inizio il soddisfatto via libera delle gerarchie ecclesiastiche? Oggi invece quella destra cattolica obbediente e collaborativa così gradita a eminenti cardinali finge un laico e pudico disinteresse per i problemi della Chiesa.
D’altra parte, la domanda che tutti ci poniamo è: quale Chiesa? Ne abbiamo viste diverse nei giorni scorsi e non abbiamo mai avuto l’impressione di trovarci davanti alla antica istituzione sacrale che immaginavamo capace di rispondere severamente e dal suo più alto livello all’attacco che l’ha ferita. Una cosa almeno è certa: le dimissioni del direttore dell’Avvenire sono un fatto che di per sé esclude qualunque possibilità di chiudere l’episodio a un fatto interno di chicchessia, tanto meno a un fatto interno della Chiesa.
Ci fu all’inizio il tentativo di chiudere tra parentesi le tensioni tra un premier e una chiesa italiana in agitazione facendo ripartire l’antico ron-ron della diplomazia ovattata, dei contatti riservati, magari dei colloqui tra un premier discusso e il segretario di Stato vaticano intorno a un tavolo conviviale all’ombra di un antico rito solenne del perdono.
Ma qui il percorso si interruppe: quel premier aveva un giornale di famiglia e il suo direttore fece partire in quel preciso momento un attacco inqualificabile contro l’Avvenire, organo della Conferenza episcopale italiana. Uno scandalo: bisogna che gli scandali avvengano, dice la parola del Cristo dei Vangeli canonici. Non così hanno pensato le menti diplomaticamente esercitate del mondo vaticano, d’accordo col Grande Inquisitore di Dostoevskij nel ritenere che l’ordine del mondo è troppo prezioso per metterlo a rischio con un ritorno della parola di Cristo.
C’era stata una mossa per far rientrare lo scandalo: una proposta di tregua con scambio dei caduti. La Chiesa-Potere aveva calato molto tempestivamente la carta più alta nelle sue mani per dimostrare la sua buona volontà e far rientrare la vicenda «citra sanguinem», senza versare sangue, come dicevano le regole della tortura dell’Inquisizione. L’aveva calata nientemeno che il direttore dell’Osservatore Romano nell’intervista al Corriere della Sera: un bel rimbrotto a Boffo e un’offerta di continuare come nulla fosse. Meglio una sola vittima che uno scontro dagli esiti imprevedibili. Era un prezzo sostenibile per pagare la pace politica e la tranquilla gestione dei problemi etici in discussione nel prossimo autunno - testamento biologico, pillola abortiva e così via. Ma la logica dello scambio richiedeva un passo analogo dall’altra parte: la parallela rimozione di Feltri dalla direzione del Giornale o almeno una smentita adeguatamente sdegnata da parte del suo padrone. Abbiamo visto com’è andata a finire. È finita che Boffo si è dimesso. Perché?
Sul piano umano possiamo ben capirlo: ed è questo l’unico piano comprensibile e condivisibile. La vittima designata non ha accettato il suo destino, non ha aspettato di essere dolcemente rimossa da mani curiali in tempi più tranquilli: si è tolta di mezzo da sola. Diciamo vittima con la piena consapevolezza che qui la parola è quella giusta. L’aggressione contro Boffo ha teso a distruggerne strumentalmente il ruolo sociale e la vita privata, sfruttando cinicamente il clima di linciaggio che il semplice sospetto di scelta o tendenza omosessuale sta scatenando oggi in Italia, indizio questo sì della malattia morale e della regressione nazistoide del paese. Quanto alle dimissioni, era stato monsignor Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli affari giuridici, che ne aveva formulato per primo l’ipotesi. Mogavero sapeva che le dimissioni sarebbero state intese come ammissione di colpa.
Lo sappiamo tutti: in Italia, fin dai tempi di Dante Alighieri, la parte offesa e ferita diventa nel grido collettivo la parte colpevole. Ma quali saranno da oggi le sedi opportune per accertare i fatti? E quali fatti ancora si dovrebbero accertare? Una cosa sola è chiara: con le dimissioni di Boffo si apre un vuoto: non solo fra le voci autorizzate e autorevoli della Chiesa-Potere e il titolare del potere politico e monopolista dei media italiani, ma anche all’interno dell’arcipelago che si chiama Chiesa in Italia o Chiesa italiana.
Adesso forse qualcuno tenterà ancora di chiudere la partita con qualche paroletta di solidarietà. Si potrà sempre battere una pacca consolatoria sulla spalla del dimissionario, contando sul fatto che tanto in Italia chi si dimette ha sempre torto. Si potrà dire che il direttore di Avvenire è stato oggetto di un «inqualificabile attacco mediatico» - questo il commento, per esempio, del cardinale Angelo Bagnasco.
Bagnasco è il presidente della Conferenza episcopale italiana e in quanto tale è responsabile della condotta di Avvenire e del suo direttore quasi quanto Silvio Berlusconi è responsabile delle scelte del Giornale di famiglia. L’attacco è inqualificabile ma non viene da un killer ignoto. Viene dall’impero italiano dei media ed è ascrivibile al suo padrone. Il contenzioso opporrà la Chiesa nelle sue molte forme ed espressioni italiane al presidente del Consiglio tanto più direttamente e immediatamente quanto più lo spazio tra i due è rimasto sgombro e vuoto.
E c’è qualcosa di grottesco nella scena che si profila: il dialogo tra un’entità teoricamente monolitica e governata da un Papa infallibile e ostile al relativismo, oggi diventata una Babele di linguaggi, e il capo di un governo teoricamente democratico che parla la lingua di un potere intollerante di ogni critica e si immagina nei panni fumettistici di un Super Supeman.
Lettera
LA TESTA DI BOFFO A BERLUSCONI
di Pietro Ancona *
Dopo aver ricevuto la solidarietà della Cei e financo quella del Papa, il direttore dell’Avvenire è stato indotto alle dimissioni. Esce di scena lasciando una lettera piena di amarezza per la violenza che è stata esercitata su di lui e la sua famiglia. Nello stesso giorno in cui matura questa drammatica decisione che non sarà respinta, il Cardinale Bagnasco incontra il capo della Lega Bossi ed il Ministro Calderoli e discutono per almeno un’ora si dice di emigrazione ma sicuramente di diritti civili che la Chiesa non gradisce a cominciare dal testamento biologico e di tutto il contenzioso aperto su vari fronte tra laici e clericali. Il recupero di buoni rapporti tra governo e chiesa sarà pagato in sostanziale perdita di laicità a favore di nuove ondate di clericalizzazione della legislazione e della società civile.
La testa di Boffo è stata consegnata. La Chiesa non aveva alcuna convenienza a difenderlo ad oltranza dal momento che è diventato un impedimento, una zeppa, nei ben oliati rapporti tra la destra italiana ed il Vaticano. Difendere Boffo significa tenere aperto il fronte di guerra non solo con Feltri ma con lo stesso Berlusconi che certamente non ha gradito di non essere stato ricevuto per la perdonanza e di essere criticato da molti ambienti cattolici (ma mai dall’Osservatore Romano, organo della Chiesa globale che si è vantato di non avere mai riprovato i festini di villa certosa).
Se mai c’è stata una corrente dentro le gerarchie favorevole alla difesa ad oltranza di Boffo questa è stata sconfitta dalla realpolitick e dal calcolo di alto opportunismo sugli interessi generali e permanenti della Chiesa in Italia che non possono perdere o incrinare una sponda servizievole ed adesiva al massimo come il Partito ed il Governo di Berlusconi.
Il Governo si accinge a licenziare quarantamila insegnanti ma tra questi nessuno dei venticinquemila insegnanti di religione scelti dalle Curie Vescovili e pagati dallo Stato. Il Tar del Lazio sentenzia sulla illegittimità del credito all’insegnante di religione ed il Ministro Gelmini violando la legge accondiscende alle pretese della Chiesa e concede l’ingiusto che la magistratura amministrativa aveva negato.L’Aifa ammette l’uso della pillola RU 484 con limitazioni che, dopo le proteste di Greccia, Sacconi si affretta ad appesantire per negare in via burocratica quanto deve ammettere in linea di diritto.Il Parlamento dovrà presto esitare la legge sul testamento biologico e questa sarà quella che vorrà il Vaticano "mai più un caso englaro" cioè il divieto assoluto al morituro di tutelare la propria dignità. Di quelli che una volta si chiamavano PACS non se ne parla più e sempre più forte è la pressione su medici e farmacisti per rendere più difficile la possibilità di abortire e di accedere a farmaci malvisti dalla Chiesa. A questo bisogna aggiungere gli enormi interessi economici per diversi miliardi di euro che la Chiesa ricava dall’Italia a cominciare dalla esenzione dell’Ici fino al calcolo truffaldino e telescopico dell’otto per mille che estende alla intera massa dei contribuenti la percentuale di quanti dichiarano la loro preferenza.
Inoltre ha giocato anche l’imbarazzo della Chiesa per la denunziata omosessualità del Direttore dell’Avvenire. Fino a quando la cosa non era conclamata e risaputa come è stato dopo l’attacco di Feltri tutti sapevano e tutti facevano finta di niente.
La Chiesa è ancora omofoba anche se mostra qualche apertura. Il catechismo è chiaro: 2357 "Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, 238 la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». 239 Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati." 2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. 2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. " Insomma, si può essere omosessuali ma si deve essere casti. Rispetto, compassione, delicatezza ma non debbono esprimere la loro natura. Specialmente se sono sposati ed hanno figli.
La Chiesa di Papa Ratzinger con la sua ossessione di lotta al relativismo è in sintonia con la destra italiana così come a livello internazionale pur comiziando contro la guerra ritiene giusta la presenta dell’Occidente in Afghanistan ed in Irak. Il Cardinale primate dell’Honduras non sostiene forse i golpisti quando ingiunge al Presidente deposto di non tornare alla sua patria?
Aspettiamoci quindi nelle prossime settimane un pieno recupero di Berlusconi con la Chiesa. Non escludiamo financo che possa essere ricevuto presto magari dopo il varo di alcune significative quanto oscurantiste leggi gradite oltretevere.
pietroancona@tin.it
http://www.corriere.it/
* Il Dialogo, Venerdì 04 Settembre,2009
La Stampa, 20/8/2009
Nuove regole per la valutazione i prof. di religione daranno crediti
Regolamento in Gazzetta: per ora sentenza Tar Lazio inefficace
ROMA Da oggi gli alunni della scuola italiana verranno valutati attraverso un nuovo regolamento: il testo è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale sotto forma di decreto del presidente della Repubblica (n. 122). Rimangono confermate quasi del tutto le indicazioni contenute nella bozza iniziale, tra cui l’obbligo per essere ammessi alla maturità di acquisire la sufficienza in tutte le materie e l’equiparazione dei docenti di religione ai colleghi delle altre materie ai fini dell’assegnazione dei crediti scolastici (non viene quindi preso in considerazione il parere contrario espresso dal Tar del Lazio il 17 luglio scorso).
Tra le novità più importanti che introduce il provvedimento vi è la necessità di conseguire, per essere ammessi agli esami di Stato, almeno la sufficienza in tutte le discipline: la regola vale sia per l’esame di licenza media, come del resto già previsto e applicato quest’anno, sia per le scuole superiori (dove invece durante gli ultimi scrutini era stata adottata la norma `interlocutorià voluta dall’ex ministro Fioroni che per l’ammissione all’esame di Stato richiedeva solo la media del sei).
Sarebbe utile, per un’applicazione immediata delle nuove indicazioni, che i collegi dei docenti predispongano sin dai primi incontri dell’anno. Alcune delle novità introdotte dal dpr 122 erano comunque già state adottate: come anche quella che prevede la presenza attiva e a pieno titolo dei docenti di religione cattolica per la determinazione dei crediti scolastici (mentre la valutazione della materia continua ad essere espressa dagli insegnanti nominati dal vicariato «senza attribuzione di voto numerico»).
Del resto il comma 3 dell’articolo 6 del nuovo regolamento, adottabile da oggi, non lascia spazio a dubbi: «In sede di scrutinio finale - si legge nel dpr 122 - il consiglio di classe, cui partecipano tutti i docenti della classe,compresi gli insegnanti di educazione fisica, gli insegnanti tecnico-pratici (...), i docenti di sostegno, nonchè gli insegnanti di religione cattolica limitatamente agli alunni che si avvalgono di quest’ultimo insegnamento, attribuisce il punteggio per il credito scolastico di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, e successive modificazioni».
Una conferma che quindi non tiene conto della discussa sentenza emessa il 17 luglio scorso dai giudici del Tar del Lazio, secondo i quali, per non discriminare quel 10% scarso di allievi che non si avvale della religione, non bisognerebbe rendere utile la frequenza della materia ai fini dell’assegnazione dei punti utili alla formulazione del voto di maturità.
Tra l’altro la mancata osservazione della pronunciamento dei giudici avviene attraverso l’adozione di un regolamento, quindi non con una procedura amministrativa, e comporta pochi problemi di incompatibilità applicativa rispetto a quanto stabilito dal tribunale laziale. Sempre in attesa, comunque, che si pronunci il Consiglio di Stato.
È bene infine ricordare che la presenza dei docenti di religione nel consiglio di classe non ha effetti attivi per tutte le operazioni di scrutinio: ad esempio la materia non viene presa in considerazione per la formulazione delle medie dei cosiddetti ottisti, gli studenti super-bravi che si presentano alla maturità senza aver frequentato il quinto anno.
Per quanto riguarda gli esami di licenza media, il nuovo regolamento sulla valutazione prevede che dal 2009/2010 nella determinazione del voto finale debba essere calcolata la media aritmetica dei voti conseguiti in tutte le prove d’esame: prove quindi scritte (anche il test standard Invalsi il cui peso quest’anno era stato deciso invece da ogni istituto) e orali. Oltre che nel giudizio di ammissione di esame (già dal 2008/09 espresso con voto in decimi anziché con giudizio (sufficiente, ottimo, distinto, ecc.).
Rispetto alla prima versione del testo non c’è invece più traccia, rispetto alla prima bozza di regolamento, della parte che prevedeva l’assegnazione del voto numerico anche durante le lezioni: i pareri contrari, tra cui quello obbligatorio ma non vincolante del Cnpi, devono evidentemente avere avuto il loro peso.
Rimane in piedi invece il voto numerico anche per la certificazione delle competenze, in disaccordo con quanto avviene nell’Ue. Alle superiori una novità importante, ma solo a riforma avvenuta, riguarderà l’obbligo da parte degli alunni, salvo situazioni particolari, di aver frequentato almeno i tre quarti delle lezioni: viene così introdotto, teoricamente a partire dal 2010/11, il concetto di frequenza obbligatoria invece sino ad oggi adottato solo nella primarie e durante lo scrutinio delle medie inferiori.
Pressoché confermata la valutazione dei ragazzi che presentano con difficoltà specifiche di apprendimento adeguatamente certificate. Ciò significa che «la valutazione e la verifica degli apprendimenti - si legge nel dpr 122 - , comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali fini, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove di esame, sono adottati, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei».
IL COMMENTO
Si riaccende lo scontro tra Guelfi e Ghibellini
di EUGENIO SCALFARI *
Si è riacceso in questi giorni che coincidono con la grande vacanza nazionale di agosto l’antico dibattito tra guelfi e ghibellini, vecchio ormai di otto secoli. Vecchio ma sempre latente e attuale. Il dibattito riguarda il rapporto teorico tra la Chiesa e lo Stato democratico e quello più concreto tra il Vaticano di papa Ratzinger e il governo di Silvio Berlusconi. Non ci sono molte novità da segnalare per quanto riguarda il rapporto teorico tra lo Stato e la Chiesa: si tratta di due entità che agiscono su terreni ben distinti e che come tali si riconoscono. Lo Stato democratico è laico per definizione e come tale riconosce alla Chiesa (anzi a tutte le Chiese e alle associazioni di qualunque genere) il diritto di usare lo spazio pubblico per diffondere le loro dottrine e tutelare i loro legittimi interessi.
La Chiesa a sua volta riconosce la laicità dello Stato con una sorta però di nota aggiuntiva che si concentra su un solo aggettivo: laicità purché sia buona. Se non è buona, la Chiesa di papa Ratzinger si riserva il diritto-dovere di emendarla raccomandando ai suoi fedeli nonché ai politici cattolici di sostenere e tradurre in norme di legge l’emendamento da lei sostenuto.
Questa è la novità e non è da poco. Si tratta di una novità tipicamente italiana che si spiega con il fatto che l’Italia è considerata dalla Chiesa come il giardino del Papa, luogo privilegiato dove il Vaticano si permette interventi, pressioni, forzature che in altre democrazie dell’Occidente cristiano sarebbero impensabili, non avrebbero alcuna risonanza e cadrebbero nell’indifferenza generale. Ma a questa eccezionalità del caso italiano siamo purtroppo abituati anche se noi "ghibellini" continuiamo a protestarne il carattere democraticamente abusivo.
Ho letto su qualche giornale (mi pare su un recente numero di "24 Ore") che la vecchia questione tra guelfi e ghibellini non rispecchia più la realtà e quindi non merita d’esser ripresa. Sarei felice se fosse così ma purtroppo non lo è affatto; ma se volete possiamo anche cambiare il lessico usando le parole di Chiesa militante e di laici impegnati. Va meglio così?
* * *
Il rapporto tra il Vaticano di papa Ratzinger e il governo di Silvio Berlusconi è invece molto complesso e si sta sviluppando su diversi piani gestiti per la parte cattolica dal segretario di Stato, cardinal Bertone, dal presidente della Cei, cardinal Bagnasco, dal cardinale Ruini sempre vigile malgrado l’apparente pensionamento e, naturalmente, dal papa in prima persona. Per il governo Gianni Letta in veste di gentiluomo vaticano, il ministro del Walfare Sacconi e direttamente dal presidente del Consiglio.
Il Vaticano agisce su due pedali. Il primo potremmo definirlo il pedale dei rimproveri: il dissenso della Chiesa sulla politica dell’immigrazione, sui respingimenti in mare, sulle ronde, sul reato di clandestinità e su ciò che ne consegue. Su tutti questi temi il rimprovero cattolico è stato ed è vibrante e netto, fortemente appoggiato dal clero parrocchiale e dalla stampa cattolica che ad esso fa capo. Fa parte del tema del rimprovero anche la spinosa questione dei comportamenti licenziosi del premier, più volte denunciati con crudezza da "Famiglia cristiana" e con più prudente fermezza dall’"Avvenire". Lo stesso cardinal Bagnasco è intervenuto in proposito manifestando rincrescimento e disapprovazione per "certi comportamenti" di personalità che non danno "buon esempio e tanto meno esempio di virtù cristiana".
Il secondo pedale è invece quello delle richieste, tanto più perentorie quanto più si estenda minacciosamente nelle coscienze cattoliche il rimprovero e la censura. Esiste tra questi due pedali un nesso molto visibile che non mette affatto in dubbio né la sincerità dei rimproveri né la fermezza delle richieste, ma che dà a queste ultime una forza che proviene dalla debolezza del governo e dalla sua ricattabilità politica. Si è spesso parlato in questi mesi della ricattabilità internazionale del presidente del Consiglio e anche della maggior forza acquisita dalla Lega nei suoi confronti; ma esiste anche una soverchiante pressione del Vaticano dovuta ai comportamenti "morali" del premier e al suo urgente bisogno di riguadagnarsi una nuova legittimazione sul versante cattolico.
Il ventaglio delle richieste vaticane è vario e ampio: la revisione delle procedure della legge sull’aborto e sulla procreazione medicalmente assistita, una rigorosa limitazione nell’uso della pillola abortiva; un’attentissima sorveglianza sul testamento biologico che di fatto ne vanifichi ogni più liberale disposizione; il finanziamento esplicito delle scuole cattoliche. Da ultimo è sopraggiunta la sentenza del Tar che esclude l’insegnamento della religione dai "crediti scolastici" riaprendo così il tema estremamente controverso dell’immissione in ruolo dei docenti indicati dai vescovi, avvenuto tre anni fa ad opera del governo Prodi.
Su questa sentenza, contro la quale ha già fatto ricordo il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, la disputa tra Chiesa militante e laici impegnati si è vivacemente riaccesa. La senatrice Binetti ha reindossato il cilicio e affianca la Gelmini, la pubblicistica laica lamenta la debolezza congenita del laicismo, il cardinal Bagnasco sentenzia che la morale non può esser decisa dalla pubblica opinione, Angelo Panebianco distingue moralità e moralismo con il solo evidente intento di proteggere il premier dalle critiche che gli piovono addosso da più parti. A lui ha risposto giovedì scorso Mario Pirani sicché mi astengo dal maramaldeggiare.
* * * La questione dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica merita qualche precisazione; si tratta infatti di un tema capitale per la laicità dello Stato e non può essere liquidato sulla base delle convenienze di parte.
1. La religione non può essere un insegnamento facoltativo. Dev’essere obbligatorio come debbono esserlo la storia della letteratura, la storia degli avvenimenti politici, la storia dell’arte, quella della filosofia, quella della musica.
2. L’insegnamento della religione non ha nulla a che fare con il catechismo, che viene invece insegnato nelle parrocchie o nelle scuole private cattoliche. Quell’insegnamento non può che consistere in una storia comparata delle religioni e in particolare delle tre religioni monoteistiche che hanno in Abramo il loro ceppo comune.
3. Gli insegnanti debbono essere scelti attraverso pubblico concorso come avviene per tutte le materie in questione.
4. Il "placet" del vescovo rappresenta una latente violazione della laicità, raffigura una discriminazione inaccettabile rispetto agli altri insegnanti e una lesione del diritto degli studenti ad una corretta istruzione.
5. Da questo punto di vista il ricorso del ministro Gelmini contro la sentenza del Tar è un atto molto grave perché lesivo d’un diritto costituzionalmente garantito. Esso difende infatti uno stato di fatto discriminatorio in vigore nella scuola pubblica, che cozza contro le norme di reclutamento dei docenti e contro i diritti degli studenti.
6. Il fatto che la maggioranza degli studenti abbia aderito all’attuale insegnamento facoltativo della religione cattolica non ha alcun peso in una discussione che coinvolge principi costituzionali che (ha ragione il cardinal Bagnasco) non possono essere affidati al computo delle maggioranze.
7. La popolazione di fede musulmana è ormai presente in forze in Europa e in Italia ed è destinata a crescere ancora nel prossimo futuro. Dovremo dunque aprire corsi facoltativi di quella religione, affidati anch’essi al "placet" di qualche autorità religiosa che possa designare docenti coranici?
8. Il ministro dell’Istruzione che ha firmato il ricorso contro la sentenza di un tribunale amministrativo ha agito a nome del governo che si è pronunciato in proposito oppure di propria iniziativa? Ha i poteri per farlo quando si tratta di materia di questa delicatezza?
L’opposizione di centrosinistra si è già pronunciata in proposito ma non ha ancora, ch’io sappia, dato luogo ad una mozione o interpellanza capaci di promuovere un dibattito parlamentare. Eppure se c’è un luogo deputato ad affrontare una questione di tale genere è per l’appunto il Parlamento. E’ perciò auspicabile che questa mozione sia presentata fin d’ora e iscritta dalle Camere per la ripresa settembrina. Da vecchio ghibellino (scusate, da laico impegnato) sarei stupito che tutto finisse qui.
* la Repubblica, 15 agosto 2009
IL COMMENTO
Il coltello del solito Mackie Messer
di EUGENIO SCALFARI *
L’ATTENZIONE pubblica si è spostata dopo le dimissioni del direttore dell’Avvenire. Ora è tutta sulla Chiesa. Che cosa farà la Chiesa? Ci sono correnti all’interno della Chiesa? Quale Chiesa? Chi comanda veramente nella Chiesa?
Perfino la grande stampa internazionale, a cominciare dal Wall Street Journal, si pone queste domande sia pure con la sufficienza e il distacco che si ha quando si affrontano questioni che non riguardano casa propria, questioni esotiche il cui soffio di vento non riesce neppure a increspare l’erba che cresce nel proprio paese. Ma qui in Italia non è certo così; perciò quelle domande scuotono l’intero establishment nazionale, dato ma non concesso che ci sia un establishment e sia degno del nome in questo paese. Riflettevo oggi sulle dimissioni di Boffo e sulla lettera da lui indirizzata al cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale che ha la proprietà dell’Avvenire. Riflettevo e sfogliavo L’Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano il cui direttore pochi giorni fa ha lanciato un siluro contro il collega dell’Avvenire proprio mentre si trovava sotto il tiro di Vittorio Feltri e di Belpietro.
L’Osservatore Romano è il solo quotidiano che si stampa nello Stato vaticano ed ha naturalmente "l’imprimatur" della Segreteria di Stato. Sotto la testata ci sono due motti: "Unicuique Suum", "Non Praevalebunt". Il primo è di facile comprensione, ma il secondo è oscuro. "Non Praevalebunt": di chi si parla? Chi sono i nemici contro i quali il Vaticano, la Chiesa, i cattolici debbono mobilitarsi?
I cattivi, ovviamente; i seguaci del diavolo. Dunque i peccatori? No, i peccati. Quali peccati? Prioritariamente quelli scritti nelle tavole mosaiche. Chi sono i responsabili dei peccati? Il diavolo naturalmente. E chi li commette? Se si confessa e si pente sarà perdonato. E se non li confessa e non si pente? Sarà giudicato alla fine dei tempi. Ma intanto? La Chiesa può sciogliere o legare secondo il mandato di Cristo all’apostolo Pietro e ai suoi successori. E qui, oggi, in Italia? Vedete, ho anch’io qualche domanda da proporre, ma arrivati al dunque, a quest’ultima domanda non c’è risposta, oppure ce ne sono molte ma contrastanti. Quanto al successore dell’apostolo Pietro attualmente in cattedra, una prassi millenaria gli ha insegnato come destreggiarsi in casi difficili: dica parole ispirate di speranza e di verità rampognando chi non le ascolta, ma poiché tutti le accolgono con compunzione e le condividono, quelle rampogne restano senza destinatario.
Qualcuno nel frattempo cade a terra colpito da fuoco amico? Dispiace. Recitiamo in suo suffragio il "requiescat in pace" e andiamo avanti. Questo del resto l’ha detto perfino Vittorio Feltri: "Umanamente mi dispiace per Boffo". E l’ha detto, più o meno con le stesse parole, Francesco Cossiga in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera e diretta al cardinal Bagnasco. E l’aveva già detto con largo anticipo il presidente di Mediaset, Confalonieri, in quanto persona "informata dei fatti" in un’intervista a quello stesso giornale pubblicata, vedi caso, insieme all’intervista di Vian, direttore dell’Osservatore Romano.
Mi viene in mente quella canzone che dice: "Son contento di morire ma mi dispiace / mi dispiace di morire ma son contento". Di queste ipocrisie, per chi ci crede, sono lastricate le vie dell’Inferno.
* * *
In mancanza di altri lumi dobbiamo dunque orientarci da soli. Proviamoci. La Chiesa cattolica ha una sua gerarchia: il Papa, vescovo di Roma, e i vescovi che con lui condividono il ministero pastorale. Così fu per secoli, ma ben presto il quadro cambiò quando i fedeli si moltiplicarono, gli interessi temporali si affiancarono alla missione pastorale, la gerarchia iniziale si rivelò insufficiente. Il Papa ebbe bisogno di collaboratori esperti, i vescovi di esser coadiuvati. A quel punto la gerarchia si specializzò in due diverse direzioni, per altro strettamente intrecciate: la Santa Sede e la Curia per il governo della Chiesa e per i necessari contatti con i governi delle nazioni da un lato, i vescovi e il clero con cura d’anime dall’altro. E poi, altro elemento fondamentale della Chiesa, il popolo di Dio, cioè i fedeli.
La Santa Sede mantiene i rapporti politici. Il clero con cura d’anime predica la salvezza, amministra i sacramenti, scioglie e lega secondo il mandato del Signore. Il Papa, al di sopra di tutti, incoraggia, rampogna e benedice.
* * *
Oggi in Italia.
Il cardinal Bertone, segretario di Stato, gestisce gli interessi della Chiesa nel mondo e in particolare in Italia. Per farlo deve colloquiare con i governi in carica. I giudizi morali se li tiene nell’intimo suo perché i suoi interlocutori sono spesso il fior fiore dei peccatori.
Berlusconi è sicuramente un peccatore, l’ha detto lui stesso. Se la veda con il suo confessore se avrà voglia di confessarsi, o con i tribunali quando i peccati siano diventati reati. Non è compito della Santa Sede. Ma è compito del clero combattere i peccati. Denunciarli. Avvertire i fedeli affinché a loro volta non cadano in tentazione. Lo fanno. Lo ha fatto la stampa diocesana. L’ha fatto l’Avvenire. Con prudenza ma con chiarezza.
Sfortuna volle che Berlusconi perdesse, come si dice, la tramontana e non volesse più sentirsi criticato. Il direttore dell’Osservatore Romano si è pubblicamente dato il merito di non aver mai sollevato il tema d’un peccato privato ed ha criticato il collega Boffo per averlo fatto. Strano vanto in verità. E quel "Non Praevalebunt" perché non sopprimerlo dalla testata del giornale? Può essere d’imbarazzo, collega Vian.
Ma Bertone non è il solo a gestire interessi. C’è Bagnasco alla testa dei vescovi. E c’è anche Ruini, vecchio ma non domo. Ci sono i cardinali arcivescovi che governano diocesi a volte grandi e popolose come piccoli Stati. Grandi elettori nei conclavi. Ci sono Università, Ospedali, Scuole cattoliche. Congregazioni. Ci sono gli Ordini religiosi, le Comunità. Un immenso universo sparso su cinque continenti ma il cuore sta a Roma e in Italia.
Questo cuore non prevedeva che il capo del governo italiano perdesse la tramontana. Non prevedeva che avesse imprevisti accessi di rabbia e li manifestasse in continuazione e pubblicamente. Non prevedeva che stesse sbagliando contro i propri interessi. E non prevedeva che armasse la mano del killer di turno. Perciò la Chiesa nel suo complesso è stata presa alla sprovvista. Il Papa, Bertone, Bagnasco. Alla sprovvista. Forse Ruini, più esperto, aveva capito che uno "tsunami" era in arrivo e forse sperava che tornasse utile ad un progetto in via di prender forma.
* * *
Il progetto ha un nome. Si chiama Grande Centro. Il partito di Casini e Buttiglione più Montezemolo. Oppure di Montezemolo più Casini e Buttiglione. E il Forum delle famiglie, e l’associazione per la vita, e Formigoni sullo sfondo e Vittadini e le Coop bianche, eccetera eccetera.
Questo Grande Centro non sarà mai grandissimo e non potrà mai governare da solo, ma può diventare il pesce pilota e l’esecutore testamentario quando Berlusconi deciderà di farsi da parte (con tutti gli onori e senza alcun onere, beninteso).
L’assetto finale è il grande partito dei moderati con forti venature cattoliche. A Ruini piace. A Bertone piace. Bagnasco? Piacerà anche a lui e poi Bagnasco semmai è un incidente di percorso. Però la ferita Boffo brucia ancora. Perciò Berlusconi dovrà pagare un prezzo (che a lui non costa nulla): testamento biologico, soldi alle scuole cattoliche, limiti alla pillola-aborto, revisione delle leggi sulla fecondazione assistita, eccetera.
Grandi piccoli e piccolissimi giornali sono d’accordo. Finalmente si tornerà a parlare di problemi seri, alla moda di Tremonti. La libertà di stampa e il controllo dei poteri di garanzia sull’operato del governo non sono un problema serio, non sono una questione preliminare, sono bazzecole. Casini è cauto. Su Boffo non ha sparso molte lacrime, però non si fida. Alle regionali marcerà in ordine sparso secondo le convenienze ma alcune scelte saranno comunque decisive, per esempio nel Lazio, in Puglia, in Piemonte. Poi si vedrà. Anche Confalonieri è contento. La colpa è sola di Repubblica, perciò sia castigata. Sembra un uomo di pace, Confalonieri, ma invece è la bocca dentata del Caimano. Secondo lui Repubblica è rea d’aver trasformato un fatto privato in una questione pubblica. Dimentica che l’origine sta in una pubblica dichiarazione di Veronica Lario, portata in tivù da Berlusconi. E dimentica anche che Libero allora diretto da Vittorio Feltri quarantotto ore dopo pubblicò la foto di Veronica a seno nudo e le attribuì il suo autista come amante. Ricordate "L’opera da tre soldi"? "Mackie Messer ha il coltello / ma vedere non lo fa". La memoria di Confalonieri non funziona? Colpa della vecchiaia? O di un innato servilismo?
* * *
Un’ultima domanda: la Lega è cattolica? Ma certo che lo è. Lo è nelle intime fibre. Vuole la famiglia compatta. Di colore bianca. Vuole che si muoia quando arriva la morte e non prima. Non le piacciono gli immigrati, che c’è di male? Neanche "i terroni" e pazienza. Ma qualche soldo, purché restino a casa loro, diamoglielo. E poi Alberto da Giussano non stava dalla parte del Papa?Il resto sono bubbole. I dialetti stanno stretti a Umberto Eco? E chi se ne frega. Fini? Fini chi? Vogliamo almeno tre Regioni nel Nord e viva Berlusconi. Piacerebbe sapere che impressione ne ha avuto il cardinal Bagnasco che li ha incontrati. Bagnasco chi?
* la Repubblica, 6 settembre 2009
Il parlamento clandestino dichiara illegale la clandestinità (degli immigrati)
Genova 2 luglio 2009. - Oggi è giorno di lutto per l’Italia fondata sul diritto e sulla Carta Costituzionale. Dopo i giorni della presidenza del consiglio trasformata in lupanare all’aperto, ecco i giorni della demenza giuridica e della vergogna di un governo che legifera solo per soddisfare i propri istinti e ignoranza. Due settimane fa il governo doveva varare la legge sulla prostituzione, penalizzando i clienti, su proposta della Mara Carfagna, non sappiamo (o forse sì?) per quali meriti divenuta ministra della moralità e approvata dal presidente del consiglio, «utilizzatore finale» di escort o prostitute a tre zeri. Qualcuno ha avuto la decenza di rimettere il disegno di legge nel cassetto, in attesa di tempi meno travagliati dalle parti governative. Occorreva qualcosa per distrarre dal porcilaio in cui l’Italia intera è stata annegata dal capo del governo e dei suoi manutengoli. La distrazione nazionale si chiama «il reato di clandestinità» da dare in pasto alle paure indotte dagli stessi che legiferano.
E’ legge, dunque, la norma che prevede il reato di clandestinità che per forza d’inerzia farà aumentare i clandestini come funghi dopo la pioggia; i centri di identificazione da luoghi di verifica civile diventano lager consentiti, passando da 60 a 540 giorni (il 900%). Oggi muore la decenza, muore il Diritto, mentre la stampa pubblica una lettera di un giudice costituzionale, «famiglio intimo» del plurinquisito» capo del governo con cui sfida e sotterra la dignità dell’Alta Corte.
Nella legge che dichiara la clandestinità reato, c’è una norma che inasprisce il reato di mafia (il 41bis). E’ una trappola. Vedremo che tutti i governativi e la maggioranza al guinzaglio si farà scudi di questo articolo per screditarsi tutori di legalità integerrima: essi inaspriscono le pene alla mafia, ma fanno eleggere al parlamento e nelle regioni mafiosi condannati o in via di processo.
Se Cristo fosse fisicamente presente in Italia (cosa impossibile perché starebbe a 12.000 km di distanza dal vaticano!), sarebbe clandestino e verrebbe rinchiuso in un lager di «verifica» (?). Per sfuggire alla polizia di Stato, fuggì in Egitto e tornò solo dopo la morte dei suoi persecutori. Ai clandestini colpevoli di essere uomini e donne in cerca di dignità e agli Italiani e Italiane che hanno ancora il senso del diritto, diciamo due cose: noi speriamo che muoiano presto coloro che li perseguitano e da parte nostra combatteremo questa ignominia di cui proviamo vergogna e che disprezziamo come disprezziamo coloro che l’hanno votata.
Il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, monsignor Antonio Maria Veglio, ha scritto: «I migranti hanno il diritto di bussare alle nostre porte. Basta demonizzare e criminalizzare il forestiero. L’arrivo dei migranti non è certo un pericolo. Sbagliato trincerarsi dentro le proprie mura». Gli fa eco il segretario del pontificio Consiglio, monsignor Agostino Marchetto: La nuova legge porterà «molti dolori e difficoltà agli immigrati» e noi aggiungiamo anche all’Italia perché farà aumentare in modo esponenziale la clandestinità.
Il catto-fascista Gasparri, insieme con gli altri governativi cattolici «similpelle» dichiara di «essere orgoglioso». Di fronte all’Italia che di degrado in degrado corre verso il buco nero dell’indecenza generalizzata, non riusciamo ancora ad udire un belato, un vagito, un gridolino della gerarchia cattolica che pare abbia assunto come nuovo stemma le tre scimmie storiche: non vede, non sente e non parla. La luce che doveva stare sul monte per illuminare le coscienze, è stata spenta e messa in sicurezza sotto il moggio, chiusa a chiave e la chiave buttata a mare. Il silenzio dei vescovi è un peccato contro lo Spirito che non sarà perdonato né in cielo né in terra.
* Il Dialogo, Giovedì 02 Luglio,2009 Ore: 17:36
Chi s’è arreso alle armate del Papa
di MICHELE AINIS (La Stampa, 21/2/2009)
Cadono gli anniversari: l’11 febbraio, 80 anni dal vecchio Concordato, siglato da Mussolini; il 18 febbraio, 25 anni dal nuovo Concordato, quello con la firma di Craxi. Ma cade inoltre, dalla memoria collettiva, il ricordo delle scelte che li accompagnarono, che li resero possibili. Cade la percezione d’un clima nei rapporti fra Italia e Vaticano che oggi non sapremmo neanche immaginare. Altri uomini, altre regole. Ecco perché il documento pubblicato lunedì su questo giornale è un bene prezioso: ci aiuta a ricordare, al contempo ci dimostra che c’è stata una Chiesa rispettosa delle nostre istituzioni. E se c’è stata, può esserci di nuovo. Dipende dalle autorità religiose, ma soprattutto dalle autorità politiche della Repubblica italiana. Quel documento è una nota riservata del vescovo Riva, indirizzata a Moro nel gennaio 1976. Quindi 8 anni prima degli accordi di Villa Madama, ma la nota già ne anticipa il contenuto più essenziale. A partire dall’affermazione secondo cui la Chiesa «si sottopone alle leggi dello Stato».
La stessa affermazione, tradotta in norma vincolante, che apre il nuovo Concordato, dove la Santa Sede s’impegna al «pieno rispetto» della sovranità statale. Ma in quella nota c’è di più: una doppia ammissione che a leggerla adesso ti fa saltare sulla sedia. Perché c’è scritto che le gerarchie ecclesiastiche non reclamano privilegi dallo Stato italiano. Perché vi si mette a nudo la ferita più bruciante, che all’epoca fu inflitta dalla legge sul divorzio. L’emissario di Paolo VI continua a dolersi per la legislazione divorzista; ma aggiunge che la Santa Sede «non si propone di insistere in una richiesta pregiudiziale del ristabilimento della situazione quo ante». Insomma pazienza per la sacralità della famiglia, quantomeno allora era più forte la sacralità dello Stato. Come ha potuto rovesciarsi questo atteggiamento? Quando comincia l’invasione delle truppe pontificie (titolo di Le Monde) sul suolo italiano? Da dove nasce l’intransigenza, e insieme la prepotenza sfoderata attorno al caso Englaro? Semplice: da un doppio referendum. Quello che nel 1974 la Chiesa ha perso sul divorzio; quello che nel 2005 ha vinto sulla procreazione assistita. Ma se è questa la lezione della storia, significa che lo spazio della Chiesa nella nostra vita pubblica dipende principalmente da noi stessi. È uno spazio politico, e la politica ha orrore del vuoto. Se il trono rimane vacante, al suo posto sorgerà un altare. Se gli elettori pensano che la laicità sia questione da filosofi, la filosofia imperante sarà quella religiosa. Se i politici italiani sono libertini in privato ma genuflessi in pubblico, perché la Chiesa dovrebbe fare un passo indietro? C’è almeno un tratto di continuità fra l’arrendevolezza vaticana sul divorzio e l’inflessibilità sul testamento biologico: il pragmatismo, virtù molto terrena che sa adattarsi ai tempi, cogliendo l’opportunità del giorno dopo. Tutto l’opposto del rigore dottrinale, della parola scolpita sulla Bibbia. Eppure non è che lo Stato italiano si sia del tutto arreso alle armate vaticane. O meglio si è arreso il governo, si è arreso il Parlamento. Tuttavia di tanto in tanto resiste qualche giudice.
La Cassazione ha riconosciuto il buon diritto di Beppino Englaro. Successivamente la Consulta ha riconosciuto il buon diritto della Cassazione. E sempre la Suprema Corte questa settimana ha assolto il magistrato Tosti, che rifiutò di tenere udienza davanti al crocefisso, in nome della laicità della Repubblica. Evidentemente ai nostri giudici difetta il pragmatismo.
michele.ainis@uniroma3.it
LETTERA AGLI AMICI
È AL COLMO LA FECCIA
di Alex Zanotelli
Riprendiamo questo articolo dal sito di "Mosaico di Pace" (http://www.peacelink.it/mosaico/a/26784.html), la rivista di Paxchristi che l’ha pubblicata il 17 luglio 2008. Ci associamo al grido di dolore di padre Alex e lo facciamo nostro. *
Carissimi,
è con la rabbia in corpo che vi scrivo questa lettera dai bassi di Napoli, dal Rione Sanità nel cuore di quest’estate infuocata. La mia è una rabbia lacerante perché oggi la Menzogna è diventata la Verità.
Il mio lamento è così ben espresso da un credente ebreo nel Salmo 12
"Solo falsità l’uno all’altro si dicono:
bocche piene di menzogna,
tutti a nascondere ciò che tramano in cuore.
Come rettili strisciano,
e i più vili emergono,
è al colmo la feccia"
Quando, dopo Korogocho, ho scelto di vivere a Napoli, non avrei mai pensato che mi sarei trovato a vivere le stesse lotte. Sono passato dalla discarica di Nairobi, a fianco della baraccopoli di Korogocho, alle lotte di Napoli contro le discariche e gli inceneritori. Sono convinto che Napoli è solo la punta dell’iceberg di un problema che ci sommerge tutti.
Infatti, se a questo mondo, gli oltre sei miliardi di esseri umani vivessero come viviamo noi ricchi (l’11% del mondo consuma l’88% delle risorse del pianeta!) avremmo bisogno di altri quattro pianeti come risorse e di altro quattro come discariche ove buttare i nostri rifiuti. I poveri di Korogocho, che vivono sulla discarica, mi hanno insegnato a riciclare tutto, a riusare tutto, a riparare tutto, a rivendere tutto, ma soprattutto a vivere con sobrietà.
È stata una grande lezione che mi aiuta oggi a leggere la situazione dei rifiuti a Napoli e in Campania, regione ridotta da vent’anni a sversatoio nazionale dei rifiuti tossici.
Infatti, esponenti della camorra in combutta con logge massoniche coperte e politici locali, avevano deciso nel 1989, nel ristorante "La Taverna di Villaricca", di sversare i rifiuti tossici in Campania. Questo perché diventava sempre più difficile seppellire i nostri rifiuti in Somalia. Migliaia di Tir sono arrivati da ogni parte di Italia carichi di rifiuti tossici e sono stati sepolti dalla camorra nel Triangolo della morte (Acerra-Nola- Marigliano), nelle Terre dei fuochi (Nord di Napoli ) e nelle campagne del Casertano. Questi rifiuti tossici "bombardano" oggi, in particolare i neonati, con diossine, nanoparticelle che producono tumori, malformazioni, leucemie...
Il documentario Biutiful Cauntri esprime bene quanto vi racconto.
A cui bisogna aggiungere il disastro della politica ormai subordinata ai potentati economici-finanziari. Infatti questa regione è stata gestita dal 1994 da 10 commissari straordinari per i rifiuti, scelti dai vari governi nazionali che si sono succeduti. È sempre più chiaro, per me, l’intreccio fra politica, potentati economici-finanziari, camorra, logge massoniche coperte e servizi segreti!. In 15 anni i commissari straordinari hanno speso oltre due miliardi di euro per produrre oltre sette milioni di tonnellate di "ecoballe", che di eco non hanno proprio nulla: sono rifiuti tal quale, avvolti in plastica che non si possono né incenerire (la Campania è già un disastro ecologico!) né seppellire perché inquinerebbero le falde acquifere. Buona parte di queste ecoballe, accatastate fuori la città di Giugliano, infestano con il loro percolato quelle splendide campagne denominate "Taverna del re".
E così siamo giunti al disastro! Oggi la Campania ha raggiunto gli stessi livelli di tumore del Nord-Est, che però ha fabbriche e lavoro. Noi, senza fabbriche e senza lavoro, per i rifiuti siamo condannati alla stessa sorte. Il nostro non è un disastro ecologico - lo dico con rabbia - ma un crimine ecologico, frutto di decisioni politiche che coprono enormi interessi finanziari.
Ne è prova il fatto che Prodi, a governo scaduto, abbia firmato due ordinanze: una che permetteva di bruciare le ecoballe di Giugliano nell’inceneritore di Acerra, l’altra che permetteva di dare il Cip 6 (la bolletta che paghiamo all’Enel per le energie rinnovabili) ai 3 inceneritori della Campania che "trasformano la merda in oro- come dice Guido Viale - Quanto più merda, tanto più oro!". Ulteriore rabbia quando il governo Berlusconi ha firmato il nuovo decreto n. 90 sui rifiuti in Campania. Berlusconi ci impone, con la forza militare, di costruire 10 discariche e quattro inceneritori. Se i 4 inceneritori funzionassero, la Campania dovrebbe importare rifiuti da altrove per farli funzionare. Da solo l’inceneritore di Acerra potrebbe bruciare 800.000 tonnellate all’anno!
È chiaro allora che non si vuole fare la raccolta differenziata, perché se venisse fatta seriamente (al 70 %), non ci sarebbe bisogno di quegli inceneritori.
È da 14 anni che non c’è volontà politica di fare la raccolta differenziata. Non sono i napoletani che non la vogliono, ma i politici che la ostacolano perché devono ubbidire ai potentati economici-finanziari promotori degli inceneritori. E tutto questo ci viene imposto con la forza militare vietando ogni resistenza o dissenso, pena la prigione. Le conseguenze di questo decreto per la Campania sono devastanti. "Se tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge (articolo 3 della Costituzione), i campani saranno meno uguali, avranno meno dignità sociale-così afferma un recente Appello ai Parlamentari Campani. Ciò che è definito "tossico" altrove, anche sulla base normativa comunitaria, in Campania non lo è; ciò che altrove è considerato "pericoloso" qui non lo sarà. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia e controllo sanitario, qui non saranno in vigore. La polizia giudiziaria e la magistratura in tema di repressione di violazioni della normativa sui rifiuti, hanno meno poteri che nel resto d’Italia e i nuovi tribunali speciali per la loro smisurata competenza e novità, non saranno in grado di tutelare, come altrove accade, i diritti dei campani".
Davanti a tutto questo, ho diritto ad indignarmi. Per me è una questione etica e morale. Ci devo essere come prete, come missionario. Se lotto contro l’aborto e l’eutanasia, devo esserci nella lotta su tutto questo che costituisce una grande minaccia alla salute dei cittadini campani. Il decreto Berlusconi straccia il diritto alla salute dei cittadini Campani.
Per questo sono andato con tanta indignazione in corpo all’inceneritore di Acerra, a contestare la conferenza stampa di Berlusconi, organizzata nel cuore del Mostro, come lo chiama la gente. Eravamo pochi, forse un centinaio di persone. (La gente di Acerra, dopo le botte del 29 agosto 2004 da parte delle forze dell’ordine, è terrorizzata e ha paura di scendere in campo). Abbiamo tentato di dire il nostro no a quanto stava accadendo. Abbiamo distribuito alla stampa i volantini :"Lutto cittadino. La democrazia è morta ad Acerra. Ne danno il triste annuncio il presidente Berlusconi e il sottosegretario Bertolaso." Nella conferenza stampa (non ci è stato permesso parteciparvi !) Berlusconi ha chiesto scusa alla Fibe per tutto quello che ha "subito" per costruire l’inceneritore ad Acerra! (Ricordo che la Fibe è sotto processo oggi!).
Uno schiaffo ai giudici! Bertolaso ha annunciato che aveva firmato il giorno prima l’ordinanza con la Fibe perché finisse i lavori! Poi ha annunciato che avrebbe scelto con trattativa privata, una delle tre o quattro ditte italiane e una straniera, a gestire i rifiuti. Quella italiana sarà quasi certamente la A2A (la multiservizi di Brescia e Milano) e quella straniera è la Veolia, la più grande multinazionale dell’acqua e la seconda al mondo per i rifiuti. Sarà quasi certamente Veolia a papparsi il bocconcino e così, dopo i rifiuti , si papperà anche l’acqua di Napoli. Che vergogna!
È la stravittoria dei potentati economici-finanziari, il cui unico scopo è fare soldi in barba a tutti noi che diventiamo le nuove cavie. Sono infatti convinto che la Campania è diventata oggi un ottimo esempio di quello che la Naomi Klein nel suo libro Shock Economy, chiama appunto l’economia di shock! Lì dove c’è emergenza grave viene permesso ai potentati economico-finanziari di fare cose che non potrebbero fare in circostanze normali.
Se funziona in Campania, lo si ripeterà altrove. (New Orleans dopo Katrina insegna!).
E per farci digerire questa pillola amara, O’ Sistema ci invierà un migliaio di volontari per aiutare gli imbecilli dei napoletani a fare la raccolta differenziata, un migliaio di alpini per sostenere l’operazione e trecento psicologi per oleare questa operazione!! Ma a che punto siamo arrivati in questo paese!?! Mi indigno profondamente! E proclamo la mia solidarietà a questo popolo massacrato! "Padre Alex e i suoi fratelli " era scritto in una fotografia apparsa su Tempi (inserto di La Repubblica). Sì, sono fiero di essere a Napoli in questo momento così tragico con i miei fratelli (e sorelle) di Savignano Irpino, espropriati del loro terreno seminato a novembre, con i miei fratelli di Chiaiano, costretti ad accedere nelle proprie abitazioni con un pass perchè sotto sorveglianza militare.
Per questo, con i comitati come Allarme rifiuti tossici , con le reti come Lilliput e con tanti gruppi, continueremo a resistere in Campania. Non ci arrenderemo. Vi chiedo di condividere questa rabbia, questa collera contro un Sistema economico-finanziario che ammazza e uccide non solo i poveri del Sud del mondo, ma anche i poveri nel cuore dell’Impero. Trovo conforto nelle parole del grande resistente contro Hitler, il pastore luterano danese, Kaj Munk ucciso dai nazisti nel 1944 . "Qual è dunque il compito del predicatore oggi ? Dovrei rispondere: fede, speranza e carità. Sembra una bella risposta. Ma vorrei dire piuttosto :coraggio. Ma no, neppure questo è abbastanza provocatorio per costituire l’intera verità... Il nostro compito oggi è la temerarietà. Perchè ciò di cui come Chiesa manchiamo non è certamente né di psicologia né di letteratura. Quello che a noi manca è una santa collera".
Davanti alla menzogna che furoreggia in questa regione campana, non ci resta che una santa collera. Una collera che vorrei vedere nei miei concittadini, ma anche nella mia chiesa. "I simboli della chiesa cristiana sono sempre stati il leone, l’agnello, la colomba e il pesce-diceva sempre Kaj Munk-Ma mai il camaleonte".
Vi scrivo questo al ritorno della manifestazione tenutasi nelle strade di Chiaiano, contro l’occupazione militare della cava. Invece di aspettare il giudizio dei tecnici sull’idoneità della cava, Bertolaso ha inviato l’esercito per occuparla. La gente di Chiaiano si sente raggirata, abbandonata e tradita.
Non abbandonateci.
È questione di vita o di morte per tutti. È con tanta rabbia che ve lo scrivo. Resistiamo!
Alex Zanotelli
Napoli 12 luglio 2008
l’Unità 8.7.08
Manifesto scientifico. La bufala delle razze umane
di Pietro Greco *
Le razze umane non esistono. Sono un mito. Un mito pericoloso. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. Ma l’umanità non è costituita da piccoli e grandi gruppi diversi per struttura genetica. È piuttosto una rete estesa di persone geneticamente e culturalmente collegate in maniera dinamica tra loro. E quell’aggettivo, dinamico, è da sottolineare. Perché di fatto, nessun popolo nel corso dei secoli può essere considerato isolato geneticamente.
E in particolare, è un mito senza fondamento che sessanta milioni di nativi dell’Italia discendano da famiglie che abitano la penisola da almeno mille anni. Il “meticciato” genetico e culturale è una caratteristica dell’Italia come dell’intera umanità. Di più, è un bene. Sia sul piano strettamente biologico, sia sul piano culturale.
È questo, in estrema sintesi, il contenuto del «manifesto antirazzista» che un gruppo di scienziati italiani - tra i primi firmatari Rita levi Montalcini, Enrico Alleva, Guido Barbujani, Laura Dalla Ragione, Elena Gagliasso Luoni, Massimo Livi Bacci, Alberto Piazza, Agostino Pirella, Frencesco Remotti, Filippo Tempia, Flavia Zucco - presenterà il prossimo 10 luglio a San Rossore nell’ambito di una tradizionale manifestazione della Regione Toscana, dedicata quest’anno alla mobilitazione «contro ogni razzismo».
Il «manifesto antirazzista» sarà illustrato dal biologo Marcello Buiatti e introdotto dal Presidente della Regione, Claudio Martini, a sessant’anni dalla pubblicazione, avvenuta il 14 luglio 1938, del «manifesto della razza» a opera di un gruppo di scienziati fascisti. Quello di San Rossore è un vero e proprio “contro-manifesto” in termini letterali. Perché a ciascuna delle dieci tesi del famigerato “manifesto della razza” oppone una tesi diversa, alla luce delle moderne conoscenze scientifiche. Dimostrando che con quel famigerato atto gli scienziati fascisti tradirono insieme la scienza, i valori della comunità scientifica e la loro stessa umanità.
Tradirono la scienza, perché già allora vi erano tutti gli elementi per affermare che il concetto biologico di razza è una pura invenzione. Oggi tutti gli studi genetici lo dimostrano al di là di ogni possibile dubbio.
La genetica, infatti, ha consentito di chiarire almeno cinque punti rispetto alla variabilità tra gli individui e all’esistenza delle razze umane:
1. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. È un organismo biologico unico e irripetibile.
2. Se si considerano i singoli geni, essi sono sempre presenti in quasi tutte le popolazioni umane, anche se con frequenza diversa. In pratica, la frequenza dei singoli geni di tutte le popolazioni umane è largamente sovrapponibile. E, in particolare, nessun gene specifico può essere utilizzato per distinguere una popolazione umana dall’altra. Le popolazioni umane sono geneticamente molto simili le une alle altre.
3. C’è invece una grande variabilità genetica tra gli individui, tra gli uomini. Nessuno di noi porta i medesimi geni di un altro uomo. Tuttavia la gran parte di questa variabilità è anteriore alla formazione delle diverse popolazioni ed è probabilmente persino anteriore alla formazione della specie sapiens. In ogni caso, diversi studi indipendenti hanno dimostrato che almeno l’85% della diversità genetica (ovvero dell’insieme dei geni umani) è presente in ogni popolazione del mondo, il 5% della variabilità genetica è presente tra tutte le popolazioni del medesimo continente, e il residuo 10% si verifica tra popolazioni di diversi continenti.
4. La variabilità genetica all’interno delle singole popolazioni, per esempio tra gli europei o gli italiani, è elevatissima. Mentre le differenze genetiche tra i tipi mediani delle diverse popolazioni, tra gli italiani e gli etiopi, per esempio, sono modeste e pressocché irrilevanti rispetto alla variabilità interna alle singole popolazioni. In pratica due italiani possono essere geneticamente molto diversi tra loro. Molto più di quanto non siano diversi un italiano medio e un etiope medio.
5. La contaminazione genetica tra le diverse popolazioni umane è costante ed elevatissima. Lo confermano persino gli ultimi sequenziamento dell’intero genoma umano. Nei mesi scorsi il premio Nobel per la biologia James Dewey Watson, scopritore con Francis Crick della struttura a doppia elica del Dna, ha pubblicato i risultati del sequenziamento del suo Dna. E non senza una sua certa costernazione - Watson aveva detto che i neri sono meno intelligenti dei bianchi - ha scoperto che il 9% dei propri geni ha un’origine asiatica e che uno dei suoi bisnonni o, comunque, dei sui antenati recenti era di origine africana.
Ma il “contro-manifesto” di San Rossore dimostra anche - e soprattutto - che gli scienziati fascisti tradirono non solo la scienza (intesa come conoscenza rigorosa), ma anche i valori fondanti della comunità scientifica, mettendo il loro sapere non al servizio dell’intera umanità - come indicava già nel ’600 Francis Bacon - ma al servizio di un’ideologia pericolosa che voleva dividere gli uomini gli uni dagli altri, per discriminarli.
E con ciò, quegli scienziati fascisti, si macchiarono della colpa più grave: tradirono la loro stessa umanità.
Il “contro-manifesto della razza” che gli scienziati italiani presenteranno a San Rossore il prossimo 10 luglio non ha, dunque, solo un valore storico e scientifico (e non sarebbe certo poca cosa). Ma ha un valore politico di stringente attualità. Troppe parole, troppi episodi, persino qualche disposizione di governo nel nostro paese stanno alimentando il fuoco della discriminazione razziale. È ora - ci dicono gli scienziati preoccupati di San Rossore - che questi venti cessino di soffiare e che il fuoco della discriminazione razziale venga definitivamente spento. Prima che scoppi, improvviso, un nuovo incendio.
Il documento: «Le razze non esistono. Ce n’è solamente una: quella umana»
Demografi, genetisti, filosofi, psichiatri e ricercatori: ecco l’appello contro le discriminazioni
«Il razzismo è contemporaneamente omicida e suicida. Gli ebrei italiani sono
ebrei e italiani»
I. Le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze «psicologiche» e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in «migliori» e «peggiori» e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.
II. L’umanità, non é fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d’individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture. Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i tempi richiesti da processi di selezione genetica.
III. Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L’analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri «cugini» scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.
IV. È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la «razza ariana», coincidente con l’immagine di un popolo bellicoso, vincitore, «puro» e «nobile», con buona parte dell’Europa, dell’India e dell’Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l’Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L’origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell’Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all’alleato nazista l’identificazione anche degli italiani con gli «ariani».
V. È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l’intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti «barbari», hanno prodotto l’ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.
VI. Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L’Italia come Nazione si é unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, é quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio «incrociandoci» fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente «purezza del sangue» la «nobiltà» della «Nazione» significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell’attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.
VII. Il razzismo é contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così é avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all’odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della «normalità». Colpisce quelli che stanno «fuori dalle righe», i «folli», i «poveri di spirito», i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all’umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se é capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri «benevolmente disordinati» cervelli.
VIII. Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l’Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una «comune razza mediterranea». Per spingere più indietro l’Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro «semiti» e «camiti», con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l’origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un’unica razza.
IX. Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti ( nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così é successo ad esempio con gli Armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi , popoli appartenenti all’Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l’una né l’altra.
X. L’ideologia razzista é basata sul timore della «alterazione» della propria razza eppure essere «bastardi» fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni. Il «meticciamento» culturale é la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un’Italia razzista che si frammentasse in «etnie» separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro. Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo «altro da noi».
Enrico Alleva, Docente di Etologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma; Guido Barbujani, Docente di Genetica di popolazioni, Università Ferrara; Marcello Buiatti, Docente di Genetica, Università di Firenze; Laura dalla Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta, Perugia; Elena Gagliasso, Docente di Filosofia e Scienze del vivente, Università La Sapienza, Roma; Rita Levi Montalcini, Neurobiologa, Premio Nobel per la Medicina; Massimo Livi Bacci, Docente di demografia, Università di Firenze; Alberto Piazza, Docente di Genetica Umana, Università di Torino; Agostino Pirella, Psichiatra, co-fondatore di Psichiatria democratica, Torino; Francesco Remotti, Docente di Antropologia culturale, Università di Torino; Filippo Tempia, Docente di Fisiologia, Università di Torino; Flavia Zucco, Dirigente di Ricerca, Presidente Associazione Donne e Scienza, Istituto di Medicina molecolare, CNR.
Settembre ’38: Vittorio Emanuele III, in vacanza proprio nella tenuta toscana, diede avvio alle leggi razziali
E tra un bagno e una passeggiata il re firmò la condanna degli ebrei
di Gaia Rau (la Repubblica/Firenze, 08.07.2008)
San Rossore, settembre 1938. La persecuzione fascista degli ebrei comincia da qui, dalla tenuta reale immersa nel parco di Migliarino dove, dai primi anni del Novecento, i Savoia avevano l’abitudine di trascorrere le vacanze estive. Tra un bagno in mare, una battuta di caccia e una passeggiata all’ombra dei pini marittimi furono decisi i primi provvedimenti che, passo dopo passo, delinearono il calvario al quale, negli anni immediatamente successivi, furono sottoposti oltre 6mila ebrei italiani di tutte le età. A cominciare dai più piccoli.
Primo bersaglio ad essere colpito dalle cosiddette «leggi razziali» fu infatti la scuola. Il 5 settembre Vittorio Emanuele III, raggiunto a San Rossore da Benito Mussolini e dai ministri dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai e delle Finanze Paolo Thaon di Revel, mise la sua firma sul Regio Decreto n. 1390, intitolato Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista. Un testo in sette punti nel quale si sosteneva «la necessità assoluta e urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana», e si provvedeva a «liberare» la scuola ariana vietando, a partire dal nuovo anno scolastico, l’accesso alle scuole di ogni ordine e grado e alle università ad alunni e insegnanti di «razza ebraica». Una definizione specificata nel decreto stesso, ai sensi del quale veniva «considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica», e ricalcata da quella contenuta dal Manifesto degli scienziati razzisti italiani, pubblicato nel luglio dello stesso anno dal Giornale d’Italia e sottoscritto da 10 sedicenti «scienziati» del regime.
Ancora San Rossore, due giorni dopo. Un nuovo incontro tra il re e gli esponenti del governo fascista, seguito dalla firma di un altro testo legislativo, il Regio Decreto n. 1381 del 7 settembre 1938, che dava il via ai Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri. Il decreto vietava agli ebrei stranieri di stabilire la propria dimora nel Regno, in Libia e nei possedimenti coloniali nell’Egeo, e stabiliva la revoca della cittadinanza italiana per coloro che l’avessero ottenuta a partire dal 1919. Tutti gli ebrei stranieri residenti in Italia se ne sarebbero dovuti andare entro sei mesi: se non l’avessero fatto «volontariamente», sarebbero stati espulsi. Incaricato di discutere con Vittorio Emanuele III il nuovo provvedimento fu l’ex sindaco di Pisa Guido Buffarini Guidi, nelle sue vesti di sottosegretario agli Interni, il quale ricevette da Mussolini il compito di rassicurare il re, preoccupato che anche gli ebrei «benemeriti» della patria subissero la stessa sorte degli stranieri. Lo stesso Buffarini Guidi, che era stato uno dei firmatari del Manifesto, si batté successivamente contro le leggi razziali, cercando di mitigarne gli effetti.
Sempre a San Rossore, il 23 settembre, fu firmato un terzo provvedimento, il Regio Decreto n. 1630, che tornava ad affrontare il «problema» degli ebrei nella scuola. Con esso si istituivano, a spese dello Stato, «speciali sezioni di scuola elementare per i fanciulli di razza ebraica». Si dava inoltre alle «comunità israelitiche» la possibilità di aprire, con l’autorizzazione del Ministro per l’Educazione Nazionale, scuole elementari e medie per i bambini ebrei.
La ghettizzazione all’interno della scuola rappresentò l’inizio della discriminazione a tutti i livelli della società. Ai tre provvedimenti varati a San Rossore seguirono, il 6 ottobre, una «Dichiarazione sulla razza» votata dal Gran Consiglio del Fascismo; il 15 novembre un Testo Unico delle norme già emanate a proposito della tutela della razza nella scuola e, il 17 novembre, un Regio Decreto «sulla razza italiana» che raccoglieva tutti i provvedimenti precedenti. Infine, il 29 giugno 1939, fu la volta del «Regio Decreto sulla disciplina dell’esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica», che sanciva il divieto, per gli ebrei, di esercitare professioni fra cui quella di giornalista, medico, avvocato, ragioniere, architetto. In poco tempo, gli ebrei furono completamente esclusi dalla società italiana.
Il 25 luglio 1943, Vittorio Emanuele III e il governo Badoglio lasceranno in vigore le leggi razziali, che saranno abrogate soltanto sei mesi dopo, nel gennaio del 1944, con un decreto la cui attuazione fu tuttavia rinviata alla fine della guerra.
«Berlusconi discusso e odiato». Gaffe della Casa Bianca al G8
Incidente democratico tra Stati Uniti d’America e Berlusconi. Tutta colpa di una biografia graffiante sul presidente del Consiglio italiano finita - ora si dice «per errore» - nel kit per la stampa con tanto di cartellina ufficiale dell’Amministrazione di Washington, una descrizione tratteggiata certo poco lusinghiera, più da affarista che da statista. Una istantanea di Silvio Berlusconi che lo descrive come «un uomo d’affari con massicce proprietà e grande influenza nei media internazionali» ma che dice anche che «è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione governativa e vizio».
«Berlusconi - si continua a leggere nel profilo - era considerato da molti un dilettante in politica che ha conquistato la sua importante carica solo grazie alla sua notevole influenza sui media nazionali finché non ha perso il posto nel 2006». E si fa notare che il Cavaliere è un uomo politico e un imprenditore «odiato da molti ma rispettato da tutti almeno per la sua bella figura (in italiano nel testo) e la pura forza della sua volontà». Poi un’altra stoccata forse più dura per la coscienza civile americana, perchè ricorda il conflitto di interesse, specialmente se messa di fila con gli altri giudizi: «Berlusconi ha trasformato il suo senso degli affari e la sua influenza in un impero personale che ha prodotto il governo italiano di più lunga durata assoluta e la sua posizione di persona più ricca del paese».
Il portavoce della Casa Bianca Tony Fratto ha inviato una lettera nella quale si scusa a nome della Casa Bianca per quello che appare come un incidente diplomatico senza precedenti: «Scrivo -si legge nella lettera - in relazione a certi documenti di background che sono stati distribuiti ai giornalisti in viaggio su Air Force One per il vertice del G8 che si tiene in Giappone.Una biografia non ufficiale del primo ministro italiano Berlusconi, inclusa nel materiale stampa, utilizza un linguaggio insultante sia nei confronti del primo ministro Berlusconi che del popolo italiano. I sentimenti espressi nella biografia non rappresentano le vedute del presidente Bush, del governo americano e degli americani». La lettera si proffonde quindi in scuse diplomatiche: « Ci scusiamo con l’Italia e con il primo ministro per questo errore davvero sfortunato. Come tutti coloro che hanno seguito il presidente Bush, il presidente ha per premier Berlusconi e per tutti gli italiani la più alta stima e riguardo». Ma la sensazione resta di due verità, una radiografia impietosa del presidente del Consiglio italiano destinata, evidentemente, dello staff operativo e un ritratto ufficiale idilliaco, tutto rose e viole, di presidenti «amichetti». Amici serpenti.
* l’Unità, Pubblicato il: 07.07.08, Modificato il: 07.07.08 alle ore 22.02
VERITA’ E RICONCILIAZIONE. PER NON DIMENTICARE: *
"Quando furono promulgate le leggi razziali in Italia nell’autunno del 1938, il provveditorato agli studi inviò solerti funzionari in tutte le scuole del Regno per verificare che fossero rigorosamente applicate. [...] Si racconta che in una certa aula scolastica di un istituto elementare, uno di questi funzionari svolgesse con zelo il suo compito di epuratore della razza maledetta e con espressione grifagna ingiungesse: CHI HA IL PADRE EBREO LASCI IMMEDIATAMENTE L’AULA. Tre bimbi con l’aria smarrita si alzarono, raccolsero libri e quaderni, si infilarono il cappottino ed uscirono mesti dalla classe. Verificata l’esecuzione dell’ordine, il funzionario proseguì perentorio: CHI HA LA MADRE EBREA LASCI TOSTO L’AULA. Un solo bambino riccioluto con l’incarnato pallidissimo, gli occhi sgranati, incredulo raccolse le sue cose ed uscì. A questo punto fiero di sé il solerte sgherro con soddisfatta pomposità esclamò: CHI HA IL PADRE E LA MADRE EBREI LASCI IMMANTINENTE QUEST’AULA ARIANA.
Nell’innaturale silenzio che seguì a quest’ultimo ukase, tutti udirono un cigolio che proveniva dalla parete alle spalle della cattedra. Col fiato sospeso tutti i presenti tesero le orecchie e intesero distintamente il suono metallico di un chiodino che cadeva sul pavimento. A questo punto, guidati dallo sgomento impresso sui piccoli volti dei loro alunni, il funzionario della pubblica istruzione ed il maestro si volsero verso la cattedra appena in tempo per scorgere il crocifisso guadagnare con dolenti balzelloni l’uscio e sparire.
Noi ebrei l’abbiamo sempre saputo, l’uomo che in effigie è rappresentato agonizzare sulla croce, è un ebreo. Suo padre terreno e sua madre erano ebrei. Lo era naturalmente suo fratello Giacomo. Ebraica fu la sua formazione e la sua pratica. Ebrei furono i suoi discepoli e a lungo i suoi seguaci furono solo ebrei.
Ebrei furono i primi martiri cristiani. Dopo quasi due millenni di elusione, questi fatti sono riconosciuti e dichiarati a chiarissime lettere dalla Chiesa. Non all’epoca buia della persecuzione e dello sterminio nazista. Allora milioni di innocenti condotti al macello forse avrebbero sperato nella rimozione dei crocefissi da ogni luogo per denunciare l’orrore. Non accadde.[...] Ma l’attuale Pontefice ha assunto su di sé come capo della Chiesa Cattolica la responsabilità delle passate perversioni, ha solennemente riconosciuto le colpe e chiesto perdono"(Moni Ovadia, La cacciata del crocifisso, L’Unità, 1.11.2003, p. 28).
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INFANZIA E STORIA: DEMOCRAZIA, FIABA, E MESSAGGIO EU-ANGELICO
AL DI LA’ DEL MITO E DELLA LOGICA TRAGICA.... L’INDICAZIONE DI NELSON MANDELA E DON LORENZO MILANI.
di Federico La Sala
l’Unità Lettere 7.7.08
Impronte ai piccoli rom: noi autori di libri per bambini lanciamo un appello
Cara Unità,
come autori di libri per bambini e ragazzi esprimiamo una forte preoccupazione per le iniziative assunte recentemente dal ministero dell’Interno di usare come metodo di identificazione per i minori Rom la schedatura delle impronte digitali.
Troppo spesso, nel documentarci per scrivere le nostre storie, abbiamo incontrato leggi che “per il bene” di bambini emarginati e senza voce in capitolo, hanno di fatto sancito ingiustizie e discriminazioni.
Se vogliamo far sì che i piccoli Rom non vivano fra i topi, cerchiamo di integrarli con le loro famiglie, di mandarli a scuola, di toglierli da situazioni di degrado, invece di fare le barricate quando si tenta di sistemarli in situazioni più dignitose.
Qualora questa misura fosse effettivamente attuata, violando a nostro parere i principi che regolano la convivenza civile come la Costituzione, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991, non potremmo fare a meno di provare un forte senso di disagio nel proporre ai nostri piccoli lettori testi che parlano di solidarietà, di incontro fra i popoli o narrano di violenze e prevaricazioni subite dai loro coetanei come se fossero accadute nel passato e non potessero ripetersi mai più.
Non vorremmo appartenere a uno Stato che un giorno debba chiedere scusa alle sue minoranze.
Vanna Cercenà, Emanuela Nava, Dino Ticli, Moony Witcher, Alberto Melis, Janna Carioli, Angelo Petrosino, Francesco D’Adamo, Luisa Mattia, Emanuela Bussolati, Arianna Papini, Guido Sgardoli, Roberto Denti, Giusi Quarenghi, Angela Nanetti, Stefano Bordiglioni, Aquilino, Bruno Tognolini
l’Unità 7.7.08
La terribile attualità di Primo Levi
di Luigi Cancrini
Caro Cancrini,
per attenuare lo scoramento da sconfitta elettorale, mi era stata davvero utile la tua severa riflessione su Giacobini e Sanculotti (Unità del 28 aprile 2008) e mi sono anche difeso da incursioni di sdegno o ribrezzo, evitando accuratamente ogni telegiornale. Ma imprudentemente ieri ho ripreso in mano, dopo vent’anni, «I sommersi ed i salvati» di Primo Levi ed alcune considerazioni sulla “zona grigia” mi hanno precipitato di nuovo nell’amarezza.
Ciò che infatti allora lessi come una lucidissima narrazione di fatti accaduti, oggi mi appare pieno di forza profetica e di ammonimenti per il futuro! E ne sono angosciato. Vorrei proporre quattro brevi stralci ai lettori dell’Unità: i primi due si attagliano già ora al nostro presente; il terzo ad un futuro, di cui vediamo i prodromi.
« ... era ben visibile in lui (Rumkowsky, capo collaborazionista del ghetto di Lodz) ... la sindrome del potere protratto e incontrastato: la visione distorta del mondo, l’arroganza dogmatica, il bisogno di adulazione, l’aggrapparsi convulso alle leve del comando, il disprezzo delle leggi».
«... incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, ...., seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso...».
«La violenza ... è sotto i nostri occhi.... Attende solo il nuovo istrione... che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali».
Ma perché è così difficile arginare la “libidine di potere” e la pulsione a prevaricare il prossimo, che si ripropone sempre nella storia degli uomini?
Giancarlo Rossi
La prima cosa che mi viene da rispondere è che una responsabilità particolarmente importante è quella di chi, potendolo, non reagisce come dovrebbe. Dei giornali e dei telegiornali che riferiscono le opinioni di Maroni sui bambini rom e quelle di Alfano sulla possibilità di sospendere i processi come se fossero opinioni rispettabili espresse all’interno di un dibattito fra persone civili. È nel momento in cui delle idee eversive o razziste vengono presentate come delle idee normali, infatti, che il razzismo e l’eversione trovano diritto di cittadinanza nel quotidiano di chi le ascolta. Quello che si decide nei talk show televisivi e sulle primi pagine dei giornali è in realtà, oggi, l’insieme delle cose che si possono dire o non dire (e dunque insegnare e dunque praticare). Con conseguenze che a volte sono drammatiche.
Riflettiamo per un attimo ancora sulla schedatura dei bambini rom. Ho già discusso su questo giornale l’assurdità di un ragionamento che ne parla come di una misura utile per tutelarli. Quello che vorrei segnalare qui, tuttavia, è il modo in cui di questo problema si è parlato nei telegiornali: di seguito proponendo, senza che il giornalista prendesse posizione l’opinione di Famiglia Cristiana («il provvedimento è indecente») e quella di Maroni («è un provvedimento di tutela») oppure quella di un Commissario Europeo («il procedimento è inaccettabile») e quella di Maroni («il provvedimento è in linea con la legislazione europea»). Raccontato in questo modo, il fatto di cui si parla si perde nel magma indistinto delle comunicazioni politiche: su cui è normale che si esprimano opinioni diverse di cui il giornalista deve dare conto con uguale rilievo (la par condicio). Liberando se stesso dal dovere di prendere posizione e lasciando il telespettatore solo con i suoi pregiudizi (della serie “Maroni è un leghista” o della serie “i Rom sono cattivi”). Lasciando ai colleghi della carta stampata (la cui posizione è chiara fin dal nome del giornale per cui scrivono) il compito di sottolineare l’importanza di una delle posizioni e l’inciviltà dell’altra. Con il risultato finale, però, di collocare la scelta di Maroni nel novero delle opinioni politiche rispettabili.
Una copertina come quella di Panorama, 4 luglio del 2008, in cui la foto di un ragazzo rom piegato su una panca, il volto nascosto dalle mani campeggia sul titolo «Nati per rubare» meriterebbe un’azione penale e una sospensione della pubblicazione per qualche mese se qualcuno si preoccupasse oggi di tutelare la dignità delle persone che non hanno avvocati o parlamentari alle loro dipendenze (e per la dignità, alla fine, della stampa italiana). Questa copertina vergognosa non dà luogo a reazioni di nessun tipo invece e potentemente veicola, dai parrucchieri e sulle spiagge, l’idea stupida di chi continua a pensare che la moralità dei comportamenti dipende dall’etnia cui si appartiene.
Insisto su questo punto, caro Giancarlo, perché credo che questo sia davvero un elemento cruciale del processo di imbarbarimento per cui quello che conta non è il merito delle opinioni ma il “gradimento” di un pubblico distratto, svogliato e terribilmente poco informato. All’interno di una situazione in cui quello che sembra essere definitivamente venuto meno è la condivisione dei grandi principi cui si ispira la nostra Costituzione.
Nasce proprio da qui, a mio avviso, quella che Primo Levi chiama «la sindrome del potere protetto e incontrastato» perché la «visione distorta» del mondo propria di chi ha responsabilità di governo viene confermata ogni giorno dagli adulatori (che mi danno ragione sempre, qualsiasi cosa io dica) e dai detrattori (che lo sono ugualmente sempre, qualsiasi cosa io dica) e perché questo sentirsi immune dalle critiche di chi crede solo in sé stesso è continuamente rinforzato dalla staticità delle posizioni di chi informa stando “con me o contro di me”. Rinunciando al ruolo di osservatore obiettivo e distaccato, quello che veniva definito un tempo “il quarto potere” rischia di diventare uno strumento in più nelle mani di chi ha il potere vero: politico ed economico. Instaurare una dittatura basata sul consenso passa attraverso alcuni passaggi obbligati. Il primo di essi è quello di far passare l’idea per cui i provvedimenti che portano alla dittatura sono normali (o legali). L’aiuto dei media è fondamentale in questa fase per costruire il mito di un istrione (o di un gruppo di istrioni) capaci di «organizzare e di legalizzare la violenza dichiarandola necessaria e dovuta». Sul modo in cui questa «marea di violenza» sia collegata «all’intolleranza, alla libidine del potere, alle ragioni economiche, al fanatismo religioso o politico e agli attriti razziali» Primo Levi ha semplicemente ragione. Descrive in modo efficace quello che oggi accade sotto i nostri occhi.
> IL SOGNO "INFANTILE", DEVASTANTE E GOLPISTA, DI "FORZA ITALIA" E DELLA CHIESA "CATTOLICA" E’ FINITO!!! ---- Bush "licenzia" Berlusconi. Gaffe della Casa Bianca al G8: «Berlusconi ha trasformato il suo senso degli affari e la sua influenza in un impero personale che ha prodotto il governo italiano di più lunga durata assoluta e la sua posizione di persona più ricca del paese».
’’POWER TENDS TO CORRUPT, AND ABSOLUTE POWER CORRUPT ABSOLUTELY.’’
Crisi sociale e manovre di palazzo
Cristiani di tutto il mondo unitevi e fate sentire la vostra voce.
di Giovanni Sarubbi *
Boffo dunque alla fine si è dimesso. Si è dimesso lo stesso giorno della pubblicazione su Avvenire di un elenco di ben 10 falsità che il direttore de “il giornale”, secondo Boffo, ha scagliato contro di lui. Tutto falso, dieci volte falso, ma si è dimesso lo stesso. Perché dimettersi se le accuse di Feltri sono tutte false? Io mi sarei aspettato una immediata citazione per danni nei confronti di Feltri. Invece no, ci sono le dimissioni che non hanno un senso logico.
Di li a poche ore c’è stato l’incontro fra il cardinale Bagnasco e la Lega Nord nelle persone di Bossi e Calderoli. Gli autori delle “leggi porcate”, i promotori della xenofobia e islamofobia, coloro che si sono sposati con riti celtici e che hanno promosso riti pagani sulle sponde del fiume Po, sono stati ricevuti come i più genuini difensori delle “radici cristiane dell’Italia e dell’Europa”, tanto che Bossi ha potuto dichiarare di “aver scoperto che la Chiesa cattolica non ce l’ha con la Lega”. Tutto nello stesso giorno, quasi a dimostrare come si tratta di fatti strettamente legati fra di loro.
Sia chiaro noi non ci stracceremo le vesti per le dimissioni di Boffo anche rispetto a quello che abbiamo scritto l’altro ieri. Egli non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Si è limitato a pubblicare parzialmente su Avvenire un articolo del giornalista Nicotri, con tanto di link al suo sito contenente attacchi durissimi contro Bertone e Benedetto XVI, dicendo così implicitamente di sapere bene da dove veniva l’attacco nei suoi confronti e quale ne era lo scopo.
L’omosessualità di Boffo, presunta o reale che sia, è il pretesto che è stato usato contro di lui per affermare il rigido allineamento che tutte le strutture della Chiesa Cattolica Romana devono avere con ciò che si pensa in Vaticano. Nessuno può sgarrare, come fra l’altro dimostra l’avvio da parte della “Congregazione per la dottrina della fede” di un processo inquisitorio contro i 41 preti che all’inizio del 2009 firmarono un appello “per la libertà sul fine-vita” promosso dalla rivista MicroMega dopo la morte di Eluana Englaro. La polizia segreta vaticana è all’opera e ha sguinzagliato i suoi agenti.
Siamo oramai al “Papa Re”, ad un nuovo e più devastante potere temporale del Vaticano nei confronti dell’Italia. Altro che “vicario di Cristo” o di Dio che dir si voglia. Quello che si intravede all’orizzonte fa venire la pelle d’oca.
Non sappiamo ovviamente se siano veri tutti gli scenari e le ipotesi che circolano in questi giorni sulla stampa ma, come si dice, la dove c’è fumo c’è pure un po’ di arrosto o per lo meno un fuoco che brucia. E comunque la si metta nulla di buono c’è all’orizzonte per i semplici cittadini dell’Italia, per quelli che non posseggono un patrimonio di svariati miliardi di euro e che vivono con la pensione o lo stipendio da operaio o impiegato, peggio se precari.
Bagnasco ed il duo Bossi-Calderoli avranno trovato l’intesa sulla questione degli immigrati? E su che cosa si sono messi d’accordo? Perché la CEI ha voluto dare una patente di credibilità e di cattolicità alla Lega Nord, un partito che da quando è nato ha fomentato gli odi per gli immigrati, per i meridionali, per gli islamici, per i rom? Che necessità ne aveva? Le tante comunità cristiane che in Italia si stanno opponendo concretamente all’obbrobrio del “pacchetto sicurezza”, accogliendo e proteggendo gli immigrati senza permesso di soggiorno, potranno continuare a farlo o saranno denunciate dagli stessi vescovi o direttamente dal Vaticano? Purtroppo non si tratta di una domanda tendenziosa: è già successo in America Centrale e in Sud America, nel periodo della lotta cruenta contro la “Teologia della liberazione” che ha prodotto migliaia di martiri, fra cui Oscar Romero. E cosa farà il Vaticano contro quelle chiese, come per esempio la Chiesa Valdese, che si sono espresse contro il “pacchetto sicurezza”? E sulle condizioni di vita e di lavoro degli operai, degli impiegati, dei tantissimi cassintegrati, dei precari della scuola o di quelli prodotti dalle leggi che hanno legalizzato il caporalato e il supersfruttamento, che posizioni assumerà la gerarchia cattolica? Penserà solo alle sue finanze e ai suoi tanti privilegi?
Oramai in tutta Italia ci sono centinaia di situazioni di crisi aziendali che stanno portando i lavoratori a praticare forme di lotta spettacolari: ci si incatena sui tetti, sui carri ponte, davanti ai provveditorati, o si fanno manifestazioni in mutande per dire che la situazione è drammatica e che chi non ha nulla da perdere è disposto a tutto per difendere il proprio diritto alla vita. Stanno praticando l’evangelico “se qualcuno ti vuole depredare del tuo mantello tu denudati completamente, denuncia platealmente la sua ingordigia”.
Ma lo scenario politico che si intravede nelle manovre in corso e di cui il “caso Boffo” fa parte, ci dicono che il Vaticano non ha in mente il bene del popolo italiano, non ha interesse a sostenere un blocco sociale imperniato su chi suda e lavora, su chi difende l’ambiente, su chi si oppone all’arricchimento di pochi individui ai danni dell’intera collettività nazionale. Il blocco sociale che si intravede nelle manovre in corso è sempre imperniato sul grande capitale industriale e finanziario, lo stesso che è responsabile della pesante crisi economica che stiamo vivendo. Quello a cui sta lavorando il Vaticano è un blocco sociale guidato magari da un premier più presentabile, meno screditato e pericoloso per gli stessi capitalisti nostrani come è Berlusconi. I giornali fanno il nome di Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente di Confindustria e Presidente della Fiat, e di Pierferdinando Casini, leader UDC. Cosa cambierebbe per la povera gente? Questo è il contributo che la gerarchia cattolica vuole dare al superamento della più grave crisi economica, politica, morale e sociale della nostra collettività nazionale? E sulla guerra, nella quale il nostro paese è impegnato in varie parti del monto con circa diecimila soldati italiani dislocati nei punti più caldi, cosa vuole fare il Vaticano? E sulla immane questione dei rifiuti che sta per distruggere definitivamente l’ambiente della regione Campania e su cui tanti cristiani si sono impegnati? E sul riscaldamento globale, la morte per fame di alcuni miliardi di esseri umani? Come si concilia il termine “cattolico”, cioè universale, con manovre di palazzo, con imboscate scandalistiche, con la mancanza di misericordia nei confronti di chi soffre, a fronte di una sporcizia, di cui lo stesso Ratzinger parlò prima della sua elezione, che permea gran parte della gerarchia cattolica?
Per la gerarchia della chiesa cattolica valgono le parole scritte dal profeta Ezechiele: «Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza.» (Ez 34,2-4 )
Cristiani di tutto il mondo unitevi e fate sentire la vostra voce.
* Il Dialogo, Sabato 05 Settembre,2009