LE IMPRONTE
Paolo, da Genova, sbeffeggia il criptonazismo della politica del cavaliere.
Leggo, copio, incollo e inoltro.
Aggiungo la mia firma.
Aldo [don Antonelli]
Finestra politico-profetica-11
di Paolo Farinella, prete
«Con semplicità e veemenza - In simplicitate, vehementer!»
Genova, 1 luglio 2008 - Il «Decreto di polizia relativo al marchio di identificazione degli Ebrei» del 1 settembre 1941 in attuazione del «Primo decreto supplementare alla legge sulla cittadinanza tedesca del 14 novembre 1935» così sancisce: «Art. 1. (a) Agli Ebrei di età superiore ai sei anni, è proibito mostrarsi in pubblico senza il simbolo giudeo della Stella di Davide. (b) Tale simbolo è rappresentato da una stella a sei punte di stoffa gialla bordata di nero, di formato equivalente al palmo di una mano. In essa deve essere inscritta, a caratteri neri, la parola "GIUDEO". La stella deve essere cucita sul lato sinistro del petto degli abiti in modo ben visibile. Art. 2. Agli Ebrei è proibito: (a) uscire dall’area in cui risiedono senza un permesso scritto rilasciato dalla Polizia locale; (b) indossare medaglie, decorazioni, o altre mostrine». Questo accadeva 70 anni fa ad opera di uno che la storia ha classificato come pazzo e genocida, supportato dal governo di Mussolini, i cui epigono sono oggi al governo in Italia.
A 70 anni di stanza, oggi, in Italia, il governo di un signore, psicologicamente tarato, appena reduce dal baciamano del papa a cui ha profuso la sua fedeltà ai principi della Chiesa, per mezzo del suo ministro degli interni vara una norma che impone l’assunzione delle impronte digitali ai bambini «rom». Siamo ripiombati con veemenza indietro di oltre 70 anni in pieno delirio nazifascista. Logicamente questo provvedimento serve a tutelare i bambini stranieri dal male italiano che li circonda. Se mai è esistita una civiltà cristiana, oggi crolla sulle impronte dei Rom come ieri è crollata sulle stelle gialle degli Ebrei.
Il settimanale «Famiglia cristiana» che contribuì alla caduta di Prodi e alla sconfitta di Veltroni, ha perso i gangheri e oggi parla di «indecenza» e richiama il ludibrio a cui furono sottoposti gli Ebrei da Hitler prima e da Mussolini poi fino al genocidio di Stato.
La Chiesa ancora oggi paga un prezzo esorbitante e si discute sul suo «silenzio» di fronte all’olocausto dell’Agnello di Dio. Non si può tacere. Non si deve tacere perché tacere per un cristiano e per un uomo degno di questo nome è complicità, connivenza e correità. Chi tace è doppiamente colpevole: davanti alla propria coscienza e davanti alla Storia.
Il papa tedesco che da giovane, come egli stesso ha ammesso, gli hanno rubato la gioventù costringendolo a militare nell’esercito demoniaco nazista, dovrebbe essere edotto più di ogni altro e più di ogni altro dovrebbe gridare opportune, inopportune che nessun governo per alcun motivo può schedare nessuno. Il papa ha ricevuto Berlusconi con le fanfare e gli ha anche regalato la penna d’oro con la quale forse il pio devoto, gia P2 e massone, firma i decreti immorali che negano alla radice la ragione cristiana dell’agire politico e civile. Sappiamo anche che il papa il 29 giugno 2008 ha sfoggiato un nuovo look, mostrando alle golose tv il nuovo design del pallio giurisdizionale e la vecchia ferula di Pio IX, in sostituzione del pastorale col Crocifisso in uso da Paolo VI. Che anche il papa sia diventato musulmano dal momento che toglie il crocifisso dal suo pastorale? Il ritorno all’uso di Pio IX è altamente simbolico per quello che si prepara nei prossimi. Oggi intanto è un grande balzo in avanti verso l’oscurantismo irrazionale dei tempi passati? I difensori della civiltà cristiana che tuonano sui segni della civiltà, non hanno niente da dire?
Negli stessi giorni lo stesso papa riceveva in visita privata il sindaco di Roma con moglie «invelettata nera» alla mussulmana: forse si sono dimenticati di dirgli che il sindaco è discendente diretto e orgoglioso di quel partito fascista che in Italia varò le leggi razziali contro Ebrei, zingari, omosessuali e altre minoranze. Poiché però era impegnato a rifare il suo guardaroba e a contar cappelli, palli, ferule e messe in latino, probabilmente il papa ha delegato Famiglia Cristiana a parlare in suo nome, visto che è stata la prima presa di posizione decisa e ufficiale di un organo «cattolico» significativo. Ora aspettiamo che, finita la ricognizione canonica del guardaroba, papa, cardinali, curia romana, cei e affini, gridino all’universo mondo che «comunque si giri la frittata, prendere le impronte digitali, o imporre un qualsiasi segno distintivo dell’identità personale o etnica è un attentato alla Maestà di Dio e ad ogni persona che ne è l’immagine sulla terra. Chiunque lede la dignità umana di chiunque cessa di essere cristiano, si esclude dai sacramenti e dalla grazia di Dio. Come e peggio dei divorziati. Chi pecca contro la persona, immagine di Dio, si scomunica da solo perché se ciò vale per gli embrioni, a maggior ragione vale per le persone, qualunque sia lo stato sociale, giuridico o morale (innocente, colpevole, delinquente, deviato, depravato, santo, peccatore, puro, lercio, ecc.)».
Per porre un segno contro questa ignominia aberrante, da domenica prossima, 6 luglio 2008, celebrerò la Messa con la stola viola in segno di lutto e con incisa su di essa la stella di Davide gialla come promemoria profetico di rifiuto in nome di Dio e della mia coscienza di questa indegna indecenza che deturpa in modo irreversibile la dignità civile, giuridica, morale e cristiana del mondo intero. La stola è la stessa che feci fare per solidarietà al popolo d’Israele, quando esigeva una patria nella sua terra di origine. Oggi quella stola che ha difeso i Giudei, difende i Palestinesi e i Rom. Sul mio altare da oltre trent’anni è accesa la menoràh ebraica per ricordarmi sempre che Gesù è un Ebreo di nascita, un Giudeo di cultura ed etnia e che se vivesse oggi, il governo Berlusconi gli prenderebbe le impronte digitali, lo marchierebbe a fuoco giallo e lo dichiarerebbe extracomunitario irregolare, dopo essersi profuso in baciamano al papa. Peccato che il papa e i cardinali e i vescovi non guidino la macchina e quindi non sappiano che la targa vaticana, SCV, è un acronimo, scoperto da Giuda e tenuto nascosto perché significherebbe: «Se Cristo Vedesse!».
Note a làtere: Quanto a Veltroni, il Uolter ombra, non possiamo che prendere atto: Requiem aeternam...! Amen.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Clandestino piccolo e grande
Ho sentito dire in un dibattito che i bambini clandestini in Italia sono esclusi dalle cure mediche. È possibile, è vero?
risponde Furio Colombo (il Fatto, 20.10.2012)
È VERO. E per questo alcuni di noi (solo a sinistra, solo pochissimi) non hanno mai smesso di accusare la Lega Nord (che controllava, da partito secessionista, il ministero dell’Interno italiano) di veri e propri delitti (i più gravi, naturalmente, i respingimenti in mare), come non ha mai smesso di denunciare la portavoce delle Nazioni Unite in Italia, Laura Boldrini.
Fra i delitti della Lega occorre aggiungere, come ha notato il lettore, la persecuzione sul nostro civile territorio nazionale, dei bambini clandestini. Negare la scuola e negare le cure mediche è sembrato alla Lega un buon modo di proteggere affari e banche del “territorio padano” infestato di ‘ndrangheta.
In tanti, vescovi inclusi, hanno dato una mano alla Lega, prendendo sul serio un partito parassita e ricattatore (ricattava Berlusconi per allargare il suo potere) come se fosse il vero portatore del Federalismo (si veda il crollo di quel finto federalismo in questi giorni), come se fosse stata la voce del popolo che gli altri partiti non sentivano più.
Il trattamento ignobile riservato ai bambini immigrati si può riassumere così: se non sono fluenti in italiano devono stare in classi separate (in modo che non imparino mai). Se la famiglia non può pagare la refezione scolastica, digiuno a scuola, di fronte ai bambini che mangiano. Se i genitori non hanno i documenti in regola (dunque i bambini sono clandestini) niente pediatra e niente cure mediche di base. È accaduto davvero, e solo la Conferenza Stato-Regioni dei prossimi giorni potrà porre fine al crimine perché la Lega non esiste più. Si interroghino sul loro comportamento professionale e morale giornalisti e politici che - finché Bossi e Maroni contavano qualcosa - hanno prudentemente fatto finta di niente. Di più: hanno reso l’onore che si deve al potere.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
E la chiamano democrazia...
di Moni Ovadia (l’Unità, 20 ottobre 2012)
Nell’agosto del 1968 gli eserciti del patto di Varsavia, invasero la Cecoslovacchia, schiacciando il sogno del socialismo dal volto umano promosso dal segretario del partito comunista di Alexander Dubcek e misero fine alla primavera di Praga. Lo studente Jan Palach, per protestare contro l’invasione e la brutale repressione della libertà del suo popolo, si cosparse di benzina e si dette fuoco in piazza San Venceslao sulla gradinata dell’Università della Capitale.
Quel gesto fu un lucido atto consapevole contro la tirannia, ispirato, come lo stesso Palach ebbe a dire nei tre giorni della sua agonia prima di spegnersi, al martirio dei monaci buddisti contro il crudele regime sud Vietnamita del dittatore Diem. Jan Palach fu un eroe ma, come sempre accade, sul suo corpo martoriato si esercitò, per scopi strumentali di propaganda, tutta la retorica occidentale della sedicente democrazia.
Giovedì un lavoratore rumeno, rimasto senza lavoro e senza sostentamento per la propria famiglia si è dato fuoco davanti al Quirinale riducendosi in fin di vita. Cosa diremo di lui? Che è uno squilibrato? Che era esaurito? Non è anche lui a suo modo un martire, vittima di un regime che continuiamo ipocritamente a chiamare democrazia? Possiamo chiamare democrazia un sistema politico che si accanisce contro i più deboli e gli ultimi, che porta alla disperazione i suoi cittadini lavoratori, i suoi studenti, che precarizza i giovani che entrano nel tempo produttivo e rende obsoleti donne e uomini nel pieno della loro maturità, mentre consente sconci privilegi di casta e di censo?
Possiamo parlare di libertà in un Paese che fa scempio sistematico della sua legge fondativa solo perché ciclicamente si ripete, sempre più spento e svuotato di senso, un rito elettorale che manda a governare il Paese una sorta di mandarinato, di potere sottratto al controllo dei cittadini in un quadro di leggi artatamente costruite perché i politici capaci e galantuomini siano costretti all’impotenza? Dove sono finiti i valori costitutivi dell’Italia repubblicana?
Li ricordo.
Art 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Art. 4.La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Se questi diritti vengono calpestati non c’è vera democrazia.
Rom, l’invenzione del razzismo
di Alberto Burgio (il manifesto, 26 agosto 2010)
La vicenda della cacciata dei rom dalla Francia ruota intorno a due paradossi. Il primo riguarda le motivazioni che hanno indotto Nicholas Sarkozy ad espellere 700 «zingari», in parte cittadini francesi. Com’è noto, si tratta di ragioni politiche. Il presidente è in caduta libera nei sondaggi.
L’emorragia di consensi al centro e a destra rischia di tramutarsi in una disfatta per lo scandalo Bettencourt. Da qui la mossa razzista. I rom (tutti) sono ladri e potenziali assassini. E restano stranieri, benché cittadini francesi. Cacciarli serve a difendere la sicurezza e la purezza della nazione.
Dove sta il paradosso? Nel fatto che il nesso tra misure razziste e motivazioni politiche non è affatto atipico e non costituisce aggravante. È assolutamente classico, e la chiarezza persino sfrontata con la quale si dichiara in questa vicenda fa di essa un caso di scuola che va considerato con la massima attenzione. Il razzismo non è qualcosa che prescinda dalla politica (dalla ricerca del consenso per il governo dei corpi sociali).
È uno strumento squisitamente politico. Consiste nella produzione di soggettività deteriori (per mezzo di stereotipi) e nella finalizzazione di passioni e paure diffuse, che vengono incanalate contro i gruppi (le «razze») additati come diversi e stranieri, colpevoli e nemici.
Non c’è razzismo che operi in autonomia dal gioco politico. La sua apparente «purezza» concerne il terreno dell’ideologia: il consenso si ottiene nascondendo (magari anche a se stessi) le ragioni politiche dell’«invenzione delle razze».
Il meccanismo è sempre questo. Nel caso dei rom cacciati da Sarkozy è soltanto evidente. Come pure nei proclami di Roberto Maroni e di Letizia Moratti già in piena campagna elettorale, che meriterebbero qualche riflessione da parte di chi ha a cuore quanto resta della civiltà in questo paese. Pur di portarsi dietro le masse padane, si alimenta l’odio «etnico» contro gli stranieri poveri, promettendo politiche conseguenti. È un gioco pericoloso, perché le aspettative esigono poi soddisfazione. Che cosa significherà tra qualche anno, avanti di questo passo, essere straniero - o anche solo povero - in Italia?
Veniamo al secondo paradosso. Se il razzismo è un dispositivo politico volto a produrre e manipolare il consenso, esso non riguarda soltanto le «razze» qui e ora considerate tali, ma la società intera. Non è affare di margini e periferie, ma di tutto il territorio sociale. Faremmo quindi bene a non occuparcene soltanto quando si tratta di «zingari» o di «negri». In realtà siamo tutti in questione, e non solo come massa di manovra (come base elettorale).
La produzione di identità stereotipizzate è un ingrediente fondamentale nella legittimazione delle gerarchie sociali. Da questo punto di vista il catalogo delle «razze» (di nome o di fatto) è molto più ricco di quanto si pensi. A meno di non credere all’esistenza di «razze umane», non c’è ragione per separare gli stereotipi che razzizzano migranti ed ebrei da quelli inventati per criminalizzare i «devianti» (omosessuali, transessuali e tossici) o per giustificare la subordinazione delle donne e dei lavoratori dipendenti.
Il senso comune recalcitra? Certamente. Il discorso razzista non impera invano da secoli nell’immaginario europeo. Ma per respingere il ragionamento, il senso comune è costretto a invocare presunte peculiarità «naturali» dei gruppi esplicitamente razzizzati, scoprendosi razzista.
La critica dev’essere conseguente. Come non c’è alcun gruppo umano a buon diritto trasformato in «razza», così non c’è stereotipizzazione inferiorizzante che non sia razzista. A danno di chiunque essa si compia. Allora, tra chi (la Commissione europea) accusa la Francia di violare le regole sulla «libera circolazione e la libertà di scegliere il posto dove vivere» e chi (il governo francese) sostiene la legittimità delle misure adottate, ha paradossalmente ragione quest’ultimo. Non per il turpe escamotage dei 300 euro che trasforma l’espulsione dei rom in esodo volontario, ma per un fatto molto serio, del quale raramente si ha consapevolezza.
Nelle società democratiche le gerarchie sociali (di censo e potere) debbono essere giustificate e gli stereotipi servono a tal fine. Poco importa che si parli di propensione alla violenza e al crimine piuttosto che di inferiorità mentale o di incoercibile ignavia di «fannulloni». Per questo l’«invenzione delle razze» resta, nonostante Auschwitz, un cardine della modernità.
I tecnocrati di Bruxelles sono degli ipocriti: a quanti europei è di fatto possibile scegliere il posto in cui vivere? Sarkozy in crisi di consenso segue un copione classico da almeno due secoli in Europa.
Quanto a noi, faremmo bene a ripensare a tutto questo sforzandoci di liberare le nostre idee dalle ipoteche dell’ideologia. La battaglia contro il razzismo non è uno specialismo di filantropi, ma un aspetto cruciale della lotta di classe.
I COCCODRILLI, IL CAIMANO, E "L’AUTOCRITICA DEI CATTOLICI ITALIANI". Una nota di Gian Enrico Rusconi
"Giusto accogliere diversità umane"
Il Papa in difesa dell’immigrazione
Salutando i pellegrini alla celebrazione a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha ricordato, in francese, come appartenga al messaggio cristiano l’accoglienza verso genti di tutte le nazioni. La scelta della lingua fa pensare a un riferimento indiretto alle espulsioni dei rom decise dal governo Sarkozy
"Giusto accogliere diversità umane" Il Papa in difesa dell’immigrazione Papa Benedetto XVI
CASTEL GANDOLFO (ROMA) - Un Angelus con un messaggio molto chiaro: è sbagliato emarginare i più deboli, è doveroso accogliere chi ha bisogno di una mano. Perché "Dio abbassa i superbi e i potenti di questo mondo e innalza gli umili".
Benedetto XVI ha commentato l’odierna festa liturgica della Regalità di Maria schierandosi a favore dell’immigrazione, in chiaro riferimento alle polemiche degli ultimi giorni.
Salutando i pellegrini di lingua francese presenti alla celebrazione a Castel Gandolfo, il Papa ha ricordato come appartenga al messaggio cristiano l’accoglienza verso le genti di tutte le nazioni e di tutte le culture, e quindi verso "le legittime diversità umane".
La scelta di pronunciare in francese l’invito al momento dei saluti ha fatto pensare che Benedetto XVI potesse indirettamente riferirsi alle espulsioni dei rom, decise in questi giorni dalle autorità francesi.
"I testi liturgici di oggi - ha scandito il Pontefice in francese - ci ripetono che tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza". "Contengono quindi - ha aggiunto Benedetto XVI - un invito a saper accogliere le legittime diversità umane, seguendo Gesù venuto a riunire gli uomini di tutte le nazioni e di tutte le lingue. Cari genitori possiate educare i vostri figli alla fraternità universale".
Il papa ha poi invocato l’intercessione mariana affinché prevalga "la pace", specialmente "dove più infierisce l’assurda logica della violenza" e ha auspicato che "tutti gli uomini si persuadano che in questo mondo dobbiamo aiutarci gli uni gli altri come fratelli per costruire la civiltà dell’amore".
Su Rosarno dura presa di posizione del quotidiano della Santa Sede
Epifani lancia l’allarme: "Ci sono altre polveriere pronte a scoppiare"
L’Osservatore romano accusa
"Gli italiani ancora razzisti"
Bersani: "La Bossi-Fini non funziona". E Tosi propone l’invio dell’esercito
ROMA - I fatti di Rosarno continuano a far discutere. E a scendere in campo, oggi, è anche L’Osservatore romano, che pubblica un duro atto d’accusa verso il razzismo degli italiani. Nell’articolo del quotidiano ufficiale della Santa Sede si compie un rapido excursus storico sulle radici dell’intolleranza nei primi decenni dell’unità d’Italia, per poi concludere: " Nel 2010, invece, siamo ancora all’odio. Ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto".
Ancora, nel lungo servizio dal titolo "Gli italiani e il razzismo, Tammurriata nera" e firmato da Giulia Galeotti, si legge: "Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all’odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato". "Per una volta - prosegue il testo - la stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi".
Il testo del quotidiano della Santa Sede viene pubblicato dopo che il Papa domenica ha chiesto rispetto per gli immigrati e che il Segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, aveva parlato delle drammatiche condizioni di vita in cui si trovavano gli immigrati nell’area di Rosarno.
Ma non c’è solo la presa di posizione vaticana. A lanciare l’allarme, sempre oggi, è il segretario della Cgil Guglielmo Epifani: "Di Rosarno - avverte - ne abbiamo tante, pronte a scoppiare. Sono problemi da tempo segnalati; sono dieci anni che la Cgil sta conducendo una battaglia. "Non è il sindacato il problema; il problema è chi per tempo ha chiuso gli occhi e ha fatto finta di non vedere".
Secondo Antonio Di Pietro, a Rosarno c’è stata "la rivolta degli schiavi" perchè all’origine "ci sono stati i negrieri del 2000, che hanno sfruttato e stanno sfruttando il lavoro nero e che nessuno vuole fare". Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, "la legge Bossi-Fini e la sua applicazione non sono adeguate ad affrontare il problema del lavoro per gli immigrati". Per il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, invece, il problema è che "la Bossi-Fini è stata applicata poco e male e Rosarno lo dimostra. Serve un intervento forte dall’esterno, con la presenza dello Stato che deve mandare l’esercito, le forze dell’ordine, la forza della magistratura".
E quanto alla cittadinanza per gli immigrati, a pronunciarsi contro un iter breve per ottenerla - cinque anni, invece degli attuali dieci - è il sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Deve essere un risultato dell’integrazione e non uno strumento per ottenerla".
* la Repubblica, 11 gennaio 2010
Letta sull’Osservatore «Profonda osmosi tra Chiesa e Stato» *
Tra Chiesa e Stato in Italia c’è una «profonda e feconda osmosi», «una situazione del tutto eccezionale» da cui l’Italia «sta imparando progressivamente a trarre la massima utilità»: lo scrive il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, nella presentazione del libro «I viaggi di Benedetto XVI in Italia», curato da Pierluca Azzaro e pubblicato dalla Libreria editrice vaticana in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, anticipata ieri dall’Osservatore romano. Ancora un articolo del gentiluomo di «Sua Santità» ospitato dal quotidiano della Santa Sede ricco di riconoscimenti verso il pontificato. «Oggi si può affermare con soddisfazione scrive Letta che nella città di Roma convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente lo Stato Italiano e la Sede apostolica».
La Lega: legge anti burqa, in cella chi lo porta
Sì di Bonino. Il Pd: "Incostituzionale"
Proposta del Carroccio: "Motivi di sicurezza"
Le pene previste: carcere fino a due anni e multe da duemila euro Scontro fra i Poli
di Vladimiro Polchi (la Repubblica, 7.10.09)
ROMA - Arresto in flagranza, reclusione fino a 2 anni e multa fino a 2mila euro. La Lega Nord va alla guerra del burqa e presenta una proposta di legge per punire chi «in ragione della propria affiliazione religiosa» indossa in pubblico indumenti che rendono «impossibile o difficoltoso il riconoscimento».
Il testo, depositato il 2 ottobre, modifica in soli due articoli la legge del 1975 in materia di tutela dell’ordine pubblico, che già prevede il divieto di utilizzare «senza un giustificato motivo» caschi o qualsiasi altro indumento che impedisca il riconoscimento della persona. La Lega, come ha spiegato il capogruppo Roberto Cota, propone ora di togliere il riferimento al «giustificato motivo», che sarebbe fonte di contenziosi tra sindaci e prefetti e di inserire tra i divieti anche «gli indumenti indossati in ragione della propria affiliazione religiosa». Il testo di fatto chiede di vietare l’uso di burqa e niqab (il velo che lascia scoperti solo gli occhi), ma senza menzionarli esplicitamente come invece fa la proposta a firma Souad Sbai (Pdl) già all’esame della commissione Affari costituzionali di Montecitorio.
Per l’opposizione, Pd in testa, si tratta di un’ipotesi illegittima, che rischia di condannare molte donne di religione musulmana alla segregazione in casa. «È una norma incostituzionale - attacca la capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti - che lede la libertà religiosa. Ma come può una legge parlare di affiliazione religiosa? Le suore sarebbero affiliate?» Simile il rilievo che solleva Ahmad Gianpiero Vincenzo, presidente dell’associazione Intellettuali Musulmani Italiani: «Per vietare il burqa e il niqab in Italia non troviamo opportuno fare riferimento a una presunta affiliazione religiosa islamica. La copertura del volto - aggiunge - non fa parte della religione islamica, come chiaramente dichiarato anche da Mohammed Said Tantawi, grande imam dell’università egiziana Al Azhar. In realtà basterebbe far rispettare la normativa di sicurezza già vigente in Italia fino al 1975, la quale impedisce di coprirsi in pubblico il volto». Ma non manca chi, anche nell’opposizione, sottolinea che il problema esiste. «È da tempo immemore - sostiene la radicale Emma Bonino - che ritengo che indossare il burqa o il niqab integrale in pubblico violi le leggi dello Stato e il concetto della piena assunzione della responsabilità individuale». E ancora: «La proposta di legge della Lega - dice l’europarlamentare del Pd, Debora Serracchiani - usa strumentalmente l’argomento dell’ordine pubblico e si colloca sullo stesso piano delle fiaccolate contro le moschee e i cimiteri islamici, ma tocca un problema vero».
Di velo si interessa anche un disegno di legge presentato dall’opposizione: sì al burqa, ma a condizione che il volto sia riconoscibile, altrimenti si rischia l’arresto da 3 a 6 mesi e un’ammenda da 300 a 600 euro. Il testo è in commissione Affari costituzionali del Senato, presentato dal Pd (prima firmataria Emanuela Baio) e co-firmato da altri 11 senatori dello stesso gruppo. In sostanza, l’articolo unico di cui è composto prevede il divieto di usare «in luogo pubblico qualunque mezzo che travisi e renda irriconoscibile la persona senza giustificato motivo».
l’Unità 8.7.08
Manifesto scientifico. La bufala delle razze umane
di Pietro Greco *
Le razze umane non esistono. Sono un mito. Un mito pericoloso. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. Ma l’umanità non è costituita da piccoli e grandi gruppi diversi per struttura genetica. È piuttosto una rete estesa di persone geneticamente e culturalmente collegate in maniera dinamica tra loro. E quell’aggettivo, dinamico, è da sottolineare. Perché di fatto, nessun popolo nel corso dei secoli può essere considerato isolato geneticamente.
E in particolare, è un mito senza fondamento che sessanta milioni di nativi dell’Italia discendano da famiglie che abitano la penisola da almeno mille anni. Il “meticciato” genetico e culturale è una caratteristica dell’Italia come dell’intera umanità. Di più, è un bene. Sia sul piano strettamente biologico, sia sul piano culturale.
È questo, in estrema sintesi, il contenuto del «manifesto antirazzista» che un gruppo di scienziati italiani - tra i primi firmatari Rita levi Montalcini, Enrico Alleva, Guido Barbujani, Laura Dalla Ragione, Elena Gagliasso Luoni, Massimo Livi Bacci, Alberto Piazza, Agostino Pirella, Frencesco Remotti, Filippo Tempia, Flavia Zucco - presenterà il prossimo 10 luglio a San Rossore nell’ambito di una tradizionale manifestazione della Regione Toscana, dedicata quest’anno alla mobilitazione «contro ogni razzismo».
Il «manifesto antirazzista» sarà illustrato dal biologo Marcello Buiatti e introdotto dal Presidente della Regione, Claudio Martini, a sessant’anni dalla pubblicazione, avvenuta il 14 luglio 1938, del «manifesto della razza» a opera di un gruppo di scienziati fascisti. Quello di San Rossore è un vero e proprio “contro-manifesto” in termini letterali. Perché a ciascuna delle dieci tesi del famigerato “manifesto della razza” oppone una tesi diversa, alla luce delle moderne conoscenze scientifiche. Dimostrando che con quel famigerato atto gli scienziati fascisti tradirono insieme la scienza, i valori della comunità scientifica e la loro stessa umanità.
Tradirono la scienza, perché già allora vi erano tutti gli elementi per affermare che il concetto biologico di razza è una pura invenzione. Oggi tutti gli studi genetici lo dimostrano al di là di ogni possibile dubbio.
La genetica, infatti, ha consentito di chiarire almeno cinque punti rispetto alla variabilità tra gli individui e all’esistenza delle razze umane:
1. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. È un organismo biologico unico e irripetibile.
2. Se si considerano i singoli geni, essi sono sempre presenti in quasi tutte le popolazioni umane, anche se con frequenza diversa. In pratica, la frequenza dei singoli geni di tutte le popolazioni umane è largamente sovrapponibile. E, in particolare, nessun gene specifico può essere utilizzato per distinguere una popolazione umana dall’altra. Le popolazioni umane sono geneticamente molto simili le une alle altre.
3. C’è invece una grande variabilità genetica tra gli individui, tra gli uomini. Nessuno di noi porta i medesimi geni di un altro uomo. Tuttavia la gran parte di questa variabilità è anteriore alla formazione delle diverse popolazioni ed è probabilmente persino anteriore alla formazione della specie sapiens. In ogni caso, diversi studi indipendenti hanno dimostrato che almeno l’85% della diversità genetica (ovvero dell’insieme dei geni umani) è presente in ogni popolazione del mondo, il 5% della variabilità genetica è presente tra tutte le popolazioni del medesimo continente, e il residuo 10% si verifica tra popolazioni di diversi continenti.
4. La variabilità genetica all’interno delle singole popolazioni, per esempio tra gli europei o gli italiani, è elevatissima. Mentre le differenze genetiche tra i tipi mediani delle diverse popolazioni, tra gli italiani e gli etiopi, per esempio, sono modeste e pressocché irrilevanti rispetto alla variabilità interna alle singole popolazioni. In pratica due italiani possono essere geneticamente molto diversi tra loro. Molto più di quanto non siano diversi un italiano medio e un etiope medio.
5. La contaminazione genetica tra le diverse popolazioni umane è costante ed elevatissima. Lo confermano persino gli ultimi sequenziamento dell’intero genoma umano. Nei mesi scorsi il premio Nobel per la biologia James Dewey Watson, scopritore con Francis Crick della struttura a doppia elica del Dna, ha pubblicato i risultati del sequenziamento del suo Dna. E non senza una sua certa costernazione - Watson aveva detto che i neri sono meno intelligenti dei bianchi - ha scoperto che il 9% dei propri geni ha un’origine asiatica e che uno dei suoi bisnonni o, comunque, dei sui antenati recenti era di origine africana.
Ma il “contro-manifesto” di San Rossore dimostra anche - e soprattutto - che gli scienziati fascisti tradirono non solo la scienza (intesa come conoscenza rigorosa), ma anche i valori fondanti della comunità scientifica, mettendo il loro sapere non al servizio dell’intera umanità - come indicava già nel ’600 Francis Bacon - ma al servizio di un’ideologia pericolosa che voleva dividere gli uomini gli uni dagli altri, per discriminarli.
E con ciò, quegli scienziati fascisti, si macchiarono della colpa più grave: tradirono la loro stessa umanità.
Il “contro-manifesto della razza” che gli scienziati italiani presenteranno a San Rossore il prossimo 10 luglio non ha, dunque, solo un valore storico e scientifico (e non sarebbe certo poca cosa). Ma ha un valore politico di stringente attualità. Troppe parole, troppi episodi, persino qualche disposizione di governo nel nostro paese stanno alimentando il fuoco della discriminazione razziale. È ora - ci dicono gli scienziati preoccupati di San Rossore - che questi venti cessino di soffiare e che il fuoco della discriminazione razziale venga definitivamente spento. Prima che scoppi, improvviso, un nuovo incendio.
Il documento: «Le razze non esistono. Ce n’è solamente una: quella umana»
Demografi, genetisti, filosofi, psichiatri e ricercatori: ecco l’appello contro le discriminazioni
«Il razzismo è contemporaneamente omicida e suicida. Gli ebrei italiani sono
ebrei e italiani»
I. Le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze «psicologiche» e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in «migliori» e «peggiori» e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.
II. L’umanità, non é fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d’individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture. Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i tempi richiesti da processi di selezione genetica.
III. Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L’analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri «cugini» scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.
IV. È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la «razza ariana», coincidente con l’immagine di un popolo bellicoso, vincitore, «puro» e «nobile», con buona parte dell’Europa, dell’India e dell’Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l’Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L’origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell’Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all’alleato nazista l’identificazione anche degli italiani con gli «ariani».
V. È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l’intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti «barbari», hanno prodotto l’ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.
VI. Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L’Italia come Nazione si é unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, é quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio «incrociandoci» fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente «purezza del sangue» la «nobiltà» della «Nazione» significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell’attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.
VII. Il razzismo é contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così é avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all’odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della «normalità». Colpisce quelli che stanno «fuori dalle righe», i «folli», i «poveri di spirito», i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all’umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se é capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri «benevolmente disordinati» cervelli.
VIII. Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l’Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una «comune razza mediterranea». Per spingere più indietro l’Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro «semiti» e «camiti», con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l’origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un’unica razza.
IX. Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti ( nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così é successo ad esempio con gli Armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi , popoli appartenenti all’Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l’una né l’altra.
X. L’ideologia razzista é basata sul timore della «alterazione» della propria razza eppure essere «bastardi» fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni. Il «meticciamento» culturale é la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un’Italia razzista che si frammentasse in «etnie» separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro. Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo «altro da noi».
Enrico Alleva, Docente di Etologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma; Guido Barbujani, Docente di Genetica di popolazioni, Università Ferrara; Marcello Buiatti, Docente di Genetica, Università di Firenze; Laura dalla Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta, Perugia; Elena Gagliasso, Docente di Filosofia e Scienze del vivente, Università La Sapienza, Roma; Rita Levi Montalcini, Neurobiologa, Premio Nobel per la Medicina; Massimo Livi Bacci, Docente di demografia, Università di Firenze; Alberto Piazza, Docente di Genetica Umana, Università di Torino; Agostino Pirella, Psichiatra, co-fondatore di Psichiatria democratica, Torino; Francesco Remotti, Docente di Antropologia culturale, Università di Torino; Filippo Tempia, Docente di Fisiologia, Università di Torino; Flavia Zucco, Dirigente di Ricerca, Presidente Associazione Donne e Scienza, Istituto di Medicina molecolare, CNR.
RAZZISMO ITALIANO.
Il manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato su: La difesa della razza, I, i, 5 agosto 1938, p. 1 *
Un gruppo di studiosi fascisti docenti nelle università italiane sotto l’egida del Ministero della Cultura popolare ha fissato nei seguenti termini quella che è la posizione Fascismo nei confronti dei problemi della razza:
1) Le razze umane esistono.
L’esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2) Esistono grandi razze e piccole razze.
Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, l’esistenza delle quali è una verità evidente.
3) Il concetto di razza è concetto puramente biologico.
Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4) La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà è ariana.
Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
5) È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici.
Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio.
6) Esiste ormai una pura "razza italiana".
Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il piú grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti.
Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
8) È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra.
Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
9) Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.
Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10) I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo.
L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
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ZERBINO Paolo
ZOJA prof. Luigi
ZUMAGLINI Cesare
* Sul tema, si cfr.:
Valentina Pisanty - con un contributo di Luca Bonafé, Educare all’odio: La Difesa della razza (1938-1943), Introd. di U. Eco, "Saggi e Indispensabili", Motta On Line(www.golemindispensabile.it) - l’Unità.
Quel censimento etnico di settanta anni fa
di Gad Lerner (la Repubblica, 5 luglio 2008)
Cominciò con un inaspettato censimento etnico, nel mezzo dell’estate di settant’anni fa, la vergognosa storia delle leggi razziali italiane. Alle prefetture fu diramata una circolare, in data 11 agosto 1938, disponendo una «esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle provincie del regno», da compiersi «con celerità, precisione e massimo riserbo». La schedatura fu completata in una decina di giorni.
Furono 47.825 gli ebrei censiti sul territorio del regno, di cui 8.713 stranieri (nei confronti dei quali fu immediatamente decretata l’espulsione). Per la verità si trattava di cifre già note al Viminale. «Il censimento quindi fu destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare», scrive la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci ne L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (il Mulino). Naturalmente, di fronte alle proteste dei malcapitati cittadini fatti oggetto di quella schedature etnica fu risposto che essa non aveva carattere persecutorio, anzi, sarebbe servita a proteggerli.
Nelle diversissime condizioni storiche, politiche e sociali di oggi, torna questo argomento beffardo e peloso: la rilevazione delle impronte ai bambini rom? Ma è una misura disposta nel loro interesse, contro la piaga dello sfruttamento minorile!
Si tratta di un artifizio retorico adoperato più volte nella storia da parte dei fautori di misure discriminatorie: «Lo facciamo per il loro bene». A sostenere la raccolta delle impronte sono gli stessi che inneggiano allo sgombero delle baracche anche là dove si lasciano in mezzo alla strada donne incinte e bambini. Ma che importa, se il popolo è con noi? Lo so che proporre un’analogia fra l’Italia 1938 e l’Italia 2008 non solo è arduo, ma stride con la sensibilità dei più. L’esperienza sollecita a distinguere fra l’innocenza degli ebrei e la colpevolezza dei rom. La percentuale di devianza riscontrabile fra gli zingari non è paragonabile allo stile di vita dei cittadini israeliti, settant’anni fa.
Eppure dovrebbero suonare familiari alle nostre orecchie contemporanee certi argomenti escogitati allora dalla propaganda razzista, circa le "tendenze del carattere ebraico". Li elenco così come riportati nel libro già citato: nomadismo e «repulsione congenita dell’idea di Stato»; assenza di scrupoli e avidità; intellettualismo esasperato; grande capacità ad adattarsi per mimetismo; sensualismo e immoralità; concezione tragica della vita e quindi aspirazioni rivoluzionarie, diffidenza, vittimismo, spirito polemico e così via.
Guarda caso, per primo veniva sempre il nomadismo. Seguito da quella che Gianfranco Fini, in un impeto lombrosiano, ha stigmatizzato come «non integrabilità» di «certe etnie»; propense - per natura? per cultura? per commercio? - al ratto dei bambini. Il che ci impone di ricordare per l’ennesima volta che negli ultimi vent’anni non è stato mai dimostrato il sequestro di un bambino ad opera degli zingari.
Un’opinione pubblica aizzata a temere i rom più della camorra, si trova così desensibilizzata di fronte al sopruso e all’ingiustizia quando essi si abbattono su una minoranza in cui si registrano percentuali di devianza superiori alla media. Tale è l’abitudine a considerare gli zingari nel loro insieme come popolo criminale, da giustificare ben più che la nomina di "Commissari per l’emergenza nomadi", incaricati del nuovo censimento etnico. Un giornalista come Magdi Allam è giunto a mostrare stupore per la facilità con cui si è concesso il passaporto italiano a settantamila rom. Ignorando forse che si tratta di comunità residenti nella penisola da oltre cinquecento anni: troppo pochi per concedere loro la cittadinanza? Eppure sono cristiani come lui...
Il censimento etnico del 1938, «destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare», come ci ricorda Marie-Anne Matard-Bonucci, in ciò non è molto dissimile dal censimento dei non meglio precisati "campi nomadi" del 2008. In conversazioni private lo confidano gli stessi funzionari prefettizi incaricati di eseguirlo: quasi dappertutto le schedature necessarie erano già state effettuate da tempo.
L’iniziativa in corso riveste dunque un carattere dimostrativo. E i responsabili delle forze dell’ordine procedono senza fretta, disobbedendo il più possibile alla richiesta di prendere le impronte digitali anche ai minori non punibili, nella speranza di dilazionare così le misure che in teoria dovrebbero immediatamente conseguirne: evacuazione totale dei campi abusivi e di quelli autorizzati ma fuori norma; espulsione immediata dei nomadi extracomunitari e, dopo un soggiorno di tre mesi, anche dei nomadi comunitari. Si tratta di promesse elettorali che per essere rispettate implicherebbero un salto di qualità organizzativo e politico difficilmente sostenibile. Dove mandare gli abitanti delle baraccopoli italiane - pochissime delle quali "in regola" - se venissero davvero smantellate tutte in pochi mesi? Chi lo predica può anche ipocritamente menare scandalo per il fatto che tanta povera gente, non tutti rom, non tutti stranieri, vivano fra i topi e l’immondizia. Ma sa benissimo di alludere a una "eliminazione del problema" che in altri tempi storici è sfociata nella deportazione e nello sterminio.
Un’insinuazione offensiva, la mia? Lo riconosco. Nessun leader politico italiano si dice favorevole alla "soluzione finale". Ma la deroga governativa al principio universalistico dei diritti di cittadinanza, sostenuta da giornali che esibiscono un linguaggio degno de "La Difesa della razza", aprono un varco all’inciviltà futura.
Negli anni scorsi fu purtroppo facile preconizzare la deriva razzista in atto. Per questo sarebbe miope illudersi di posticipare la denuncia, magari nell’attesa che si plachi l’allarmismo e venga ridimensionata la piaga della microcriminalità. Gli operatori sociali ci spiegano che sarebbe sbagliato manifestare indulgenza nei confronti dell’illegalità e dei comportamenti brutali contro le donne e i bambini, diffusi nelle comunità rom. Ma altrettanto pericoloso sarebbe manifestare indulgenza riguardo alla codificazione di norme palesemente discriminatorie, che incoraggiano l’odio e la guerra fra poveri.
Non si può sommare abuso ad abuso di fronte ai maltrattamenti subiti dai bambini rom. Quando i figli degli italiani poveri venivano venduti per fare i mendicanti nelle strade di Londra, l’esule Giuseppe Mazzini si dedicò alla loro istruzione, non a raccogliere le loro impronte digitali. L’ipocrisia di schedarli "per il loro bene" serve solo a rivendicare come prassi sistematica, e non eccezionale, la revoca della patria potestà. Dopo le impronte, è la prossima tappa simbolica della "linea dura". Siccome i rom non sono come noi, l’unico modo di salvare i loro figli è portarglieli via: così si ragiona nel paese che liquida l’"integrazione" come utopia buonista.
A proposito del sempre più diffuso impiego dispregiativo della parola "buonismo", vale infine la pena di evocare un’altra reminescenza dell’estate 1938. Chi ebbe il coraggio di criticare le leggi razziali fu allora tacciato di "pietismo". Con questa accusa furono espulsi circa mille tesserati dal Partito nazionale fascista. E allora viva il buonismo, viva il pietismo.
LE IMPRONTE AI ROM
Il valzer della paura
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 6/7/2008
Anche se il silenzio è vasto, sulle misure di sicurezza adottate in fretta da Berlusconi, c’è stato chi ha provato sgomento grande, apprendendo che il ministro dell’Interno Maroni aveva messo all’ordine del giorno, come provvedimento risolutivo, le impronte digitali imposte ai bambini Rom: hanno protestato insegnanti impegnati in difficili tentativi di inserzione, e pensatori, storici, politici d’opposizione. Ma le parole più nette, più indipendenti, meno nebbiose son venute dall’interno della Chiesa. Aveva cominciato l’arcivescovo di Milano Tettamanzi, denunciando gli sgomberi dei campi Rom in aprile («Si è scesi sotto il rispetto dei diritti umani»). Poi hanno parlato sacerdoti, vescovi, la Fondazione Migrantes. Infine è giunto l’editoriale di Famiglia Cristiana: un periodico che vende più copie di tutti i giornali (3 milioni di lettori) ed è presente in ogni chiesa.
L’editoriale del direttore, Antonio Sciortino, non usa eufemismi. Parla di «misure indecenti», di un governo per cui «la dignità dell’uomo vale zero». Enumera verità giuridiche elementari: l’accattonaggio non è reato, la patria potestà tolta quando i genitori Rom sono poveri o in condizioni difficili viola la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, firmata dall’Italia. Ma soprattutto, ricorda il male scuro dell’Italia, tra i più scuri in Europa. L’Italia porta nel proprio bagaglio il fascismo con le leggi razziali e tuttavia questa «tragica responsabilità» finge di non averla: «Non ce ne siamo vergognati abbastanza». Anche questo crea sgomento: questo passato che non solo non passa, ma sembra dissolto in un acido, come se le revisioni di Fini a Fiuggi non si fossero limitate ad affrancare Alleanza nazionale ma fossero andate oltre, consegnando al nulla tutto un brano di storia nazionale. Il periodico obbedisce al motto del fondatore, Giacomo Alberione: «Famiglia Cristiana non dovrà parlare di religione cristiana, ma di tutto cristianamente».
Tuttavia l’ossessione dello straniero sospetto sin dalla nascita non è solo italiana. In questi giorni si discute di schedatura dell’infanzia in Francia («progetto Edvige»), anche se l’elaborazione di identikit - il profiling - non riguarda le etnie. Ma anche qui si pensa agli stranieri, e il significato è lo stesso: si predispongono liste di sospetti, in nome di uno stato d’emergenza infinita. Il modello d’integrazione del dopoguerra, chiamato in Francia protezionista, viene sostituito da un modello repressivo, dal populismo penale, da un inarrestabile proliferare di reati, dal profiling del diverso. Muta il mondo che abitiamo sempre meno generosamente, meno umanamente: una sorta di catastrofismo antropologico s’insedia negli spiriti e nei governi, che giudica l’uomo malvagio, incendiario. Che abolisce la fiducia: quest’apertura all’altro che scommette sul mutare della persona e non sugli immoti dati del suo corpo e della sua genetica.
Questa politica della sfiducia è iniziata prima dell’11 settembre, ma dopo il 2001 ha impastato sicurezza interna e antiterrorismo, importando dalla guerra le parole, le pratiche, le norme d’eccezione. Un libro uscito quest’anno in Francia, a cura di Laurent Mucchielli, descrive la frenesia della sicurezza impadronitasi dei governanti come dei giornali e spiega bene, in un saggio di Mathieu Rigouste, la militarizzazione delle menti. Anche qui riaffiorano automatismi, si son disperse vergogne o memorie. Rigouste, in un libro d’imminente uscita (L’ennemi intérieur, La Découverte) ricorda che linguaggio e azioni sono radicati nelle repressioni coloniali. Si parla di «contro-insurrezione», di «zone grigie dove s’annidano minacce di guerriglia», di «guerre di bassa intensità permanente» nelle banlieue. Ci sono consiglieri governativi (il colonnello de Richoufftz, il generale Henry Paris) che si fanno forti delle esperienze in Bosnia, Kosovo, perfino in Algeria.
A forza d’impastare il civile e il militare sono tanti i confini che sbiadiscono: tra ordine e emergenza, pace e guerra, e anche tra l’età maggiorenne (in cui diveniamo imputabili, incarcerabili) e quella minorenne, da tutelare e correggere con l’integrazione. Il bambino e l’adolescente diventano incubo, primo anello di catene devianti. Il XX secolo fu marchiato dalla foto del bambino con le braccia alzate, nel ghetto di Varsavia sopraffatto. Quell’immagine rivive: a Guantanamo, in Palestina, in Europa stessa. Chi ha contemplato il tremendo nel prodigioso film di Ari Folman (Waltz With Bachir), ricorderà la scena in cui l’autore, ebreo israeliano, racconta i palestinesi massacrati a Sabra e Chatila e vacilla perché quel che ha visto e quel di cui s’è reso complice gli fa venire in mente il bambino di Varsavia.
Chi difende le leggi Berlusconi difende cause apparentemente buone, e accusa i cristiani dissidenti di cecità: «Voi non andate nelle terre di desolazione e ignorate l’angoscia di tanti italiani», lamentano. Dicono che la legge è fatta per dare ai bambini un’identità che non hanno, per verificare se vanno a scuola, hanno case decenti, son sfruttati. Ma i bambini sfruttati e non scolarizzati in Italia sono ben più numerosi dei Rom, e questo conferma la discriminazione negativa di un’etnia (sono selettivi anche alcuni termini: commissario per la questione Rom, emergenza-Rom). Conferma una visione del male che non insorge perché società e istituzioni barcollano, o l’integrazione fallisce. Il male comincia nel genetico, nel corpo del bambino. Tanto più se diverso: Rom, musulmano, povero.
Sono anni che la delinquenza minorenne ossessiona, e un primo bilancio può esser fatto delle risposte date fin qui in Europa. I più repressivi sono stati i governi inglesi, poi il francese e l’italiano; mentre a Nord è sopravvissuto il modello integrativo. I risultati non confortano i fautori di ghetti. Con le repressioni inglesi, la delinquenza minorile è spettacolarmente aumentata: la sua parte nel crimine globale raggiunge percentuali senza eguali in Europa (20 per cento). Mentre in Norvegia, dove son preservate istituzioni solidali, i minorenni sono meno del 5 per cento della criminalità globale. Molte misure tecnologiche presentate come miracoli sono inefficaci. E in nome delle vittime o delle paure singole, è l’idea di una società coesa che si sfalda, è la sfiducia nelle istituzioni collettive che si attizza. Le impronte digitali, infine, accendono risentimento. Pierre Piazza, autore in Francia di una storia della carta d’identità, evoca afghani in cerca d’asilo che si son bruciati le dita, per protestare contro la schedatura.
I tempi d’azione affrettati e concitati, il rifiuto dei vecchi modi - più lenti - di curare le radici del male anziché estirparle: tutto questo mostra che insicurezza e paura sono spesso considerate una soluzione, più che un problema. Son usate e alimentate come uno strumento utile al potere. Sono la fuga nella politica delle emozioni, dell’annuncio declamatorio, del culto totemico di cifre continuamente contraffatte. A partire dal momento in cui, se un bambino ruba una bici, conta più la bici che la storia del bambino, il salto qualitativo è fatto: il salto nei nuovi reati (di accattonaggio o clandestinità); il salto nel sequestro del corpo, tramite biometria. L’habeas corpus, che è la facoltà di disporre del proprio corpo senza che esso sia manomesso o derubato, si perde.
I cittadini alle prese con lo spavento sono comprensibili. Ma la civiltà ha sue ragioni, che l’individuo impaurito non conosce o sottovaluta. Sono ragioni che riguardano anche lui. Il pastore Martin Niemoeller lo rammenta, in una poesia scritta a Sachsenhausen e Dachau, oggi esposta in un manifesto nelle vie di Roma. All’inizio deportano gli zingari, e tu taci. Poi gli ebrei, i sindacalisti, e sempre taci. Alla fine vengono per prender te. Non c’è più nessuno per protestare.
Cosa rappresentava il triangolo viola sull’uniforme? “Le varie categorie di internati nei campi [nazisti] portavano speciali segni di riconoscimento”, spiega un libro sull’argomento. “Prima della guerra fu introdotto un sistema di riconoscimento che consisteva nel cucire un pezzo di tessuto triangolare sull’uniforme di ogni internato. Il colore dipendeva dal gruppo a cui apparteneva il prigioniero: rosso per i prigionieri politici, viola per i testimoni di Geova, nero per gli asociali, verde per i criminali, rosa per gli omosessuali, blu per gli emigrati. Alle uniformi dei prigionieri ebrei veniva cucito un triangolo giallo sul triangolo colorato in modo da formare la stella di Davide a sei punte”. - Anatomy of the SS State.
Nel campo di concentramento
Fui internato nel campo di concentramento di Gross-Rosen, nella Slesia. Ricevetti un numero come prigioniero e un triangolo viola che mi identificava come testimone di Geova. Le SS mi fecero una proposta. Avrei potuto lasciare il campo e diventare addirittura un ufficiale dell’esercito nazista a una condizione. “Devi rinunciare alle idee degli Studenti Biblici, che sono contrarie al Terzo Reich”. Gli altri prigionieri non ricevettero una simile proposta. Solo ai testimoni di Geova venne offerta l’opportunità di lasciare i campi. Ciò nonostante rifiutai con decisione quel “privilegio”, e lo stesso fecero migliaia di altri fratelli. La risposta delle guardie fu: “Guarda il fumaiolo del forno crematorio. Pensaci bene, altrimenti riguadagnerai la libertà solo attraverso quella canna fumaria”. Di nuovo rifiutai senza esitare e in quell’istante fui pervaso dalla “pace di Dio che sorpassa ogni pensiero”. - Filippesi 4:6, 7.
“Perché, Signore, hai taciuto?”
QUESTE parole sono state pronunciate da papa Benedetto XVI il 28 maggio 2006, in occasione della sua visita all’ex campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, il luogo in cui i nazisti sterminarono centinaia di migliaia di ebrei e altri. Il papa ha aggiunto: “Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? . . . Dobbiamo rimanere con l’umile ma insistente grido verso Dio: Svegliati! Non dimenticare la tua creatura, l’uomo!” - L’Osservatore Romano, 7 giugno 2006.
Il discorso del papa ha suscitato vivaci reazioni. Alcuni hanno rilevato omissioni significative, come il mancato richiamo all’antisemitismo che caratterizzò le atrocità di Auschwitz. C’è anche chi ha letto nelle parole del papa un tentativo di sminuire la richiesta di perdono per le colpe della Chiesa fatta da Giovanni Paolo II. Un giornalista cattolico, Filippo Gentiloni, ha osservato: “Era però logico che non pochi commentatori di fronte alla domanda difficile su dove fosse Dio, domanda senza risposta, chiedessero invece risposta alla domanda più facile: dove era Pio XII?” (Adista, 10 giugno 2006) I commentatori si riferivano al silenzio di papa Pio XII durante l’Olocausto.
L’Olocausto e tutti gli altri genocidi commessi nel corso della storia umana dimostrano che “l’uomo ha dominato l’uomo a suo danno”. Davanti a tanto orrore il Creatore dell’uomo non ha taciuto; anzi nelle pagine della Bibbia ha spiegato perché ha tollerato il male. Dio, inoltre, ci ha assicurato che non ha dimenticato l’umanità, perché il periodo concesso all’uomo per autogovernarsi avrà presto fine. Vorreste saperne di più riguardo al proposito di Dio per noi? I testimoni di Geova saranno lieti di aiutarvi a trovare nella Bibbia le risposte alle domande che hanno lasciato perplesso papa Benedetto XVI.
A causa dei crimini commessi in nome di Dio dai seguaci di molte diverse religioni nel corso della storia, oggi milioni di persone si sono allontanate da Dio e da Cristo. Danno a Dio la colpa delle terribili guerre di religione, come le crociate combattute fra cattolici e musulmani, le guerre fra musulmani e indù, e le guerre fra cattolici e protestanti. Additano lo sterminio degli ebrei in nome di Cristo e le crudeli inquisizioni cattoliche. Ma sebbene i capi religiosi responsabili di tali orrendi crimini dicessero che Dio era il loro Padre, non erano anch’essi figli del Diavolo come i farisei che Gesù condannò? Dato che Satana è il dio di questo mondo, non dovremmo aspettarci che domini anche le religioni seguite dalle persone del mondo? .
"Dichirano pubblicamente di conoscere Dio, ma lo rinnegano con le loro opere".
Senza dubbio in nome della religione si fanno molte cose che ritenete sbagliate. Spesso si sente di persone che vivono in modo molto immorale pur essendo membri rispettati della loro chiesa. O forse sapete di capi religiosi che si comportano molto male ma che continuano a essere accettati dalla loro chiesa come valide guide religiose. Alcuni ecclesiastici dicono che l’omosessualità e i rapporti sessuali fra persone non sposate non sono sbagliati. Ma forse sapete che la Bibbia non dice così. Infatti in Israele, per comando di Dio, chi praticava queste cose era punito con la morte. Per lo stesso motivo Dio distrusse Sodoma e Gomorra. Presto farà la stessa cosa a ogni falsa religione attuale. Nella Bibbia la falsa religione è descritta come una prostituta, a causa dei suoi rapporti immorali con i “re e Governanti della terra”.
Identificata “Babilonia la Grande”
NON sempre le espressioni contenute nel libro di Rivelazione vanno intese alla lettera. Per esempio viene menzionata una donna con il nome “Babilonia la Grande” scritto sulla fronte. Si dice che questa donna siede su “folle e nazioni”. (Rivelazione 17:1 ) Dato che nessuna donna potrebbe letteralmente far questo, Babilonia la Grande deve essere una donna simbolica. Cosa rappresenta dunque questa simbolica meretrice?
In Rivelazione 17:18 la stessa donna viene descritta, in senso figurato, come “la gran città che ha il regno sopra i re della terra”. Il termine “città” indica un gruppo organizzato di persone. Dal momento che questa “gran città” domina sui “re della terra”, la donna chiamata Babilonia la Grande deve essere un’organizzazione influente a livello internazionale. Può giustamente essere definita un impero mondiale. Che tipo di impero? Un impero religioso. Notate come altri brani del libro di Rivelazione portano a trarre questa conclusione.
Un impero può essere politico, commerciale o religioso. La donna chiamata Babilonia la Grande non è un impero politico perché la Parola di Dio afferma che “i re della terra”, cioè gli elementi politici di questo mondo, “han commesso fornicazione” con lei. La sua fornicazione, a causa della quale viene chiamata la “grande meretrice”, consiste nelle alleanze che ha stretto con i governanti della terra.
Babilonia la Grande non può essere un impero commerciale perché i ‘commercianti della terra’, che rappresentano gli elementi finanziari, faranno cordoglio al momento della sua distruzione. Infatti viene detto che sia i re che i commercianti “staranno a distanza” a guardare. ) Perciò è ragionevole concludere che Babilonia la Grande non è un impero politico né un impero commerciale, ma un impero religioso.
L’identità religiosa di Babilonia la Grande è ulteriormente confermata dalla dichiarazione secondo cui essa svia tutte le nazioni mediante la sua “pratica spiritica”. Poiché ogni forma di spiritismo ha origini religiose e demoniche, non sorprende che la Bibbia definisca Babilonia la Grande “luogo di dimora di demoni”. Viene detto inoltre che questo impero si oppone attivamente alla vera religione, perseguitando i “profeti” e i “santi”. Infatti Babilonia la Grande nutre un odio così profondo per la vera religione che perseguita con accanimento i “testimoni di Gesù”, arrivando perfino a ucciderli. Perciò è chiaro che questa donna chiamata Babilonia la Grande rappresenta l’impero mondiale della falsa religione, che include tutte le religioni che si oppongono a Geova Dio.=YHWH=YAHWEH... Ebraico
la preghiera domenicale dedicata all’ultimo naufragio nel canale di Sicilia
Immigrazione, l’appello del Papa
«La politica dia risposte efficaci»
Ratzinger: «Basta stragi, i paesi europei accolgano gli irregolari».
Il Vaticano: in Ue xenofobia verso i rom
CASTEL GANDOLFO (Roma) - L’emergenza immigrazione e le stragi del mare «impongono efficaci risposte politiche». È questo il duro monito di Benedetto XVI, che ha quasi interamente dedicato l’Angelus recitato a Castel Gandolfo al naufragio dei giorni scorsi nel canale di Sicilia. «In queste ultime settimane la cronaca ha registrato l’aumento degli episodi di immigrazione irregolare dall’Africa. Non di rado - ha spiegato Benedetto XVI -, la traversata del Mediterraneo verso il continente europeo, visto come un approdo di speranza per sfuggire a situazioni avverse e spesso insostenibili, si trasforma in tragedia».
APPELLO ALL’EUROPA - All’Europa Ratzinger ha rivolto un appello preciso: sviluppare strutture di aiuto e accoglienza degli immigrati irregolari. «I Paesi europei e comunque quelli meta di immigrazione - ha detto il Pontefice - sono, tra l’altro, chiamati a sviluppare di comune accordo iniziative e strutture sempre più adeguate alle necessità dei migranti irregolari». «Allo stesso tempo - ha aggiunto il Papa - questi ultimi, poi, vanno pure sensibilizzati sul valore della propria vita, che rappresenta un bene unico, sempre prezioso, da tutelare di fronte ai gravissimi rischi a cui si espongono nella ricerca di un miglioramento delle loro condizioni e sul dovere della legalità che si impone a tutti». «Come Padre comune - ha quindi affermato ancora Ratzinger - sento il profondo dovere di richiamare l’attenzione di tutti sul problema e di chiedere la generosa collaborazione di singoli e di istituzioni per affrontarlo e trovare vie di soluzione. Il Signore ci accompagni e renda fecondi i nostri sforzi!».
«UE XENOFOBA VERSO I ROM» - L’appello di Ratzinger arriva a quattro giorni dal sesto Congresso mondiale della Pastorale per gli Zingari, in programma dal primo al 4 settembre a Freising, in Germania. In quell’occasione la Chiesa cattolica farà un appello a tutti gli Stati, e in primo luogo quelli europei, perché rispettino i diritti delle popolazioni nomadi, difendendole dalle discriminazioni. Ad anticiparlo è il segretario del pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto, che concluderà i lavori del congresso. Marchetto ha ribadito di ritenere che oggi gli zingari siano vittime di discriminazione. «Basta pensare alle polemiche suscitate negli ultimi mesi da alcuni provvedimenti legislativi sfavorevoli alle popolazioni zingare. Dai rapporti che ci pervengono dalle Chiese locali - ha detto - constatiamo che un po’ dappertutto gli zingari sono vittime di discriminazione, disuguaglianza, razzismo e xenofobia». Non si salva neanche l’Europa, dove «i Rom e Sinti, pur se cittadini di Stati membri e muniti di documenti validi, non possono godere degli stessi diritti degli altri cittadini. In alcuni Paesi - ha aggiunto - i bambini zingari sono costretti a frequentare scuole speciali per disabili fisici o mentali, mentre molte donne vengono sottoposte a sterilizzazione forzata. E la generale mancanza di fiducia - ha concluso - fa sì che ai giovani, pur se ben preparati professionalmente, non è concesso l’ingresso al mondo del lavoro come per gli altri».
* Corriere della Sera, 31 agosto 2008