Ancora un errore nel libro del Papa
Caro direttore,
potrebbe mai Dio ricorrere ad un mezzo cattivo per raggiungere un fine buono? Impossibile, giacché andrebbe contro la sua natura. Non sarebbe Dio, non sarebbe Amore. Ed ecco l’astuzia di Satana: far credere che il Signore possa imprimere piaghe nelle mani dei santi (stimmate), oppurre mandar loro ogni sorta di malanni.
Far credere che Dio si metta, almeno per quanto riguarda il mezzo, sullo stesso piano dei suoi crocifissori. Davvero astuto e perfido! Ma il fatto è che persino Benedetto XV si è fatto ingannare dal diavolo, e così, nel suo libro "Gesù di Nazaret", riguardo alla preghiera al Padre «e non c’indurre in tentazione», scrive: "Con essa diciamo: «Se tu decidi di sottopormi a queste prove, se...dai un po’ di mano libera al Maligno...»". Il che è irriguardoso verso il Signore.
Errore teologico, ma anche esegetico. Così Angelo Lancellotti (Matteo - Edizioni Paoline): "«Indurre» traduce il termine usuale ebraico bô «entrare»... Ciò non allude ad un’azione diretta di Dio nella tentazione... Il senso di quest’appello al divino intervento è di far sì che noi non «entriamo» in tentazione, cioè non cadiamo".
Interpretazione, del resto, data anche dal Catechismo al paragrafo 2846: "Non lasciarci soccombere alla tentazione... Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male".
Renato Pierri
Sul tema, in rete, si cfr.:
Il cattolicesimo-romano e i suoi scheletri nell’armadio.
Con Wojtyla, oltre (2000). I "due corpi" del Papa-Re e la nostra sovranità
MEMORIA, STORIA, E FILOLOGIA.
IL "PADRE NOSTRO" E IL "CRISTO RE": IL REGNO DI DIO-MAMMONA ("CARITAS") O DI DIO-AMORE ("CHARITAS")!? *
Il Vangelo
Un nuovo regno, dove il più potente è colui che serve
di Ermes Ronchi (Avvenire, giovedì 22 novembre 2018)
Gesù Cristo Re dell’Universo
Osserviamo la scena: due poteri uno di fronte all’altro; Pilato e il potere inesorabile dell’impero; Gesù, un giovane uomo disarmato e prigioniero. Pilato, onnipotente in Gerusalemme, ha paura; ed è per paura che consegnerà Gesù alla morte, contro la sua stessa convinzione: non trovo in lui motivo di condanna.
Con Gesù invece arriva un’aria di libertà e di fierezza, lui non si è mai fatto comprare da nessuno, mai condizionare. Chi dei due è più potente? Chi è più libero, chi è più uomo?
Per due volte Pilato domanda: sei tu il re dei Giudei? Tu sei re?
Cerca di capire chi ha davanti, quel Galileo che non lascia indifferente nessuno in città, che il sinedrio odia con tutte le sue forze e che vuole eliminare. Possibile che sia un pericolo per Roma?
Gesù risponde con una domanda: è il tuo pensiero o il pensiero di altri? Come se gli dicesse: guardati dentro, Pilato. Sei un uomo libero o sei manipolato?
E cerca di portare Pilato su di un’altra sfera: il mio regno non è di questo mondo. Ci sono due mondi, io sono dell’altro. Che è differente, è ad un’altra latitudine del cuore. Il tuo palazzo è circondato di soldati, il tuo potere ha un’anima di violenza e di guerra, perché i regni di quaggiù, si combattono. Il potere di quaggiù si nutre di violenza e produce morte. Il mio mondo è quello dell’amore e del servizio che producono vita. Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno il più grande è colui che serve.
Gesù non ha mai assoldato mercenari o arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada ha detto a Pietro, altrimenti avrà ragione sempre il più forte, il più violento, il più armato, il più crudele. La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, non ha altra forza che la sua luce. La potenza di Gesù è di essere privo di potenza, nudo, povero.
La sua regalità è di essere il più umano, il più ricco in umanità, il volto alto dell’uomo, che è un amore diventato visibile.
Sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Gli dice Pilato: che cos’è la verità? La verità non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si è.
Pilato avrebbe dovuto formulare in altro modo la domanda: chi è la verità? È lì davanti, la verità, è quell’uomo in cui le parole più belle del mondo sono diventate carne e sangue, per questo sono vere.
Venga il tuo Regno, noi preghiamo. Eppure il Regno è già venuto, è già qui come stella del mattino, ma verrà come un meriggio pieno di sole; è già venuto come granello di senapa e verrà come albero forte, colmo di nidi. È venuto come piccola luce sepolta, che io devo liberare perché diventi il mio destino.
(Letture: Deuteronomio 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37)
*
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno - nemmeno papa Francesco - ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
MEMORIA, STORIA, E FILOLOGIA ...
iL "PADRE NOSTRO"?! Alcune pagine dalla "Querela pacis" (1517)
di Erasmo *
Pochi anni fa, quando il mondo era travolto a prendere le armi da non so quale peste esiziale, alcuni araldi del Vangelo, frati Minori e Predicatori, dal sacro pulpito davano fiato ai corni di guerra e ancor piú infervoravano chi già propendeva per quella follia. In Inghilterra aizzavano contro i Francesi, in Francia animavano contro gli Inglesi, ovunque spronavano alla guerra. Alla pace non incitava nessuno tranne uno o due, a cui costò quasi la vita l’aver soltanto pronunciato il mio nome.
Prelati consacrati scorrazzavano un po’ dovunque dimentichi della loro dignità e dei loro voti, e inasprivano con la loro opera il morbo universale, istigando ora il pontefice romano Giulio, ora i monarchi ad affrettare la guerra, quasi che non fossero già abbastanza folli per conto loro. Eppure questa patente pazzia noi l’avvolgemmo in splendidi titoli.
A tal fine sono da noi distorte con somma impudenza - dovrei dire con sacrilegio - le leggi dei padri, gli scritti di uomini santi, le parole della Sacra Scrittura. Le cose sono giunte a tal punto che risulta sciocco e sacrilego pronunciarsi contro la guerra ed elogiare l’unica cosa elogiata dalla bocca di Cristo. Appare poco sollecito del bene del popolo e tiepido sostenitore del sovrano chi consiglia il massimo dei benefici e scoraggia dalla massima delle pestilenze.
Ormai i sacerdoti seguono perfino le armate, i vescovi le comandano, abbandonando le loro chiese per occuparsi degli affari di Bellona. Ormai la guerra produce addirittura sacerdoti, prelati, cardinali ai quali il titolo di legato al campo sembra onorifico e degno dei successori degli Apostoli. Per cui non fa meraviglia se hanno spirito marziale coloro che Marte ha generato. Per rendere poi il male insanabile, coprono un tale sacrilegio col sacro nome della religione. Sugli stendardi sventola la croce.
Armigeri spietati e ingaggiati per poche monete a compiere macelli spaventosi innalzano l’insegna della croce, e simboleggia la guerra il solo simbolo che dalla guerra poteva dissuadere.
Che hai a che fare con la croce, scellerato armigero? I tuoi sentimenti, i tuoi misfatti convenivano ai draghi, alle tigri, ai lupi. -Quel simbolo appartiene a Colui che non combattendo ma morendo colse la vittoria, salvò e non distrusse; da lí soprattutto potevi imparare quali sono i tuoi nemici, se appena sei cristiano, e con quale tattica devi vincere.
Tu innalzi l’insegna della salvezza mentre corri alla perdizione del fratello, e fai perire con la croce chi dalla croce fu salvato?
Ma che! Dai sacri e adorabili misteri trascinati anch’essi per gli accampamenti, da queste somme raffigurazioni della concordia cristiana si corre alla mischia, si avventa il ferro spietato nelle viscere del fratello e sotto gli occhi di Cristo si dà spettacolo della piú scellerata delle azioni, la piú gradita ai cuori empi: se pure Cristo si degni di essere là. Colmo poi dell’assurdo, in entrambe le armate, in entrambi gli schieramenti brilla il segno della croce, in entrambe si celebra il sacrificio. -Quale mostruosità è questa? La croce in conflitto con la croce, Cristo in guerra con Cristo. È un simbolo fatto per atterrire i nemici della cristianità: perché adesso combattono quello che adorano? Uomini degni non di quest’unica croce, ma della croce patibolare.
Ditemi, come il soldato può recitare il “Padre nostro” durante queste messe? Bocca insensibile, osi invocare il Padre mentre miri alla gola del tuo fratello? “Sia santificato il tuo nome”: come si potrebbe sfregiare il nome di Dio piú che con queste vostre risse? “Venga il tuo regno”: cosí preghi tu che su tanto sangue erigi la tua tirannide? “Sia fatta la tua volontà, come in cielo, cosí anche in terra”: Egli vuole la pace, tu prepari la guerra.
“Il pane quotidiano” chiedi al Padre comune mentre abbruci le messi del fratello e preferisci che vadano perse anche per te piuttosto che giovare a lui?
Infine come puoi pronunciare con la lingua le parole “e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” mentre ti lanci a un fratricidio? Scongiuri il rischio della tentazione mentre con tuo rischio getti nel rischio il fratello. “Dal male” chiedi di essere liberato mentre ti proponi di causare il massimo male al fratello?
*
Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, Einaudi, Torino, 1990, pagg. 51-55.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO ("DEUS CHARITAS EST"), E IL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO ("DEUS CARITAS EST").Una storia di lunga durata...
IL DRAMMA DEL CATTOLICESIMO ATEO E DEVOTO, HENRI DE LUBAC, E LA POSTERITÀ SPIRITUALE DI GIOACCHINO DA FIORE.
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
Assemblea dei vescovi.
La Cei approva la nuova traduzione di Padre nostro e Gloria
Il documento finale dell’Assemblea generale straordinaria. Lotta alla pedofilia, nasce un Servizio nazionale per la tutela dei minori
di Redazione Internet (Avvenire, giovedì 15 novembre 2018)
L’Assemblea generale della Cei ha approvato la traduzione italiana della terza edizione del Messale Romano, a conclusione di un percorso durato oltre 16 anni. In tale arco di tempo, si legge nel comunicato finale dell’Assemblea generale straordinaria della Cei (12-15 novembre), vescovi ed esperti hanno lavorato al miglioramento del testo sotto il profilo teologico, pastorale e stilistico, nonché alla messa a punto della Presentazione del Messale, che aiuterà non solo a una sua proficua recezione, ma anche a sostenere la pastorale liturgica nel suo insieme.
Il testo della nuova edizione sarà ora sottoposto alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza, ottenuti i quali andrà in vigore anche la nuova versione del Padre nostro («non abbandonarci alla tentazione») e dell’inizio del Gloria («pace in terra agli uomini, amati dal Signore»).
Riconsegnare ai fedeli il Messale Romano con un sussidio
Nell’intento dei vescovi, la pubblicazione della nuova edizione costituisce l’occasione per contribuire al rinnovamento della comunità ecclesiale nel solco della riforma liturgica. Di qui la sottolineatura, emersa nei lavori assembleari, relativa alla necessità di un grande impegno formativo. In quest’ottica «si coglie la stonatura di ogni protagonismo individuale, di una creatività che sconfina nell’improvvisazione, come pure di un freddo ritualismo, improntato a un estetismo fine a se stesso». La liturgia, hanno evidenziato i vescovi, coinvolge l’intera assemblea nell’atto di rivolgersi al Signore: «Richiede un’arte celebrativa capace di far emergere il valore sacramentale della Parola di Dio, attingere e alimentare il senso della comunità, promuovendo anche la realtà dei ministeri. Tutta la vita, con i suoi linguaggi, è coinvolta nell’incontro con il Mistero: in modo particolare, si suggerisce di curare la qualità del canto e della musica per le liturgie». Per dare sostanza a questi temi, si è evidenziata l’opportunità di preparare una sorta di «riconsegna al popolo di Dio del Messale Romano» con un sussidio che rilanci l’impegno della pastorale liturgica.
Nasce un Servizio nazionale per la tutela dei minori
Riguardo alla lotta alla pedofilia, dall’Assemblea generale emerge che le Linee guida che la Commissione della Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili sta formulando «chiederanno di rafforzare la promozione della trasparenza e anche una comunicazione attenta a rispondere alle legittime domande di informazioni». La Commissione - che sottoporrà il risultato del suo lavoro alla valutazione della Commissione per la Tutela dei minori della Santa Sede e soprattutto della Congregazione per la dottrina della fede - ha l’impegno di portare le Linee guida all’approvazione del Consiglio permanente, per arrivare a presentarle alla prossima Assemblea generale.
Si intende, quindi, portarle sul territorio, anche negli incontri delle Conferenze episcopali regionali per facilitare un’assimilazione diffusa di una mentalità nuova, nonché di un pensiero e una prassi comuni.
I vescovi hanno approvato due proposte, che consentono di dare concretezza al cammino. È stata condivisa, innanzitutto, la creazione presso la Cei di un Servizio nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, con un proprio Statuto, un regolamento e una segreteria stabile, in cui laiche e laici, presbiteri e religiosi esperti saranno a disposizione dei vescovi diocesani. Il Servizio sosterrà nel compito di avviare i percorsi e le realtà diocesani - o inter-diocesani o regionali - di formazione e prevenzione. Inoltre, «potrà offrire consulenza alle diocesi, supportandole nei procedimenti processuali canonici e civili, secondo lo spirito delle norme e degli orientamenti che saranno contenuti nelle nuove Linee guida».
La seconda proposta approvata riguarda le Conferenze episcopali regionali. Si tratta di individuare, diocesi per diocesi, uno o più referenti, da avviare a un percorso di formazione specifica a livello regionale o interregionale, con l’aiuto del Centro per la tutela dei minori dell’Università Gregoriana.
IL PADRE NOSTRO E DUEMILA ANNI DI "LATINORUM" ...
Papa Francesco vuole cambiare il ’Padre Nostro’: "Traduzione non è buona, Dio non ci induce in tentazione"
Uno dei passaggi più noti potrebbe presto cambiare, come già successo in Francia *
CITTÀ DEL VATICANO - Il testo in italiano della preghiera più nota, il ’Padre Nostro’ , potrebbe presto cambiare. A farlo intendere è lo stesso papa Francesco: "Dio che ci induce in tentazione non è una buona traduzione. Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice ’non mi lasci cadere nella tentazione’. Sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito".
Il pontefice lo ha spiegato nella settima puntata del programma ’Padre nostro’, condotto da don Marco Pozza, in onda su Tv2000. Francesco dialoga con il giovane cappellano del carcere di Padova nell’introduzione di ogni puntata. "Quello che ti induce in tentazione - conclude il Papa - è Satana, quello è l’ufficio di Satana".
Della controversia sulla preghiera più nota del cristianesimo - fu insegnata da Gesù stesso ai suoi discepoli che gli chiedevano come dovessero pregare - si è parlato in queste settimane quando in Francia si è detto appunto addio al vecchio ’Padre Nostro’. Dopo anni di discussioni sulla giusta traduzione, la nuova versione francese non include più il passaggio ’ne nous soumets pas à la tentation’ - ’non sottometterci alla tentazione’ -, che è stato sostituito con una versione ritenuta più corretta: ’ne nous laisse pas entrer en tentation’, ’non lasciarci entrare in tentazione’.
Secondo quanto ha scritto Le Figaro, la prima formula - ’non sottometterci’ - ha fatto credere a generazioni di fedeli che Dio potesse tendere in qualche modo una sorta di tranello, chiedendo loro di compiere il bene, li ’sottometteva’ alla tentazione del male. "La frase attuale lasciava supporre che Dio volesse tentare l’essere umano mentre Dio vuole che l’uomo sia un essere libero", ha commentato il vescovo di Grenoble, monsignor Guy de Kerimel, citato dal giornale. Dopo mezzo secolo - la controversa versione venne introdotta il 29 dicembre 1965 - la Conferenza episcopale transalpina ha quindi optato per la nuova traduzione del Notre Père. Per aiutare i fedeli a memorizzarla, la nuova preghiera è stata distribuita in decine di migliaia di copie nelle chiese di Francia. Il cambio ufficiale è avvenuto due giorni fa, domenica 3 dicembre.
Per la verità, anche in Italia, nella versione della Bibbia della Cei (2008), il passo ’et ne nos inducas in tentationem’ è tradotto con ’e non abbandonarci alla tentazione’; l’edizione del Messale Romano in lingua italiana attualmente in uso (1983) non recepisce tuttavia questo cambiamento. Ora però è il Papa a sostenere pubblicamente che si dovrebbe cambiare.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
Francia. Con l’Avvento arriva il «nuovo» Padre Nostro
Nella traduzione approvata dai presuli francesi «non indurci» diventa «non lasciare che entriamo in tentazione»
di Andrea Galli (Avvenire, giovedì 16 novembre 2017)
«Non lasciare che entriamo in tentazione» al posto di «non indurci in tentazione»: è questa la nuova formulazione della sesta richiesta del Padre nostro che i cattolici francesi sono invitati a usare nelle celebrazioni pubbliche a partire dal 3 dicembre prossimo, prima domenica di Avvento, inizio del nuovo anno liturgico. In un incontro con la stampa ieri mattina a Parigi - riporta l’agenzia Sir - il vescovo di Grenoble Guy de Kerimel, che è anche presidente della Commissione episcopale per la liturgia e la pastorale sacramentale, ha spiegato il significato di questa modifica, là dove si chiede a Dio di «essere liberati dalla tentazione che conduce al peccato e a una forma di schiavitù».
La traduzione precedente non era sbagliata dal punto di vista esegetico, ha detto il vescovo, ma rischiava di essere «mal compresa dai fedeli». La modifica sarebbe quindi «un’occasione per i cristiani di riappropriarsi della preghiera che Gesù ha insegnato loro». Per questo i vescovi francesi hanno voluto accompagnare questo passaggio con un volume, «Preghiera del Padre nostro, uno sguardo rinnovato». La nuova formulazione, che è già stata introdotta nella Pentecoste scorsa in alcuni Paesi francofoni come il Belgio e il Benin, sarà utilizzata anche in tutte le celebrazioni ecumeniche, come raccomandato dal Consiglio delle Chiese cristiane in Francia.
Intanto, sempre Oltralpe, continua fra i vescovi la discussione su un tema che ha percorso i lavori della loro assemblea plenaria autunnale si è tenuta a Lourdes dal 3 all’8 novembre. Nell’occasione don Jean-Luc Garin, rettore del Seminario di Lille e responsabile del Consiglio nazionale dei grandi Seminari, ha fornito un quadro aggiornato della situazione vocazionale: in sedici anni, dal 2000 al 2016, i seminaristi in Francia sono passati da 976 a 662: un calo del 30% che non sembra destinato ad arrestarsi, per ora. L’arcivescovo messicano Jorge Carlos Patrón Wong, segretario della Congregazione per il clero, intervenuto nel secondo giorno dei lavori illustrando all’assemblea la «Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis», ovvero le linee guida sulla formazione sacerdotale pubblicate dal dicastero vaticano nel dicembre 2016, ha ricordato che stando al documenti i Seminari, per sussistere o essere aperti, devono avere un numero di vocazioni sufficienti. Un minimo che va «da 17 a 20 persone» ha specificato Wong. Attualmente su 32 Seminari e case di formazione presenti in Francia solo 15 superano la soglia dei 17 seminaristi, per cui dopo l’assemblea plenaria il tema della possibile chiusura di circa la metà degli odierni Seminari è ufficialmente sul tavolo.
Per quanto riguarda i seminaristi diocesani, oggi la metà risiede in soli cinque Seminari: Fréjus-Tolone, Tolosa, Issy-les-Moulineaux, Rennes e Parigi. Un caso non diocesano in forte controtendenza vocazionale - di cui i vescovi hanno discusso, tra coloro che invitano a studiarne l’esempio e altri che manifestano diffidenza - è quello della Comunità di San Martino, associazione di diritto pontificio fondata nel 1976 da monsignor Jean-François Guérin e che ebbe la sua prima approvazione nel 1979 nell’arcidiocesi di Genova, dal cardinale Giuseppe Siri: oggi un seminarista su sei in Francia appartiene a tale comunità.
DUEMILA ANNI DI "LATINORUM" CATTOLICO-ROMANO... *
A)
Dubbi sul Padre Nostro
Alcuni lettori ci scrivono.
"Non ci indurre in tentazione", il vero significato
Risponde il teologo Giuseppe Pulcinelli (Avvenire, 13.09.2017)
Nell’originale greco c’è il verbo eisenenkes che significa “immettere”, “introdurre”. Ma si vuol forse dire che Dio spinge l’uomo verso il male (la tentazione) e quindi gli si chiede di non farlo?
In realtà, alla luce di altri passi della Scrittura (cfr. Gc 1,13: «Dio non tenta nessuno»), si può e si deve dare un’altra spiegazione. Il verbo greco probabilmente traduce - in modo approssimativo - un originale semitico che va compreso in base a testi come il Salmo 140 (141),4: «Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori».
Il senso dell’invocazione è dunque: «Non ci lasciare entrare e soccombere nella tentazione». Speriamo che presto venga adottata anche nella liturgia la versione ufficiale della Cei (2008), che ha corretto con «non abbandonarci alla tentazione».
B)
Chiedi al teologo
Non abbandonarci «alla» o «nella» tentazione?
di Luigi Lorenzetti (Famiglia Cristiana, 02/06/2017)
Nella nuova traduzione della Bibbia Cei (2008) la dizione «Non c’indurre in tentazione», è cambiata in «Non abbandonarci alla tentazione». La tentazione mette la libertà-responsabilità della persona di fronte a un bivio: il bene e il male. Ad esempio, aiutare il prossimo o lasciarlo perdere? Per scegliere il bene, è necessario l’aiuto di Dio che, d’altra parte, non lo impone a nessuno. Da qui la consapevolezza d’averne bisogno e di chiederlo fiduciosi nella preghiera.
Il significato della nuova dizione è tutto nell’invocazione «Non abbandonarci» alla (traduzione ufficiale) o (il che è lo stesso) nella tentazione. Nell’una come nell’altra versione, è chiara la distinzione tra «essere tentati» e «consentire ». È consolante pensare e credere che Dio è sempre presente alla (o nella) tentazione, così da vincerla, anzi, trasformarla in conferma nella scelta del bene.
* SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
IL "PADRE NOSTRO" NON E’ QUELLO DI PAPA BENEDETTO XVI. IL "DIO" DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI NON CI INDUCE IN TENTAZIONE!!!
DUE PAPI IN PREGHIERA: MA CHI PREGANO?! Bergoglio incontra Ratzinger: "Siamo fratelli". Ma di quale famiglia?!
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
DA DOVE VIENE IL MALE?
Questa domanda, assilla tutte le religioni che prendono le mosse dalla indiscussa bontà di Dio, E trova risposta solo ammettendo, come i greci e ora in parte anche la teologia cattolica, che Dio, oltre il bene, ospita il suo opposto
risponde Umberto Galimberti *
Sì! Dio ha bisogno delle nostre sollecitazioni perché, accanto al lato buono che tutti i credenti conoscono, c’è in Dio anche un lato oscuro a cui potrebbe cedere, se non lo trattenessero le nostre preghiere. Questa concezione di Dio, che accanto al bene ospita il male, nell’antichità è stata espressa dalla Gnosi e tuttora è sottesa alla psicoanalisi freudiana e soprattutto junghiana. Ma sta facendo breccia anche nella teologia cattolica, se è vero che il teologo Paolo De Benedetti, già docente di Giudaismo alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e di Antico Testamento agli Istituti di Scienze Religiose delle Università di Urbino e Trento, in un bellissimo breve saggio dal titolo Ma liberaci dal male si chiede: perché nel Padre Nostro dobbiamo chiedere a Dio: «Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male»?
Da dove viene la tentazione? Se rispondiamo "da Satana", dobbiamo poi chiederci: chi ha convertito un angelo buono in diavolo, dato che all’origine c’era solo un Dio creatore buono in ogni suo aspetto? E come venire a capo delle tentazioni di Abramo, di Giobbe, di Gesù? Quando Dio tenta Abramo, sa già o non sa quale sarà la sua risposta? Se la sa, allora la tentazione è una messinscena, nel caso opposto Dio non è onnisciente. Lo stesso si può dire della tentazione di Giobbe, che se si fosse ribellato a Dio avrebbe dato ragione a Satana che puntava sul fallimento di Giobbe e quindi anche di Dio, che sulla sua fedeltà aveva fatto affidamento.
Osserva De Benedetti a questo punto: «La tentazione risponde a un bisogno di Dio di rassicurarsi che noi siamo con lui». Lo stesso motivo torna con Gesù che nell’orto del Getsemani chiede: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice». Dicendo "se vuoi", non "se puoi", riconosce l’onnipotenza del Padre, ma dubita della sua volontà di evitargli la sofferenza della croce. Conclude De Benedetti: «Il lato oscuro di Dio è la sua debolezza, che fa di lui "il nascosto" (Isaia, 45, 15), colui che cerca l’uomo ("Uomo, dove sei?", Genesi, 3, 9). Perché se l’uomo mancasse Dio perderebbe tutti i suoi attributi. Dio può qualcosa solo se noi glielo chiediamo: la petizione finale del Pater noster paradossalmente è un aiuto a Dio perché sia Dio, sia più Dio. Perché il suo lato destro vinca il suo lato sinistro». Quest’ipotesi è condivisa anche dal filosofo cattolico Paul Ricœur, che non si lascia persuadere dal racconto biblico sull’origine del male nel peccato di Adamo: «Il male è già là, prima di ogni iniziativa malvagia imputabile a qualche intenzione deliberata».
Eppure, scrive Freud: «I bambini non ascoltano volentieri quando si parla dell’innata tendenza al male, all’aggressione, alla distruzione e perciò anche alla crudeltà dell’uomo. Dio li ha creati a sua immagine e somiglianza, così che a nessuno piace sentirsi ricordare com’è difficile far coincidere l’innegabile esistenza del male con la sua onnipotenza e suprema bontà. Il diavolo sarebbe un’ottima scappatoia per scagionare Dio, ma poi? Dio può essere chiamato a rispondere tanto dell’esistenza del diavolo quanto del male che questi incarna. Visto che le cose sono così difficili, è consigliabile per chiunque, al momento debito, fare un profondo inchino di fronte alla natura profondamente morale dell’uomo: gli gioverà per ottenere il favore popolare e molto gli sarà perdonato».
In effetti, sapere che Dio non è contaminato dal male offre sicurezza, infonde speranza, bandisce la dimensione tragica che caratterizzava la cultura greca e probabilmente è alla base dell’ottimismo infuso nella cultura occidentale dal cristianesimo. È forse per questo che Freud parla della religione come dell’«avvenire di un’illusione».
Ma quando le illusioni cadono e compare il «nichilismo europeo» annunciato da Nietzsche, giunge il momento in cui bisogna fare i conti con la verità che l’illusione ha mascherato.
* la Repubblica D, 10.09.2016.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
PENSARE UN ALTRO ABRAMO: GUARIRE LA NOSTRA TERRA.
PREMESSA
di Henri Tincq
in “www.slate.fr” del 30 ottobre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Rivoluzione nelle fila cattoliche. Ad una scadenza ancora incerta - 2014? 2015? - i fedeli francofoni non reciteranno più la loro preghiera quotidiana favorita, il Padre Nostro, secondo la formulazione in uso da subito dopo il Concilio Vaticano II, quasi cinquanta anni fa (1966). La sesta “domanda” di questa celebre preghiera in forma di suppliche successive fatte a Dio - “Et ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione) - sarà soppressa e sostituita da “Et ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione). Non si tratta di un dettaglio o di una disputa bizantina. È l’epilogo di una battaglia di esperti che dura da mezzo secolo.
La Chiesa pensa di avere l’eternità davanti a sé. Le sono stati necessari 17 anni di lavoro e la collaborazione di 70 traduttori - esegeti, biblisti, innografi - per giungere a questo risultato. 17 anni, è il tempo che è stato necessario per la nuova traduzione integrale della Bibbia liturgica, che, per la Francia, sarà adottata l’8 novembre dai vescovi e che sarà in vendita nelle librerie a partire dal 22 novembre.
Quegli eminenti traduttori sono partiti dai testi originali in aramaico, in greco, in ebraico, e non più dalle traduzioni già esistenti. Ed è questo aggiornamento radicale che ha permesso a questi studiosi, con l’accordo del Vaticano, di giungere alla redazione di un nuovo Padre Nostro, più soddisfacente e più corretto teologicamente.
Il Padre Nostro è la preghiera di base di tutti i cristiani, indipendentemente dalla loro confessione, cattolica, protestante, ortodossa o anglicana. Essa è tanto più sacra in quanto, secondo i vangeli di Luca e di Matteo, è stata insegnata direttamente da Cristo stesso. “Signore, insegnaci a pregare”, gli chiedevano gli apostoli. La risposta di Gesù si trova nelle parole del Padre Nostro, preziosamente riprodotte - “Padre Nostro che sei nei cieli...” - che risalgono così a due millenni fa. Ritrascritta dal greco al latino, è stata poi tradotta nelle lingue parlate del mondo intero.
Questa preghiera, la più comune dei cristiani, può essere recitata o cantata in qualsiasi momento della giornata. Non è codificata come la preghiera dell’islam (cinque volte al giorno e ad ore fisse). Compare in ogni celebrazione della messa dopo la preghiera eucaristica. È anche recitata in tutte le assemblee ecumeniche. È il segno di una volontà di riconciliazione e di unità di tutte le confessioni cristiane, nate dallo stesso vangelo, ma separate dalle loro istituzioni.
Ma perché cambiare oggi un simile monumento della spiritualità cristiana, sul punto preciso della tentazione? Un punto centrale nell’antropologia cristiana. Secondo i vangeli, Cristo ha trascorso quaranta giorni nel deserto ed è stato tentato da Satana: tentazione dell’orgoglio, del potere, del possesso (Matteo 4,11). Gesù stesso ha detto ai suoi apostoli nel giardino del Getzemani, la sera della sua passione, proprio prima del suo processo e della sua morte in croce: “Pregate per non entrare in tentazione”.
Precisamente, cinquant’anni fa, un errore di traduzione è stato commesso a partire dal verbo greco eisphérô che significa letteralmente “portar dentro”, “far entrare”.Questo verbo avrebbe dovuto essere tradotto con: “Ne nous induis pas en tentation” (non indurci in tentazione) o con “Ne nous fais pas entrer en tentation” (non farci entrare in tentazione). I traduttori del 1966 hanno preferito la formula “Ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione).
Formula contestata. Controsenso, se non addirittura bestemmia, si protesta in seguito. Come è possibile che Dio, che nell’immaginario cristiano è “infinitamente buono”, possa “sottoporre” l’uomo alla tentazione del peccato e del male? È insostenibile.
Tale forma equivoca è stata tuttavia letta dal pulpito in tutte le chiese del mondo francofono, pregata pubblicamente o intimamente da milioni e milioni di cristiani, inducendo, in menti non competenti, l’idea di una sorta di perversità di Dio, che chiede ai suoi sudditi di supplicarlo per sfuggire al male che lui stesso susciterebbe!
Oggi si torna quindi ad una formulazione più corretta: “Et ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione). Così il ruolo di Dio è compreso meglio, riabilitato. Dio non può tentare l’uomo. La tentazione è opera del diavolo. È Dio, invece, che può impedire all’uomo di soccombere alla tentazione.
Ora occorre che i protestanti, gli ortodossi, gli anglicani si allineino su questa nuova formulazione cattolica. Nel 1966, i teologi cattolici, protestanti, ortodossi si erano alleati per riflettere su una traduzione veramente ecumenica (con gli stessi termini) del Padre Nostro, che non esisteva prima della rivoluzione del Concilio Vaticano II. Avevano proposto un testo comune alle loro Chiese, che lo avevano adottato. Senza dubbio oggi si metteranno nuovamente d’accordo per ratificare la nuova preghiera nei termini già definiti dai cattolici. Anche solo per smentire coloro che si lamentano dello stato di avvicinamento ecumenico che avrebbe perso vigore e si preoccupano del risveglio di riflessi comunitari.
Il regalo del Papa: la preghiera delle cinque dita
Oggi all’Angelus Bergoglio offre un libretto tascabile con le orazioni tradizionali che contiene anche le intenzioni suggerite da Francesco partendo dalla nostra mano
di Andrea Tornielli (La Stampa, 14/12/2014)
Città del Vaticano.
«Quando prego Dio respira in me». Si apre con questa frase e la firma di Francesco, il libretto tascabile di 40 pagine che oggi il Papa regala ai fedeli presenti all’Angelus in piazza San Pietro, nel giorno della tradizionale benedizione dei Bambinelli. Sulla copertina del volumetto stampato dalla Libreria Editrice Vaticana, sopra il titolo «Preghiere», è riprodotto un affresco del III secolo che si trova nelle catacombe di Priscilla e raffigura un orante con le braccia aperte e rivolte al cielo.
Nel libretto sono raccolte le più importanti preghiere della tradizione cristiana, quelle più conosciute e facili da imparare a memoria, per scandire la giornata ma anche le situazioni e i bisogni particolari, senza dimenticare nessuno. Alle pagine 32-33 è riprodotto il disegno di una mano con le intenzioni di preghiera suggerite da Francesco partendo dalle cinque dita.
Il pollice, «il dito a te più vicino», ci fa pensare e pregare per chi è più vicino a noi, «sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente», pregare per i nostri cari «è un dolce obbligo». L’indice ci ricorda di pregare per chi ha il compito di dare indicazioni agli altri, cioè «coloro che insegnano, educano e curano», categoria che comprende «maestri, professori, medici e sacerdoti». Il medio è il dito più alto e ci ricorda «i nostri governanti», le persone «che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l’opinione pubblica... Hanno bisogno della guida di Dio».
Il quarto dito è l’anulare, che, spiega il Papa, «è il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte». È lì «per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati», che hanno bisogno di «tue preghiere di giorno e di notte». E invita anche a pregare per le coppie sposate. Infine il mignolo, il dito più piccolo, «come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo», che invita a pregare per noi stessi: «Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole nella giusta prospettiva».
Nel libretto donato da Francesco, che si apre con la preghiera per eccellenza, il «Padre Nostro», trovano spazio oltre alle preghiere bibliche e ad alcuni versetti del Salmo 51, del Salmo 130 e del Salmo 139, anche i misteri del Rosario, le litanie Lauretane. Ci sono semplici formule da recitare prima e dopo il pasto e anche brevi testi composti da san Francesco, da santa Teresa del Bambin Gesù e dai beati J.H Newman, Charles de Foucauld e Madre Teresa di Calcutta. E c’è anche la coroncina della Divina misericordia di santa Faustina. Insieme a preghiere da recitare prima della confessione e dopo la comunione, trovano spazio anche suppliche per la benedizione dei figli da parte dei genitori, preghiere per i coniugi e i fidanzati, invocazioni contro il Maligno.
Il nuovo dono di Francesco ai fedeli presenti all’Angelus si aggiunge a quelli già fatti nei mesi scorsi: il rosario della «misericordina» e il testo del Vangelo tascabile. Il Papa ha spesso ripetuto l’importanza di portarlo con sé ogni giorno e di leggerne un brano mentre si è in coda o sul tram o si ha un momento libero. Con il libretto di preghiere, anche questo tascabile e di facilissima lettura, il Vescovo di Roma continua a dare semplici suggerimenti per la vita quotidiana dei credenti attingendo dal patrimonio della tradizione cristiana.
"Signore, insegnaci a pregare" (Lc., 11.1)
PRIMA LETTERA DI GIOVANNI (1 Gv.: 4, 1-16).
Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. ... Dio è Amore
Charissimi, nolite omni spiritui credere, sed probate spiritus si ex Deo sint: quoniam multi pseudoprophetæ exierunt in mundum.... Deus charitas est
O AMORE,
SPIRITO SANTO,
PADRE NOSTRO,
CHE SEI NEI CIELI,
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME,
VENGA IL TUO REGNO,
SIA FATTA LA TUA VOLONTA’
COME IN CIELO COSI’ IN TERRA.
TU CI DAI OGGI IL NOSTRO PANE PIU’ SOSTANZIOSO,
E RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE
MA CI LIBERI DAL MALE.
COSI E’: COSI SIA.
AMEN.
di Hervé Giraud
in “www.temoignagechretien.fr” del 17 giugno 2011
(traduzione: www.finesettimana.org)
Nel Padre Nostro, ogni parola ha la sua importanza. Mentre la Conferenza episcopale francese lavora ad una nuova traduzione liturgica francofona della Bibbia, Mons. Giraud, vescovo di Soissons, ha voluto offrire ai lettori del suo blog - e ai cattolici in generale - la sua visione di una frase particolarmente importante del vangelo di Matteo: “Non indurci in tentazione”. Se questa frase sarà cambiata, bisognerà abituarsi a dire questa preghiera in modo diverso. Se no, la riflessione proposta pubblicamente dal vescovo permette, a suo avviso, di comprendere meglio il rapporto dei cattolici con la tentazione. Questo dibattito c’è stato del resto anche tra gli anglosassoni che stanno mettendo a punto il loro nuovo messale e dovrebbero utilizzarlo a partire dall’Avvento 2011.
«La nuova versione del Padre Nostro è apparsa nella liturgia cattolica in Francia con la messa della Veglia pasquale del 1966. Una richiesta poneva problema sia dal punto di vista teologico che da quello esegetico o filosofico: “Ne nous laissez pas succomber à la tentation” (non lasciarci soccombere alla tentazione) era diventato “Ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione). Attualmente, nessuno è soddisfatto della traduzione ecumenica della sesta richiesta del Padre Nostro. In effetti, questa traduzione presuppone una certa responsabilità di Dio nella tentazione che ha condotto al peccato, al male.
La parola peirasmos potrebbe certo essere tradotta con “prova” e non con “tentazione”. Ma “non sottoporci alla prova” sembra chiedere a Dio di farci rifuggire dalla condizione umana normale, segnata dalla prova.
La traduzione letterale del testo greco di Matteo 6,13 dovrebbe essere “Ne nous induis pas en tentation” (non indurci in tentazione) o “Ne nous fais pas entrer en (dans la) tentation”, “Ne nous introduis pas en tentation” (non farci entrare, non introdurci nella tentazione). Il verbo eisphérô significa etimologicamente “portare dentro”, “far entrare”. La tentazione è vista come un luogo nel quale Dio ci introdurrebbe. Ma Dio potrebbe “introdurci” in tentazione? Questo verbo esprime un movimento locale verso un luogo dove si penetra. Fa pensare a Gesù, quando è condotto dallo Spirito nel deserto per esservi tentato (Mt 4,11), o anche nel Getsemani: “Priez pour ne pas entrer en tentation” (pregate per non entrare in tentazione) (Mt 26,41). Ora, in tutto il Nuovo Testamento, non è mai detto che Dio tenti la sua creatura umana. La formula sembra supporre che Dio possa tentare l’uomo, mentre è il diavolo che si incarica normalmente di questa operazione. Dio non è l’autore della tentazione.
Sono state studiate diverse traduzioni. “Ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione): questa traduzione evoca l’immagine di un Dio che fa subire la tentazione e che sarebbe come l’autore della tentazione. “Fais que nous n’entrions pas en (dans la) tentation” (fa che non entriamo in tentazione): questa traduzione cerca di scagionare Dio dall’essere l’autore della tentazione. “Ne nous fais pas entrer dans la tentation” (non farci entrare in tentazione): certo, “entrare in tentazione” non significa necessariamente soccombervi, ma significa entrare in quella situazione critica in cui Satana (il Male) comincia a raggiungerci e in cui noi rischiamo, a causa della nostra debolezza, di lasciarci vincere. Tuttavia rischia di designare ancora una certa responsabilità di Dio nella tentazione.
“Ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione); questa traduzione sarebbe la migliore anche perché si avvicinerebbe ad una fonte letteraria aramaica. In francese “lasciar fare” vuol dire “non impedire”. “Non lasciar fare” ha il senso positivo di “impedire”. Dio può permettere che noi entriamo nella tentazione e darci la forza di poterne “uscire”.
Dio non ci tenta, ma ci mette talvolta alla prova permettendo a Satana (il Male) di tentarci per purificarci. Con questa traduzione, noi supplichiamo Dio “Non permettere neppure che entriamo in tentazione”. Noi gli chiediamo di intervenire in nostro favore per allontanare dalla nostra strada un pericolo temuto, quello di rischiare di essere separati da Lui e dal suo Popolo.
La traduzione liturgica della Bibbia potrebbe quindi scegliere di proporre “E ne nous laisse pas entrer en tentation” sulla base di Matteo 26,41. Già la Bibbia di Segond del 1964 riprendeva l’espressione “Ne nous laisse pas entrer en tentation”, come farà la Bibbia di Gerusalemme del 2000. La sua introduzione nel Padre Nostro della messa e nell’uso corrente attende un accordo dei vescovi, di tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali francofone, perché è importante che i cristiani continuino a dire insieme la preghiera che il Signore ha insegnato.»
Debiti, giustizia, colpa le vere parole di Gesù
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 25 novembre 2011)
Chiedersi che cosa fosse Gesù di Nazareth non per noi ma per i suoi contemporanei: questo è ciò che distingue il libro di Mauro Pesce - Da Gesù al cristianesimo (Morcelliana) - dalla immensa foresta di libri su Gesù che cresce ogni giorno. E la via che l’autorevole storico del Cristianesimo dell’Università di Bologna ci propone è quella di una ricerca filologica e storica sui significati delle parole di Gesù in quei due primi secoli dell’era volgare in cui furono la fede di una setta ebraica: il che non può che risvegliare la curiosità di coloro che hanno incontrato quelle stesse parole trasformate in istituzioni e pratiche sociali nelle epoche successive delle società cristiane.
Vediamone almeno un esempio. Tutti sanno, o credono di sapere, che cosa significhi "rimettere un debito". Specialmente di questi tempi, in cui alle tante forme storiche, morali e materiali, giuridiche e religiose del debito si è aggiunta quella che va sotto il nome di "debito sovrano". Ma se oggi sono gli economisti a tenere il campo, non si può certo dimenticare che per millenni il loro posto è stato occupato da teologi, moralisti, predicatori, tutti impegnati a interpretare e tradurre nella vita quotidiana la frase del "Padre nostro" dove a Dio Padre si chiede di "rimettere a noi i nostri debiti, come anche noi abbiamo rimesso ai nostri debitori"(Matteo, 6,12). Da quella frase doveva dipartirsi il lunghissimo percorso che ha istituzionalizzato nelle società cristiane la divisione tra peccato morale e colpa giuridica e ha lungamente elaborato i significati del rito della confessione.
Ma che cosa voleva dire esattamente Gesù di Nazareth? Per rispondere, osserva Pesce, bisogna partire dal dato di fatto che Gesù era un ebreo e non un "cristiano" e dunque comunicava coi suoi ascoltatori nel contesto della lingua e della tradizione ebraica. Se vogliamo intendere il significato letterale delle sue parole bisogna dunque mettere tra parentesi tutto ciò che ne è nato da quando sono state tradotte dall’aramaico nel greco dei Vangeli e poi in tutte le lingue del mondo. Si pensi anche solo ai sacramenti del battesimo e della confessione, al loro potere di "rimettere" i peccati. Tutto questo non c’era ancora nell’orizzonte ebraico di Gesù. Qui il bisogno di cancellare o riparare le colpe aveva ricevuto la forma del giubileo.
Come lo descrive il capitolo 25 del Levitico, giubileo significava riconciliazione e ricomposizione dell’intera società, liberazione dai debiti, ritorno di ognuno nella propria famiglia e nei propri beni, sospensione delle preoccupazioni ordinarie - nutrirsi, vestirsi e così via. Lo si doveva annunciare nel "giorno dell’espiazione" perché la rigenerazione richiedeva un rito di perdono delle colpe involontarie e di risarcimento del male fatto. Come nota Pesce, il nesso tra espiazione e remissione è documentato nei manoscritti del Mar Morto: il che ci introduce nell’orizzonte mentale del giudaismo dei tempi di Gesù, quando col profeta Isaia conversione umana e perdono divino si erano da tempo legati all’idea di una restaurata giustizia e di una prospettiva di speranza escatologica.
La remissione generale del "Pater noster" si comprende dunque come passaggio di purificazione ed espiazione legato all’annunzio dell’imminente avvento del Regno di Dio: un Dio padre del suo popolo, simile a quei sovrani dell’Oriente antico che all’inizio del loro regno concedevano ai sudditi l’amnistia e sospendevano la legge ordinaria per restaurare una superiore giustizia.
La lupara e l’aspersorio: il caso Bregantini
di Critica liberale
Riceviamo e pubblichiamo *
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Linee di Orientamento della Fondazione Critica liberale (2007-11-10/N.8)
In un paese laico, o almeno normale, le nomine ecclesiastiche dovrebbero essere affare esclusivo delle chiese e dei loro membri. Dato che in Italia quasi tutta la classe politica ha elevato la Chiesa cattolica a maestra di vita, di morale e di etica pubblica, e dato che quella Chiesa pretende di fare ogni giorno la morale alla politica e ai privati cittadini anche non cattolici, è giusto che i suoi comportamenti etici e politici siano oggetto di pubblico dibattito.
La rimozione del vescovo di Locri è un messaggio politico devastante da parte del Vaticano. Il servilismo della politica e dei media era riuscito in pochi anni, grazie all’impegno di alcuni vescovi e sacerdoti cattolici, da Pappalardo a Bregantini, a far dimenticare decenni e decenni di pesantissime compromissioni e di intrecci con la mafia di esponenti della gerarchia ecclesiastica, a cominciare dai predecessori di Pappalardo sulla cattedra arcivescovile di Palermo. La rimozione da Locri di quello che era diventato un simbolo della lotta alla criminalità mafiosa calabrese costituisce ora, per il chiarissimo messaggio che esprime, un ritorno alle origini nel rapporto omertoso fra gerarchie cattoliche e criminalità mafiosa.
Il momento scelto in Calabria è il più significativo: quando il potere mostra di voler liquidare i magistrati che indagano sull’intreccio tra malaffare e politica, e rimuove i carabinieri che indagano, il potere ecclesiastico si affianca in questa indecente operazione. Il messaggio rivolto dal Vaticano ai fedeli cattolici è chiarissimo: meglio stare con i mafiosi e con la loro visione tradizionalistica della società e del potere che con la modernità europea. Il richiamo all’ordine e all’obbedienza politica, perfino tattica, nel referendum sulla inseminazione assistita, si estende e completa ora nel richiamo all’ordine contro il coinvolgimento dei cattolici nella lotta alla mafia assieme alla parte moderna, laica e secolarizzata della politica.
La Chiesa cattolica fa la sua scelta precisa: in Calabria sta con Mastella e non con De Magistris, sta con chi ritiene normale convivere con le mafie e non con i giovani di "Ammazzateci tutti". Rinuncia a nascondersi sotto la consueta ipocrisia buonista e getta la maschera. Mostrando un volto ripugnante.
Ernesto Rossi, di cui si è celebrato nei giorni scorsi il cinquantesimo anniversario della morte, descrisse, nel volume "Il manganello e l’aspersorio" i rapporti fra Chiesa cattolica e fascismo. Un suo volume sulla politica odierna della Chiesa romana lo intitolerebbe probabilmente "La lupara e l’aspersorio".
Critica liberale
* Il dialogo, Venerdì, 09 novembre 2007
Veramente non trovo nulla di così scandaloso se, per salvare i peccatori, delle anime consacrate sono invitate a offrirsi come vittime alla giustizia di Dio.
Per esempio, Il fine dell’ordine del Carmelo è onorare l’incarnazione e gli annientamenti del Salvatore. Unirsi cioè più strettamente al Verbo fatto carne e glorificare Dio attraverso l’imitazione della sua vita nascosta, sofferente e immolata. Pregare per i peccatori, offrirsi per loro alla giustizia divina e supplire, con i rigori di una vita austera e crocifissa, alla penitenza che essi non fanno.
Ciò che piace a Dio non è certamente il sacrificio dei Santi, del suo stesso Figlio, o di noi stessi, ma la fiducia che ognuno continua ad avere in Lui anche nel cuore delle proprie prove ! A Lui piace la loro obbedienza nel senso etimologico del termine ("ob-audire" significa "dare ascolto").
Il Signor Pierri, vivendo nel nostro Occidente, è diventato probabilmente allergico a questa idea di "sacrificio offerto a Dio".
Consiglierei al signor Biasi di leggere nuovamente attentamente la lettera il cui pieno senso deve essergli sfuggito; e magari di leggere altrettanto attentamente le opere di Renato Pierri. Capirà che cosa significa imitare Cristo, e che cosa significa "sacrificio". "Anime consacrate...vittime della giustizia di Dio...per salvare i peccatori...". Ma che dice, bestemmia?
Francesca Ribeiro
Attraverso la lettura di Pierri dovrei capire cosa significa imitare Cristo ? Capire cosa significa "sacrificio" ?
Ma qua stiamo veramente dando i numeri, cara Signora !!
Dio è amore, Signora Ribeiro, e in ogni amore c’è un’orgia di umiltà, come scriveva Chesterton. Umiltà che non ho mai intravisto negli scritti suoi o in quelli dell’ex-insegnante di religione cattolica.
A me pare invece che voi abbiate gli occhi spenti, come pensava Albert Camus nel romanzo La peste. Rivolgete il vostro sguardo al crocifisso e meravigliatevi finalmente che Dio si sia servito di ciò che è più rivoltante nel mondo, la tortura di un innocente, per rivelarci il segreto più intimo e sconvolgente del suo essere: la follia del suo amore ! Accogliete finalmente nel vostro cuore il messaggio autentico della croce, come hanno fatto i Santi che tanto criticate e diffamate, e non scandalizzatevi più delle loro e vostre sofferenze. Solo allora sarete sicuri di essere amati e non dubiterete più dell’amore di Dio.
biagio allevato
Gentile signor Biagio, mi scuso innanzi tutto con lei per il tono forse un po’ polemico. Penso che per un dialogo costruttivo occorra osservare poche regole elementari. Mi permetto di esporle. Qualora non fosse d’accordo, le sarei grata le modificasse, oppure ne suggerisse altre.
Prima regola: concisione; poche parole per esprimere un concetto; un po’ come faceva Gesù.
Seconda regola: faccio un ’affermazione? Devo sostenerla con uno o due argomenti validi.
Terza regola: non sono d’accordo su un’affermazione? Devo confutarla con uno o due argomenti validi.
E veniamo all’affermazione del Pierri. Sostiene che Dio non può fare il male: tentare l’uomo al male (lo sostengono anche i teologi e lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica!). Primo argomento a sostegno: Dio andrebbe contro la sua natura. Secondo argomento a sostegno: la norma morale secondo la quale un’azione è buona quando buono è il suo fine e buono il mezzo per raggiungerlo.
Lei dovrebbe confutare sia l’affermazione del Pierri, sia l’affermazione del Catechismo, con uno o due argomenti validi.
E veniamo alla sua affermazione: "Dio si è servito della tortura di un innocente...". Non fa un po’ di confusione? Pierri afferma che Dio non tenta al male l’uomo; non si serve del diavolo per torturare l’uomo (il lavoro sporco lo fa fare al demonio?). Non è stato Dio a torturare un innocente (sarebbe una bestemmia!); l’innocente è stato torturato dagli uomini; ma questi non sono stati collaboratori di Dio...San Francesco era persuaso che i demoni fossero "castaldi" del Signore. Infine: si ricordi che il sacrificio di Cristo è stato unico ed irripetibile, e quindi Dio non cerca altri "salvatori".