Papa, allarme secolarizzazione
"Nella Chiesa troppo edonismo"
"La ’morte di Dio’ annunciata da tanti intellettuali
cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo"
CITTA’ DEL VATICANO - La secolarizzazione non è più "soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa". Lo ha detto il Papa ricevendo in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura. Benedetto XVI ha sottolineato che essa "snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti", i quali "vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio".
Inoltre, si è lamentato ancora il Pontefice, "la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale". Nella cultura di oggi, ha osservato papa Ratzinger, "la ’morte di Dio’ annunciata nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo. In questo contesto culturale, c’è il rischio anche per i credenti di cadere dunque "in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo".
Per questo "si rivela quanto mai urgente reagire a simile deriva mediante il richiamo dei valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena". In questo senso, per Benedetto XVI, "la secolarizzazione non favorisce lo scopo ultimo della scienza che è al servizio dell’uomo".
Tra le cause dell’avanzata della secolarizzazione, il Papa teologo segnala "la globalizzazione, che per mezzo delle nuove tecnologie dell’informazione, ha avuto non di rado come esito anche la diffusione in tutte le culture di molte componenti materialistiche e individualistiche dell’Occidente".
"Quanto mai importante - conclude - si rivela perciò l’impegno del Pontificio Consiglio della Cultura per un dialogo fecondo tra scienza e fede", che deve continuare "nella distinzione delle caratteristiche specifiche della scienza e della fede: infatti, ognuna ha propri metodi, ambiti, oggetti di ricerca, finalità e limiti, e deve rispettare e riconoscere all’altra la sua legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi ed entrambe sono chiamate a servire l’uomo e l’umanità, favorendo lo sviluppo e la crescita integrale di ciascuno e di tutti".
* la Repubblica, 8 marzo 2008.
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UN PLATONE REDIVIVO PER IL FUHRER, IL PASTORE, E IL SUO POPOLO: HEIDEGGER A ’SIRACUSA’ ... Pubblicato, ’Logica e linguaggio’, il corso accademico del 1934 che segna il distacco del filosofo dal nazismo. Una recensione di Armando Torno
Pubblicato il corso accademico del 1934 in cui il filosofo eliminò i riferimenti alla politica
Heidegger, l’uscita di sicurezza
Le lezioni su logica e linguaggio che segnano il distacco dal nazismo
di Armando Torno (Corriere della Sera, 14.12.2008)
Il 21 aprile 1933 Martin Heidegger diventa rettore all’Università di Friburgo. Wilhelm von Möllendorf, noto socialdemocratico, appena eletto a quella responsabilità accademica, è costretto dal partito nazista a dimettersi.
La votazione che conferirà l’alta dignità al filosofo, ormai noto in tutto il mondo (Essere e tempo è del 1927), avrà una sola astensione: dei 93 professori, 13 furono esclusi perché ebrei; dei restanti parteciparono in 56. Heidegger sarà tesserato. Il fatto avviene il 3 maggio, ma con una retrodatazione di due giorni. In suo favore c’è una clausola: sarà esonerato dal partecipare alle attività di militanza del partito nazista.
Inizia così quell’impegno che durerà tutto il 1933 e una parte del 1934. Terrà, tra l’altro, il 30 giugno la conferenza L’università nel nuovo Reich, subito seguita da un incontro con Karl Jaspers. Il vecchio amico scriverà nella sua Autobiografia filosofica: «Non gli dissi che era sulla strada sbagliata. Non avevo più nessuna fiducia in lui, dopo questa trasformazione. Sentii me stesso minacciato di fronte a quella potenza, di cui ora Heidegger faceva parte».
Durante l’estate il neorettore entra in contatto con Carl Schmitt, allora giurista di riferimento del Terzo Reich; in ottobre si rivolge agli studenti esaltando il Führer, mentre l’atteggiamento verso le disposizioni razziali non è monolitico: aiuta il suo assistente Werner Brock, redige però un parere su un docente di Gottinga scrivendo che «ebbe relazioni assai vivaci con l’ebreo Fränkel». Infine, tra le molte cose di quell’anno, l’11 novembre a Lipsia, in occasione del «Proclama della Scienza tedesca per Adolf Hitler», Heidegger pone il suo pensiero al servizio del Führer.
Poi accade qualcosa. Tra i colleghi di Friburgo si fa largo un’opposizione prima strisciante e poi evidente; Ernst Krieck, che vorrebbe diventare l’ideologo di punta del nazismo, lo attacca con un articolo. Il suo rettorato dura dieci mesi; quindi, tra il maggio e il giugno del 1934, Heidegger si allontana dalla politica militante e il corso annunciato per il semestre estivo, Lo Stato e la scienza, decide di non tenerlo, anche se erano già stati fissati giorni e orari: martedì e giovedì, 17-18. Nel primo incontro, di fronte a un’aula gremita nella quale spiccavano le hitleriane camicie brune, egli dichiarò di aver mutato idea e che quelle lezioni le avrebbe dedicate a un nuovo argomento: Logica come problema dell’essenza del linguaggio.
Bene: ora quel corso, con il titolo Logica e linguaggio, vede la luce nella prima traduzione italiana, a cura di Ugo Ugazio (Christian Marinotti Edizioni, pp. 256, e 23). I riferimenti espliciti alla politica vengono abbandonati; Heidegger propone un percorso intensissimo che comincia con una serie di precisazioni su struttura, origine, significato e «necessario turbamento» della logica.
Il filosofo sembra quasi che voglia ripensare le sue idee, senza mai perdere di vista gli adorati greci; sovente offre prospettive di grande effetto e di notevole attualità, come quando si chiede che cosa sia la logica. Tra le risposte che scrive: «Non è mai una sterile polverosa disciplina scolastica»; o ancora: «Logica è per noi invece il nome dato ad un compito, al compito di preparare la prossima generazione perché sia di nuovo una generazione costruita sul sapere, tale cioè che sappia e voglia sapere, tale che sia davvero in condizione di sapere. Per questo compito non occorre la scienza».
Ma quanto abbiamo citato è un cenno di un discorso infinito. Il curatore dell’edizione tedesca, Günter Seubold, nella nota posta in calce al testo, ricorda lo straordinario interesse di queste lezioni giacché presentano in modo comprensibile una problematica attuale: le cattedre di logica sono tenute dai matematici che trattano dei loro problemi, cioè di cose scientifiche, e da filosofi di professione che in genere si limitano a corsi introduttivi per lo studio di base.
Per Heidegger la logica «è tutt’altro che indisciplinata chiacchiera proposta come visione del mondo, ma è sobrio lavoro congiunto allo stimolo genuino e al bisogno essenziale». Non a caso due capitoli di queste lezioni sono dedicati alle domande sull’essenza dell’uomo e sull’essenza della storia. Qua e là si leggono dei periodi su cui val la pena riflettere: «Sebbene un popolo faccia la sua storia, questa storia non è certo il prodotto del popolo; per parte sua, il popolo è fatto dalla storia»; e ancora: «Il linguaggio è mezzo capace di formare e conservare il mondo ». La logica diventa il bisturi che Heidegger utilizza in queste lezioni per entrare nel corpo del sapere e per eliminare i mali incontrati.
Il lettore segue il lavoro del filosofo attraverso dense riflessioni sul tempo oltre che sul linguaggio (quest’ultimo, scrive Ugazio nella sua preziosa nota all’edizione italiana, «è esso stesso il mondo in cui avviene la comunicazione»). Le pagine si chiudono trattando «la poesia come linguaggio originario».
L’editore Marinotti, che nel 2007 aveva pubblicato di Heidegger l’Avviamento alla filosofia, ha reso un notevole servizio ai chiarimenti in corso. Li ricorda lo stesso Günter Seubold, dopo aver sottolineato il ruolo di pietra miliare di queste lezioni del 1934, che segnano il passaggio dalla fase ontologica fondamentale a quella della storia dell’essere: «Sono importanti per una sufficiente comprensione della situazione di Heidegger all’Università subito dopo l’abbandono della carica di rettore. Molto di quello che è stato scritto troppo in fretta sull’impegno nazionalsocialista di Heidegger dovrà essere rivisto e sottoposto ad una nuova interpretazione in base a queste lezioni». Insomma, esse aiutano a capire cosa cambiava in lui e in quali scenari si collocherà il suo pensiero. Dopo un anno di nazismo militante.
In libreria
Gli interrogativi teologici e le polemiche di Farias
In Italia ci sono circa 300 titoli «di e su» Heidegger. Ricordiamo tra gli ultimi, edito da Marinotti, Jean Beaufret, In cammino con Heidegger (pp. 204, e 18). Giancarla Sola ha scritto per il melangolo Heidegger e la pedagogia (pp. 198, e 16).
Le implicazioni teologiche: curato da A. Molinaro, Heidegger e San Paolo, (Urbaniana University Press, pp. 160, e 14) e di Duilio Albarello La libertà e l’evento. Percorsi di teologia filosofica dopo Heidegger (Glossa, pp. 328, e 28).
Sossio Giametta dedica un ampio saggio ad Heidegger nel volume I pazzi di Dio (La città del sole, pp. 664, e 36), mentre di Bernhard Casper c’è l’importante Rosenzweig e Heidegger. Essere ed evento (Morcelliana, pp. 176, e 12,50). Victor Farias ne L’eredità di Heidegger (Medusa, pp. 230, 14,80) radicalizza la vecchia tesi: fra il nazismo e il filosofo ci fu molto di più di occasionali convergenze (Ar.To.).
Il Papa: la secolarizzazione minaccia anche la Chiesa
«La mentalità edonistica e consumistica favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale» Contro questi rischi è urgente «il richiamo dei valori alti dell’esistenza: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo l’esistenza terrena»
Pubblichiamo il discorso rivolto ieri mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, da Benedetto XVI ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della cultura. *
Signori cardinali, cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, gentili signore, illustri signori! Sono lieto di accogliervi, in occasione dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della cultura, congratulandomi per il lavoro che svolgete e, in particolare, per il tema scelto per questa sessione: « La Chiesa e la sfida della secolarizzazione ». È questa una questione fondamentale per il futuro dell’umanità e della Chiesa. La secolarizzazione, che spesso si muta in secolarismo abbandonando l’accezione positiva di secolarità, mette a dura prova la vita cristiana dei fedeli e dei pastori, e voi l’avete, durante i vostri lavori, interpretata e trasformata anche in una sfida provvidenziale così da proporre risposte convincenti ai quesiti e alle speranze dell’uomo, nostro contemporaneo.
Ringrazio l’arcivescovo monsignor Gianfranco Ravasi, da pochi mesi presidente del dicastero, per le cordiali parole con le quali si è fatto vostro interprete e ha illustrato la scansione dei vostri lavori. Sono grato anche a voi tutti per l’impegno profuso nel far sì che la Chiesa si ponga in dialogo con i movimenti culturali di questo nostro tempo, e sia così conosciuto sempre più capillarmente l’interesse che la Santa Sede nutre per il vasto e variegato mondo della cultura.
Oggi più che mai, infatti, la reciproca apertura tra le culture è un terreno privilegiato per il dialogo tra uomini e donne impegnati nella ricerca di un autentico umanesimo, aldilà delle divergenze che li separano. La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana.
Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale.
La «morte di Dio» annunciata, nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo. In questo contesto culturale, c’è il rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo. Si rivela quanto mai urgente reagire a simile deriva mediante il richiamo dei valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena. In questa prospettiva il mio predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, consapevole dei cambiamenti radicali e rapidi delle società, con insistenza richiamò l’urgenza di incontrare l’uomo sul terreno della cultura per trasmettergli il messaggio evangelico. Proprio per questo istituì il Pontificio Consiglio della cultura, per dare un nuovo impulso all’azione della P Chiesa nel fare incontrare il Vangelo con la pluralità delle culture nelle varie parti del mondo (cfr Lettera al card. Casaroli, in: AAS LXXIV, 6, pp. 683-688).
La sensibilità intellettuale e la carità pastorale del Papa Giovanni Paolo II lo spinsero a mettere in risalto il fatto che la rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche hanno permesso di rispondere a domande che prima erano parzialmente soddisfatte solo dalla religione. La conseguenza è stata che l’uomo contemporaneo ha spesso l’impressione di non aver più bisogno di nessuno per comprendere, spiegare e dominare l’universo; si sente il centro di tutto, la misura di tutto.
Più recentemente la globalizzazione, per mezzo delle nuove tecnologie dell’informazione, ha avuto non di rado come esito anche la diffusione in tutte le culture di molte componenti materialistiche e individualistiche dell’Occidente. Sempre più la formula « Etsi Deus non daretur diventa un modo di vivere che trae origine da una specie di ’superbia’ della ragione - realtà pur creata e amata da Dio - la quale si ritiene sufficiente a se stessa e si chiude alla contemplazione e alla ricerca di una Verità che la supera. La luce della ragione, esaltata, ma in realtà impoverita, dall’Illuminismo, si sostituisce radicalmente alla luce della fede, alla luce di Dio (cfr Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università di Roma ’La Sapienza’, 17 gennaio 2008).
Grandi, perciò, sono le sfide con le quali la missione delle Chiesa deve confrontarsi in questo ambito. Quanto mai importante si rivela perciò l’impegno del Pontificio Consiglio della Cultura per un dialogo fecondo tra scienza e fede. È un confronto tanto atteso dalla Chiesa, ma anche dalla comunità scientifica, e vi incoraggio a proseguirlo.
In esso la fede suppone la ragione e la perfeziona, e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali. In questo senso la secolarizzazione non favorisce lo scopo ultimo della scienza che è al servizio dell’uomo, « imago Dei ». Questo dialogo continui nella distinzione delle caratteristiche specifiche della scienza e della fede. Infatti, ognuna ha propri metodi, ambiti, oggetti di ricerca, finalità e limiti, e deve rispettare e riconoscere all’altra la sua legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi (cfr Gaudium et spes, 36); entrambe sono chiamate a servire l’uomo e l’umanità, favorendo lo sviluppo e la crescita integrale di ciascuno e di tutti.
E sorto soprattutto i pastori del gregge di Dio a una missione instancabile e generosa per affrontare, sul terreno del dialogo e dell’incontro con le culture, dell’annuncio del Vangelo e della testimonianza, il preoccupante fenomeno della secolarizzazione, che indebolisce la persona e la ostacola nel suo innato anelito verso la Verità tutta intera. Possano, così, i discepoli di Cristo, grazie al servizio reso in particolare dal vostro dicastero, continuare ad annunciare Cristo nel cuore delle culture, perché Egli è la luce che illumina la ragione, l’uomo e il mondo.
Siamo posti anche noi di fronte al monito rivolto all’angelo della Chiesa di Efeso: «Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza... Ho, però, da rimproverarti che hai abbandonato il tuo primo amore» ( Ap 2,2.4). Facciamo nostro il grido dello Spirito e della Chiesa: «Vieni!» ( Ap 22,17), e lasciamoci invadere il cuore dalla risposta del Signore: «Sì, verrò presto!» ( Ap 22,20). Egli è la nostra speranza, la luce per il nostro cammino, la forza per annunciare la salvezza con coraggio apostolico giungendo fino al cuore di tutte le culture. Dio vi assista nello svolgimento della vostra ardua ma esaltante missione!
Affidando a Maria, Madre della Chiesa e Stella della Nuova Evangelizzazione, il futuro del Pontificio Consiglio della Cultura e quello di tutti i suoi membri, vi imparto di tutto cuore la benedizione apostolica
Benedetto XVI
* Avvenire, 09.03.2008.
Il Papa: non ha futuro una società senza memoria
«Oggi la storiografia deve lottare per la propria esistenza in una realtà plasmata dal positivismo e dal materialismo»
Pubblichiamo il testo integrale del discorso pronunciato ieri da Benedetto XVI durante l’udienza ai membri del Pontificio Comitato di scienze storiche. *
Sono lieto di rivolgervi una speciale parola di saluto e di apprezzamento per il lavoro che svolgete in un campo di grande interesse per la vita della Chiesa. Mi congratulo col vostro presidente e con ciascuno di voi per il cammino fatto in questi anni.
Come voi ben sapete, fu Leone XIII che, di fronte a una storiografia orientata dallo spirito del suo tempo e ostile alla Chiesa, pronunciò la nota frase: «Non abbiamo paura della pubblicità dei documenti» e rese accessibile alla ricerca l’archivio della Santa Sede. Al contempo, creò quella commissione di cardinali per la promozione degli studi storici, che voi, professoresse e professori, potete considerare come antenata del Pontificio Comitato di scienze storiche, di cui siete membri. Leone XIII era convinto del fatto che lo studio e la descrizione della storia autentica della Chiesa non potessero che rivelarsi favorevoli ad essa.
Da allora il contesto culturale ha vissuto un profondo cambiamento. Non si tratta più solo di affrontare una storiografia ostile al cristianesimo e alla Chiesa. Oggi è la storiografia stessa ad attraversare una crisi più seria, dovendo lottare per la propria esistenza in una società plasmata dal positivismo e dal materialismo. Entrambe queste ideologie hanno condotto a uno sfrenato entusiasmo per il progresso che, animato da spettacolari scoperte e successi tecnici, malgrado le disastrose esperienze del secolo scorso, determina la concezione della vita di ampi settori della società. Il passato appare, così, solo come uno sfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono con ammiccanti promesse. A ciò è legata ancora l’utopia di un paradiso sulla terra, a dispetto del fatto che tale utopia si sia dimostrata fallace.
Tipico di questa mentalità è il disinteresse per la storia, che si traduce nell’emarginazione delle scienze storiche. Dove sono attive queste forze ideologiche, la ricerca storica e l’insegnamento della storia all’università e nelle scuole di ogni livello e grado vengono trascurati. Ciò produce una società che, dimentica del proprio passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l’esperienza, non è più in grado di progettare un’armonica convivenza e un comune impegno nella realizzazione di obiettivi futuri. Tale società si presenta particolarmente vulnerabile alla manipolazione ideologica.
Il pericolo cresce in misura sempre maggiore a causa dell’eccessiva enfasi data alla storia contemporanea, soprattutto quando le ricerche in questo settore sono condizionate da una metodologia ispirata al positivismo e alla sociologia. Vengono ignorati, altresì, importanti ambiti della realtà storica, perfino intere epoche. Ad esempio, in molti piani di studio l’insegnamento della storia inizia solamente a partire dagli eventi della Rivoluzione Francese. Prodotto inevitabile di tale sviluppo è una società ignara del proprio passato e quindi priva di memoria storica. Non è chi non veda la gravità di una simile conseguenza: come la perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità, in modo analogo questo fenomeno si verifica per la società nel suo complesso.
È evidente come tale oblío storico comporti un pericolo per l’integrità della natura umana in tutte le sue dimensioni. La Chiesa, chiamata da Dio Creatore ad adempiere al dovere di difendere l’uomo e la sua umanità, ha a cuore una cultura storica autentica, un effettivo progresso delle scienze storiche. La ricerca storica ad alto livello rientra infatti anche in senso più stretto nello specifico interesse della Chiesa. Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica, l’analisi storica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso.
Se ora prendiamo in considerazione la storia ecclesiastica dal punto di vista teologico, rileviamo un altro aspetto importante. Suo compito essenziale si rivela infatti la complessa missione di indagare e chiarire quel processo di ricezione e di trasmissione, di paralépsis e di paràdosis, attraverso il quale si è sostanziata, nel corso dei secoli, la ragione d’essere della Chiesa. È indubbio infatti che la Chiesa possa trarre ispirazione nelle sue scelte attingendo al suo plurisecolare tesoro di esperienze e di memorie.
Desidero dunque, illustri membri del Pontificio Comitato di scienze storiche, incoraggiarvi di tutto cuore a impegnarvi come avete finora fatto al servizio della Santa Sede per il raggiungimento di questi obiettivi, mantenendo il vostro diuturno e meritorio impegno nella ricerca e nell’insegnamento. Mi auguro che, in sinergia con l’attività di altri, seri e autorevoli colleghi, possiate riuscire a perseguire con efficacia i pur ardui obiettivi che vi siete proposti e a operare per una sempre più autentica scienza storica.
Con questi sentimenti ed assicurando un ricordo per voi e per il vostro delicato impegno nella mia preghiera, a tutti imparto una speciale benedizione apostolica.
* Avvenire, 08.03.2008