Per lo studioso tedesco "gli ultimi eventi sono il segno della continua marcia indietro e dell’irrigidimento del Vaticano"
L’attacco del "teologo ribelle" Küng
’Nella Chiesa c’è una restaurazione’
"Il Papa vive nel suo mondo, si è allontanato dagli uomini"
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI *
BERLINO - "Voglio aspettare a prendere una posizione su questa polemica, perché in gioco ci sono problemi di fondo. Voglio prepararmi a dire la mia sugli aspetti cruciali del processo in corso. Perché la questione di questi quattro vescovi è solo da vedere nel contesto generale di una restaurazione". Così il famoso "teologo ribelle" tedesco il professor Hans Küng commenta al telefono con La Repubblica e altri media internazionali la situazione nella Chiesa cattolica dopo il ritiro della scomunica del vescovo negazionista Williamson e degli altri tre presuli della Confraternita ultraconservatrice fondata da Monsignor Lefebvre. Nella Chiesa cattolica tedesca prevalgono pareri fortemente contrari, la teologa Uta Ranke-Heinemann parla di "responsabilità vergognose".
Professor Küng, quanto è importante la revoca della scomunica contro i quattro vescovi?
"I significati fondamentali li ha il processo generale in corso. La questione della revoca della scomunica ai quattro vescovi sopra citati secondo me, da sola, di per sé non è davvero importante, ma ha un significato e va vista e inquadrata in un contesto generale di restaurazione".
Che significato hanno questo contesto generale e gli ultimi eventi?
"Nel contesto generale gli ultimi eventi sono un segno del continuo irrigidimento del Vaticano, la continua marcia indietro, il continuo susseguirsi di un passo indietro dopo l’altro. Voglio pensare e prendere posizione sugli eventi in questo contesto, sto riflettendo ancora su come farlo".
Quanto è preoccupante e serio questo processo?
"È molto preoccupante. Ma voglio aspettare ancora qualche giorno, farò attendere ancora un po’ la mia voce".
Eppure per il caso Williamson fedeli e opinioni pubbliche sono sotto shock, che ne dice?
"Williamson è solo un aspetto del contesto generale. Non l’unico. Per quanto l’antisemitismo sia ributtante e da respingere, l’insieme dello sviluppo in corso è molto più carico di serie conseguenze. Stiamo parlando di persone che non hanno ancora sottoscritto la dichiarazione sulla libertà di religione e il decreto sugli ebrei (i documenti conciliari, ndr)".
Cioè il problema non è solo la polemica cristiani-ebrei bensì le idee di fondo della Chiesa sul suo posto nel mondo moderno?
"Sì. La questione è l’insieme del corso che Papa Ratzinger ha fatto imboccare alla Chiesa. Purtroppo un percorso significativamente all’indietro".
Anche rispetto a Papa Wojtyla?
"Sì. Certo, Papa Wojtyla ha saputo evitare alcuni errori, e sapeva meglio parlare alla gente. E fu lui a scomunicare i vescovi di Lefebvre. Ecco un altro esempio di passo indietro oggi. In generale, la volontà di riconciliazione con i membri della confraternita è da valutare positivamente. Ma insisto resta del tutto non chiaro se questi vescovi riconoscano il Concilio Vaticano II o se rispettino il decreto sulla libertà religiosa".
Il Papa vive davvero nel mondo moderno, capisce i fedeli?
"Il Pontefice vive nel suo mondo, si è allontanato dagli uomini, e oltre a grandi processioni e pompose cerimonie, non vede più i problemi dei fedeli - risponde Küng alla tv svizzera - Per esempio la morale sessuale, la cura pastorale delle anime, la contraccezione. La Chiesa è in crisi, io spero che egli lo riconosca. Sarei felice di passi di riconciliazione specie verso gli ambienti dei fedeli progressisti. Ma Benedetto non vede che sta alienando se stesso dalla gran parte della Chiesa cattolica e della cristianità. Non vede il mondo reale, vede solo il mondo vaticano".
* la Repubblica, 27 gennaio 2009
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
FLS
Teologia.
Addio ad Hans Küng, voce critica del Papato e protagonista del Novecento
Figura difficile ma centrale nella Chiesa nata dal Vaticano II. Le sue posizioni sono discutibili e sono noti i suoi scontri con l’amico Ratzinger ma non si può negarne la sincera ricerca della verità
di Riccardo Maccioni (Avvenire, martedì 6 aprile 2021)
Forse il modo più giusto per parlare di Hans Küng, il teologo svizzero scomparso oggi a 93 anni è quello di non considerarlo soltanto uno studioso “contro”. Perché le sue posizioni teologiche e morali, spesso assai discusse, quasi sempre critiche verso la dottrina ufficiale della Chiesa erano certamente mosse da una ricerca sincera della verità. E fu quella la ragione che permise il famoso incontro del 26 settembre 2005 con Benedetto XVI e la lettera che il Papa emerito gli inviò in occasione del 88° compleanno e che si apriva con l’espressione “caro confratello”. I due si conoscevano personalmente dal 1957, e Ratzinger pubblicò una recensione alla tesi di dottorato di Küng. Secondo quanto scrive lo stesso Benedetto XVI nel libro autobiografico La mia vita, il futuro Pontefice non ne condivideva molte delle affermazioni ma nonostante ciò ebbe con lui un buon rapporto.
Circa le relazioni ufficiali la situazione invece era molto differente. Küng era infatti notoriamente il contestatore del dogma sull’infallibilità del Papa. Una posizione resa nota presso il grande pubblico nel 1970 quando uscì il saggio “Infallibile? Una domanda”, testo provocatorio sin dal titolo e il cui contenuto gli valse un richiamo formale della Congregazione per la dottrina della fede e nel 1979 il ritiro del titolo di «teologo cattolico», necessario in Germania per insegnare nelle facoltà di teologia delle università pubbliche.
Küng era nato a Sursee, villaggio nel cantone di Lucerna, il 19 marzo 1928. Ordinato sacerdote nel 1954, nel 1960 a 32 anni divenne professore ordinario presso la Facoltà di Teologia cattolica all’Università di Tubinga in Germania, dove fonderà anche l’Istituto per la ricerca ecumenica. Tra il 1962 e il 1965 partecipò al Concilio Vaticano II in qualità di esperto conoscendo anche Ratzinger presente come teologo consigliere dell’arcivescovo di Colonia. Tornato a Tubinga, invitò l’università ad assumere Ratzinger come professore di teologia dogmatica. Dopo la revoca della possibilità di insegnare la teologia cattolica, la cosiddetta “missio canonica”, conservò tuttavia la cattedra presso il suo Istituto (che viene però separato dalla facoltà cattolica).
Nel corso degli anni pur sempre su posizioni critiche verso il Papato e la gerarchia ecclesiastica ha continuato ad animare e influenzare la discussione teologica, in particolare nell’ottica del dialogo tra le religioni. Sono note le sue posizioni di apertura all’ammissione delle donne a ogni ministero, a una maggiore partecipazione dei laici alla vita religiosa mentre sulla bioetica sosteneva che in caso di utilizzo di "mezzi straordinari" per il mantenimento della vita, la loro sospensione non poteva essere considerata eutanasia. Nel 1993 ha creato la Fondazione Weltethos (Etica mondiale), per rinforzare la cooperazione tra le religioni mediante il riconoscimento dei valori comuni e a disegnare un codice di regole di comportamento universalmente condivise.
Posizioni di frontiera molto dure verso il Papato come si capisce, che però non impedirono un dialogo pacato e amichevole con Ratzinger nel succitato settembre 2005. Un colloquio - riassunse una nota quel giorno - in cui Benedetto XVI «ha riaffermato il suo accordo circa il tentativo del professor Küng di ravvivare il dialogo tra fede e scienze naturali e di far valere, nei confronti del pensiero scientifico, la ragionevolezza e la necessità della Gottesfrage (la questione circa Dio)». Da parte sua, proseguì la nota il professor Küng ha espresso «il suo plauso circa gli sforzi del Papa a favore del dialogo delle religioni e anche circa l’incontro con i differenti gruppi sociali del mondo moderno».
La primavera della chiesa
di Hans Küng (la Repubblica, 2 marzo 2013)
La primavera araba ha scosso dalle fondamenta una serie di regimi autocratici. Le dimissioni di papa Benedetto XVI apriranno la strada a qualcosa di simile nella Chiesa cattolica: una Primavera Vaticana? Ovviamente il sistema della Chiesa cattolica più che alla Tunisia o all’Egitto assomiglia a una monarchia assoluta come l’Arabia Saudita. In tutt’e due i casi non è stata fatta nessuna riforma autentica, solo concessioni minori. In tutt’e due i casi l’assenza di riforme viene giustificata con il rispetto della tradizione: in Arabia Saudita la tradizione risale solo a due secoli fa, per il papato è vecchia di duemila anni.
Ma è autentica, questa tradizione? In realtà per un millennio la Chiesa andò avanti senza un papato assolutista come quello che conosciamo oggi. Fu solo nell’XI secolo che una «rivoluzione dall’alto», la Riforma gregoriana avviata da papa Gregorio VII, introdusse i tre aspetti perduranti del sistema cattolico: un papato centralista e assolutista, un clericalismo forzato e l’obbligo del celibato per i preti e altri membri laici del clero.
Gli sforzi dei concili riformatori del XV secolo, la Riforma protestante del XVI secolo, l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese nel XVII e XVIII secolo e il liberalismo del XIX secolo ebbero un successo solo parziale. Perfino il Concilio Vaticano II, dal 1962 al 1965, fu frenato dal potere della Curia. Ancora oggi la Curia, che nella sua forma attuale sembra un prodotto dell’XI secolo, è l’ostacolo principale a qualsiasi tentativo di riforma generale della Chiesa cattolica, a qualsiasi intesa ecumenica sincera con le altre Chiese cristiane e le altre religioni mondiali, e a qualsiasi atteggiamento critico costruttivo nei confronti del mondo moderno.
Nel 2005, in una delle sue poche iniziative audaci, papa Benedetto ebbe per quattro ore un’amichevole conversazione con il sottoscritto, nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo. Ero stato suo collega all’Università di Tubinga, e anche il suo critico più severo. Per 22 anni, a causa della revoca della mia autorizzazione all’insegnamento ecclesiastico per aver criticato l’infallibilità papale, non avevamo avuto il minimo contatto. Prima dell’incontro, avevamo deciso di mettere da parte le nostre divergenze e di discutere di argomenti su cui potevamo trovare un’intesa: il rapporto positivo fra la fede cristiana e la scienza, il dialogo fra religioni e civiltà e il consenso etico fra fedi e ideologie diverse.
Per me, e per l’intero mondo cattolico, quell’incontro fu un segnale di speranza. Purtroppo, però, il pontificato di Benedetto XVI è stato caratterizzato da disastri e decisioni sbagliate. Papa Ratzinger ha fatto irritare le Chiese protestanti, gli ebrei, i musulmani, gli indios latinoamericani, le donne, i teologi riformisti e tutti i cattolici progressisti.
I grandi scandali intervenuti durante il suo pontificato sono ben noti: il riconoscimento della Società di San Pio X, l’organizzazione dell’arcivescovo ultraconservatore Marcel Lefebvre, ferocemente contrario al Concilio Vaticano II, e del vescovo negazionista Richard Williamson. Poi ci sono stati i tanti abusi sessuali a danni di bambini e ragazzi perpetrati da membri del clero, di cui il Papa porta gravi responsabilità per averli insabbiati quando era cardinale. E poi c’è stato l’affaire Vatileaks che sembra sia una delle ragioni che hanno maggiormente contribuito a spingere Benedetto XVI alle dimissioni.
Il primo caso di dimissioni papali in quasi settecento anni mette a nudo la crisi di fondo che incombe da tempo su una Chiesa fossilizzata. E ora il mondo intero si chiede: il prossimo Papa potrebbe riuscire, nonostante tutto, a inaugurare una nuova primavera per la Chiesa cattolica? Le disperate necessità della Chiesa non possono essere ignorate. C’è una catastrofica carenza di preti, in Europa, in America Latina e in Africa. Tantissime persone hanno lasciato la Chiesa o hanno effettuato un’«emigrazione interna», specialmente nei Paesi industrializzati. Dietro la facciata, il palazzo si sta sgretolando.
In questa drammatica situazione la Chiesa ha bisogno di un Papa che non viva intellettualmente nel Medioevo, che non si faccia portabandiera di teologie, liturgie o costituzioni della Chiesa che risalgono a quell’epoca. Ha bisogno di un Papa aperto alle problematiche poste dalla Riforma, dalla modernità. Un Papa che sostenga la libertà della Chiesa nel mondo non solo impartendo sermoni, ma combattendo con le parole e con i fatti per la libertà e i diritti umani all’interno della Chiesa, per i teologi, per le donne, per tutti i cattolici che vogliono esprimere la verità apertamente.
Un Papa che non costringa più i vescovi a sottomettersi a una linea reazionaria, che metta in pratica una democrazia vera nella Chiesa, modellata su quella del cristianesimo degli albori. Un Papa che non si lasci influenzare da un «Papa-ombra» stanziato in Vaticano, quale sarà Benedetto XVI con i suoi fedeli seguaci.
Il Paese di origine del nuovo Papa non ha molta importanza. Sfortunatamente, dai tempi di Giovanni Paolo II è in uso un questionario per costringere tutti i vescovi a seguire la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica sulle questioni controverse, una procedura suggellata da un voto di obbedienza incondizionata al Papa. Per questo finora non c’è stato nessun dissenso pubblico fra i vescovi.
Eppure la gerarchia cattolica è a conoscenza della distanza che la separa dalla gente comune su questioni importanti. In un recente sondaggio, in Germania, è venuto fuori che l’85 per cento dei cattolici è favorevole a eliminare il celibato dei preti, il 79 per cento è favorevole a consentire che le persone divorziate possano risposarsi in Chiesa e il 75 per cento è favorevole al sacerdozio femminile. In molti altri Paesi probabilmente le percentuali sono simili.
Queste problematiche devono essere discusse pubblicamente, prima e durante il conclave, senza imbavagliare i cardinali come successe nel 2005, per tenerli in riga. Io, che sono l’ultimo teologo ancora in attività (oltre a Benedetto XVI) ad aver preso parte al Concilio Vaticano II, mi chiedo se non ci sarà all’inizio del conclave, come ci fu all’inizio del Concilio, un gruppo di cardinali coraggiosi disposto ad affrontare a viso aperto la fazione intransigente della Chiesa, e pretendere un candidato che sia disposto ad avventurarsi lungo strade nuove, magari con un nuovo Concilio riformatore o, meglio ancora, con un’assemblea rappresentativa di vescovi, preti e gente comune?
Se il prossimo conclave dovesse eleggere un Papa che andrà avanti per la stessa vecchia strada, la Chiesa non conoscerà mai una nuova primavera: al contrario, precipiterà in una nuova era glaciale e correrà il pericolo di ridursi a una setta sempre più irrilevante.
(Hans Küng è professore emerito di teologia ecumenica presso l’Università di Tubinga e autore del libro di prossima pubblicazione dal titolo «La Chiesa può ancora essere salvata?»)
Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi (Adista)
Sono arrivate a quasi 2mila le adesioni ad un documento di teologi cattolici di tutto il mondo, lanciato nell’ottobre scorso in occasione dei 50 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, che traccia l’identikit del futuro papa e le priorità del prossimo pontificato.
Da Hans Küng a Leonardo Boff, da Paul Knitter a mons. Calsaldáliga, da Peter Phan a Paul Collins, tutti i più grandi nomi della teologia cattolica compaiono in calce a un documento che torna prepotentemente di attualità in questi giorni precedenti al conclave. Di seguito il testo integrale.
Molti insegnamenti del Vaticano II non sono stati affatto, o solo parzialmente, tradotti in pratica. Questo è dovuto alla resistenza di certi ambienti, ma anche, in una certa misura, alla irrisolta ambiguità di alcuni documenti del Concilio. Una delle principali cause della stagnazione odierna dipende dal fraintendimento e abuso nell’esercizio dell’autorità nella nostra Chiesa. In concreto le seguenti tematiche richiedono una urgente riformulazione:
Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio.
I vescovi sono vicari di Cristo e non vicari del papa. Essi hanno la diretta responsabilità del popolo delle loro diocesi, e una condivisa responsabilità con gli altri vescovi e con il papa, nell’ambito dell’universale comunità di fede. Il sinodo centrale dei vescovi dovrebbe assumere un più decisivo ruolo nel pianificare e guidare il mantenimento e la crescita di fede nel nostro mondo così complesso.
Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto. I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare.
L’abuso di coprire posti di guida nella chiesa con soli candidati di una determinata mentalità è una scelta che dovrebbe essere sradicata. Al suo posto dovrebbero essere formulate e monitorate nuove norme che assicurino che le elezioni a queste cariche siano condotte in modo corretto, trasparente e il più possibile democratico.
La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II. La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi. La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti indipendentemente, per la loro competenza professionale.
Questi non sono tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future. Sottolineiamo, però, che le riforme, sintetizzate qui sopra, sono urgenti e la loro attuazione dovrebbe partire immediatamente.
L’esercizio dell’autorità nella nostra chiesa dovrebbe emulare gli standards di apertura, responsabilità e democrazia raggiunti nella società moderna. La leadership dovrebbe essere corretta e credibile; ispirata dall’umiltà e dal servizio; con una trasparente sollecitudine per il popolo invece di preoccuparsi delle regole e della disciplina; irradiare Cristo che ci rende liberi; prestare ascolto allo Spirito di Cristo che parla e agisce attraverso tutti e ciascuno.
Decisione quasi rivoluzionaria
intervista ad Hans Küng a cura di Walter Rauhe
in “Il Messaggero” del 12 febbraio 2013
Il telefono di Hans Küng ha squillato ieri quasi ininterrottamente. Poco dopo le 11 e 46, quando l’Ansa ha diramato il suo primo comunicato sulle dimissioni di Benedetto XVI, redazioni da tutto il mondo hanno tempestato di chiamate il più noto tra i teologi ribelli ed esponenti del dissenso all’interno del cattolicesimo e che da oltre quarant’anni è al centro di un’aspra controversia teologica con Josef Ratzinger. Per l’oggi ottantaquattrenne Küng le clamorose dimissioni di Benedetto XVI potrebbero anche rappresentare un piccolo trionfo. Ex collega di Ratzinger alla facoltà di teologia cattolica di Tubinga, Küng è stato sospeso nel 1979 proprio dalla Congregazione per la dottrina della fede di Ratzinger che gli revocò la «missio canonica», ovvero l’autorizzazione per l’insegnamento della teologia cattolica. E questo per via delle sue forti critiche alle rigide gerarchie del Vaticano, all’autorità del Papa, la sua messa in discussione dell’infallibilità pontificia e la sua lotta a favore dell’ammissione delle donne e dei laici ad ogni ministero.
«Ho già detto tutto all’agenzia di stampa tedesca Dpa», ci risponde in tono quasi seccato, quando - dopo infiniti tentativi - riusciamo finalmente a raggiungerlo telefonicamente. Ma dopo qualche istante di esitazione, il teologo di origine svizzera, aggiunge spontaneamente alcune considerazioni.
«No, non provo un senso di trionfo o addirittura di soddisfazione tardiva. Perché dovrei? Al contrario. La decisione di Benedetto XVI merita grande rispetto, è legittima, comprensibile e anche coraggiosa. Non mi sarei mai aspettato che questo Papa riuscisse un giorno a sorprendermi in maniera positiva».
In che senso?
«Anche Gesù Cristo non è sceso dalla croce - ha detto a suo tempo Giovanni Paolo II, spiegando le ragioni della sua permanenza alla guida della Chiesa cattolica anche dopo che la sua malattia gli limitava ormai in modo visibile le sue attività rubandogli perfino la voce. Benedetto XVI invece ha preso un’altra decisione, quasi rivoluzionaria e secolare. Quasi come se fosse un semplice Presidente della repubblica o un rappresentante del mondo politico. La rinuncia al suo incarico e il passaggio di consegne ad un nuovo pontefice. E questo per il bene stesso della Chiesa. Incredibile! Non me lo sarei mai aspettato da lui».
Il severo Professore di teologia e il rappresentante del cattolicesimo più ortodosso e dogmatico tanto criticato da Lei, ha dunque introdotto con le sue dimissioni una modernizzazione e un’apertura della Chiesa?
«Ancora è presto per dirlo e non so fino a che punto il Pontefice è consapevole degli effetti e delle conseguenze della sua scelta. Ora bisogna sperare che Joseph Ratzinger non eserciti troppa influenza sulla scelta del suo successore».
Una scelta che deciderà la linea futura della Chiesa cattolica. Pensa che il prossimo Pontefice aprirà la strada verso le riforme e la modernizzazione della Chiesa da Lei tanto desiderate?
«Su questo resterei scettico. Durante il suo Pontificato Ratzinger ha nominato molti cardinali conservatori e ortodossi, fedelissimi seguaci delle sue dottrine. Sarà quindi difficile trovare proprio tra di loro la persona giusta che sia in grado di far uscire la Chiesa cattolica dalla sua complessa e profonda crisi che sta vivendo da ormai molti anni e che non è stata provocata e inasprita solo da Benedetto XVI ma anche dal suo predecessore».
Ma nelle parole ponderate e prudenti del teologo dissidente di Tubinga traspare ugualmente un cauto ottimismo e quasi una disponibilità alla riconciliazione con il suo storico avversario. Del resto fu lo stesso Ratzinger a cercare il dialogo con il teologo «eretico» di Tubinga. Nel settembre del 2005 Benedetto XVI accolse a Castel Gandolfo Hans Küng per discutere con lui ben quattro ore le posizioni diametralmente opposte in questioni teologiche. Un colloquio svoltosi in un clima «amichevole e di reciproco rispetto» come recitò allora il comunicato ufficiale diramato dalla Santa Sede. Il tentativo di riconciliazione tra i due durò però poco. Le polemiche attorno alla reintegrazione nella Chiesa ufficiale degli ultraortodossi e negazionisti lefevriani e lo scandalo attorno agli abusi sessuali avvenuti all’interno di numerosi istituti religiosi in Germania, riaprirono i vecchi dissensi, tanto che ancora nel 2010 Hans Küng definì il Pontificato di Benedetto XVI come un fallimento completo.
Hans Küng
Il teologo cattolico invita alla rivoluzione per mettere fine all’autoritarismo della chiesa *
Hans Küng invita al movimento dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali
Hans Küng: fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica
Uno dei più autorevoli teologi cattolici ha invitato alla rivoluzione dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali.
Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica, che definisce corrotta, senza credibilità e lontana dai veri problemi del popolo.
In una intervista esclusiva al The Guardian, Küng, che è stato a stretto contatto con il papa quando collaboravan da giovani teologi, ha descritto la chiesa come un "sistema autoritario" paragonandlo alla dittatura tedesca durante il nazismo. "L’obbedienza incondizionata richiesta ai vescovi che giurano fedeltà al papa mediante la sacra promessa è tanto estrema quanto quella dei generali tedesci che erano obbligati a giurare fedeltà a Hitler", ha infatti affermato.
Il Vaticano ha inteso schiacciare qualsiasi forma di dissenso, ha aggiunto. "Le regole per la scelta dei vescovi sono talmente rigide che, non appena qualcuno accenna alla pillola contraccettiva, all’ordinazione delle donne, viene depennato". Il risultato è una schiera di "Yes men", quasi tutti allineati senza porre questioni. "La sola strada per la riforma è partire dal basso", dice il prete ottantaquattrenne Küng. "I preti e gli altri chierici che occupano funzioni di responsabilità devono smetterla di essere servili, di organizzarsi per affermare che certi argomenti semplicemente non si toccano".
Küng, autore di circa 30 libri su teologia cattolica, cristianesimo, etica, che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, ha dichiarato che l’ispirazione per un cambiamento globale può arrivare dalla sua nativa Svizzera o dall’Austria, dove centinaia di preti cattolici hanno dato vita a movimenti che si oppongono apertamente alle attuali pratiche del Vaticano. I dissenzienti sono definiti pionieri anche da osservatori vaticani che li vedono come i probabili portatori di un profondo scisma nella chiesa. "Ho sempre detto che se nella diocesi un prete si desta, non conta nulla. Cinque creano agitazione. Cinquanta già sono praticamente invincibili. In Austria la cifra supera le 300 unità, fino anche a 400; in Svizzera ci sono 150 preti dissenzienti, e il numero è destinato a salire".
Ha dichiarato che i recenti tentativi dell’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, di stroncare la rivolta minacciando di punire quelli coinvolti nella iniziativa austriaca sono falliti per via della forza delle loro motivazioni. "Si è immediatamente fermato quando ha capito che molta gente comune li sostiene e sarebbe stato pericoloso inimicarsela", ha aggiunto Küng . Le iniziative mirano a sostenere richieste apparentemente banali come lasciare che i divorziati risposati ricevano la comunione, permettere ai laici di presiedere le liturgie e alle donne di acquisire ruoli chiave nella gerarchia. Tuttavia, poiché essi si oppongono all’insegnamento cattolico tradizionale, le richieste sono state categoricamente respinte dal Vaticano Küng, al quale è stato negato l’insegnamento della teologia cattolica da Giovanni Paolo II nel 1979 per aver messo in dubbio il concetto di infallibilità papale, è stato colui che ha riconosciuto all’allora Joseph Ratzinger il primo step nella gerarchia del cattolicesimo accademico quando lo ha chiamato all’Università di Tubinga, nel nord-ovest della Germania, ad insegnare teologia dogmatica nel 1966.
Per quattro anni i due hanno lavorato a stretto contatto, in qualità di giovani consiglieri, negli anni ’60 durante il Concilio Vaticano II - l’evento riformatore più importante nella chiesa a partire dal Medioevo. Ma il rapporto tra i due non è mai andato oltre, anche a causa delle divergenze politiche che creavano un divario incolmabile tra loro. L’impetuoso e passionale Hans Küng, per molti versi, ha spesso rubato la scena al serio e posato Joseph Ratzinger.
Küng fa riferimento alle leggende che abbondano sul conto suo e di Ratzinger fin dai giorni di Tubinga, non ultimi i racconti apocrifi di quando avrebbe dato un passaggio sulla sua "macchina rossa sportiva" ad un Ratzinger lasciato a piedi dalla bici. "Gli davo sempre un passaggio, specie su per le ripide colline di Tubinga, ma il resto è stato creato. Non ho mai avuto auto sportive, a parte un’Alfa Giulia. Lo stesso Ratzinger ha ammesso di non essere interessato alla tecnologia né tanto meno aveva conseguito una patente di guida. Ma tutto questo è stato spesso tramutato in una specie di metafora idealizzando il "ciclista" contro lo scapestrato "Alfista".
Stando a Küng, infatti, ll’immagine del futuro papa, modesto e prudente ciclista, ora 85enne, ha dominato per anni e ancora oggi è tutt’altro che scemata fin dall’elezione del 2005. "Ha sviluppato una speciale pomposità che non si addice all’uomo che sia io che altri avevamo conosciuto, quello che girava col baschetto in testa ed era pieno di modestia. Ora lo vediamo spesso ricoperto di vesti dorate e splendenti. Di sua sponte indossa la corona di un papa del XIX secolo e si è fatto rifare le vesti del papa Leone X Medici"."
Questa pomposità si manifesta al meglio durante le udienze periodiche in Piazza S. Pietro a Roma. "Queste adunanze hanno dimensioni stile corazzata Potemkin. Gente fanatica si reca in piazza per celebrare il papa e per dirgli quanto è fantastico, mentre le loro stesse parrocchie versano in condizioni preoccupanti, con mancanza di preti, sempre più persone che si allontano rispetto a quante ne vengono battezzate e ora il cosiddetto Vatileaks, che evidenzia in che stato si trovi l’amministrazione del Vaticano", ha detto Küng con riferimento allo scandalo sui documenti segreti trapelati, che hanno rivelato lotte di potere interne al Vaticano e hanno visto l’ex maggiordomo del papa comparire in tribunale. Il processo terminerà sabato.
E’ stato proprio a Tubinga che le strade dei due teologi si sono incrociate per alcuni anni prima di divergere enormemente a seguito delle rivolte studentesche del 1968. Ratzinger rimase scioccato dagli ieventi e fuggì verso la relativa sicurezza della nativa Baviera, dove ha approfondito il suo coinvolgimento nella gerarchia cattolica. Küng restò a Tubinga e assunse sempre più il ruolo dell’"enfant terrible" della Chiesa Cattolica. "Le rivolte studentesche furono un vero e proprio shock per Ratzinger dne divenne sempre più conservatore e simpatizzante della gerarchia ecclesiastica", sostiene Küng.
Dopo aver definito quello di Benedetto XVI un "pontificato di opportunità mancate" in cui ha perso l’occasione di riconciliazione con le fedi protestante, ebraica, ortodossa e musulmana, così come ha mancato di sostenere la lotta all’Aids in Africa non concedendo l’utilizzo dei sistemi di controllo delle nascite, Küng sostiene che lo "scandalo più grave" sia la copertura a livello mondiale dei casi di abusi sessuali commessi dai chierici durante il suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger.
"Il Vaticano non è diverso dal Cremlino. Come Putin in qualità di agente segreto è diventato il capo della Russia, così Ratzinger, in qualità di capo dei servizi segreti della Chiesa è diventato capo del Vaticano. Non ha mai chiesto perdono per i molti casi di abusi sessuali posti sotto secretum pontificium e non ha mai riconosciuto questo problema come il maggior disastro della Chiesa Cattolica". Küng ha descritto quello Vaticano come un processo di "Putinizzazione".
Comunque, nonostante le differenze, i due sono rimasti in contatto. Küng ha fatto visita al papa durante le ferie estive a Castel Gandolfo nel 2005, occasione nella quale i due hanno discusso per circa quattro ore.
"Sembrava che avessimo lo stesso passo. Dopotutto siamo stati colleghi per anni. Abbiamo camminato nel parco e ci sono stati momenti in cui ho pensato che potesse cambiare idea su certi punti, ma non lo fece. Da allora ci siamo scritti, ma mai più incontrati".
Küng ha viaggiato in lungo e in largo nella sua vita, familiarizzando con chiunque, dai leader iraniani a John F. Kennedy a Tony Blair, col quale ha costruito uno stetto legame circa dieci anni fa, diventando una sorta di guru spirituale per l’allora primo ministro britannico prima della sua decisione di convertirsi al cattolicesimo.
"Sono rimasto colpito dal modo con cui ha affrontato il conflitto del’Irlanda del Nord. Ma poi è arrivata la guerra in Iraq e sono rimasto colpito dal modo con cui ha collaborato con Bush. Gli ho scritto definendo il gesto un fallimento storico di prim’ordine. Mi scrisse una nota a mano in risposta, dicendo che mi ringraziava e rispettava il mio punto di vista, ma che stava agendo secondo coscienza senza voler in alcun compiacere gli americani. Ero stupito che un primo ministro britannico potesse compiere un errore tanto catastrofico e resta per me un fatto tragico." Ha descritto la coversione al cattolicesimo di Blair come un errore, sostenendo che avrebbe potuto usare il suo ruolo pubblico per rinconciliare le differenze tra gli anglicani e la Chiesa Cattolica nel Regno Unito.
Dal suo studio colmo di libri, in cui troneggia un ritratto di S. Tommaso Moro, martire cattolico inglese del XVI secolo, Küng guarda fuori nel suo girdino alla statua di due metri che lo raffigura. I critici hanno definito la cosa sintomatica del suo auto-compiacimento. Sembra imbarazzato mentre spiega come la statua sia un regalo dei vent’anni da parte dell’associazione Stiftung Weltethos (Fondazionie per l’Etica Globale) che opera da casa sua e continuerà a farlo dopo la sua morte.
Lungi dal mettere un freno alla sua prolifica produzione teologica, Küng di recente ha commutato le idee di Weltethos - che cerca di creare un codice globale di comportamento, una globalizzazione dell’etica - in un estemporaneo libretto musicale. Mischiando la narrativa con sollecitazioni dal confucianesimo, induismo, buddismo, giudaismo e cristianesimo, gli scritti di Küng sono stati inseriti in un’opera sinfonica del compositore inglese Jonathan Harvey che vivrà la sua prima londinese domenica al Southbank Centre.
Küng sostiene che l’opera musicale, come la fondazione, rappresenta un tentativo di enfatizzare ciò che le religioni del mondo hanno in comune in barba a ciò che le divide.
Weltethos è stata fondata nel 1990 per unire le religioni del mondo, sottolineando le parti comuni e non le differenze. Ha istituito un codice di norme comportamentali che si spera un giorno possano essere universalmente riconosciute dalle Nazioni Unite.
L’obiettivo dell’opera è certamente imponente - Harvey ha parlato di "timore reverenziale" nello scrivere una partitura per il testo. Ma Küng, che ha guadagnato il sostegno di figure importanti come Henry Kissinger, Kofi Annan, Jacques Rogge, Desmond Tutu, Mary Robinson e Shirin Ebadi, insiste nel dire che il suo scopo è carpire le esigenze dal basso. "In un tempo di cambiamenti nel paradigma mondiale, abbiamo bisogno di uno schema di principi comuni, tra questi com’è ovvio la Regola d’Oro, secondo la quale Confucio insegnò a non imporre agli altri ciò che non si augurerebbe a se stessi."
Traduzione di Stefania Salomone
Le tre piaghe del Vaticano
di Hans Küng
in “Corriere della Sera” del 22 giugno 2012
Dall’uscita del mio libro Salviamo la Chiesa, nel 2011, la crisi della Chiesa cattolica si è acuita in modo drammatico. A fare da cupo sfondo a tutte le discussioni ci sono sempre gli abusi sessuali all’interno del clero cattolico di tutto il mondo, che hanno inflitto un colpo senza precedenti alla credibilità non solo del clero ma anche dei Papi e dei vescovi che li hanno occultati.
Contemporaneamente, tuttavia, sia in Italia sia in Germania, si sono verificati altri avvenimenti che rappresentano altrettanti indicatori dell’aggravarsi della crisi.
In Germania, la tanto annunciata visita papale dell’autunno 2011 è avvenuta con un enorme dispendio di mezzi mediatici e di denaro; ma è stata una delusione per i tedeschi pronti alla riforma e per la grande maggioranza dell’opinione pubblica. Durante questo viaggio il Papa si è pronunciato chiaramente sia contro le riforme strutturali della Chiesa cattolica sia contro un’intesa seria con le Chiese evangeliche. La delusione ha colto perciò anche i cristiani evangelici.
L’iniziativa di dialogo dei vescovi tedeschi che ne è seguita è finita in un vicolo cieco: nelle riunioni si poteva sì discutere e trattare temi critici, ma le questioni principali della riforma strutturale venivano ampiamente bloccate dalla gerarchia.
Al Katholikentag 2012 di Mannheim, tuttavia, il malumore e la collera del popolo della Chiesa si sono espressi con tutta la loro forza: i vescovi che si limitavano a scuse superficiali sono stati fischiati. In quell’occasione, le questioni critiche, comprese quelle inerenti alla riforma strutturale della Chiesa, sono state discusse pubblicamente, ma la delusione è stata grande lo stesso, perché non si erano ancora fatti progressi in questo senso.
Il rifiuto della riforma «dall’alto» ha avuto una conseguenza: i movimenti, che aspirano al rinnovamento «dal basso», godono ora di un consenso sempre maggiore e di uno spazio sempre più ampio anche sui media. Hanno ormai costituito una rete internazionale sul Web e reagiscono in tutto il mondo alle iniziative di Roma.
In Italia la critica non aveva ancora raggiunto i picchi registrati a nord delle Alpi, ma soprattutto tre recentissimi sviluppi hanno richiamato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulla crisi della Chiesa cattolica.
La riconciliazione con la Fraternità sacerdotale san Pio X - una confraternita tradizionale, ultraconservatrice, antidemocratica e antisemita -, portata avanti dal Papa e dalla Curia, incontra dubbi e perplessità crescenti. Ora, in Vaticano si deve prendere atto che la consacrazione dei vescovi ordinati da monsignor Lefebvre è non solo illecita, ma anche nulla dal punto di vista del diritto canonico. La maggioranza dei cattolici non è disposta a riconciliarsi con questi rappresentanti finché non accettano tutti i punti sostanziali del Concilio Vaticano II, dalla riforma della liturgia alla libertà religiosa.
Il Papa ha cercato di intervenire per mettere fine agli intrighi, in parte criminali, della banca vaticana, lo Ior, ma da quanto è emerso di recente non ci è riuscito; il capo della Banca vaticana nominato da non molto per eliminare gli abusi è stato destituito dal suo incarico nel maggio 2012 e si deve temere che lo Ior resti, oggi come ieri, sulla lista nera delle banche che operano il riciclaggio del denaro sporco.
L’affare Vatileaks ha scosso la Curia. Non si tratta solo del maggiordomo del Papa, ma di difetti sistemici che rendono possibile un simile tradimento: non c’è trasparenza, dalle nomine dei vescovi all’economia finanziaria. Dalla nascita della Curia romana nell’XI secolo le caratteristiche di questo sistema sono le consorterie, l’avidità di denaro, la corruzione e appunto l’abitudine a occultare i fatti.
La curiosità di vedere come la giustizia vaticana verrà a capo di tutti questi scandali è legittima.
Le mie analisi critiche hanno ricevuto una spiacevole conferma dagli avvenimenti recenti. Anzi, la crisi della Chiesa è ancora più drammatica. Ne consegue che è ancora più impellente la necessità di riforme fondamentali del sistema romano come quelle da me proposte con estrema concretezza.
Nonostante delusioni e difficoltà, mi mantengo fedele alla Chiesa cattolica, la mia Chiesa tanto provata. E faccio volentieri mio il titolo scelto per l’edizione italiana del libro dalla eccellente editrice Rizzoli: «Salviamo la Chiesa!».
Küng critica la Chiesa «troppo tenera» con Berlusconi
di Marisa Fumagalli (Corriere della Sera, 29 gennaio 2012)
L a magia del Premio Nonino, che si ricrea ormai da 37 anni, sta nel tenere insieme, armonicamente, la civiltà della terra nelle varie espressioni, la cultura internazionale e i suoi massimi rappresentanti. Cominciando dal presidente della Giuria, V.S. Naipaul (Nobel per la Letteratura 2001), in degna compagnia di una squadra di alto livello.
Temi importanti percorrono le produzioni intellettuali (e non, come nel caso dei contadini degli «Orti di Gorizia», premio Risit d’Aur) dei vincitori. Ma può succedere - ed è successo ieri, durante la cerimonia dell’edizione 2012 - che, nella distilleria di Percoto (Udine), trasformata in teatro, irrompa la politica italiana con i suoi protagonisti, evocati in questo caso dal teologo svizzero Hans Küng. Gli è stato assegnato il Nonino 2012, per il saggio Onestà. Perché l’economia ha bisogno di un’etica (Rizzoli). Küng non è un tipo che le manda a dire: dopo essere stato consulente del Concilio Vaticano II (lo ha ricordato, presentandolo, il neuroscienziato Antonio R. Damasio), osò mettere in dubbio l’infallibilità del Papa.
Fatto sta che Küng, citando il «Va’ pensiero» di Verdi, si rivolge alla platea dicendo che «è possibile un nuovo Risorgimento italiano, con un presidente del Consiglio serio, competente, onesto. Con un governo di esperti e con un Parlamento dove gli onorevoli tornino ad essere "onorabili"». «Viva l’Italia», chiude. Poi precisa: «La Chiesa, per opportunismo, è stata condiscendente con l’ex premier Berlusconi e i suoi comportamenti. Ora, se Monti, uomo integro, andrà fino in fondo, conciliando economia ed etica, il vostro Paese uscirà dalla crisi». (...)
I preti austriaci rifiutano di revocare il loro appello alla disobbedienza
di Christa Pongratz-Lippitt e Sarah Mac Donald
in “The Tablet” dell’ 8 ottobre 2011 (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)
I membri dell’Iniziativa dei preti austriaci, guidati dall’ex vicario generale di Vienna, mons. Helmut Schüller, hanno dichiarano che non intendono revocare il loro "Appello alla disobbedienza" pubblicato il 19 giugno scorso. Nella loro ultima newsletter 407 preti e diaconi scrivono: "Ci è stato chiesto di revocare il nostro “Appello alla disobbedienza”, ma in coscienza non possiamo farlo, finché si continua a lasciare in stand-by il suo contenuto".
I preti chiedono una riforma o almeno l’apertura di un dialogo su temi come l’obbligo del celibato sacerdotale, il ruolo delle donne, la comunione ai divorziati risposati. E chiedono anche il rafforzamento del ruolo dei laici nella Chiesa.
"Disobbedire ad alcune regole e norme restrittive in vigore nella Chiesa fa parte ormai da anni della nostra vita e della nostra missione di preti. Se fossimo qui a professare pubblicamente che lo facciamo senza riflettere ciò potrebbe solo aggravare ulteriormente il dissenso interno alla Chiesa e minare il lavoro pastorale", hanno detto nella loro lettera. Essi si dichiarano pienamente consapevoli che la "disobbedienza" potrebbe essere un termine capace di infiammare gli animi, ma sottolineano: "Noi non intendiamo una disobbedienza generalizzata per amor di contrapposizione, bensì un’obbedienza progressiva che in primo luogo dobbiamo a Dio, poi nei confronti della nostra coscienza e in ultima istanza alle leggi della Chiesa”.
Parlando di questa settimana a Dublino, dove si è recato per partecipare alla riunione dell’Associazione dei preti cattolici irlandesi (ACP), mons. Schüller ha detto al nostro giornale che quando divenne vicario generale a Vienna nel 1995 - incarico che ha ricoperto fino al 1999, lavorando alle dipendenze dell’arcivescovo Christoph Schönborn - aveva sperato in un cambiamento nella Chiesa, in linea con quanto affermato dal Concilio Vaticano II. "Ma ora abbiamo il fondato sospetto che il Vaticano voglia che la Chiesa torni indietro", ha detto. Considerare la Chiesa come una sorta di "fortezza contro il mondo e in particolare contro il mondo laico" non è questo il modo con cui il Concilio Vaticano II ha lavorato.
Una questione fondamentale oggi riguarda il ruolo dei battezzati laici - che "non sono solo da considerare alla stregua dei consumatori all’interno di un qualche negozio ... bensì anch’essi pietre nella costruzione della Chiesa". Essi dovrebbero crescere in termini di influenza e partecipazione alle decisioni della Chiesa - ha detto - "a motivo della loro grande esperienza di vita". Ha dichiarato che la Chiesa “ha timore dei laici, perché li considera come infettati da secolarizzazione e relativismo”. L’Iniziativa riguardo al tema del sacerdozio si basa sul fatto che esiste un diritto al matrimonio riconosciuto dalle Nazioni Unite, e così pure la parità di diritti per le donne riconosciuta dal mondo laico, ma non da parte della Chiesa.
Nella loro newsletter i preti hanno detto che era stato consigliato loro di discutere alcuni dei temi riguardanti le riforme meno impegnative con il cardinale Schönborn, ma che essi erano interessati a evitare che "solo alcuni del clero di rango superiore" discutessero delle riforme che riguardano tutti i fedeli insieme "al clero di rango inferiore".
Il manifesto di Küng per una nuova Chiesa.
"Ratzinger ha fallito"
Anticipiamo un brano del nuovo libro di Hans Küng “Salviamo la Chiesa” (Rizzoli) Il saggio del teologo Küng affronta gli abusi sessuali e la crisi del cattolicesimo. Quello che rende malata la situazione attuale è il monopolio del potere e della verità, il clericalismo, la sessuofobia e la misoginia. Il papato deve essere rinnovato, ai sacerdoti non si può negare il calore di una famiglia ed è necessaria l’ordinazione femminile.
di Hans Küng (La Repubblica, 01.10.2011)
Nella situazione attuale non posso assumermi la responsabilità di tacere: da decenni, con successo alterno e, nell’ambito della gerarchia cattolica, modesto, richiamo l’attenzione sulla grande crisi che si è sviluppata all’interno della Chiesa, di fatto una crisi di leadership. È stato necessario che emergessero i numerosi casi di abusi sessuali in seno al clero cattolico.
Abusi occultati per decenni da Roma e dai vescovi in tutto il mondo, perché questa crisi si palesasse agli occhi di tutti come una crisi sistemica che richiede una risposta su basi teologiche. La straordinaria messinscena delle grandi manifestazioni e dei viaggi papali (organizzati di volta in volta come "pellegrinaggi" o "visite di Stato"), tutte le circolari e le offensive mediatiche non riescono a creare l’illusione che non si tratti di una crisi durevole. Lo rivelano le centinaia di migliaia di persone che solo in Germania nel corso degli ultimi tre anni hanno abbandonato la Chiesa cattolica, e in genere la distanza sempre maggiore della popolazione rispetto all’istituzione ecclesiastica.
Lo ripeto: avrei preferito non scrivere questo testo.
E non l’avrei scritto: 1) se si fosse avverata la speranza che papa Benedetto avrebbe indicato alla Chiesa e a tutti i cristiani la strada per proseguire nello spirito del concilio Vaticano. L’idea era nata in me durante l’amichevole colloquio di quattro ore avuto con il mio ex collega di Tubinga a Castel Gandolfo, nel 2005. Ma Benedetto XVI ha continuato con testardaggine sulla via della restaurazione tracciata dal suo predecessore, prendendo le distanze dal concilio e dalla maggioranza del popolo della Chiesa in punti importanti e ha fallito riguardo agli abusi sessuali dei membri del clero in tutto il mondo; 2) se i vescovi si fossero davvero fatti carico della responsabilità collegiale nei confronti dell’intera Chiesa conferita loro dal concilio e si fossero espressi in questo senso con le parole e con i fatti. Ma sotto il pontificato di Wojtyla e Ratzinger la maggior parte di loro è tornata al ruolo di funzionari, semplici destinatari degli ordini vaticani, senza dimostrare un profilo autonomo e un’assunzione di responsabilità: anche le loro risposte ai recenti sviluppi all’interno della Chiesa sono state titubanti e poco convincenti; 3) se la categoria dei teologi si fosse opposta con forza, pubblicamente e facendo fronte comune, come accadeva un tempo, alla nuova repressione e all’influsso romano sulla scelta delle nuove generazioni di studiosi nelle facoltà universitarie e nei seminari. Ma la maggior parte dei teologi cattolici nutre il fondato timore che, a trattare criticamente in modo imparziale i temi divenuti tabù nell’ambito della dogmatica e della morale, si venga censurati e marginalizzati. Solo pochi osano sostenere la KirchenVolksBewegung, il Movimento popolare per la riforma della Chiesa cattolica diffuso a livello internazionale. E non ricevono sufficiente sostegno nemmeno dai teologi luterani e dai capi di quella Chiesa perché molti di loro liquidano le domande di riforma come problemi interni al cattolicesimo e nella prassi qualcuno talvolta antepone i buoni rapporti con Roma alla libertà del cristiano.
Come in altre discussioni pubbliche, anche nei più recenti dibattiti sulla Chiesa cattolica e le altre Chiese la teologia ha avuto un ruolo ridotto e si è lasciata sfuggire la possibilità di reclamare in modo deciso le necessarie riforme.
Da più parti mi pregano e mi incoraggiano di continuo a prendere una posizione chiara sul presentee il futuro della Chiesa cattolica. Così, alla fine, invece di pubblicare articoli sparsi sulla stampa, mi sono deciso a redigere uno scritto coeso ed esauriente per illustrare e motivare ciò che, dopo un’attenta analisi, considero il nocciolo della crisi: la Chiesa cattolica, questa grande comunità di credenti, è seriamente malata e la causa della sua malattia è il sistema di governo romano che si è affermato nel corso del secondo millennio superando tutte le opposizioni e regge ancora oggi. I suoi tratti salienti sono, come sarà dimostrato, il monopolio del potere e della verità, il giuridismo e il clericalismo, la sessuofobia e la misoginia e un uso della forza religioso e anche profano. Il papato non deve essere abolito, bensì rinnovato nel senso di un servizio petrino orientato alla Bibbia.
Quello che deve essere abolito, invece, è il sistema di governo medievale romano. La mia "distruzione" critica è perciò al servizio della "costruzione", della riforma e del rinnovamento, nella speranza che la Chiesa cattolica, contro ogni apparenza, si mantenga vitale nel terzo millennio.
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Certamente alcuni sacerdoti vivono la loro condizione di celibato apparentemente senza grossi problemi e molti, a causa dell’enorme carico di lavoro che grava su di loro, non sarebbero quasi in grado di preoccuparsi di una vita di coppia o di una famiglia. Viceversa, il celibato obbligatorio porta anche a vivere situazioni insostenibili: parecchi sacerdoti desiderano ardentemente l’amore e il calore di una famiglia, ma nel migliore dei casi possono solo tenere nascosta un’eventuale relazione, che in molti luoghi diventa un "segreto" più o meno pubblico. Se poi da una relazione nascono dei figli, le pressioni provenienti dall’alto inducono a tenerli nascosti con conseguenze devastanti sulla vita degli interessati.
La correlazione tra gli abusi sessuali dei membri del clero a danno di minori e la legge sul celibato è continuamente negata, ma non si può fare a meno di notarla: la Chiesa monosessuale che ha imposto l’obbligo del celibato ha potuto allontanare le donne da tutti i ministeri, ma non può bandire la sessualità dalle persone accettando così, come spiega il sociologo cattolico della religione FranzXaver Kaufmann, il rischio della pedofilia. Le sue parole sono confermate da numerosi psicoterapeuti e psicanalisti.
È auspicabile che sia reintrodotto il diaconato femminile, ma tale misura, da sola, è insufficiente: se non viene accompagnata dal permesso di accedere al presbiterato (sacerdozio), non condurrebbe a una equiparazione dei ruoli bensì a un differimento dell’ordinazione femminile. Un servizio che dà loro la stessa dignità degli uomini, completamente diverso dalla posizione e dalla funzione subalterna che recentemente ricoprono numerose donne dei "movimenti" nell’ambito della curia romana. Che in seno alla Chiesa cattolica la resistenza, e in determinate circostanze anche la disobbedienza, possano pagare, è dimostrato dall’esempio delle chierichette. Anni fa, il Vaticano vietò a bambine e ragazze di servir messa.
L’indignazione del clero e del popolo cattolico fu grande e in molte parrocchie si continuò semplicemente a tenerle. A Roma la situazione venne da principio tollerata, infine accettata. Così cambiano i tempi. Anzi, un articolo uscito il 7 agosto 2010 sull’Osservatore Romano ha elogiato questa evoluzione come il superamento di un’importante frontiera poiché oggi non si può più ascrivere alla donna alcuna "impurità" e in questo modo è stata eliminata una "disuguaglianza profonda". Quanto tempo ci vorrà ancora perché in Vaticano capiscano che lo stesso argomento vale per la consacrazione sacerdotale, meglio l’ordinazione femminile? Molto dipende dalla posizione e dall’impegno dei vescovi.
La religione del futuro per Hans Küng
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 16 maggio 2010)
In questi giorni anche da noi Hans Küng ha dominato il dibattito religioso: del suo ultimo libro «Ciò che credo» (Rizzoli) si è parlato un po’ dappertutto. Un fatto che già la dice lunga sulla situazione del cattolicesimo nel nostro paese.
Una situazione di forte presenza, ma anche di vivace discussione. Küng è un credente convinto che però fra i teologi cattolici è uno dei più critici (gli può fare compagnia, fra gli altri, Raimon Panikkar). I suoi attacchi alle posizioni vaticane non riguardano soltanto alcune questioni particolarmente discusse, come quelle che toccano il sesso, la salute, il sacerdozio.
La critica di Küng va più a fondo e riguarda soprattutto il rapporto fra il cattolicesimo e le altre posizioni religiose. È in crisi soprattutto la pretesa cattolica di essere l’unica verità assoluta, relegando tutte le altre posizioni in una sorta di serie B. «Sono e resto - afferma Küng - membro leale della mia Chiesa. Credo in Dio e nel suo Cristo, non credo tuttavia ’nella’ Chiesa. Al suo interno rifiuto ogni tentativo di mettersi sullo stesso piano di Dio, ogni trionfalismo arrogante e ogni trionfalismo egoistico, resto aperto alla comunità della fede cristiana nella sua totalità, a tutte le Chiese».
Una posizione ecumenica, oggi largamente condivisa anche in campo cattolico. E ancora: «Io non spero in una unità delle religioni o in un sincretismo di qualche tipo. Spero in una pace ecumenica fra le religioni mondiali. (...) Io non rinuncio alla speranza. Questa è la mia visione: non c’è pace fra le nazioni senza la pace religiosa, non c’è pace religiosa senza dialogo fra le religioni».
E sul futuro: «Ha un futuro solo una religione che mostra il suo volto umano e benevolo, un volto invitante e non un viso dai tratti stravolti, che inducono disgusto». È questo il volto dell’odierno cattolicesimo? Il libro di Küng ci spinge a chiedercelo.
Benedetto XVI ha fallito
i cattolici perdono la fiducia
di HANS KÜNG *
Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger - oggi Benedetto XVI - ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell’elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l’unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.
Avevo apprezzato molto a suo tempo l’invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l’inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all’università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un’intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.
Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l’amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un’ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:
È mancato il ravvicinamento alle Chiese evangeliche, non considerate neppure come Chiese nel senso proprio del termine: da qui l’impossiblità di un riconoscimento delle sue autorità e della celebrazione comune dell’Eucaristia.
È mancata la continuità del dialogo con gli ebrei: il papa ha reintrodotto l’uso preconciliare della preghiera per l’illuminazione degli ebrei; ha accolto nella Chiesa alcuni vescovi notoriamente scismatici e antisemiti; sostiene la beatificazione di Pio XII; e prende in seria considerazione l’ebraismo solo in quanto radice storica del cristianesimo, e non già come comunità di fede che tuttora persegue il proprio cammino di salvezza. In tutto il mondo gli ebrei hanno espresso sdegno per le parole del Predicatore della Casa Pontificia, che in occasione della liturgia del venerdì santo ha paragonato le critiche rivolte al papa alle persecuzioni antisemite.
Con i musulmani si è mancato di portare avanti un dialogo improntato alla fiducia. Sintomatico in questo senso è il discorso pronunciato dal papa a Ratisbona: mal consigliato, Benedetto XVI ha dato dell’islam un’immagine caricaturale, descrivendolo come una religione disumana e violenta e alimentando così la diffidenza tra i musulmani.
È mancata la riconciliazione con i nativi dell’America Latina: in tutta serietà, il papa ha sostenuto che quei popoli colonizzati "anelassero" ad accogliere la religione dei conquistatori europei.
Non si è colta l’opportunità di venire in aiuto alle popolazioni dell’Africa nella lotta contro la sovrappopolazione e l’AIDS, assecondando la contraccezione e l’uso del preservativo.
Non si è colta l’opportunità di riconciliarsi con la scienza moderna, riconoscendo senza ambiguità la teoria dell’evoluzione e aderendo, seppure con le debite differenziazioni, alle nuove prospettive della ricerca, ad esempio sulle cellule staminali.
Si è mancato di adottare infine, all’interno stesso del Vaticano, lo spirito del Concilio Vaticano II come bussola di orientamento della Chiesa cattolica, portando avanti le sue riforme.
Quest’ultimo punto, stimatissimi vescovi, riveste un’importanza cruciale. Questo papa non ha mai smesso di relativizzare i testi del Concilio, interpretandoli in senso regressivo e contrario allo spirito dei Padri conciliari, e giungendo addirittura a contrapporsi espressamente al Concilio ecumenico, il quale rappresenta, in base al diritto canonico, l’autorità suprema della Chiesa cattolica:
ha accolto nella Chiesa cattolica, senza precondizione alcuna, i vescovi tradizionalisti della Fraternità di S. Pio X, ordinati illegalmente al di fuori della Chiesa cattolica, che hanno ricusato il Concilio su alcuni dei suoi punti essenziali;
ha promosso con ogni mezzo la messa medievale tridentina, e occasionalmente celebra egli stesso l’Eucaristia in latino, volgendo le spalle ai fedeli;
non realizza l’intesa con la Chiesa anglicana prevista nei documenti ecumenici ufficiali (ARCIC), ma cerca invece di attirare i preti anglicani sposati verso la Chiesa cattolica romana rinunciando all’obbligo del celibato.
ha potenziato, a livello mondiale, le forze anticonciliari all’interno della Chiesa attraverso la nomina di alti responsabili anticonciliari (ad es.: Segreteria di Stato, Congregazione per la Liturgia) e di vescovi reazionari.
Papa Benedetto XVI sembra allontanarsi sempre più dalla grande maggioranza del popolo della Chiesa, il quale peraltro è già di per sé portato a disinteressarsi di quanto avviene a Roma, e nel migliore dei casi si identifica con la propria parrocchia o con il vescovo locale.
So bene che anche molti di voi soffrono di questa situazione: la politica anticonciliare del papa ha il pieno appoggio della Curia romana, che cerca di soffocare le critiche nell’episcopato e in seno alla Chiesa, e di screditare i dissenzienti con ogni mezzo. A Roma si cerca di accreditare, con rinnovate esibizioni di sfarzo barocco e manifestazioni di grande impatto mediatico, l’immagine di una Chiesa forte, con un "vicario di Cristo" assolutista, che riunisce nelle proprie mani i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma la politica di restaurazione di Benedetto XVI è fallita. Le sue pubbliche apparizioni, i suoi viaggi, i suoi documenti non sono serviti a influenzare nel senso della dottrina romana le idee della maggioranza dei cattolici su varie questioni controverse, e in particolare sulla morale sessuale. Neppure i suoi incontri con i giovani, in larga misura membri di gruppi carismatici di orientamento conservatore, hanno potuto frenare le defezioni dalla Chiesa, o incrementare le vocazioni al sacerdozio.
Nella vostra qualità di vescovi voi siete certo i primi a risentire dolorosamente dalla rinuncia di decine di migliaia di sacerdoti, che dall’epoca del Concilio ad oggi si sono dimessi dai loro incarichi soprattutto a causa della legge sul celibato. Il problema delle nuove leve non riguarda solo i preti ma anche gli ordini religiosi, le suore, i laici consacrati: il decremento è sia quantitativo che qualitativo. La rassegnazione e la frustrazione si diffondono tra il clero, e soprattutto tra i suoi esponenti più attivi; tanti si sentono abbandonati nel loro disagio, e soffrono a causa della Chiesa. In molte delle vostre diocesi è verosimilmente in aumento il numero delle chiese deserte, dei seminari e dei presbiteri vuoti. In molti Paesi, col preteso di una riforma ecclesiastica, si decide l’accorpamento di molte parrocchie, spesso contro la loro volontà, per costituire gigantesche "unità pastorali" affidate a un piccolo numero di preti oberati da un carico eccessivo di lavoro.
E da ultimo, ai tanti segnali della crisi in atto viene ad aggiungersi lo spaventoso scandalo degli abusi commessi da membri del clero su migliaia di bambini e adolescenti, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania e altrove; e a tutto questo si accompagna una crisi di leadership, una crisi di fiducia senza precedenti. Non si può sottacere il fatto che il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondesse alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi ("Epistula de delictis gravioribus"), imponendo nel caso di abusi il "secretum pontificium", la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni. E’ dunque a ragione che molti hanno chiesto un personale "mea culpa" al prefetto di allora, oggi papa Benedetto XVI. Il quale però non ha colto per farlo l’occasione della settimana santa, ma al contrario ha fatto attestare "urbi et orbi", la domenica di Pasqua, la sua innocenza al cardinale decano.
Per la Chiesa cattolica le conseguenze di tutti gli scandali emersi sono devastanti, come hanno confermato alcuni dei suoi maggiori esponenti. Il sospetto generalizzato colpisce ormai indiscriminatamente innumerevoli educatori e pastori di grande impegno e di condotta ineccepibile. Sta a voi, stimatissimi vescovi, chiedervi quale sarà il futuro delle vostre diocesi e quello della nostra Chiesa. Non è mia intenzione proporvi qui un programma di riforme.
L’ho già fatto più d’una volta, sia prima che dopo il Concilio. Mi limiterò invece a sottoporvi qui sei proposte, condivise - ne sono convinto - da milioni di cattolici che non hanno voce.
1. Non tacete. Il silenzio a fronte di tanti gravissimi abusi vi rende corresponsabili. Al contrario, ogni qualvolta ritenete che determinate leggi, disposizioni o misure abbiano effetti controproducenti, dovreste dichiararlo pubblicamente. Non scrivete lettere a Roma per fare atto di sottomissione e devozione, ma per esigere riforme!
2. Ponete mano a iniziative riformatrici. Tanti, nella Chiesa e nell’episcopato, si lamentano di Roma, senza però mai prendere un’iniziativa. Ma se oggi in questa o quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la messa, se l’opera pastorale risulta inefficace, se manca l’apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete o al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa nel proprio ambiente di vita, piccolo o grande che sia. Molte cose straordinarie, nelle comunità e più in generale in seno alla Chiesa, sono nate dall’iniziativa di singole persone o di piccoli gruppi. Spetta a voi, nella vostra qualità di vescovi, il compito di promuovere e sostenere simili iniziative, così come quello di rispondere, soprattutto in questo momento, alle giustificate lagnanze dei fedeli.
3. Agire collegialmente. Il Concilio ha decretato, dopo un focoso dibattito e contro la tenace opposizione curiale, la collegialità dei papi e dei vescovi, in analogia alla storia degli apostoli: lo stesso Pietro non agiva al di fuori del collegio degli apostoli. Ma nel periodo post-conciliare il papa e la curia hanno ignorato questa fondamentale decisione conciliare. Fin da quando, a soli due anni dal Concilio e senza alcuna consultazione con l’episcopato, Paolo VI promulgò un’enciclica in difesa della discussa legge sul celibato, la politica e il magistero pontificio ripresero a funzionare secondo il vecchio stile non collegiale. Nella stessa liturgia il papa si presenta come un autocrate, davanti al quale i vescovi, dei quali volentieri si circonda, figurano come comparse senza diritti e senza voce. Perciò, stimatissimi vescovi, non dovreste agire solo individualmente, bensì in comune con altri vescovi, con i preti, con le donne e gli uomini che formano il popolo della Chiesa.
4. L’obbedienza assoluta si deve solo a Dio. Voi tutti, al momento della solenne consacrazione alla dignità episcopale, avete giurato obbedienza incondizionata al papa. Tuttavia sapete anche che l’obbedienza assoluta è dovuta non già al papa, ma soltanto a Dio. Perciò non dovete vedere in quel giuramento a un ostacolo tale da impedirvi di dire la verità sull’attuale crisi della Chiesa, della vostra diocesi e del vostro Paese. Seguite l’esempio dell’apostolo Paolo, che si oppose a Pietro "a viso aperto, perché evidentemente aveva torto" (Gal. 2,11). Può essere legittimo fare pressione sulle autorità romane, in uno spirito di fratellanza cristiana, laddove queste non aderiscano allo spirito del Vangelo e della loro missione. Numerosi traguardi - come l’uso delle lingue nazionali nella liturgia, le nuove disposizioni sui matrimoni misti, l’adesione alla tolleranza, alla democrazia, ai diritti umani, all’intesa ecumenica e molti altri ancora hanno potuto essere raggiunti soltanto grazie a una costante e tenace pressione dal basso.
5. Perseguire soluzioni regionali: il Vaticano si mostra spesso sordo alle giustificate richieste dei vescovi, dei preti e dei laici. Ragione di più per puntare con intelligenza a soluzioni regionali. Come ben sapete, un problema particolarmente delicato è costituito dalla legge sul celibato, una norma di origine medievale, la quale a ragione è ora messa in discussione a livello mondiale nel contesto dello scandalo suscitato dagli abusi. Un cambiamento in contrapposizione con Roma appare pressoché impossibile; ma non per questo si è condannati alla passività. Un prete che dopo seria riflessione abbia maturato l’intenzione di sposarsi non dovrebbe essere costretto a dimettersi automaticamente dal suo incarico, se potesse contare sul sostegno del suo vescovo e della sua comunità. Una singola Conferenza episcopale potrebbe aprire la strada procedendo a una soluzione regionale. Meglio sarebbe tuttavia mirare a una soluzione globale per la Chiesa nel suo insieme. Perciò
6. si chieda la convocazione di un Concilio: se per arrivare alla riforma liturgica, alla libertà religiosa, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso c’è stato bisogno di un Concilio, lo stesso vale oggi a fronte dei problemi che si pongono in termini tanto drammatici. Un secolo prima della Riforma, il Concilio di Costanza aveva deciso la convocazione di un concilio ogni cinque anni: decisione che fu però disattesa dalla Curia romana, la quale anche oggi farà indubbiamente di tutto per evitare un concilio dal quale non può che temere una limitazione dei propri poteri. È responsabilità di tutti voi riuscire a far passare la proposta di un concilio, o quanto meno di un’assemblea episcopale rappresentativa.
Questo, a fronte di una Chiesa in crisi, è l’appello che rivolgo a voi, stimatissimi vescovi: vi invito a gettare sulla bilancia il peso della vostra autorità episcopale, rivalutata dal Concilio. Nella difficile situazione che stiamo vivendo, gli occhi del mondo sono rivolti a voi. Innumerevoli sono i cattolici che hanno perso la fiducia nella loro Chiesa; e il solo modo per contribuire a ripristinarla è quello di affrontare onestamente e apertamente i problemi, per adottare le riforme che ne conseguono. Chiedo a voi, nel più totale rispetto, di fare la vostra parte, ove possibile in collaborazione con altri vescovi, ma se necessario anche soli, con apostolica "franchezza" (At 4,29.31). Date un segno di speranza ai vostri fedeli, date una prospettiva alla nostra Chiesa.
Vi saluto nella comunione della fede cristiana.
* la Repubblica, 15 aprile 2010
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
MEMORIA FILOLOGICA E TEOLOGICA. GESU’, IL FIGLIO DELLA GRAZIA DIVINA ("CHARITAS") O IL "TESORO" DI "MAMMONA" ("CARITAS") E DELLA "MAMMASANTISSIMA" DEI FARAONI?!! BENEDETTO XVI: "DEUS CARITAS EST", 2006.
LA CARITA’ DI BENEDETTO XVI NON E’LA CARITA’ EVANGELICA. Il primo editore in Italia dell’opere di Hans Kung, Pier Giordano Cabra scrive una "Lettera al teologo" -dall’Osservatore Romano, 23.04.2010 (Federico La Sala)
Lettera al teologo Küng
Caro Hans
Pubblichiamo la lettera aperta al teologo svizzero scritta dal suo primo editore in Italia - L’Osservatore Romano - 23 aprile 2010
di Pier Giordano Cabra
Caro Hans, leggendo la tua lettera ai vescovi mi sono sentito d’accordo quando scrivi: "Se oggi in questa o in quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la messa, se l’opera pastorale risulta inefficace, se manca l’apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete e al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa nel proprio ambiente di vita, piccolo o grande che sia".
Qui trovo presente la coscienza del senso della complessità dei problemi, a partire dal non univoco concetto di "rinnovamento" della Chiesa.
Il rinnovamento è stato infatti inteso in questi anni in molti modi, secondo le preferenze personali e culturali, partendo da quella del cambio delle strutture a quella della conversione personale e comunitaria.
Dal resto della tua lettera mi pare che l’attenzione sia posta prevalentemente se non esclusivamente sulle riforme "strutturali". Mi sarebbe piaciuto trovare anche un cenno allo scandalo della Croce che rimane, dopo che tutti gli altri scandali sono stati tolti, quindi alla serietà della sequela di Cristo, sempre scandalosa, dell’amore di Dio da vivere e da diffondere spesso controcorrente, alla necessità della penitenza e dell’umiltà.
Sarà solo un’azione di ingegneria ecclesiastica che risolve il problema della testimonianza cristiana?
E poi: perché, proprio in nome della complessità, non rendere omaggio a Chi porta avanti il rinnovamento evangelico dei cuori prima e a preferenza di quello delle strutture?
C’è inoltre una questione di stile, che tradisce la sostanza, cioè il misconoscimento del primato della carità, o della carità nella veracità: "Se non ho la carità, sono un bronzo che rimbomba", dirà proprio Paolo nella prima lettera ai Corinzi.
La carità è magnanima, è benevola: bisogna leggere tutto l’inno alla carità, che è il programma della ecclesia patiens, della casta meretrix, capace di rinnovarsi e di superare tutte le bufere, perché "dove c’è carità e amore, lì c’è Dio".
Necessaria la veracità, ma "la più grande di tutte è la carità" (1 Corinzi, 13, 13), che riconosce generosamente il lavoro altrui, che non oppone né divide, che non maggiora le colpe, che è consapevole che ogni profezia è imperfetta.
Forse se la tua lettera avesse respirato un poco di più l’inno alla carità, sarebbe risultata un augurio più elegantemente evangelico all’antico Collega, in occasione dei suoi anniversari, e un contributo più fruttuoso per la Chiesa che sta soffrendo per le debolezze dei suoi figli.
Spero di non aver mancato di carità nel dirti questo, perché senza la carità non sarei nulla.
Mi dispiacerebbe essere considerato un pio ecclesiastico che fa pie considerazioni su affari seri, perché allora bisognerebbe distinguere tra i testi del Nuovo Testamento quelli destinati alle persone pie e quelli destinati alle persone serie.
Non considerandomi persona particolarmente pia o seria, chiedo la comprensione della tua carità. Sempre con stima per il tuo imponente lavoro.
(©L’Osservatore Romano - 23 aprile 2010)
Hans Küng: “Il papa va contro il Vaticano II”
di Jean Mercier
in “La Vie” del 16 febbraio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
Ha un’opinione netta su tutto. Sui papi Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Pio XII. Ma anche sulla liturgia, sul celibato dei preti, sugli scandali sessuali nella Chiesa. Il teologo Hans Küng, nato nel 1928 e celebre oppositore di Giovanni Paolo II e del cardinale Joseph Ratzinger divenuto Benedetto XVI, ha appena pubblicato il secondo tomo delle sue memorie alle éditions du Cerf (1968-1980, Une vérité contestée). Lo abbiamo incontrato in quell’occasione, raccogliendo alcune affermazioni scioccanti.
Deluso da Benedetto XVI
“Ho sperato che Ratzinger si mostrasse diverso come papa rispetto a quello che era come prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma non è stato così. Le sue nomine alla Curia sono
terribili. Come segretario di Stato, ha messo un uomo, Tarcisio Bertone, che non è affatto preparato
a questo compito.
Come papa, ha sbagliato tutte le mosse nei momenti chiave. Non ha risposto alle attese degli
ortodossi, in quanto non ha proposto loro, nel quadro del dialogo, di non dover accettare i Concili ai
quali non hanno partecipato dall’undicesimo secolo. Si è limitato con loro a degli abbracci, a delle
cerimonie. Con i musulmani, sappiamo cosa è successo con la Dichiarazione di Ratisbona. Per
quanto riguarda gli ebrei, c’è stata la faccenda della preghiera del venerdì santo, e lo scandalo
Williamson. Quanto alle Chiese protestanti, esse non hanno digerito il fatto che si sia detto loro che
non sono Chiese.
Il papa dice che le altre religioni sono carenti, e che la Chiesa cattolica è perfetta, ma quando si
vedono gli scandali che vi scoppiano! In Germania, la gente è ormai a disagio per il fatto che il papa
sia tedesco.
Più fondamentalmente, Ratzinger ed io siamo diversi nel nostro approccio a Gesù. Io sono attaccato
al Gesù della storia. Il suo Gesù è dogmatico, come è stato definito dal Concilio di Nicea nel 325.”
Il papa va contro il Vaticano II
“Per il teologo gesuita Francisco Suares (1548-1617), ci sono due possibilità di essere scismatici. O
ci si separa dal papa. O il papa si separa dalla Chiesa.
Benedetto XVI dovrebbe essere prudente nella sua visione delle cose, perché va contro il Concilio.
È uno choc per molta gente. Ha restaurato la messa medioevale tridentina. Ha ripreso gli ornamenti
di Leone X (1513-1522), il papa che aveva mancato l’occasione di salvale le cose con Martin
Lutero. Ha nominato l’anno scorso un nuovo prefetto per la Congregazione del Culto Divino,
Antonio Canizares, che se ne va in giro con la “cappa magna”, cioè uno strascico. Ci si crederebbe
alla consacrazione di Napoleone. Neanche la regina d’Inghilterra farebbe più una cosa simile. Il
papa si rende complice di una corruzione del sacro, sotto la forma di un’aristocrazia clericale che
nasconde le proprie azioni sotto gli ornamenti barocchi.
Riguardo al Concilio, Benedetto XVI difende la sua ermeneutica della continuità contro una
ermeneutica della rottura. Ma è una menzogna dire che abbiamo considerato il Vaticano II come una
rottura. Era una svolta, una riforma. -Questa “ermeneutica della continuità” è la sola cosa che il papa
ha trovato per interpretare il Concilio secondo la sua visione di un ritorno al passato. Ma non lo si
accetterà! Non si può andare contro il Concilio.”
Il celibato sacerdotale
“La legge del celibato obbligatorio è esplicitamente una contro-affermazione di ciò che dice il
Nuovo Testamento sulla libertà. E quindi non può essere considerata cattolica. È il prodotto di un
“monasticismo” medioevale - da non confondere con il vero monachesimo.
Questa legge medioevale non solo si oppone al Vangelo, ma anche ai diritti umani. Si radica nel
paganesimo. Resta un enorme problema in America Latina e in Africa, dove il celibato è osservato
in maniera... diciamo ’elegante’”.
A proposito dei preti pedofili
“C’è oggi questo scandalo dei preti pedofili tra i gesuiti in Germania. È solo un nuovo episodio di
una crisi del cattolicesimo occidentale che ha un problema con la sessualità. Ho parlato
recentemente con un ambasciatore irlandese che mi ha detto che l’autorità della Chiesa è totalmente
crollata nel paese a causa di questi scandali. Ma non ho mai voluto credere che si trattasse solo di
una faccenda irlandese o americana.
Il problema è universale. È legato al celibato obbligatorio. Lo so che il celibato non implica
necessariamente che ci siano degli abusi sessuali, ma non è un caso che ci siano stati degli scandali
in numero straordinario nella Chiesa cattolica in particolare. Non basta condannare quei preti, sono
vittime di un sistema. La Curia romana ha contribuito a far andare le cose in senso funesto. Tutti gli
scandali sono stati centralizzati dalla Congregazione della Dottrina della Fede, sotto il sigillo del
segreto assoluto. Tutto è arrivato sul tavolo del cardinal Ratzinger. Ha visto tutto, ha avuto
conoscenza di tutti i dossier.”
Due pesi e due misure
“Con lo scandalo Williamson, voglio ben credere che il papa non sapesse che era negazionista, ma sapeva necessariamente che tutte quelle persone erano antisemite e tutte contrarie al Vaticano II. Come si può accettare nella Chiesa quei vescovi scismatici ed essere stati così duri con i teologi della liberazione che non erano affatto marxisti? Con loro si è stati senza pietà. Mentre si accettano persone che negano il Concilio!”
Pio XII non è un santo
“Quando ero al Collegio Germanico a Roma, durante i miei studi, Padre Leibe, segretario privato di
Pio XII era venuto a trovarci. Ci aveva raccontato la giornata tipo del papa. Poi gli avevamo
chiesto: il Santo Padre è un santo? E lui aveva risposto: “No, non è un santo, è un grande uomo
della Chiesa”. Per Pio XII, l’istituzione era più importante di tutti gli ebrei del mondo intero. Per lui
la minaccia comunista era più grave della minaccia nazista.
E poi ha condannato i preti operai. Ricordo quello che mi ha confidato il cardinale Gerlier a questo
proposito. Con altri cardinali, era andato a Roma per convincerlo a non fare condanne. Gerlier mi
ha raccontato che Pio XII aveva detto loro: “La mia coscienza di papa mi obbliga ad agire in questo
senso”. Gerlier non aveva saputo che cosa rispondere. A mio avviso, avrebbe dovuto ribattere che la
sua coscienza di vescovo obbligava lui a protestare contro la decisione del papa. Ma i vescovi
francesi si sono inchinati.
Comunque non bisogna demonizzare Pio XII. Ha avuto un forte choc quando i commando rossi
hanno saccheggiato la nunziatura di Berlino nel 1918. Un po’ come Ratzinger fu traumatizzato dagli
studenti in rivolta di Tubinga nel 1968. La sua paura del comunismo era diventata esistenziale. Lo si
può capire ma non si può fare di lui un santo.”
Su Giovanni Paolo II
“Wojtyla non era un santo perché non ha mai voluto parlare con delle persone che pensavano in modo diverso da lui. Ha parlato molto “sul” dialogo, ma non lo ha praticato. Il suo moralismo sessuale non è servito a niente e la giovane generazione se ne infischia totalmente.”
Il futuro della Chiesa cattolica
“La situazione attuale mi conforta purtroppo nella mia visione critica. Sono un cattolico leale, sono
nell’opposizione a questo sistema attuale. Del resto, come me, molti santi non hanno amato la Curia.
Non sono un modernista, come Benedetto XVI critico anch’io una forma di scientismo che critica la
trascendenza.
Ma se, come Benedetto XVI, ci si situa ad un estremo, quello di un rigorismo morale medioevale,
allora si perde tutta la credibilità.
Essere cattolico non è legato al paradigma dell’assolutismo romano. Si può essere cattolici secondo il modello della Riforma. Sono cattolico secondo il paradigma ecumenico ed evangelico. Perché l’ideale è essere cattolico con spirito evangelico e non romano. Perché, per definire ciò che è cattolico, il criterio è la conformità al Vangelo. La Chiesa può sopravvivere perché non è un’ideologia come il comunismo. La sostanza resterà, non la gerarchia. Restano per fortuna delle comunità che funzionano bene, dove il parroco è buono. L’identificazione con il cattolicesimo non si farà con il papa, ma con il parroco locale”.
L’amico rivale del Papa
di Alessandro Melazzini (Il Sole-24 Ore, 15 novembre 2009)
Non utilizzerò nessun «elicottero teologico» promette Hans Küng al lettore che voglia accompagnarlo nella scalata alle vette della propria spiritualità. Accade nel nuovo e personalissimo libro del teologo svizzero, pubblicato in Germania da Piper, previsto in Italia per Rizzoli e di cui pubblichiamo uno stralcio in anteprima (Was ich glaube, In cosa credo, Monaco, pagg. 320, €18,95). È soprattutto una profonda umanità a trasparire in queste nuove pagine scritte da uno dei più celebri - e contestati - teologi cattolici. Un’umanità che da anni spinge Küng a lavorare al progetto di un’etica mondiale basata su comprensione e rispetto verso ogni essere umano, indipendentemente dalla provenienza e dalle preferenze politiche, sessuali ma anche religiose.
L’autore di Islam, Cristianesimo ed Ebraismo, densa trilogia sulle religioni monoteistiche, dimostra un’apertura verso le fedi altrui - inclusi ateismo e agnosticismo - tale da portarlo a considerare il proprio credo in Gesù Cristo come la via maestra per la salvezza, ma non l’esclusiva. Ed è a causa dell’intransigente chiusura verso le sensibilità altrui che batte la critica del professore di Tubinga alla Chiesa di Roma colpevole, soprattutto sotto l’attuale pontificato, di coltivare un’ossessione verso il potere monocratico e la morale sessuale. Secondo l’ottuagenario teologo il risultato altro non è che un progressivo allontanamento dei fedeli dal grembo della Chiesa, divenuta infedele al Concilio Vaticano II, cui tanto Hans Küng quanto Joseph Ratzinger parteciparono prima che il dissidio teologico li dividesse. D’altronde tra Roma e Tubinga la crisi dura da quando Küng pubblicò Infallibile? Una domanda (1970), un testo già nel titolo scettico verso l’intangibilità papale.
Ma la rottura più dolorosa avvenne in seguito alla pubblicazione di Dio Esiste? (1978), quando la Congregazione per la dottrina della fede gli revocò l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica. Un evento traumatico che tuttavia non minò né la produttività del teologo svizzero né il suo interesse verso il dialogo interreligioso, così come la fascinazione nei confronti delle scoperte scientifiche. Insensato ad esempio secondo Küng accusare d’irreligiosità la teoria evolutiva di Darwin. Il teologo pensa infatti che fede e scienza non abbiano alcunché da temere, bensì possano reciprocamente arricchirsi, seppur entrambe nel rispetto delle proprie competenze.
Küng: «Capire per credere»
di Hans Küng (Il Sole-24 Ore, 15 novembre 2009)
La mia spiritualità ha sempre avuto a che fare più con la razionalità che con la sensibilità. Non ho mai voluto semplicemente "credere", ma anche capire. Come teologo mi sono sempre ritenuto anche filosofo, ho studiato filosofia e l’ho praticata. L’avversione contro questa materia, osservabile di continuo da Martin Lutero in poi, non mi appartiene. D’altra parte non mi è mai stato chiaro perché i filosofi del XX e XXI secolo non si sono più voluti porre la questione della "metafisica", consegnando ai teologi l’amministrazione di questa grande eredità della filosofia occidentale. Forse che con la mia teologia io riesca a porre rimedio a quella dimenticanza di Dio sopravvenuta nella filosofia e a quella dimenticanza della filosofia avvenuta nella teologia? In ogni caso la mia teologia non dovrebbe essere una scienza segreta per chi è già credente, che si trincera nelle questioni cruciali dietro ai misteri, come lo è stata quella creata dai teologi nel corso di una problematica storia dei dogmi. Piuttosto essa dovrebbe essere comprensibile, condivisibile e attendibile, così da avvicinare anche i non credenti all’unico grande mistero della realtà, quello a cui noi diamo il nome di "Dio".
Non posso e non voglio spegnere la mia ragione nelle questioni di fede. Tutto quanto è assurdo; oscuro, infantile, zotico, reazionario, lo sento estraneo da me, così come quell’isteria massificata o addirittura mondiale che si verifica nel caso di un tragico incidente a una bella principessa, nella morte inaspettata di una popstar avvolta dagli scandali o nella morte pubblica e diffusa mediaticamente di un Papa.
Ma anche una ragionevolezza assolutizzata, un razionalismo ideologico possono essere una superstizione, similmente al dogmatismo teologico. In ogni caso ho poca voglia sia di discutere con i razionalisti irrigiditi che con i dogmatici immobili. Più di una volta ho constatato che nella polemica entrambi si dimostrano incapaci anche solo di riportare in maniera corretta le mie opinioni. In quelle circostanze la loro ratio viene offuscata dalla passio.
Naturalmente anch’io, come ogni essere umano, non sono fatto solo di ragione e ragionevolezza, bensì anche di sentire e volere, di indole e fantasia, di emozioni e passioni. Mi sforzo volutamente di conseguire una visione complessiva delle cose. Ho imparato a pensare in maniera metodica e chiara, quello che si chiama esprit de géometrie secondo lo spirito di Cartesio. Nel contempo tuttavia ho tentato di acquisire un conoscere, un sentire e un percepire che sia completo e intuitivo, secondo l’esprit de finesse dell’antipode di Cartesio, ovvero l’eccellente matematico Blaise Pascal.
Al ginnasio di Lucerna noi studenti talvolta prendevamo in giro il nostro bravissimo professore di storia dell’arte che durante lo studio di un’opera, quando eravamo di fronte a qualcosa di non quantificabile, bensì di estetico, ovvero alla bellezza, diceva sfregando i pollici con gli indici e i medi: «Dovete sentirla, intuirla!». Ma aveva ragione. Ci sono così tanti fenomeni specificamente umani come l’arte, la musica, lo humor, il riso e certo il dolore, l’amore, la fede e la speranza che non si lasciano cogliere in maniera critico-razionale nelle loro varie dimensioni bensì che è possibile avvertire solamente nella loro pienezza. Anche la nuova ricerca sul cervello è in grado con i suoi grandi tomografi computerizzati di spiegare il funzionamento dei neuroni, ma non di scoprire i contenuti dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.
Già quando ero un giovane professore trovavo affascinante avere uno scambio con i grandi scienziati delle altre discipline. Allora non parlavo di «interdisciplinarità», ma la esercitavo ovunque potessi. Naturalmente ritenevo fondamentale un atteggiamento di rispetto, non verso i saccenti accademici, quanto verso i veri grandi conoscitori della materia. Un rispetto di fronte al loro immenso sapere, ai loro risultati dotati di fondamento, alla loro diversa metodologia e ai loro giudizi obiettivi. Anche nella teologia ho avuto a che fare con filosofi, giuristi, storici e medici, poi in maniera sempre maggiore con psicologi, sociologi e politologi. Soprattutto ho sempre voluto prendere sul serio l’indipendenza e l’autonomia delle scienze naturali matematico-sperimentali; mi sono impegnato affinché non venissero poste in dubbio da nessun teologo o religioso che si richiamasse a un’autorità superiore (Dio, la Bibbia, la Chiesa, il Papa).
Parimenti ho sempre ritenuto importante che se si dovessero trattare le questioni delle scienze naturali secondo il loro metodo e stile, allora d’altro canto sarebbe doveroso che anche le questioni della psiche umana e della società, così come del diritto, della politica e della ricerca storiografica, e tanto più quelle dell’estetica, della morale e della religione, venissero trattate secondo il loro metodo e stile. In maniera del tutto legittima oggigiorno anche nelle scienze dello spirito noi ci occupiamo sempre più dell’analisi dei fenomeni, delle operazioni, dei processi e delle strutture. Ma facendo ciò non dobbiamo dimenticare che ci sono questioni legittime in ambito scientifico che attengono al senso primo e ultimo delle cose, ai valori, agli ideali, alle norme e ai comportamenti. Esse richiedono una risposta. Come filosofo e teologo non posso accontentarmi della problematicità superficiale del nostro mondo secolarizzato e ridotto solamente a razionalità e funzionalità, bensì debbo cercare di penetrare nella sua dimensione più profonda. Come si può altrimenti trovare una risposta alla domanda sul fondamento della vita?
(Traduzione di Alessandro Melazzini)
INTERVISTA ad HANS KUNG
"Questa Chiesa diventerà una setta"
di N. Bourcier, S. Le Bars (La Stampa, 25-02-2009)
Alto e magro, con il volto glabro e il ciuffo ribelle, Hans Küng, considerato il massimo teologo cattolico dissidente vivente, riceve nel suo studio di Tubinga dai muri tappezzati di libri, dove i suoi - tradotti in tutte le lingue - occupano il posto d’onore.
Professore, come giudica la decisione del Papa di togliere la scomunica ai quattro vescovi integralisti di monsignor Lefebvre, uno dei quali, Richard Williamson, è un negazionista?
«Non ne sono rimasto sorpreso. Già nel 1977, in una intervista a un giornale italiano, Monsignor Lefebvre diceva che “alcuni cardinali sostengono il mio corso” e che “il nuovo cardinal Ratzinger ha promesso di intervenire presso il Papa per trovare una soluzione”. Questo dimostra che la questione non è né un problema nuovo né una sorpresa. Benedetto XVI ha sempre parlato molto con queste persone. Oggi toglie loro la scomunica, perché ritiene che sia il momento giusto per farlo. Ha pensato di poter trovare una formula per reintegrare gli scismatici i quali, pur conservando le loro convinzioni personali, avrebbero potuto dare l’impressione di essere d’accordo con il concilio Vaticano II. Si è proprio sbagliato».
Come spiega il fatto che il Papa non abbia misurato la dimensione della protesta che la sua decisione avrebbe suscitato, anche al di là dei discorsi negazionisti di Richard Williamson?
«La revoca delle scomuniche non è stato un errore di comunicazione o di tattica, ma un errore del governo del Vaticano. Anche se il Papa non era a conoscenza dei discorsi negazionisti di monsignor Williamson e lui personalmente non è antisemita, tutti sanno che quei quattro vescovi lo sono. In questa faccenda il problema fondamentale è l’opposizione al Vaticano II, in particolare il rifiuto di un rapporto nuovo con l’ebraismo. Un Papa tedesco avrebbe dovuto considerare centrale questo punto e mostrarsi senza ambiguità nei confronti dell’Olocausto. Invece non ha valutato bene il pericolo. Contrariamente alla cancelliera Merkel, che ha prontamente reagito. Benedetto XVI è sempre vissuto in un ambiente ecclesiastico. Ha viaggiato molto poco. E’ sempre rimasto chiuso in Vaticano - che è assai simile al Cremlino d’un tempo -, dove è al riparo dalle critiche. All’improvviso, non è stato capace di capire l’impatto nel mondo di una decisione del genere. Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che potrebbe essere un contropotere, era un suo subordinato alla Congregazione per la dottrina della fede; è un uomo di dottrina, completamente sottomesso a Benedetto XVI. Ci troviamo di fronte a un problema di struttura. Non c’è nessun elemento democratico in questo sistema, nessuna correzione. Il Papa è stato eletto dai conservatori e oggi è lui che nomina i conservatori».
In che misura si può dire che il Papa è ancora fedele agli insegnamenti del Vaticano II?
«A modo suo è fedele al Concilio. Insiste sempre, come Giovanni Paolo II, sulla continuità con la “tradizione”. Per lui questa tradizione risale al periodo medioevale ed ellenistico. Soprattutto non vuole ammettere che il Vaticano II ha provocato una rottura, ad esempio sul riconoscimento della libertà religiosa, combattuta da tutti i papi vissuti prima del Concilio». L’idea di fondo di Benedetto XVI è che il Concilio vada accolto, ma anche interpretato: forse non al modo dei lefebvriani, ma in ogni caso nel rispetto della tradizione e in modo restrittivo. Per esempio è sempre stato critico sulla liturgia. E ha una posizione ambigua sui testi del Concilio, perché non si trova a suo agio con la modernità e la riforma, mentre il Vaticano II ha rappresentato l’integrazione nella Chiesa cattolica del paradigma della riforma e della modernità. Monsignor Lefebvre non l’ha mai accettato, e nemmeno i suoi amici in Curia. Sotto questo aspetto Benedetto XVI ha una certa simpatia per monsignor Lefebvre. D’altra parte trovo scandaloso che, per i 50 anni dal lancio del Concilio da parte di Giovanni XXIII, nel gennaio 1959, il Papa non abbia fatto l’elogio del suo predecessore, ma abbia scelto di togliere la scomunica a persone che si erano opposte a questo concilio».
Che Chiesa lascerà questo Papa ai suoi successori?
«Penso che difenda l’idea del “piccolo gregge”. È un po’ la linea degli integralisti: pochi fedeli e una Chiesa elitaria, formata da “veri” cattolici. È un’illusione pensare che si possa continuare così, senza preti né vocazioni. Questa evoluzione è chiaramente una restaurazione, che si manifesta nella liturgia, ma anche in atti e gesti, come dire ai protestanti che la Chiesa cattolica è l’unica vera Chiesa».
La Chiesa cattolica è in pericolo?
«La Chiesa rischia di diventare una setta. Molti cattolici non si aspettano più niente da questo Papa. È molto doloroso».
Lei ha scritto: «Com’è possibile che un teorico dotato, amabile e aperto come Joseph Ratzinger abbia potuto cambiare fino a questo punto e diventare il Grande Inquisitore romano?».Allora, com’è possibile?
«Penso che lo choc dei movimenti di protesta del 1968 abbia resuscitato il suo passato. Ratzinger era un conservatore. Durante il Concilio si è aperto, anche se era già scettico. Con il ‘68, è tornato a posizioni molto conservatrici, che ha mantenuto fino a oggi».
Lei pensa che possa ancora correggere questa evoluzione?
«Quando mi ha ricevuto, nel 2005, ha fatto un atto coraggioso e io ho veramente creduto che avrebbe trovato la via per le riforme, anche se lente. In quattro anni, invece, ha dimostrato il contrario. Oggi mi chiedo se sia capace di fare qualcosa di coraggioso. Tanto per cominciare, dovrebbe riconoscere che la Chiesa cattolica attraversa una crisi profonda. Poi potrebbe fare un gesto verso i divorziati e dire che, a certe condizioni, possono essere ammessi alla comunione. Potrebbe correggere l’enciclica Humanae vitae, che nel 1968 ha condannato tutte le forme di contraccezione, dicendo che in certi casi l’uso della pillola è possibile. Potrebbe correggere la sua teologia, che data dal Concilio di Nicea (325). Potrebbe dire: “Abolisco la legge del celibato”. È molto più potente del Presidente degli Stati Uniti! Non deve rendere conto a una Corte Suprema! Potrebbe anche convocare un nuovo Concilio».
Un Vaticano III?
«Permetterebbe di regolare alcune questioni rimaste in sospeso, come il celibato dei preti e la limitazione delle nascite. Si dovrebbe prevedere un modo nuovo per eleggere i vescovi, che contempli il coinvolgimento anche del popolo. L’attuale crisi ha suscitato un movimento di resistenza. Molti fedeli si rifiutano di tornare al vecchio sistema. Anche alcuni vescovi sono stati costretti a criticare la politica del Vaticano. La gerarchia non può ignorarlo».
La sua riabilitazione potrebbe far parte di questi gesti forti?
«In ogni caso sarebbe un gesto ben più facile del reintegro degli scismatici! Ma non credo che lo farà, perché Benedetto XVI si sente più vicino agli integralisti che alle persone come me, che hanno lavorato al Concilio e l’hanno accettato».
Copyright Le Monde
Una riflessione sulla Chiesa Cattolica del più grande teologo vivente
Un intervento del teologo Hans Küng
di Hans Küng
in "la Repubblica" del 7 febbraio 2009*
In brevissimo tempo, il neo-eletto presidente Barack Obama è riuscito a far riemergere gli Stati Uniti da un clima depresso da Controriforma. La sua è una visione di speranza, resa credibile dal cambiamento di rotta della politica interna ed estera degli Stati Uniti. Nella Chiesa cattolica le cose stanno diversamente. L’atmosfera è opprimente, il blocco di ogni riforma paralizzante. A quasi quattro anni dall’elezione di Benedetto XVI, molti lo vedono come un altro George W. Bush. E il fatto che abbia voluto celebrare il suo 81° compleanno alla Casa Bianca non è una coincidenza.
Sia Bush che il papa sono irriducibili in materia di controllo delle nascite e di interruzione della gravidanza, autocratici, avversi a qualunque seria riforma. Hanno esercitato le rispettive cariche senza alcuna trasparenza, imponendo restrizioni alle libertà e ai diritti umani. Al pari di Bush durante il suo periodo di governo, anche Benedetto XVI ha subito un crescente calo di consensi, tanto che molti cattolici non si aspettano ormai più nulla da lui.
Il peggio è arrivato con la recente revoca della scomunica di quattro vescovi tradizionalisti, a suo tempo consacrati illegalmente, al di fuori dell’autorità pontificia: una decisione che ha confermato tutti i timori sorti al momento dell’elezione di Benedetto XVI. Il 4 febbraio, dopo la levata di scudi globale suscitata da quella decisione, il Vaticano ha annunciato di aver chiesto al più contestato dei quattro vescovi, il britannico Williamson, di prendere le distanze dalla sua notoria negazione dell’Olocausto, come condizione per poter essere reintegrato a pieno titolo come vescovo della Chiesa Cattolica Romana. Ma al di là di questa mossa conciliatoria, sembra evidente che il papa tenda a favorire chi continua a respingere la libertà di religione affermata dal secondo Concilio ecumenico del Vaticano (noto come Vaticano II), e a rifiutare il dialogo con le altre Chiese, la riconciliazione col giudaismo, la stima e il rispetto verso l’Islam e le altre religioni mondiali, la riforma della liturgia.
In nome della «riconciliazione» con un ristrettissimo gruppo di tradizionalisti reazionari, questo papa rischia di perdere la fiducia di milioni di cattolici del mondo intero rimasti fedeli al Concilio Vaticano II. E il fatto che a farlo sia un papa tedesco peggiora ulteriormente le cose. Le scuse tardive non risolvono nulla.
Eppure, per Benedetto XVI un cambiamento di rotta comporterebbe difficoltà assai minori di quelle che deve affrontare il presidente degli Stati Uniti. Il papa non ha bisogno di fare i conti con il potere legislativo di un Congresso, né con quello giudiziario di una Suprema corte. È il capo assoluto di un governo, legislatore e giudice supremo della Chiesa. Se lo volesse, potrebbe autorizzare da un giorno all’altro la contraccezione, il matrimonio dei sacerdoti, l’ordinazione delle donne e la condivisione dell’Eucaristia con le Chiese protestanti.
Cosa farebbe un papa che decida di agire nello stesso spirito di Barack Obama?
Ammetterebbe senza mezzi termini la crisi profonda in cui versa la Chiesa cattolica, e identificherebbe i nodi centrali del problema: la mancanza di sacerdoti in molte congregazioni; la crisi delle vocazioni al sacerdozio; il latente collasso di antiche strutture pastorali in seguito a impopolari fusioni di parrocchie.
Proclamerebbe una visione di speranza: quella di una Chiesa rinnovata, di una ritrovata vitalità dell’ecumenismo e di un’intesa con gli Ebrei, i Musulmani e le altre religioni mondiali, di un atteggiamento positivo nei confronti della scienza moderna.
Si circonderebbe di personalità capaci, non di «yesman» ma di spiriti indipendenti, coadiuvati da esperti competenti e impavidi.
Avvierebbe immediatamente, per decreto, le misure per l’attuazione delle più importanti riforme.
Convocherebbe un Concilio ecumenico per promuovere un nuovo corso.
Ma nella realtà dei fatti, il contrasto tra i due è deprimente. Mentre il presidente Barack Obama, col sostegno del mondo intero, si mostra aperto alla gente e al futuro e guarda in avanti, questo papa rivolge gli occhi al passato, si ispira agli ideali della Chiesa medievale, vede la Riforma con scetticismo e mantiene un atteggiamento ambiguo nei confronti dei diritti e delle libertà moderne.
Mentre il Presidente Obama si adopera per una nuova collaborazione con i partner e gli alleati, il papa Benedetto XVI è ingabbiato, non diversamente da George W. Bush, in una concezione che lo porta a dividere il mondo in amici e nemici. E mortifica i fratelli cristiani delle Chiese protestanti rifiutando di riconoscere come Chiese le loro comunità. I rapporti con i musulmani non sono andati al di là di una confessione di «dialogo»; e quelli con gli ebrei sono profondamente incrinati.
Il presidente Obama irradia speranza, promuove attività civiche e fa appello a una nuova «era della responsabilità»; mentre il papa Benedetto XVI rimane prigioniero dei suoi timori, e vorrebbe stabilire un’«era della restaurazione», limitando quanto più possibile le libertà delle persone.
A differenza di Obama, che si lancia all’offensiva con audaci iniziative di riforma fondate sulla costituzione e sulla grande tradizione del suo Paese, il papa Benedetto XVI interpreta i decreti del Concilio riformista del 1962- ’65 nel senso più retrogado, con lo sguardo rivolto al Concilio conservatore del 1870.
Ma dato che Benedetto XVI non è Obama, per l’immediato futuro dobbiamo poter contare su un episcopato che non passi sotto silenzio gli evidenti problemi della Chiesa, ma ne parli apertamente e li affronti con energia a livello diocesano; e inoltre abbiamo bisogno di teologi pronti a collaborare attivamente a una visione della nostra Chiesa per il futuro, senza timore di dire e di scrivere la verità; di pastori capaci di assumersi arditamente le loro responsabilità, protestando al tempo stesso contro gli eccessivi oneri derivanti dalle fusioni di molte parrocchie; e infine di donne capaci di usare con fiducia ogni possibilità di esercitare la propria influenza.
Ma tutto questo è davvero possibile? La risposta è sì. «Yes, we can».
Traduzione di Elisabetta Horvat
Lo scrive il Jerusalem Post, dopo la revoca della scomunica al vescovo lefevbriano
Williamson che nega la Shoah. La Santa Sede auspica che "il dialogo continui"
.-Il rabbinato di Israele rompe col Vaticano
Il Papa: "Solidarietà ai fratelli ebrei"
Il Pontefice oggi ribadisce: "Shoah rimanga un monito contro oblio e negazionismo"
Oggi Williamson è stato bandito da tutte le chiese della città di Ratisbona
GERUSALEMME - Non si placa la polemica dopo la revoca della scomunica del vescovo lefevbriano Richard Williamson, che nega la Shoah e l’esistenza delle camere a gas. Oggi il Jerusalem Post scrive che il rabbinato d’Israele ha rotto indefinitamente i rapporti ufficiali con il Vaticano e ha anche cancellato un incontro fissato a Roma il 2-4 marzo con la Commissione della Santa Sede per i rapporti con gli ebrei. Una posizione a cui la Santa Sede ha immediatamente risposto, auspicando che "il dialogo possa continuare". Oggi papa Benedetto XVI è di nuovo intervenuto sulla questione esprimendo la sua indiscutibile "solidarietà" ai fratelli ebrei e chiedendo che la Shoah rimanga "un monito contro ogni oblìo e negazionismo". Intanto, il vescovo di Ratisbona, monsignor Gerhard Ludwig Mueller, ha comunicato che Williamson è bandito da tutte le chiese della città tedesca.
"Scuse pubbliche". Sul sito del Jerusalem Post si legge quanto scritto in una lettera indirizzata al presidente della Commissione, cardinale Walter Casper: "Senza scuse pubbliche e una ritrattazione, sarà difficile continuare il dialogo", afferma nella missiva il direttore generale del rabbinato, Oded Weiner. Secondo una fonte del rabbinato, la lettera è giunta alla stampa israeliana prima di essere ricevuta in Vaticano e ciò potrebbe ulteriormente complicare i rapporti fra il rabbinato e la chiesa cattolica.
Santa Sede: "Dialogo continui". Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha subito auspicato "un ripensamento" e chiesto al rabbinato di Israele di "riflettere sulla sua decisione di interrompere il dialogo, alla luce della parole pronunciate oggi da Papa Benedetto XVI sulla Shoah e del suo magistero fino ad oggi". "Le parole del Pontefice - aggiunge padre Lombardi - dovrebbero essere più che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulle posizioni del Papa e della Chiesa cattolica sull’argomento".
Il monito del Papa. Al termine dell’udienza generale di oggi nel’Aula Paolo VI, in Vaticano, Ratzinger ha infatti affermato che la violenza non deve "umiliare mai più la dignità dell’uomo". "La Shoah - ha osservato - insegni specialmente sia alle vecchie che alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono, conduce i popoli, le culture e le religioni del mondo all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità".
Di Segni: "Parole necessarie". Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, commenta le parole del Pontefice, definendole una dichiarazione "necessaria e benvenuta che contribuisce a chiarire molti equivoci sia sul negazionismo sia sul rispetto del Concilio". "La dichiarazione del papa - dice ancora Di Segni - smentisce tutti coloro che hanno giudicato la nostra protesta come un ingerenza irrispettosa ed esagerata".
Il fatto. La polemica è scoppiata la scorsa settimana, quando il Vaticano ha revocato la scomunica di quattro vescovi appartenenti alla corrente tradizionalista lefevbriana, che negli anni Sessanta si oppose ai cambiamenti introdotti dal Consiglio Vaticano II. Tra loro vi è anche Williamson che, come dice il Centro Simon Wiesenthal, è indagato in Germania per aver negato la Shoah.
La richiesta di Benedetto XVI. Oggi il Pontefice ha spiegato le ragioni del perdono ai vescovi lefevbriani: "Ho deciso di rimettere la scomunica come atto di paterna misericordia perché ripetutamente i quattri vescovi mi hanno manifestato viva sofferenza per la situazione in cui erano venuti a trovarsi". Ratzinger ha chiesto ai vescovi l’impegno a "realizzare i passi necessari alla piena comunione, testimoniando vera adesione al magistero del Papa e del Concilio Vaticano II".
Williamson bandito da chiese di Ratisbona. Oggi il vescovo cattolico della città tedesca ha bandito Richard Williamson dalla chiese cittadine."Non gli verrà permesso di mettere piede nella cattedrale o nelle altre proprietà della Chiesa", ha affermato Mueller. La motivazione è che il vescovo lefevbriano si è posto fuori dalla Chiesa e ha pronunciato parole "inumane" e "sacrileghe".
* la Repubblica, 28 gennaio 2009
Ansa» 2009-01-28 18:05
RABBINATO DI ISRAELE, PAROLE DEL PAPA PASSO AVANTI
GERUSALEMME - Il rabbinato di Israele ha accolto le parole odierne di papa Benedetto XVI sulla Shoah come "un grande passo in avanti per la soluzione della questione" sollevata dalla recente revoca della scomunica nei confronti del vescovo lefevbriano negazionista Richard Williamson. Lo ha detto all’ANSA il direttore generale del Rabbinato Oded Wiener secondo il quale si tratta di "una dichiarazione molto importante per noi e per il mondo intero".
Le parole pronunciate da Benedetto XVI durante l’udienza generale sulla Shoah sono state "molto chiare" e "utili per chiarire le incomprensioni sorte nei giorni scorsi". E’ quanto afferma all’ANSA l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Mordechay Lewy, che aggiunge di aver molto apprezzato l’intervento del Pontefice. Secondo Lewy le parole del Papa sono molto utili e "chiunque le abbia lette o ascoltate comprende ora perfettamente da che parte la chiesa stia".
Inoltre fanno capire che per il Papa si deve procedere sulla via del dialogo nel futuro. Rispetto al vescovo lefebvriano, Richard Williamson, protagonista di una recente intervista televisiva in cui ha negato l’esistenza delle camere a gas e ha ridotto il numero di morti degli ebrei per opera dei nazisti a 300 mila, Lewy afferma di non voler "personalizzare" la questione. "Sarebbe sbagliato - aggiunge il diplomatico - dare a questa persona una posizione tale da influenzare ogni volta le relazioni tra Israele e la Santa Sede". A proposito della visita di Benedetto XVI in Israele prevista a maggio secondo indiscrezioni di stampa ma ancora mai annunciata ufficialmente dalla Santa Sede, l’ambasciatore israeliano sottolinea: "Ci stiamo lavorando tutto il tempo e quanto accaduto in questi giorni non ha inciso sui preparativi della sua visita. Il Papa è benvenuto in Israele in qualunque momento".
SHOAH: PAPA, SOLIDARIETA’ AD EBREI, NO A NEGAZIONISMO
Il Papa ha espresso oggi la sua indiscutibile "solidarietà" ai fratelli ebrei ed ha detto che la shoah rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo. "Mentre rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri fratelli destinatari della prima alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo", ha detto Benedetto XVI al termine dell’udienza generale oggi in Vaticano. "La shoah - - ha proseguito - sia monito contro l’oblio, la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti". "La shoah - ha proseguito il Papa - insegni specialmente sia alle vecchie sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono conduca i popoli, le culture e le religioni del mondo all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell’uomo", ha esclamato. Benedetto XVI ha ricordato come, in questi giorni in cui ricordiamo la Shoah, gli tornino alla memoria le immagini raccolte nelle sue ripetute visite as Auschwitz, "uno dei lager - ha detto - nei quali si è consumato l’eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso".
VATICANO A RABBINATO, CONTINUI DIALOGO
CITTA’ DEL VATICANO - Il Vaticano ha espresso l’auspicio che, anche alla luce delle parole dette oggi dal Papa in solidarieta’ agli ebrei e contro il negazionismo della Shoah, il dialogo con il Rabbinato di Israele possa continuare. Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha voluto dare un’immediata risposta alla minaccia di rottura delle relazioni con il Vaticano trapelata da fonti del Rabbinato di Israele. "Le parole del Papa,nelle diverse occasioni in cui già i passato si è espresso, e che oggi sono state pronunciate ancora una volta sul tema della Shoah, dovrebbero essere più che sufficienti per rispondere alle attese di chi esprime dubbi sulla posizione del Papa e dela Chiesa cattolica sull’argomento", ha detto padre Lombardi ai giornalisti. "Ci auguriamo, quindi, che, anche alla luce di esse, le difficoltà presentate dal Rabbinato d’Israele possano essere oggetto di ulteriore e più approfondita riflessione, il dialogo con la Commissione per i rapporti con l’ebraismo del Consiglio per l’Unità dei cristiani, in modo che il dialogo della Chiesa cattolica con l’ebraismo possa continuare con frutto e serenità".