[...] l’imperatore aprì il corteo sotto il sontuoso baldacchino e la gente per le strade e alle finestre diceva:
Dio! Sono di una bellezza incomparabile, i vestiti nuovi dell’imperatore! Che splendida coda dietro la giubba! Ma come gli stanno bene! - Nessuno voleva mostrare che non vedeva niente, perchè se no significava che non era degno della carica che occupava, oppure che era molto stupido. Nessuno dei tanti costumi dell’imperatore aveva avuto tanta fortuna.
Ma se non ha niente indosso ! - gridò un bambino. Signore Iddio! La voce dell’innocenza! - disse il padre; e ognuno sussurrava all’altro quello che aveva detto il bambino.
Non ha niente indosso! C’è un bambino che dice che non ha niente indosso! -
Non ha proprio niente indosso! - urlò infine tutta la gente [...]
Giuseppe, Il padre con il Bambino |
I vestiti nuovi dell’Imperatore
di Hans Christian Andersen
Molti anni fa viveva un imperatore, il quale amava tanto possedere abiti nuovi e belli, che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza. Non si curava dei suoi soldati, non si curava di sentir le commedie o di far passeggiate nel bosco, se non per sfoggiare i suoi vestiti nuovi: aveva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: - E’ in Consiglio! - di lui si diceva sempre: E’ nello spogliatoio - Nella grande città, dove egli abitava, ci si divertiva molto. ogni giorno arrivavano stranieri, e una volta vennero due impostori; si spacciarono per tessitori e dissero che sapevano tessere la stoffa piu straordinaria che si poteva immaginare. Non solo i disegni e i colori erano di singolare bellezza, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili a quegli uomini che non erano all’altezza della loro carica o che erano imperdonabilmente stupidi.
Sarebbero davvero vesti meravigliosi! - pensò l’imperatore - Con quelli indosso, io potrei scoprire quali uomini nel mio regno non sono degni della carica che hanno; potrei distinguere gli intelligenti dagli stupidi. Ah! si! mi si deve tessere subito questa stoffa! - E diede molti soldi in mano ai due impostori perchè incomiciassero a lavorare. Essi montarono due telai, fecero finta di lavorare, ma non avevano assolutamente niente sul telaio. Chiesero senza complinenti la seta più bella e l’oro piu brillante, li ficcarono nella loro borsa e lavorarono con i telai vuoti, senza smettere mai, fino a tarda notte.
Adesso mi piacerebbe sapere a che punto è la stoffa! - pensò l’imperatore; ma in verità si sentiva un po’ agitato all’idea che una persona stupida, o non degna della carica che occupava, non avrebbe potuto vederla. Egli, naturalmente, non pensava di dover temere per sè; tuttavia preferì mandare un altro, prima, a vedere come andava la faccenda. Tutti gli abitanti della città sapevano dello straordinario potere della stoffa, e ognuno era desideroso di conoscere quanto incapace o stupido fosse il proprio vicino di casa.
Manderò dai tessitori il mio vecchio, bravo ministro! - pensò l’imperatore. - Egli può vedere meglio degli altri che figura fa quella stoffa, perchè è intelligente e non c’è un altro che sia come lui all’altezza del proprio compito! - Così quel vecchio buon ministro andò nella sala dove i due tessitori lavoravano sui telai vuoti: - Dio mio! - pensò spalancando gli occhi - non vedo proprio niente! - Ma non lo disse forte. I due tessitori lo pregarono di avvicinarsi, per favore, e gli domandarono se il disegno e i colori erano belli; e intanto indicavano il telaio vuoto. Il povero vecchio continuò a spalancare gli occhi, ma non riuscì a vedere niente perchè non c’era niente.
Povero me! - pensò. - Sono dunque stupido? Non l’avrei mai creduto! Ma ora nessuno deve saperlo! O non sono adatto per questa carica? No, non posso andare a raccontare che non riesco a vedere la stoffa! -
E allora, non dice niente? - chiese uno dei tessitori. Oh! incantevoli, bellissimi! - esclamò il vecchio ministro, guardando da dietro gli occhiali. - Che splendidi disegni, che splendidi colori! Sì, sì ! dirò all’imperatore che mi piacciono in un modo straordinario! -
Ah! ne siamo davvero contenti! - dissero i due tessitori, e presero a enumerare i colori e a spiegare la bizzarria del disegno. Il vecchio ministro stette bene a sentire per ripetere le stesse cose, quando fosse tornato dall’imperatore; e così fece. Allora i due impostori chiesero altri soldi, e ancora seta e oro; l’oro occorreva per la tessitura. Si ficcarono tutto in tasca, e sul telaio non ci arrivò neanche un filo. Tuttavia essi seguitarono, come prima, a tessere sul telaio vuoto. Dopo un po’ di tempo l’imperatore mandò un altro valente funzionario, a vedere come procedeva la tessitura, e a chiedere se la stoffa era finita. Gli successe proprio come al ministro; guardò, guardò; ma siccome non c’era niente all’infuori dei telai nudi, non potè vedere niente.
Non è forse una bella stoffa? - dissero i due impostori; e gli mostravano e gli spiegavano il bellissimo disegno che non c’era per niente.
Stupido che sono! - pensò l’uomo. - Dunque, vorrà dire che non sono degno della mia alta carica? Sarebbe molto strano! Ma non bisogna farsi scoprire! - E così prese a lodare il tessuto che non vedeva, e parlò del piacere che gli davano quei bei colori e quei graziosi disegni.
Sì, è proprio la stoffa piu bella del mondo! - disse all’imperatore. Tutti i cittadini discorrevano di quella stoffa magnifica. Allora l’imperatore stesso volle andare a vederla mentre era ancora sul telaio. Con uno stuolo di uomini scelti, tra i quali anche quei due bravi funzionari che già c’erano stati, egli si recò dai due astuti imbroglioni che stavano tessendo con gran lena, ma senza un’ombra di filo.
Eh!? non è "magnifique"? - dissero i due bravi funzionanari. - Guardi, Sua Maestà, che disegni, che colori! - E indicavano il telaio vuoto, perchè erano sicuri che gli altri la vedevano, la stoffa.
Che mi succede? - pensò l’imperatore. - Non vedo nulla! Terribile, davvero! Sono stupido? O non sono degno di essere imperatore? Questa è la cosa piu spaventosa che mi poteva capitare! -
Oh! bellissimo! - disse. - Vi concedo la mia suprema approvazione! - E annuiva soddisfatto, contemplando il telaio vuoto; non poteva mica dirlo, che non vedeva niente! Tutti quelli che s’era portato dietro, guardavano, guardavano, ma, per quanto guardassero, il risultato era uguale; eppure dissero, come l’imperatore: Oh! bellissimo! - E gli suggerirono di farsi fare, con quella stoffa meravigliosa, un vestito nuovo da indossare al grande corteo che era imminente.
Magnifique! Carina, excellent! - dicevano l’un l’altro; e sembravano tutti profondamente felici, dicendo queste cose. L’imperatore diede ai due impostori la Croce di Cavaliere da appendere all’occhiello e il titolo di Nobili Tessitori.
Per tutta la notte, prima del giorno in cui doveva aver luogo il corteo, gli imbroglioni restarono alzati con piu di sedici candele accese; tutti potevano vedere quanto avevano da fare per ultimare i vestiti nuovi dell’imperatore. Finsero di staccare la stoffa dal telaio, con grandi forbici tagliarono l’aria, cucirono con ago senza filo e dissero infine:
Ecco, i vestiti sono pronti ! - Giunse, allora, l’imperatore in persona, con i suoi più illustri cavalieri: e i due imbroglioni tenevano il braccio alzato come reggendo qualcosa e dicevano: Ecco i calzoni, ecco la giubba, ecco il mantello! - e così via di seguito. E’ una stoffa leggera come una tela di ragno! Si potrebbe quasi credere di non avere niente indosso, ma è appunto questo, il suo pregio ! - Si! - dissero tutti i cavalieri, ma non vedevano niente, perchè non c’era niente. E adesso, vuole la Sua Imperiale Maestà graziosamente consentire a spogliarsi? - dissero i due imbroglioni. Così noi Le potremo mettere questi vestiti nuovi proprio qui, dinanzi alla specchiera! - L’imperatore si spogliò e i due imbroglioni fingevano di porgergli, pezzo per pezzo, gli abiti nuovi, che, secondo loro, andavano terminando di cucire; lo presero per la vita, come per legargli qualcosa stretto stretto: era lo strascico e l’imperatore si girava e si rigirava davanti allo specchio.
Dio, come sta bene! Come donano al suo personale questi vestiti! - dicevano tutti. Che disegno! Che colori! E’ un costume prezioso ! - Qui fuori sono arrivati quelli col baldacchino che sarà tenuto aperto sulla testa di Sua Maestà durante il corteo! - disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
Si, eccomi pronto! - rispose l’imperatore. - Non è vero che sto proprio bene? - E si rigirò un’altra volta davanti allo specchio fingendo di contemplare la sua tenuta di gala. I ciambellani che dovevano reggere lo strascico, finsero di raccoglierlo tastando per terra; e si mossero stringendo l’aria: non potevano mica far vedere che non vedevano niente! E così l’imperatore aprì il corteo sotto il sontuoso baldacchino e la gente per le strade e alle finestre diceva:
Dio! Sono di una bellezza incomparabile, i vestiti nuovi dell’imperatore! Che splendida coda dietro la giubba! Ma come gli stanno bene! - Nessuno voleva mostrare che non vedeva niente, perchè se no significava che non era degno della carica che occupava, oppure che era molto stupido. Nessuno dei tanti costumi dell’imperatore aveva avuto tanta fortuna.
Ma se non ha niente indosso ! - gridò un bambino. Signore Iddio! La voce dell’innocenza! - disse il padre; e ognuno sussurrava all’altro quello che aveva detto il bambino.
Non ha niente indosso! C’è un bambino che dice che non ha niente indosso! -
Non ha proprio niente indosso! - urlò infine tutta la gente. E l’imperatore si sentì rabbrividire perchè era sicuro che avevano ragione; ma pensò: "Ormai devo guidare questo corteo fino alla fine!" E si drizzò ancor piu fiero e i ciambellani camminarono reggendo la coda che non c’era per niente.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PER UN RI-ORIENTAMENTO TEOLOGICO-POLITICO E ANTROPOLOGICO!!!
La partita con la Chiesa
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 04.09.2009)
No, non sono affari interni della Chiesa, come ha commentato chi ancora impugna la pistola fumante - e la impugna perché chi l’ha armato non gliel’ha mai tolta di mano. Singolare affermazione, del resto: ma non era questo il governo che si professava più vicino alla Chiesa, quello che aveva avuto fin dall’inizio il soddisfatto via libera delle gerarchie ecclesiastiche? Oggi invece quella destra cattolica obbediente e collaborativa così gradita a eminenti cardinali finge un laico e pudico disinteresse per i problemi della Chiesa.
D’altra parte, la domanda che tutti ci poniamo è: quale Chiesa? Ne abbiamo viste diverse nei giorni scorsi e non abbiamo mai avuto l’impressione di trovarci davanti alla antica istituzione sacrale che immaginavamo capace di rispondere severamente e dal suo più alto livello all’attacco che l’ha ferita. Una cosa almeno è certa: le dimissioni del direttore dell’Avvenire sono un fatto che di per sé esclude qualunque possibilità di chiudere l’episodio a un fatto interno di chicchessia, tanto meno a un fatto interno della Chiesa.
Ci fu all’inizio il tentativo di chiudere tra parentesi le tensioni tra un premier e una chiesa italiana in agitazione facendo ripartire l’antico ron-ron della diplomazia ovattata, dei contatti riservati, magari dei colloqui tra un premier discusso e il segretario di Stato vaticano intorno a un tavolo conviviale all’ombra di un antico rito solenne del perdono.
Ma qui il percorso si interruppe: quel premier aveva un giornale di famiglia e il suo direttore fece partire in quel preciso momento un attacco inqualificabile contro l’Avvenire, organo della Conferenza episcopale italiana. Uno scandalo: bisogna che gli scandali avvengano, dice la parola del Cristo dei Vangeli canonici. Non così hanno pensato le menti diplomaticamente esercitate del mondo vaticano, d’accordo col Grande Inquisitore di Dostoevskij nel ritenere che l’ordine del mondo è troppo prezioso per metterlo a rischio con un ritorno della parola di Cristo.
C’era stata una mossa per far rientrare lo scandalo: una proposta di tregua con scambio dei caduti. La Chiesa-Potere aveva calato molto tempestivamente la carta più alta nelle sue mani per dimostrare la sua buona volontà e far rientrare la vicenda «citra sanguinem», senza versare sangue, come dicevano le regole della tortura dell’Inquisizione. L’aveva calata nientemeno che il direttore dell’Osservatore Romano nell’intervista al Corriere della Sera: un bel rimbrotto a Boffo e un’offerta di continuare come nulla fosse. Meglio una sola vittima che uno scontro dagli esiti imprevedibili. Era un prezzo sostenibile per pagare la pace politica e la tranquilla gestione dei problemi etici in discussione nel prossimo autunno - testamento biologico, pillola abortiva e così via. Ma la logica dello scambio richiedeva un passo analogo dall’altra parte: la parallela rimozione di Feltri dalla direzione del Giornale o almeno una smentita adeguatamente sdegnata da parte del suo padrone. Abbiamo visto com’è andata a finire. È finita che Boffo si è dimesso. Perché?
Sul piano umano possiamo ben capirlo: ed è questo l’unico piano comprensibile e condivisibile. La vittima designata non ha accettato il suo destino, non ha aspettato di essere dolcemente rimossa da mani curiali in tempi più tranquilli: si è tolta di mezzo da sola. Diciamo vittima con la piena consapevolezza che qui la parola è quella giusta. L’aggressione contro Boffo ha teso a distruggerne strumentalmente il ruolo sociale e la vita privata, sfruttando cinicamente il clima di linciaggio che il semplice sospetto di scelta o tendenza omosessuale sta scatenando oggi in Italia, indizio questo sì della malattia morale e della regressione nazistoide del paese. Quanto alle dimissioni, era stato monsignor Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli affari giuridici, che ne aveva formulato per primo l’ipotesi. Mogavero sapeva che le dimissioni sarebbero state intese come ammissione di colpa.
Lo sappiamo tutti: in Italia, fin dai tempi di Dante Alighieri, la parte offesa e ferita diventa nel grido collettivo la parte colpevole. Ma quali saranno da oggi le sedi opportune per accertare i fatti? E quali fatti ancora si dovrebbero accertare? Una cosa sola è chiara: con le dimissioni di Boffo si apre un vuoto: non solo fra le voci autorizzate e autorevoli della Chiesa-Potere e il titolare del potere politico e monopolista dei media italiani, ma anche all’interno dell’arcipelago che si chiama Chiesa in Italia o Chiesa italiana.
Adesso forse qualcuno tenterà ancora di chiudere la partita con qualche paroletta di solidarietà. Si potrà sempre battere una pacca consolatoria sulla spalla del dimissionario, contando sul fatto che tanto in Italia chi si dimette ha sempre torto. Si potrà dire che il direttore di Avvenire è stato oggetto di un «inqualificabile attacco mediatico» - questo il commento, per esempio, del cardinale Angelo Bagnasco.
Bagnasco è il presidente della Conferenza episcopale italiana e in quanto tale è responsabile della condotta di Avvenire e del suo direttore quasi quanto Silvio Berlusconi è responsabile delle scelte del Giornale di famiglia. L’attacco è inqualificabile ma non viene da un killer ignoto. Viene dall’impero italiano dei media ed è ascrivibile al suo padrone. Il contenzioso opporrà la Chiesa nelle sue molte forme ed espressioni italiane al presidente del Consiglio tanto più direttamente e immediatamente quanto più lo spazio tra i due è rimasto sgombro e vuoto.
E c’è qualcosa di grottesco nella scena che si profila: il dialogo tra un’entità teoricamente monolitica e governata da un Papa infallibile e ostile al relativismo, oggi diventata una Babele di linguaggi, e il capo di un governo teoricamente democratico che parla la lingua di un potere intollerante di ogni critica e si immagina nei panni fumettistici di un Super Supeman.
Benigni infiamma la festa Pd
di Andrea Carugati *
Seduti uno a fianco all’altro allo spettacolo di Benigni, Pierluigi Bersani e Dario Franceschini si godono uno dei rari momenti di serenità di queste settimane. «Robertaccio è riuscito a mettervi insieme...». «Sì. Faccio l’accordo unitario su di lui e non ci ritiriamo», propone Franceschini. E Bersani: «Della serie, vai avanti tu che mi viene da ridere... ». Chiacchiere e sorrisi a beneficio dei fotografi, accanto all’ex ministro c’è anche la riservatissima moglie Daniela. Roberto li aspetta al varco, i due candidati. Arriva parlando in genovese, «Belin», e punta subito dritto sulle escort di Berlusconi: «Paganelli, se dicevi che era un festino veniva Silvio direttamente da Villa Certosa con Alinghi». «Eh, Bersani, che record, abbiamo perso 4 milioni di voti, e Veltroni fra un po’ scriverà il libro “io” perché non c’è più nessuno. Bisogna che non si arrivi sotto il 2%, ieri mi sono iscritto e ero il 15esimo». «E poi quello che ci ha dato la linea è Fini, mentre Bersani l’ha data a quelli di Comunione e Liberazione...». «Da chi ci facciamo guidare. Da Pierluigi, Ignazio o da D’Addario? Quando sente questo nome Berlusconi trema... ». «Sì, si è un po incattivito, ha venduto Kakà e ha comprato Feltri: costa meno e sulle punizioni è molto piu bravo... e poi le veline su Boffo, lui ha avuto la solidarietà del Papa, Feltri quella del Papi».
«Di veline ne ha tantissime, è un vizio di famiglia, ne ha tantissime anche su Bersani e Franceschini, vedrete cosa uscirà. Silvo ha fatto bene a denunciare Repubblica e Unità, devono smettere di andare in giro a scrivere cose vere, se fossero false... ». E poi le feste: «Silvio perchè non mi inviti alle feste, alle orge con i vestiti di babbo Natale, tutti ignudi. Fede è stato beccato a fare l’amore con una pecora gonfiabile». «Ma io non voglio parlare dei fatti privati di Silvio, tipo la Costituzione, il lavoro, quelli sono fatti suoi, io parlo dei fatti pubblici, le mignotte». «Silviooo!! Dammene una di porcellona a cinque stelle!!», è il grido di Robertaccio.
«Ci sono le registrazioni e lui giura sui suoi figli che non è vero. Mi chiedo di chi sono i figli... ». «Ha paura», scherza Benigni. «Adesso non vuole che parlino nemmeno i portavoce dell’Europa. Ma quelli sono portavoce, come fanno a stare zitti?». L’Unità: «Ha fatto causa perché hanno scritto che ha problemi di erezione. Silvio non ti preoccupare, ce li ho anch’io. Come farà a dimostrare davanti al giudice che non ha problemi? È difficilissimo avere un’erezione davanti al giudice, io una volta c’ho provato... ». E Noemi? «Ha detto che il babbo era l’autista di Craxi, poi il cuoco di Berlinguer, poi l’idraulico di De Gasperi. Era così arrapato che ha fatto il conto alla rovescia con le candeline, appena ha compiuto 18 anni... non si teneva con questa potenza sessuale impressionante... ».
E le farfalline? «Ormai l’Italia è piena, Piero Angela ha fatto una puntata speciale di Super Quark... ». «E poi le fa diventare assessori o le manda in Europa, e le paghiamo noi. Ma Silvio con tutti i soldi che hai perché non le paghi tu?». «Vuol passare alla storia come Quinto Fabio Massimo, Silvio il trombatore». E Feltri? «Adesso ha una registrazione di Prodi del ‘71 con le gemelle Kessler e dice “Aspettami sul letto di De Mita”, e Bersani innamorato di Pupo che molesta la moglie col cellulare di D’Alema... ».
* l’Unità, 04 settembre 2009
Se non può comprare
di Concita De Gregorio (l’Unità, 02.09.2009)
Così siamo al dunque. Quel che non si può comprare né corrompere deve tacere. Eccola qui la strategia d’autunno: zittire con ogni mezzo il dissenso, che ormai questo è diventato il semplice dovere di cronaca e diritto di critica. Il presidente del Consiglio, lo avete letto, è in guerra in queste settimane con i commissari europei, con le gerarchie ecclesiastiche, con i giornali che nel nostro paese e nel mondo documentano le sue gesta. Non ci sono in Italia molti organi d’informazione che non dipendano direttamente o indirettamente dal suo favore, dal suo smisurato potere economico e dal suo potere di influenza e di minaccia. Premere, corrompere o comprare. Dove non si può pagare, allora uccidere.
Lo squadrismo mediatico di governo, forte di nuove reclute, è difatti al lavoro per distruggere le reputazioni dei giornalisti non a busta paga. Mezzi leciti e illeciti, menzogne, false prove, non importa. L’aggressione al direttore di Avvenire, che ieri persino Fini ha definito killeraggio. L’aggressione personale all’editore e al direttore di Repubblica, insieme la richiesta di risarcimento al giornale per aver posto dieci domande. L’Unità, unico quotidiano in Italia, le ha per due volte ripubblicate: è possibile giudicare diffamanti delle domande, non sarebbe doveroso rispondere? Il gruppo Prisa, editore del Paìs, è sotto offerta economica da parte di emissari spagnoli del premier.
Ecco adesso l’attacco all’Unità. Due richieste di danni per una somma complessiva di 3 milioni di euro riferite non a un articolo o a un commento ma a due numeri del giornale nella loro interezza. Due numeri in cui ad alcune delle dieci domande si offriva risposta. I temi: lo stato della trattativa tra governo e Vaticano (indulgenza sulla condotta del premier contro leggi gradite oltretevere), il divieto di usare le intercettazioni telefoniche come strumento di indagine, lo stato della guerra privata del premier contro Sky e i danni che agli italiani ne derivano. Servizi di cronaca e libere opinioni, del resto da molti giornali anche stranieri condivisi.
La novità, oggi, è che non si contesta un articolo ma un giornale intero. Una scrittrice, una editorialista, due giornaliste sono accusate insieme al direttore di aver concorso alla diffamazione che si dedurrebbe dal complesso generale dei loro scritti. È l’insieme che non gli piace. È il giornale: la sua linea, il suo tono.
Chiedere un milione per ogni numero suona come un avvertimento: potrebbe farlo ogni giorno. Non vuole giustizia in sede penale, non gli interessa stabilire se quegli articoli riferiscano il vero. Vuole soldi. Minaccia di chiederne così tanti da ridurci al silenzio. Non accadrà, se accadesse sarà per sua mano. Come durante il fascismo, come quando la censura imponeva i sigilli.
È venuto il momento non solo di una grande mobilitazione, necessaria ma non sufficiente. È il momento di opporre allo strapotere dei soldi la politica, che sia quella l’argine al declino della democrazia. È anche venuto il momento, cari cittadini, di sostenere con forza rinnovata chi si sottrae alla logica del plutocrate. Di dare più forza alle voci del dissenso, ogni giorno. Non tanto e non solo per noi, che dal 1924 abbiamo conosciuto stagioni peggiori. Per tutti, per l’Italia che verrà.
L’obiettivo di Silvio: scatenare l’offensiva prima che sia tardi
Attacco alla libera stampa per prevenire altre inchieste, nuovi scandali e processi delicati come per Dell’Utri. Con un pool di direttori fedeli e senza paura
di Rinaldo Gianola (l’Unità, 02.09.2009)
Milano, agosto 2009. La calura è insopportabile, tutto pare immobile. Tranne nel quartiere generale di Silvio Berlusconi dove si prepara la campagna d’autunno. Una sera, casualmente, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, le due stelle del giornalismo di destra ingaggiate con contratti che nemmeno Ronaldinho..., si incontrano al Matarel, ristorante milanese per uomini di potere con lo stomaco forte e la passione per la cassoeula. I due sono bergamaschi, gente di poche e chiare parole, anche un po’ incazzosi quando è il caso. Si stringono la mano, poche battute, qualche augurio, forse l’impegno a non farsi del male e via.
l’ombra di Feltri, poi si è emancipato pare dopo qualche vaffan...di evidente stampo padano. Sono i beneficiati, un po’ invidiati, del mercato estivo dei giornalisti. Mentre i quotidiani grandi e piccoli sono in difficoltà, nei giornali di destra volano quattrini e assunzioni. Feltri e Belpietro sono le star di questa campagna acquisti. Il primo lascia Libero, edito dagli Angelucci, per tornare alla direzione del Giornale, l’ex creatura di Indro Montanelli che chissà cosa direbbe oggi. Belpietro, invece, molla Panorama, settimanale una volta perla della Mondadori dove viene piazzato un fedelissimo di Cesare Previti: Giorgio Mulè, e si trasferisce a Libero al posto dell’amico. Il regista è Silvio Berlusconi il quale riceve Belpietro e gli garantisce il mantenimento della sua trasmissione mattutina su Canale 5. Una concessione che fa incavolare Feltri che vorrebbe, pure lui, una bella finestra televisiva.
Lo spostamento dei direttori della carta stampata di destra è complementare con le nuove direzioni al Tg1 e al Tg2 dove Berlusconi ha promosso Augusto Minzolini e Mario Orfeo, naturalmente con il voto favorevole del presidente di garanzia, Paolo Garimberti. Berlusconi vuole mettere la sordina alla storia del divorzio dalla moglie Veronica, non ne può più di farsi chiamare «Papi», non sopporta la Patrizia e quelle amiche che entrano a palazzo Grazioli e scattano foto e registrano le conversazioni private. E poi ci sono quei rompiballe di Repubblica con la storia delle dieci domande che finiscono sulla stampa straniera. Bisogna passare all’attacco, preparare in anticipo l’autunno che si annuncia denso di prove impegnative. Nell’entourage del premier si teme che ci siano in giro altre fotografie, altre conversazioni compromettenti. Forse qualche inchiesta di una magistratura non ancora normalizzata. Si temono le critiche della Chiesa. Questo stillicidio deve finire. C’è bisogno di direttori fidati e senza paura perché l’autunno sarà impegnativo non solo per Berlusconi, ma anche per i suoi amici, come il senatore bibliofilo Dell’Utri che attende il nuovo processo dopo la prima condanna per mafia. Roba pesante che deve essere maneggiata da uomini esperti. Berlusconi vuole reagire subito, portare la guerra nel campo avversario, minacciare e sanzionare la libera stampa e chi non si adegua. Feltri e Belpietro partono subito in quarta, pienamente allineati con la linea Berlusconi. Belpietro si scatena sulla famiglia Agnelli, Feltri si supera e giganteggia con il caso Boffo-Avvenire che nemmeno il suo amico l’agente Betulla, il parlamentare Farina, avrebbe saputo fare meglio. Si rovista a piene mani nelle vicende personali e familiari, comprese le modalità di acquisto di un’abitazione da parte del direttore di Repubblica, Ezio Mauro. Ma siamo solo all’inizio, girano voci su nuovi filoni «d’inchiesta» di Feltri e Belpietro come certi viaggi all inclusive con noti imprenditori e direttori di giornali. A ognuno il suo.
A noi dell’Unità è toccata una richiesta danni di tre milioni da parte del premier perché non ha gradito i nostri articoli. In tempi normali sarebbe una medaglia al valore. Oggi, invece, è una vera minaccia: bisogna vedere se ce la caviamo❖
AVVENIRE, BOFFO SI E’ DIMESSO
ROMA - Dino Boffo si è dimesso dalla direzione di Avvenire con una lettera inviata al card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. "Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora per giorni e giorni una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani". Lo scrive Dino Boffo nella lettera al card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella quale presenta le dimissioni "irrevocabili" e "con effetto immediato" sia da Avvenire che dalla tv dei vescovi Tv2000 e da Radio Inblu.
"La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni - prosegue -, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere".
"Se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti e per quanto possibile, nella dialettica del giudizio, collaborativi, quale futuro di libertà e responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione?", chiede Boffo.
"Grazie a Dio, nonostante le polemiche, e per l’onestà intellettuale prima del ministro Maroni e poi dei magistrati di Terni, si è chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata", aggiunge.
Nella sua lettera di dimissioni, il direttore di Avvenire Dino Boffo afferma che sulla sua testa si é combattuta una guerra tra gruppi di potere e editoriali. Ma "Feltri non si illuda - avverte Boffo -. C’é già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione", che è diventata "qualcosa di più articolato".
STAMPA CATTOLICA, GIORNATE ORRIBILI PER GIORNALISMO - L’Unione della stampa cattolica definisce "giornate orribili per il giornalismo italiano" quelle appena trascorse, dominate dalla vicenda Giornale-Boffo. "Si usano i giornali come strumenti di lotta politica e come pugnali per colpire alla schiena gli avversari del momento, come ha fatto Vittorio Feltri contro Dino Boffo - si legge in una nota pubblicata sul sito dell’Unione e diffusa anche dal Sir, agenzia della Cei - al quale i giornalisti dell’ Ucsi esprimono piena solidarietà umana e professionale". "La tecnica di infangare chi esprime legittime e libere posizioni anche scomode per determinati poteri, utilizzando fonti anonime e non controllate (quando la veridicità delle fonti è notoriamente un principio base del giornalismo) - afferma l’Ucsi - è stata usata come un avvertimento minaccioso, forse diretto in particolare al mondo cattolico italiano. E’ una tecnica ripetibile che deve essere stroncata sul nascere prima che dilaghi nella lotta politica, rischiando di uccidere un giornalismo che innanzitutto rispetti la dignità della persona, il diritto dei lettori ad essere correttamente informati, la pluralità delle posizioni e non consideri le ’notizie’ come un manganello".
SU AVVENIRE "LE DIECI FALSITA’" DEL GIORNALE - Il direttore di Avvenire, Dino Boffo, pubblica oggi in penultima pagina del giornale, con richiamo in prima, un elenco di "dieci falsità" attribuite al Giornale di Vittorio Feltri, che sette giorni fa ha rivelato una vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto anni addietro. Nella rubrica "il direttore risponde", che affianca una pagina e mezza di lettere di solidarietà come accade da alcuni giorni, Boffo contesta una per una le accuse emerse in questi giorni, scegliendo una formula che ricorda le "dieci domande" di Repubblica al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Queste le 10 osservazioni del direttore del giornale dei vescovi: primo, la definizione di "noto omosessuale" non trova alcun riscontro nei documenti giudiziari.
Secondo, Boffo non è stato "attenzionato" per le suddette inclinazioni, come ha chiarito il ministro dell’Interno, negando che esista alcuna forma di "schedatura".
Terzo, non c’é mai stata una querela contro Boffo da parte di una signora di Terni, perché la denuncia era stata presentata "contro ignoti da soggetti che ben conoscevano Boffo e la voce di Boffo e che, quando hanno scoperto che era stato ipotizzato il coinvolgimento del cellulare in uso al suo ufficio, hanno rimesso la querela".
Quarto, non ci sono mai state intercettazioni, ma solo tabulati delle telefonate partite da un cellulare di Boffo. Quinto, il direttore di Avvenire conosceva la donna vittima delle molestie, che avrebbe quindi riconosciuto la sua voce se fosse stato lui a fare quelle chiamate. Sesto, non è vero che Boffo ha scaricato le accuse su una terza persona, ma ha solo dichiarato ai magistrati che quel telefono avrebbe potuto essere utilizzato da altri.
Settimo, non ci sono state "intimidazioni" né molestie a sfondo "sessuale", parola semmai riferita negli atti, come ha specificato il gip di Terni, ai rapporti tra la donna e il suo compagno.
Falso è anche , scrive il direttore di Avvenire all’ottavo punto, che lui si sia mai detto colpevole offrendosi di patteggiare la pena. "Boffo non ha patteggiato alcunché e ha sempre rigettato l’accusa di essere stato autore di telefonate moleste". Aveva invece pagato l’ammenda ritenendola "una semplice remissione amministrativa conseguente agli effetti della remissione della querela.
Boffo contesta infine di aver mai reso pubbliche "ricostruzioni" della vicenda, né chiamato in causa "nessun’altra persona, nessun ente e istituzione" e "nonostante il pesantissimo attacco diffamatorio del Giornale non intende consegnare niente e nessuno al tritacarne mediatico da questo generato e coltivato". Infine, Boffo ribadisce che la "nota informativa" citata dal Giornale altro non è che "una lettera anonima diffamatoria".
"Un attacco capzioso e feroce"
qualcuno dovrà spiegare"
Ecco il testo integrale della lettera con la quale Dino Boffo ha rassegnato le dimissioni dalla direzione di ’Avvenire’
ROMA - Dino Boffo si è dimesso dalla direzione del quotidiano dei vescovi "Avvenire". Ecco il testo integrale della sua lettera di dimissioni inviata al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
"Da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere. L’attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce che è stato sferrato contro di me dal quotidiano ’Il Giornale’ guidato da Feltri e Sallusti, e subito spalleggiato da ’Libero’ e dal ’Tempo’, non ha alcuna plausibile, ragionevole, civile motivazione: un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l’ha oggi e non l’avrà domani".
"Qualcuno, un giorno, dovrà pur spiegare perchè ad un quotidiano, ’Avvenire’, che ha fatto dell’autonomia culturale e politica la propria divisa, che ha sempre riservato alle istituzioni civili l’atteggiamento di dialogo e di attenta verifica che è loro dovuto, che ha doverosamente cercato di onorare i diritti di tutti e sempre rispettato il responso elettorale espresso dai cittadini, non mettendo in campo mai pregiudizi negativi, neppure nei confronti dei governi presieduti dall’onorevole Berlusconi, dovrà spiegare, dicevo, perchè a un libero cronista, è stato riservato questo inaudito trattamento.
"E domando: se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti, e per quanto possibile, nella dialettica del giudizio, collaborativi, quale futuro di libertà e di responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione? Quando si andranno a rileggere i due editoriali firmati da due miei colleghi, il ’pro’ e ’contro’ di altri due di essi, e le mie tre risposte ad altrettante lettere che ’Avvenire’ ha dedicato durante l’estate alle vicende personali di Silvio Berlusconi, apparirà ancora più chiaramente l’irragionevolezza e l’autolesionismo di questo attacco sconsiderato e barbarico".
"Grazie a Dio, nonostante le polemiche, e per l’onestà intellettuale prima del ministro Maroni e poi dei magistrati di Terni, si è chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata. Fin dall’inizio si era trattato d’altro.
"Questa risultanza è ciò che mi dà più pace, il resto verrà, io non ho alcun dubbio. E tuttavia le scelte redazionali che da giorni taluno continua accanitamente a perseguire nei vari notiziari dicono a me, uomo di media, che la bufera è lungi dall’attenuarsi e che la pervicace volontà del sopraffattore è di darsi ragione anche contro la ragione. Un dirigente politico lunedì sera osava dichiarare che qualcuno vuole intimorire Feltri; era lo stesso che nei giorni precedenti aveva incredibilmente affermato che l’aggredito era proprio il direttore del ’Giornale’, e tutto questo per chiamare a raccolta uomini e mezzi in una battaglia che evidentemente si vuole ad oltranza".
"E mentre sento sparare i colpi sopra la mia testa mi chiedo: io che c’entro con tutto questo? In una guerra tra gruppi editoriali, tra posizioni di potere cristallizzate e prepotenti ambizioni in incubazione, io, ancora, che c’entro? Perchè devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all’ombra di questa mia piccola vicenda? E perchè, per ricostruire fatti che si immaginano fatalmente miei, devo veder scomodata una girandola di nomi, di persone e di famiglie, forse anche ignare, che avrebbero invece il sacrosanto diritto di vedersi riconosciuto da tutti il rispetto fondamentale? Solo perchè sono incorso, io giornalista e direttore, in un episodio di sostanziale mancata vigilanza, ricondotto poi a semplice contravvenzione?
"Mi si vuole a tutti i costi far confessare qualcosa, e allora dirò che se uno sbaglio ho fatto, è stato non quello che si pretende con ogni mezzo di farmi ammettere, ma il non aver dato il giusto peso ad un reato ’bagatellare’, travestito oggi con prodigioso trasformismo a emblema della più disinvolta immoralità.
"Feltri non si illuda, c’è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli attentamente i giornali, in questi giorni, non si menavano solo fendenti micidiali, l’operazione è presto diventata qualcosa di più articolato. Ma a me questo, francamente, interessa oggi abbastanza poco. Devo dire invece che non potrò mai dimenticare, nella mia vita, la coralità con cui la Chiesa è scesa in campo per difendermi: mai - devo dire - ho sentito venir meno la fiducia dei miei Superiori, della Cei come della Santa Sede.
"Se qualche vanesio irresponsabile ha parlato a vanvera, questo non può gettare alcun dubbio sulle intenzioni dei Superiori, che mi si sono rivelate sempre esplicite e, dunque, indubitabili. Ma anche qui non posso mancare di interrogarmi: io sono, da una vita, abituato a servire, non certo a essere coccolato o ancor meno garantito. La Chiesa ha altro da fare che difendere a oltranza una persona per quanto gratuitamente bersagliata".
"Per questi motivi, Eminenza carissima, sono arrivato alla serena e lucida determinazione di dimettermi irrevocabilmente dalla direzione di ’Avvenire’, ’Tv2000’ e ’Radio Inblu’, con effetto immediato. Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora, per giorni e giorni, una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani, quasi non ci fossero problemi più seri e più incombenti e più invasivi che le scaramucce di un giornale contro un altro.
"E poi ci lamentiamo che la gente si disaffeziona ai giornali: cos’altro dovrebbe fare, premiarci? So bene che qualcuno, più impudico di sempre, dirà che scappo, ma io in realtà resto dove idealmente e moralmente sono sempre stato. Nessuna ironia, nessuna calunnia, nessuno sfregamento di mani che da qui in poi si registrerà potrà turbarmi o sviare il senso di questa decisione presa con distacco da me e considerando anzitutto gli interessi della mia Chiesa e del mio amato Paese. In questo gesto, in sè mitissimo, delle dimissioni è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta.
"In questi giorni ho sentito come mai la fraternità di tante persone, diventate ad una ad una a me care, e le ringrazio della solidarietà che mi hanno gratuitamente donato, e che mi è stata preziosa come l’ossigeno. Non so quanti possano vantare lettori che si preoccupano anche del benessere spirituale del ’loro’ direttore, che inviano preghiere, suggeriscono invocazioni, mandano spunti di lettura: io li ho avuti questi lettori, e Le assicuro che sono l’eredità più preziosa che porto con me. Ringrazio sine fine le mie redazioni, in particolare quella di ’Avvenire’ per il bene che mi ha voluto, per la sopportazione che ha esercitato verso il mio non sempre comodo carattere, per quanto di spontanea corale intensa magnifica solidarietà mi ha espresso costantemente e senza cedimenti in questi difficili giorni. Non li dimenticherò. La stessa gratitudine la devo al Presidente del CdA, al carissimo Direttore generale, ai singoli Consiglieri che si sono avvicendati, al personale tecnico amministrativo e poligrafico, alla mia segreteria, ai collaboratori, editorialisti, corrispondenti.
"Gli obiettivi che ’Avvenire’ ha raggiunto li si deve ad una straordinaria sinergia che puntualmente, ogni mattina, è scattata tra tutti quelli impegnati a vario titolo nel giornale. So bene che molti di questi colleghi e collaboratori non condividono oggi la mia scelta estrema, ma sono certo che quando scopriranno che essa è la condizione perchè le ostilità si plachino, capiranno che era un sacrificio per cui valeva la pena.
"Eminenza, a me, umile uomo di provincia, è capitato di fare il direttore del quotidiano cattolico nazionale per ben 15 degli straordinari anni di pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI: è stata l’avventura intellettuale e spirituale più esaltante che mi potesse capitare. Un dono strepitoso, ineguagliabile. A Lei, Eminenza carissima, e al cardinale Camillo Ruini, ai segretari generali monsignor Betori e monsignor Crociata, a ciascun Vescovo e Cardinale, proprio a ciascuno la mia affezione sconfinata: mi è stato consentito di essere, anzi sono stato provocato a pormi quale laico secondo l’insegnamento del Concilio, esattamente come avevo studiato e sognato negli anni della mia formazione.
"La Chiesa mia madre potrà sempre in futuro contare sul mio umile, nascosto servizio. Il 3 agosto scorso, in occasione del cambio di direzione al quotidiano ’Il Giornale’, scriveva Giampaolo Pansa: ’Dalla carta stampata colerà il sangue e anche qualcosa di più immondo. E mi chiedo se tutto questo servirà a migliorare la credibilità del giornalismo italiano. La mia risposta è netta: no. Servirà soltanto a rendere più infernale la bolgia che stiamo vivendo’. Alla lettura di queste righe, Eminenza, ricordo che provai un certo qual brivido, ora semplicemente sorrido: bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po’ meno arie e imparassimo ad essere un po’ più veri secondo una misura meno meschina dell’umano. L’abbraccio, con l’ossequio più affettuoso".
Firmato, Dino Boffo
* la Repubblica, 3 settembre 2009
BOFFO: FELTRI, NULLA DI CUI SCUSARMI *
ROMA - "Chiedere scusa? A chi e per cosa non capisco". Il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, non retrocede di un passo nella vicenda delle rivelazioni sul direttore di Avvenire, Dino Boffo, e a Radio Anch’io su Radiouno spiega: "Non ho nessuna arma se non la penna e da questa vicenda traggo un unico insegnamento: che in Italia si può parlare male solo di alcuni ma se si alzano gli altarini di altri si viene sommersi dagli insulti". Feltri difende il documento che ha pubblicato su Boffo: "non é una velina ma un decreto penale di condanna in cui si accenna a molestie a sfondo anche sessuale. C’é una velina, ma non è questa, fatta circolare dai servizi segreti del Vaticano".
Respinge, il direttore del Giornale, le accuse di fare vendette ma ribadisce che la vita privata di Boffo è importante perché "non è un cittadino qualsiasi ma il direttore del giornale della Cei, ovvero il portavoce del Vaticano". E sottolinea di essersi occupato di questa vicenda nel momento in cui "finalmente ho avuto - dice Feltri - le carte di una cosa che si sapeva ma non si poteva scrivere senza le prove". Di diverso avviso il direttore dell’Unità, Concita De Gregorio, ospite della trasmissione con il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, e del Riformista, Antonio Polito. Per De Gregorio "non si possono paragonare posizioni come quella di un privato cittadino con il presidente del consiglio perché è ovvio che chi si rivolge al premier lo fa per ottenere qualcosa". Per Polito invece l’errore di Feltri in questa vicenda è nel fatto che "tu dici che Boffo sarebbe noto omosessuale mentre questo non risulta da nessuna parte. Ribatte Feltri: "gli atti ci sono, peccato che gli atti li può tirare fuori solo Boffo che sa quello che è accaduto".
PADRE LOMBARDI: FELTRI VUOLE CONFONDERE CON FALSE ACCUSE
Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha smentito "nel modo più categorico" l’affermazione fatta oggi dal direttore del Giornale, Vittorio Feltri, in una trasmissione radiofonica secondo la quale la velina diffusa sul caso Boffo proverrebbe dalla Gendarmeria Vaticana. "Smentisco nel modo più categorico questa infondata affermazione. Viene il sospetto - aggiunge Lombardi - che vi sia una intenzione di fomentare confusione diffondendo false accuse". In realtà nel suo intervento Feltri aveva parlato di "servizi segreti del Vaticano", entità in realtà inesistente - ha osservato il portavoce vaticano - precisando che, se Feltri si riferiva ai servizi di sicurezza vaticani, questi spettano alla Gendarmeria.
PAPA A BAGNASCO: STIMO CEI E SUO PRESIDENTE
Una telefonata e’ intercorsa oggi pomeriggio tra Benedetto XVI e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Angelo Bagnasco. Nel corso della conversazione - riferisce una nota dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei - il Papa ’ha chiesto notizie e valutazioni sulla situazione attuale ed ha espresso stima, gratitudine ed apprezzamento per l’impegno della Conferenza Episcopale Italiana e del Suo Presidente’.
BOFFO: VATICANO CONFERMA SOLIDARIETA’ BERTONE - Il segretario di Stato vaticano, card.Tarcisio Bertone, ha parlato con il direttore di Avvenire Dino Boffo, "manifestandogli la sua vicinanza e solidarietà". Lo ha confermato il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, precisando che l’iniziativa è stata presa da Bertone nella sua qualità di segretario di stato vaticano. "I tentativi di contrapporre la segreteria di Stato e la Conferenza episcopale" italiana "non hanno consistenza", ha affermato Lombardi.
GUP: NO ACCESSO AD ATTI, SOLO DECRETO PENALE
No a un accesso indiscriminato agli atti del procedimento che a Terni ha coinvolto Dino Boffo da parte del gip di Terni Pier Luigi Panariello che ha autorizzato i giornalisti a fare copia solo del decreto penale con il quale il direttore di Avvenire è stato condannato a un’ammenda di 516 euro per molestie personali. A comunicare ai cronisti la decisione è stato poco fa lo stesso giudice.
La macina da appendersi al collo
Sulla vicenda dell’attacco al direttore di Avvenire e su due articoli del giornalista Pino Nicotri
di Giovanni Sarubbi
In principio (o meglio, all’Inizio) [ 1991] *
Omosessualità, pedofilia e atre “perpetue” questioni (con tutte le loro devastanti implicazioni) assillano da secoli la vita istituzionale della Chiesa Cattolica. Ma da sempre si preferisce negare, razionalizzare, “occultare e mascherare - generalmente senza successo - l’umanità di scandali e mezzi scandali fin troppo umani all’interno della cristianità”(1).
Fare i conti e bene con la donna è stato sempre vietato. Riconoscere fondamentalmente che senza il libero e decisivo sì della donna (Maria) non sarebbe nato non solo Cristo ma nemmeno la Chiesa, per l’uomo della stessa Chiesa è paradossalmente “scandalo e follia”.
Alla vigilia del terzo millennio dopo Cristo, si gioca ancora ad opporre “autorità” e “tradizione” allo spirito di libertà del messaggio eu-angelico.
E’ vero che certe “squallide” omelie contro la metà e più del genere umano non fanno più un baffo a nessuno, e non si collocano oggi, per la loro impotenza e rabbia, né sul piano della cultura cristiana né sul piano della cultura umana semplicemente (almeno in linea di principio e in generale), ma è altrettanto vero che le varie e innumerevoli persuasioni “diaboliche” sulla donna dovrebbero essere messe al bando, come le armi atomiche e simili. Dalla misoginia al ginocidio, come al genocidio, il passo non è lungo: la caccia alle streghe e l’Inquisizione, come Auschwitz e Hiroshima, non sono incidenti di percorso.
“Il deserto cresce” (Nietzsche) - in tutti i sensi, e non si può continuare come si è sempre fatto. Non abbiamo tempo, non più né molto. Tutta una mentalità di secoli deve essere messa sottosopra e l’intera società deve essere riorganizzata. Non ci sono altre strade. Bisogna pensare ancora, di nuovo e in altro modo - Dio, uomo e mondo. E a partire proprio da noi, da noi tutti.
Ad esempio, oggi non è possibile - è un’offesa all’intelligenza (Lorenzo Valla cosa ci ha insegnato?) e il segno di una tracotante perseveranza - continuare a “tradurre il racconto della creazione della donna con: Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto che gli sia simile. Il testo originale ebraico dice: Gli farò un aiuto che sia l’altro di lui”. La differenza non è affatto innocente.
Come fa notare la teologa Wilma Gozzini che ha denunciato tale “vergognosa” situazione e che più volte ha “chiesto la correzione” di questo e altri passaggi del testo biblico (2), essa veicola tutt’altra visione della donna e del rapporto uomo-donna. “La donna è l’altro dell’uomo, uguale per diritti e doveri, ma anche diversa [...] L’altro che sta faccia a faccia è inquietante e scomodo e apre una sola alternativa. O lo si accoglie come unica possibilità data per vivere umanamente la propria storia, o lo si nega, assimilandolo - facendo simile ciò che altro - neutralizzando così l’alterità, non riconoscendogli autorità ma sottomissione, negandogli uguaglianza”.
Questo è il nodo da sciogliere e la sfida da accogliere. Si tratta, invero, di andare avanti coraggiosamente sulla strada indicata dallo stesso Giovanni Paolo II e trarre tutte le conseguenze dalla sua magisteriale convinzione, che il peccato originale “non può essere compreso adeguatamente senza riferirsi al mistero della creazione dell’essere umano - uomo e donna - a immagine e somiglianza di Dio”, e che nella “non-somiglianza con Dio [...] consiste il peccato (3).
Infatti, se è così, non si può continuare (o lasciare che la situazione resti) come prima. Non è più concepibile che “l’apertura all’altro e il dono di sé, che dovrebbero essere la libera e vitale disposizione dell’essere umano in quanto tale, diventano una norma vincolante per una parte sola dell’umanità: il sesso femminile” (4); o, diversamente, che si neghi alla donna auto- possesso e auto-determinazione come autorità e uguaglianza. Questo è semplicemente satanico, cioè un ostacolo sulla strada dell’amore, della pace e della comprensione.
A tutti i livelli, e ad ogni modo, intestardirsi a “voler intendere la pura relazione [quella tra l’Io e il Tu, fls] come dipendenza significa voler svuotare della sua realtà uno dei portatori della relazione, e con ciò la relazione stessa”. Non altro.
Note:
1. Cfr. H. Kung, Essere cristiani, Milano, Mondadori, 1976, p. 19.
2. Cfr. W. Gozzini, Dio un po’ più materno? Suvvia..., “L’Unità” del 4.10.1990, p. 1. A riguardo, si cfr. anche M.C: Jacobelli, Il “Risus paschalis” e il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, Queriniana, 1990, p. 98.
3. Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, pf. 9.
4. Cfr. C. Mancina, La Chiesa e la donna peccatrice, “L’Unità” del 10.12.1989, p.1.
5. Cfr. Buber, Il principio dialogico, Milano, Comunità, 1959, p. 74. Su questo tema, inoltre, cfr. I. Magli, Gesù di Nazaret. Tabù e trasgressione, Milano, Rizzoli, 1987, particolarmente il cap. IV e la conclusione.
* Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, "Introduzione" pp. 9-11.
* Sul tema, nel sito, si cfr.: