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LESSING IL SAGGIO. LA "RELIGIONE DELL’UMANITA’" E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO. Un lavoro del prof. Franco Toscani - a cura di Federico La Sala

lunedì 7 luglio 2008.
 


-  LESSING, LA "RELIGIONE DELL’UMANITA’" E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

-  1. La lotta per l’umanità e la verità in Lessing
-  2. Virtù e prassi evangelica. La critica della filosofia e della teologia nello scritto sugli Herrnhuter
-  3. Società e politica, etica e antropologia in Lessing. La ‘ontologia della massoneria’
-  4. Lessing, la massoneria e l’enigma della storia umana
-  5. La ‘religione dell’umanità’ di Lessing, l’ebraismo e il cristianesimo
-  6. Ragione e rivelazione in Lessing
-  7. La polemica Lessing-Goeze. La libertà della ragione contro il fanatismo
-  8. La legge dell’amore e l’ “elemento beatificante” nelle religioni
-  9. L’umanismo di Lessing-Nathan, l’Oriente e il dialogo interreligioso

-  di Franco Toscani *

-  1. La lotta per l’umanità e la verità in Lessing

Lo spirito più profondo del pensiero e dell’opera di Lessing, della sua lotta per la verità e per l’umanità è espresso in un celebre passo dall’evidente ispirazione socratica, tratto da Eine Duplik (Una controreplica, 1778):

-  “Non la verità di cui un uomo è o si crede in possesso, ma il sincero sforzo per giungervi, determina il valore del singolo. Infatti, le sue forze conseguono un miglioramento non in virtù del possesso della verità, ma della sua ricerca e soltanto in questo consiste il sempre crescente perfezionamento umano. Il possesso rende quieti, pigri e presuntuosi...
-  Se Dio tenesse nella sua mano destra tutta la verità e nella sinistra il solo eterno impulso verso la verità, seppur con la condizione di dover andar errando per l’eternità, e mi dicesse: scegli! io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra e direi: concedimi questa, o Padre! La verità pura è soltanto per te!”(1).

Per Lessing, anche quando siamo nella verità e ne respiriamo l’aria, non solo non la possediamo mai interamente, ma non guadagniamo mai la verità solo per noi stessi, esibendola come se fosse un trofeo. Lottiamo per e ricerchiamo la verità nell’interesse e al servizio della verità stessa e di tutti, nella collaborazione, nel confronto, nel dialogo e nello scontro con gli altri. Il grande illuminista tedesco fu in questo modo impegnato in tutti gli Streiten che si susseguirono tra il XVIII e il XIX secolo: Fragmentenstreit, Pantheismusstreit, Atheismusstreit (2).

Nella Rettung des Hieronymus Cardanus (Riabilitazione di Gerolamo Cardano, 1752, pubblicata nel 1754) Lessing è inequivocabile nel ribadire che nella ricerca della verità non è lecito sfruttare a proprio vantaggio i punti deboli e l’ignoranza del proprio avversario. Nella lotta per la verità la parte vincente non vince mai solo per sé, ma per tutti, anche per il proprio avversario, se questi ha il coraggio intellettuale di riconoscere i propri limiti ed errori: “La parte perdente non perde se non gli errori, e può in ogni momento diventare partecipe della vittoria dell’altra. La probità è quindi il primo requisito ch’io chiedo a un filosofo. Nessun dato egli deve passare sotto silenzio per il tacito motivo che quel dato forse si accorda meno con il proprio sistema che con il sistema altrui; e nessuna obiezione per il motivo ch’egli forse non riesce a controbatterla con forza adeguata. Se si comporta diversamente, allora è chiaro ch’egli stravolge la verità a proprio tornaconto e la vuole rinchiudere negli angusti limiti delle proprie pretese di infallibilità” (RU 29, OF 390).

Probità, sincerità, onestà, rigore, sobrietà, coraggio intellettuale sono dunque le principali caratteristiche del filosofo: anche queste indicazioni lessinghiane sono di attualità sconcertante se solo pensiamo al malcostume, ai pettegolezzi, alle invidie, alle meschinità, ai colpi bassi, ai rancori più o meno sordi ancor oggi largamente diffusi nel mondo intellettuale. Il suo motto fu, come leggiamo all’inizio di Das Testament Johannis (1777): “Die grösste Klarheit war für mich immer die höchste Schönheit” (“La massima chiarezza fu per me sempre la più alta bellezza”, OF 549, trad. it. leggermente modificata).

Nelle pagine che Goethe (in una lettera a Eckermann del 25 ottobre 1825, poi pubblicata nei Gespräche mit Goethe di Eckermann) e Mann (nel Discorso intorno a Lessing, 1929) dedicarono a Lessing - Mann parla fra l’altro di un “pathos della verità, quale forse non ritornerà con pari bellezza una seconda volta nella storia dello spirito umano” - si avverte non solo l’ammirazione per le straordinarie doti intellettuali dell’uomo, per la sua cultura e intelligenza, ma soprattutto per il suo carattere, per l’integrità della persona, per la sua Ehrlichkeit.

Lessing fu, come ha scritto Ladislao Mittner nella sua Storia della letteratura tedesca, un “campione risoluto, intransigente, eroico della verità. La lotta per la verità, anche per verità di valore in sé trascurabile, era per lui cosa sacra; usare in ogni attimo della vita la facoltà raziocinante ed affinarla attraverso l’esercizio diuturno costituiva il solo scopo degno dell’uomo, la sua maniera di dimostrare la gratitudine che si doveva a Dio per il dono supremo della ragione. Illuminismo sostanziale, dunque, e soprattutto energetico, volto sempre verso l’azione”(3).

Non scarseggiano gli intellettuali colti e intelligenti, scarseggiano invece ancor oggi gli intellettuali che coniugano indissolubilmente - come ha fatto il nostro Aufklärer con la sua preferenza per la “mano sinistra di Dio” - verità e umanità, pathos per l’umanità e pathos per la verità. Scarseggiano l’amore per il mondo e l’amicizia autentica, a proposito della quale egli osservò nel primo dialogo di Ernst und Falk. Gespräche für Freimäurer (Ernst e Falk. Dialoghi per massoni, 1778-1780): “Nichts geht über das Lautdenken mit einem Freunde” (“Nulla vale più del pensare ad alta voce con un amico”, OF 664).

E’ stata Hannah Arendt - in Von der Menschlichkeit in finsteren Zeiten. Gedanken zu Lessing (L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing), il discorso pronunciato nel 1959 in occasione del conferimento del Premio Lessing - a sostenere giustamente che il Selbstdenken (pensare da sé) di Lessing va inteso non come l’attività di un individuo chiuso e solitario, ma come apertura al mondo, libertà di movimento nel mondo e in relazione all’azione nel mondo, antidoto contro la Weltlosigkeit (mancanza di mondo), l’acosmia. E’ ancora Arendt a sottolineare il tema dell’amicizia in Lessing, dove l’amicizia non viene intesa come fenomeno di mera intimità, ma nella sua rilevanza politica, come “disponibilità a condividere il mondo con altri uomini”(4).

L’uomo compassionevole e amichevole è per Lessing der beste Mensch, che è anche e soprattutto per lui l’uomo della prassi, innanzi tutto del cuore e del sentimento, senza prassismo cieco e furioso. Davvero, così, anche noi ripetiamo con grande convinzione assieme a Goethe che un intellettuale come Lessing “ci manca”. Lo stile di Lessing si ravvisa con grande evidenza anche in uno scritto “minore” come Ueber eine zeitige Aufgabe (Su un compito attuale, 1776, RU 55-62), dove, nel muovere un duro attacco all’esaltazione visionaria e all’ “entusiasmo” dei fanatici, da un lato prende le distanze con decisione dall’ “entusiasmo della speculazione” teologico-filosofica (distinguendolo dal positivo e necessario “entusiasmo della rappresentazione” degli artisti e dei creatori di cultura), d’altro lato cerca di scorgere anche tra gli Schwärmer (visionari) gli “uomini coraggiosi che si entusiasmano per i diritti dell’umanità”, dichiarandosi pronto a unirsi a costoro, “quando l’epoca e le circostanze glielo imponessero, (...) altrettanto volentieri di quanto tra le sue quattro mura si dedica all’analisi delle idee” (cfr. RU 61). Qui il sangue freddo, la lucidità e il rigore propri del filosofo non si trasformano mai in aridità, lontananza dal mondo, disprezzo della praxis, mancanza di passione per l’umanità e la verità.

In molti suoi scritti si intravedono il disagio e la solitudine dell’intellettuale a causa della censura e del meccanismo dell’autocensura, della mancanza di un clima effettivo di libertà di pensiero, di stampa e di espressione, in cui fosse consentito esprimere schiettamente ogni tipo di proposta e di obiezione. Egli proseguì insieme con coraggio, prudenza e avvedutezza la sua difficile lotta solitaria di pensatore, dichiarandosi non teologo, ma amante della teologia, senza aderire mai ad alcun sistema determinato. A proposito degli scritti teologico-filosofici di Lessing, “fra le sue opere più ardite, nobili e vive” (su cui in questa sede soffermiamo la nostra attenzione), ancora Mittner ha rilevato che il loro autore “si vide più che mai costretto a giuocare d’astuzia, svelando e velando insieme il suo pensiero, dissimulando accortamente e spesso sarcasticamente le sue vere intenzioni, servendosi dell’incognito e soprattutto nascondendosi dietro a figure del passato, di cui dichiarava di condividere soltanto in parte o di non condividere affatto le idee. Di qui la drammaticità delle sue schermaglie teologiche, che sono modelli insuperati nel suo genere. L’amore più intransigente della verità e la gioia di combattere per essa vi si fondono con un sottile gusto della dissimulazione”(5).

2. Virtù e prassi evangelica. La critica della filosofia e della teologia nello scritto sugli Herrnhuter

Folgorante è l’esordio teologico-filosofico di Lessing, col breve scritto Gedanken über die Herrhnuter (Pensieri sugli Herrhnuter) del 1750, composto a soli 21 anni. Gli Herrnhuter erano una comunità religiosa - caratterizzata da tolleranza, libertà di coscienza, fratellanza evangelica, spirito comunitario tendenzialmente democratico - formata prevalentemente da esuli protestanti moravi che, nel XVIII secolo, dopo essere stati perseguitati nella Boemia asburgico-cattolica, avevano trovato rifugio in Lusazia. In questi Gedanken Lessing parla in realtà poco degli Herrnhuter, si schiera con decisione contro la logica del più forte e potente, denuncia i molti mali e ingiustizie del mondo, manifesta una grande tensione alla giustizia, la coscienza della irrazionalità e stupidità delle guerre.

Egli rimpiange i tempi in cui “l’individuo più virtuoso era anche il più sapiente” (RU 4), “l’intera saggezza consisteva in brevi regole di vita”, come nei detti dei sette sapienti dell’antica Grecia, contenenti “verità che ciascuno comprende, ma che non tutti possono praticare”; per filosofi come i pitagorici, inclini ad azzardare “voli temerari” su di un “labirinto di misteri” e restii a porsi il problema della virtù, tali verità sono “cibo troppo leggero. Il cielo, dapprima oggetto della loro meraviglia, divenne il campo delle loro congetture” (OF 368).

Il Socrate caro a Lessing ammonisce gli uomini ispirato dalla verità divina, invita a non imitare i pitagorici e a considerare che il cielo non è a misura umana, dunque occorre rivolgere lo sguardo in noi stessi, nelle nostre “profondità inesplorate”, nei nostri “angoli più segreti”, per trovare la debolezza e la forza, le passioni, il nostro essere sovrani e sudditi insieme (cfr. RU 5, OF 369), sudditi rispetto alla ricchezza della verità e del mondo, sovrani nel senso che sta a noi, alle nostre scelte e responsabilità edificare un regno giusto in questa terra.

In altre parole, l’unica realtà da controllare e padroneggiare davvero siamo noi stessi. Qui il grande Aufklärer, ricorrendo alla figura di Socrate - come Cristo, grande maestro di umanità -, è consapevole di ciò che l’uomo è e può essere, della sua collocazione fra la bestia e l’angelo, fra le cose più basse, meschine e quelle più alte, nobili.

Egli intuisce acutamente il grande potere dell’uomo e sembra, con toni accorati, che ammonisca non solo i mortali del suo tempo, ma, profeticamente, anche noi - uomini dell’età della potenza scientifico-tecnologica pienamente dispiegata e del pericolo estremo - circa l’uso appropriato e razionale del nostro potere. Lessing evoca nei Gedanken le figure di Socrate e di Cristo come esempi di maestri altissimi dell’umanità illuminati da Dio, ma gli insegnamenti di entrambi sono stati sconfessati dal corso e dagli esiti della storia della filosofia e della storia della religione. Siamo infatti giunti ad un punto in cui filosofia e teologia, oltre a essere sin troppo indistinte, hanno perso il loro slancio propulsivo e, soprattutto, riempiono le menti, ma svuotano, spengono i cuori (cfr. OF 370). L’indottrinamento freddo e arido prevale insomma nettamente, sino a lasciare in disparte l’essenziale, ossia l’esercizio della virtù e della pratica evangelica. Si tratterebbe invece di far prevalere lo spirito (il richiamo è qui a Gv 4, 23) sulla lettera, cosa su cui il filosofo insisterà anche nell’Antitesi ai frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel (1777, OF 491-513): “la lettera non è lo spirito e la Bibbia non è la religione. Di conseguenza, le obiezioni contro la lettera e contro la Bibbia non sono anche obiezioni contro lo spirito e contro la religione.

La Bibbia, infatti, contiene manifestamente di più di quanto appartiene alla religione: ed è una semplice ipotesi che essa debba essere ugualmente infallibile in questo di più. La religione esisteva anche prima che ci fosse una Bibbia. Il cristianesimo esisteva prima che gli evangelisti e gli apostoli ne scrivessero. (...) La religione non è vera, perché gli evangelisti e gli apostoli la insegnarono; ma essi la insegnarono, perché è vera. Le tradizioni scritte devono essere spiegate muovendo dalla verità interna della religione, e tutte le tradizioni scritte non possono darle alcuna verità interna, se quella ne è priva” (OF 492).

Anche Ludwig Feuerbach farà leva a modo suo, nel XIX secolo, su questa “verità interna della religione” - evidentemente già per il bibliotecario di Wolfenbüttel non risolvibile nelle tradizioni scritte né nei rappresentanti ufficiali delle istituzioni ecclesiastiche che ad esse si rifanno -, ancora una volta riflettendo e muovendosi sulle orme di Lessing. Il principio che Dio sia spirito e vada adorato secondo lo spirito è “il più adatto a unire tra loro tutti i tipi di religione” (OF 371), afferma nei Gedanken über die Herrnhuter Lessing che, quindi, già in questo scritto giovanile si caratterizza come precursore del dialogo interreligioso, in lotta contro ogni tipo di idolatria, fanatismo, intolleranza, dogmatismo.

La “contaminazione” fra teologia e filosofia che si è realizzata sinora snatura, indebolisce l’una e l’altra, perché la filosofia vuole pervenire alla fede mediante dimostrazioni razionali (con ogni evidenza impossibili) e la teologia vuole “puntellare le dimostrazioni mediante la fede”, col risultato che i veri cristiani sono ormai pochissimi, la prassi evangelica è sempre più una parola vuota e viviamo tempi infelici: “Per la conoscenza siamo angeli, per la vita siamo diavoli” (OF 373). I destini della religione e della filosofia sono analoghi: trionfano i sofismi e non le sane, buone azioni, i pensieri all’altezza della nostra essenza.

A questo punto Lessing immagina un uomo di forza socratica capace di scorgere i risvolti ridicoli dell’arroganza, della “cecità orgogliosa” e della vanità della filosofia e teologia ufficiali. Non possiamo fare a meno, a proposito di quest’uomo, di trascrivere una splendida pagina dei Gedanken über die Herrhnuter: “Poniamo che tutti i suoi ammonimenti e insegnamenti mirassero a quell’unica realtà che è in grado di procurarci una vita felice, e cioè alla virtù. Che egli ci insegnasse a fare a meno della ricchezza, anzi a fuggirla. Che ci insegnasse a essere inesorabili verso noi stessi, ma indulgenti verso gli altri. Che ci insegnasse a stimare al massimo il merito, anche quando viene in generale guadagnato a prezzo di infelicità e ignominia, difendendolo dalla stupidità dominante. Che ci insegnasse a sentire viva nel nostro cuore la voce della natura. Che ci insegnasse non solo a credere in Dio, ma, cosa più importante, ad amarlo. Che ci insegnasse, infine, a guardare la morte senza timore e a dimostrare, uscendo consapevolmente dalla scena di questa vita, di essere convinti che la sapienza non ci farebbe deporre la maschera, se non avessimo terminato il nostro ruolo. Si immagini, inoltre, come se quest’uomo in tutta la sua conoscenza non possedesse nulla di ciò che tanto meno è utile, quanto più si vanta. Costui non sarebbe ferrato né in storia, né nelle lingue. Egli non conoscerebbe le bellezze e le meraviglie della natura se non nella misura in cui esse sono le prove più sicure dell’esistenza del loro grande creatore. Egli avrebbe trascurato di esaminare tutte queste cose, sicché di esse, certo con poco onore presso gli stolti, ma con tanta più soddisfazione da parte sua, potrebbe dire: non lo so, non ne ho idea. Nondimeno, quest’uomo aspirerebbe al titolo di filosofo. Nondimeno, sarebbe persino così temerario da contestare quel medesimo titolo in persone a cui incarichi pubblici hanno dato il diritto di fregiarsi di questa ridondante denominazione. Ora, se costui riuscisse in tutti i consessi pubblici a strappare la maschera della falsa saggezza facendo sì che le loro aule universitarie diventassero, non dico deserte, ma comunque meno piene, ebbene, cari amici, vi chiedo: che cosa comincerebbero a fare di quest’uomo i nostri filosofi? Direbbero forse: abbiamo sbagliato? Sì, ha ragione lui? Non bisogna conoscere neanche un filosofo, per credere che sarebbe capace di ritrattare in questo modo” (OF 374). I vari dottrinari, gli algebristi, gli astronomi, i metafisici - questi ultimi tutti presi dai loro “oggetti inesplorabili” - non riconoscerebbero mai un simile filosofo, anzi lo prenderebbero per i fondelli. Il vero filosofo è per Lessing chi non si pavoneggia in nome del proprio presunto sapere e non esercita il proprio intelletto su entità inconoscibili, chi ammette innanzi tutto i limiti del proprio sapere.

Una simile figura è, per il nostro Aufklärer, del tutto inattuale. Ora, come il vero filosofo non può essere accolto e compreso dai filosofi ufficiali, così gli Herrhnuter - con la loro prassi realmente evangelica, con l’esempio concreto della loro vita quotidiana agli antipodi rispetto a ogni dottrinarismo, fanatismo e arroganza teologico-filosofica - non possono essere compresi dai nostri teologi. Operando la distinzione tra la lettera e lo spirito, Lessing si avvia a mettere in discussione il principio della teopneustia (cosa che farà compiutamente nelle opere della maturità) e smaschera in modo implacabile l’aridità e la sterilità della filosofia e della teologia dominanti, votate alla “lettera”, ma del tutto prive del soffio vitale dello spirito.

3. Società e politica, etica e antropologia in Lessing. La ‘ontologia della massoneria’

Nell’opera Ernst und Falk. Gespräche für Freimäurer (Ernst e Falk. Dialoghi per massoni, 1778-1780, OF 663-699, RU 93-128) è in questione il rapporto di Lessing (affiliato alla massoneria nel 1771) con la società e la politica. Questi cinque dialoghi contengono, scrive l’autore nella Vorrede eines Dritten (Prefazione di un terzo), “die wahre Ontologie der Freimäurerei” (“la vera ontologia della massoneria”, OF 663), la sua Wesenheit (essenza).

A proposito della confi gurazione della Freimäurerei nel secolo dei Lumi, Nicolao Merker ha scritto che essa “era nel Settecento l’unico movimento ‘illuministico’ che avesse una forma organizzata, con statuti e con collegamenti internazionali; e che poteva dunque sembrare, agli occhi dei contemporanei, anche l’unico che magari trasformasse in prassi attiva i desideri di riforma del mondo coltivati dagli Aufklärer più avanzati. Sicché professarsi massone poteva, nell’età di Lessing, esser pericolosamente affine al far professione di sovversione dell’ordine costituito” (“Introduzione” a RU XVIII). Ed effettivamente il nostro Aufklärer sperava - senza alcuna cieca fiducia e mantenendo, come vedremo anche in seguito, talune riserve critiche - che la massoneria ai suoi tempi potesse opporsi allo strapotere degli stati assoluti e agire nella direzione di una società più democratica ed egualitaria.

Ciò che a Lessing interessa di più in Ernst und Falk è dare un senso autentico all’appartenenza alla massoneria. Nulla vi è infatti in proposito di scontato, anzi sorgono e si affollano molti dubbi, contraddizioni, oscurità, ambiguità, enigmi, anche se la necessità della massoneria sembra radicata nell’essenza dell’uomo (Wesen des Menschen) e nella società civile (bürgerliche Gesellschaft). Uno dei dubbi principali è il seguente: i massoni agiscono secondo uno spirito di servizio verso tutta la comunità oppure con uno spirito di setta e privilegio, spacciandosi come i più forti e migliori (cfr. OF 666-667)?

Nello Zweites Gespräch (Secondo dialogo) di Ernst und Falk fa capolino l’idea - per l’epoca del tutto rivoluzionaria, audace e utopistica - di forme di governo non autoritario-repressivo, più precisamente di autogoverno - possibile soltanto se “ogni singolo sa governarsi da sé” - o di assenza di governo, in definitiva di una società solidale, fraterna e cooperativa, la cui realizzazione è però molto difficile (cfr. OF 670). Lessing non è dunque affatto un ingenuo utopista astratto, ma qui abbozza con coraggio e arditezza una teoria politica nella direzione dell’autogoverno sociale.

Secondo l’ideologia dominante, gli stati hanno il predominio assoluto sulla vita degli individui, ma in realtà essi dovrebbero essere al servizio degli uomini e dei cittadini; gli stati sono in funzione degli uomini, non gli uomini in funzione degli stati (cfr. OF 671, RU 100). La critica del potere assolutistico non può essere più radicale: “Gli Stati uniscono gli uomini affinché in e mediante questa unione ogni singolo uomo possa godere tanto meglio e con tanta più sicurezza la propria parte di felicità. - La somma totale delle singole felicità di tutti i membri è la felicità dello Stato. Oltre a questa non ce n’è altre. Ogni altra felicità dello Stato (Glückseligkeit des Staats), in base alla quale anche pochi singoli membri soffrano e debbano soffrire, non è che tirannide dissimulata. Nient’altro!” (OF 671). Parole chiare e forti, queste ultime, contro ogni statalismo, culto e feticizzazione del potere. Il quieto studioso Lessing rivela qui una carica di radicalismo politico davvero notevole e muove una critica profonda dell’assetto di potere assolutistico.

Concetti come quelli di stato (Staat) e patria (Vaterland) sono astratti in quanto dimenticano la felicità dei singoli individui reali; le costituzioni statali non hanno origine divina, esse non sono che “mezzi di invenzione umana” sempre trasformabili e perfettibili (la migliore delle costituzioni non è forse ancora stata inventata), di fatto spesso sbagliate e imperfette, che “non corrispondono al loro scopo”, come imbarcazioni che dovrebbero trasportare lontano, ma fanno naufragio e causano annegamenti (cfr. OF 671-672).

Siamo qui in presenza di un lieve tratto utopico di Lessing, consistente essenzialmente nella sana tensione in avanti di chi spera nel meglio, senza alcuna certezza e garanzia che esso si realizzi. Anche la migliore costituzione del mondo non potrebbe eliminare gli infiniti mali che affliggono gli umani, in particolare dovrebbe fronteggiare i pregiudizi, le incomprensioni, i sospetti, le diffidenze, i particolarismi, le differenze culturali e religiose, le rivalità, gli odi, la frammentazione in molti piccoli stati, insomma tutto il vasto campionario delle vicissitudini, delle miserie e bassezze umane. Sia le costituzioni sia le società civili uniscono e dividono insieme gli uomini, erigono abissi e muri di separazione; la Vereinigung (unione) si dà così solo attraverso la incessante separazione (unaufhörliche Trennung, cfr. OF 674-675).

La menschliche Vernunft (ragione umana) può costituirsi solo nella bürgerliche Gesellschaft , ma il compito è arduo e Lessing - che non è un ottimista ingenuo - non si fa illusioni sulla sua attuazione. Egli augura l’avvento di un maggiore egualitarismo e di uomini liberi, autonomi, non soggetti ai vari tipi di pregiudizi (Vorurteile) nazionalistici, religiosi, politici, etc.: “E’ da auspicare davvero molto che in ogni Stato ci siano uomini liberi dai pregiudizi nazionalistici (Vorurteile der Völkerschaft) e che sappiano esattamente quando il patriottismo (Patriotismus) cessa di essere una virtù” (OF 676). Parole profetiche, ma il filosofo non sarà ascoltato; più di un secolo e mezzo dopo queste parole, proprio nella sua patria si scatenerà la barbarie nazista. Sta di fatto che per Lessing questi uomini liberi e autonomi dovevano e potevano essere i massoni.

4. Lessing, la massoneria e l’enigma della storia umana

Nella massoneria - come risulta evidente negli ultimi dialoghi di Ernst und Falk - non vi è nulla di predefinito, essa resta essenzialmente un movimento aperto a futuri sviluppi, oscillante fra l’accoglienza nel proprio ordine di tutti gli uomini degni, senza distinzione di patria, religione, stato civile e il rinchiudimento nei privilegi e nei particolarismi di setta.

Nel Viertes Gespräch (Quarto dialogo) anche Ernst diviene massone, ma sembra intuire o presagire il futuro tutt’altro che positivo della massoneria, i suoi deserti aridi (dürre Wüsten). Falk gli risponde sostenendo l’inutilità o la dannosità del fatto che “ogni uomo onesto diventi massone” (jeder ehrliche Mann ein Freimäurer werde) e che “si possono adempiere i supremi doveri della massoneria, senza chiamarsi massoni” (cfr. OF 683-684).

E’ evidente l’approccio molto dubitante, laico, aperto e critico di Lessing ai problemi della massoneria. Falk avrebbe voluto dissuadere Ernst dall’affiliazione, ma quest’ultimo, da poco affiliato, appare comunque già piuttosto disilluso, non spera granché nel cammino futuro della massoneria e, forse, dell’umanità intera, tanto da sbottare in un amaro “Aber Vertröstungen und wieder Vertröstungen und nichts als Vertröstungen!” (“Ma non v’è che illusioni, sempre illusioni e nient’altro che illusioni!”, OF 684).

Lessing non è un illuminista che si culla in un ideale facile di progressiva e armonica realizzazione della ragione. La sua fede autentica nella ragione non gli impedisce di scorgere con lucidità non solo gli innumerevoli ostacoli che si frappongono ad una effettiva ed efficace Aufklärung, ma anche il ruolo e il peso enorme, tenace, quasi inestirpabile delle illusioni (Vertröstungen) e degli autoaccecamenti nella vita degli uomini.

Il nostro filosofo ironizza sulle strane tendenze (sovente di tipo magico-esoterico e spiritistico) diffuse nella massoneria (e non solo in essa) nel XVIII secolo e in particolare su coloro che vogliono creare l’oro, evocare gli spiriti, insediare nuovamente i Templari (cfr. OF 685-688). Ma queste sono derive, deviazioni dalla retta via, Kindereien (bambinate) della massoneria; Lessing suggerisce evidentemente un altro percorso possibile, un’altra linea, imperniata sul rispetto della eguaglianza (Gleichheit), la stella polare del filosofo, che però verrà ampiamente disattesa e tradita nel successivo percorso storico del movimento massonico.

Ernst dubita anzi del fatto che ci sia mai stata eguaglianza fra i massoni (cfr. OF 689) e denuncia le discriminazioni dei massoni nei confronti dei poveri, degli emarginati (gli ebrei, i domestici, i calzolai come Jakob Böhme e Hans Sachs) e delle altre religioni al di fuori della cattolica, luterana e riformata. Lessing appare chiaramente disgustato e nauseato da quella gute Gesellschaft (buona società) dei ceti dominanti e dei conformisti (“principi, conti, signori di qualche cosa, ufficiali, consiglieri di ogni sorta, commercianti, artisti”, OF 689), che si credono la crema della terra e compongono le logge.

Ma il degrado evidente del movimento massonico non deve far dimenticare la differenza notevole intercorrente tra la loggia e la massoneria, tra le quali vi è lo stesso rapporto e la stessa distinzione vigenti tra la chiesa e la fede. Secondo le parole di Falk: “la loggia si rapporta alla massoneria allo stesso modo in cui la chiesa si rapporta alla fede. Dallo stato di benessere esteriore della chiesa non si può dedurre nulla e assolutamente nulla a proposito della fede. Anzi, c’è un certo stato di benessere esteriore che sarebbe un miracolo se potesse coesistere con la vera fede” (OF 689).

Le logge massoniche si concepiscono e autointerpretano come gute Gesellschaft, ma ciò non depone affatto a favore della buona salute del movimento massonico. Anche alla fine del quarto dialogo Lessing esplicita i suoi timori sul destino storico della massoneria. Il Fünftes Gespräch (Quinto dialogo) inizia con una forte critica a quei massoni “visionari” (Träumer) che, nella guerra d’indipendenza (1775-1783) delle colonie inglesi del Nord America, vogliono addirittura fondare a mano armata il loro regno (cfr. OF 691). Lessing sottolinea comunque anche in questo dialogo il nesso forte tra massoneria e società civile: “Dal punto di vista della sua essenza, la massoneria è tanto antica quanto la società civile. Entrambe non potevano sorgere se non assieme (miteinander)” (OF 692). L’insistenza su questo nesso forte significa per il filosofo soprattutto che la massoneria sorge dalla bürgerliche Gesellschaft, nel suo seno, non viceversa.

Ma la storia stessa della massoneria è caratterizzata da molti giochi di potere, contraddizioni, ambiguità, in un mondo in cui anche le azioni più spregevoli possono acquisire la sembianza delle cose più serie e sacre. Non vi è in Lessing alcuna enfasi sulla stessa storia umana, di cui egli vede il lato tragico, grottesco, beffardo, amaro. L’invocazione e lo stupore interrogativo di Ernst la dicono molto lunga a questo proposito : “O Geschichte! o Geschichte! Was bist du?” (“Oh storia! Oh storia! Che cosa sei?”, OF 694). Lungi dall’essere interamente rischiarata, la storia umana, coi suoi enigmi, con le sue luci e ombre, continua a rivelarsi tenacemente bislacca, contorta, aspra, sfuggente e deludente.

5. La ‘religione dell’umanità’ di Lessing, l’ebraismo e il cristianesimo

Anche quella di Lessing, nel celebre scritto Die Erziehung des Menschengeschlechts (L’educazione del genere umano, apparso anonimo nel 1777-1780, OF 515-540, RU 129-154), vuole essere - come intenderà essere quella di Ludwig Feuerbach nel XIX secolo - una “filosofia dell’avvenire” mirante a superare i limiti di un ristretto presente.

Per il nostro Aufklärer, molteplici sono i sentieri del pensiero e della verità, ognuno ha il suo cammino e la verità è sempre più ampia delle nostre rappresentazioni di essa. Egli non pretende che “la vista che lo affascina debba affascinare anche ogni altro occhio”, richiede solo di essere lasciato in pace e di potere liberamente sgranare gli occhi; ammette pure di essere stato sovente confuso, di avere quindi impiegato lungo tempo nell’elaborazione del suo pensiero più maturo (cfr. OF 515). Ma poi giunge presto, in modo chiaro e diretto, al nocciolo essenziale del suo discorso: “Io penso questo: perché, anziché irridere o inveire contro una delle religioni positive, non dovremmo piuttosto vedere in ciascuna di esse null’altro che il cammino seguendo il quale l’intelletto umano (der menschliche Verstand) ha potuto ovunque svilupparsi, e ancora deve continuare a farlo?” (OF 515-516).

Lessing non privilegia alcuna religione positiva e fa appello alla verità interna a ciascuna di esse. Tutte le religioni positive sono per lui delle tappe nel cammino infinito della ragione umana, che deve ancora continuare. Egli propone dunque un superamento delle religioni positive verso nuovi orizzonti di perfezionamento e di civiltà. Il dialogo interreligioso diventa allora la strada maestra alla ricerca di ciò che vi è di comune e di essenziale fra tutte le religioni, le culture, le civiltà e i popoli della terra. La rivelazione è per il genere umano ciò che l’educazione è per ogni singolo uomo, ma fu impossibile insegnare tutto in una volta all’uomo; di qui, il ruolo storico delle religioni positive, che non sono quindi da assumere acriticamente.

Il concetto dell’unico Dio, dell’Uno incommensurabile fu conseguito dalla ragione assai tardi solo “dal concetto di infinito” (aus dem Begriffe des Unendlichen, par.14, OF 518), afferma Lessing forse con un implicito richiamo a Bruno e a Spinoza; esso non fu all’inizio attingibile dalla ragione umana, sorsero così le “false vie” (Irrwegen) del politeismo e dell’idolatria (cfr. OF 516-517).

Dio comunque si rivelò a un singolo popolo e scelse il più rozzo e selvaggio, il popolo israelitico, capace di una educazione morale assai scarsa, imperniata su cose da fanciulli come punizioni e ricompense. Fuori da ogni concezione della religione come rimunerazione, Lessing rileva che è “obbedienza eroica” osservare le leggi di Dio senza aspettarsi ricompense sulla terra o nell’aldilà (cfr. OF 524).

Il Dio d’Israele era stato più onnipotente che saggio, più temuto che amato; era ormai giunto il tempo di un diverso concetto di Dio, di un nuovo rapporto fra ragione e rivelazione, in cui finalmente la ragione acclarò la sua rivelazione. L’Antico Testamento andava superato perché è un “libro elementare” valido solo per l’infanzia del genere umano. Il cristianesimo rappresenta senz’altro un’evoluzione rispetto allo stadio immaturo della religione e della civiltà rappresentato nell’Antico Testamento.

Il cristianesimo è la fase in cui “il bambino diventa ragazzo” (OF 530) e rappresenta il secondo grande passo dell’educazione del genere umano: “Cristo divenne il primo attendibile maestro pratico dell’immortalità dell’anima” (OF 530). Come si dice nel paragrafo 53 di Die Erziehung des Menschengeschlechts, Cristo è il “pedagogo migliore” che strappa dalle mani del bambino l’Antico Testamento, “il libro elementare superato” (OF 529).

Lessing non si pronuncia sulla natura personale divina di Cristo, sulla validità della dottrina della resurrezione e dei miracoli (che ritiene evidentemente indimostrabili, sulla scorta degli scritti di Reimarus, der Ungenannte, l’Anonimo di Wolfenbüttel)(6); tutto ciò era importante per l’accoglimento (Annehmung) della dottrina cristiana, non lo è più per il riconoscimento della sua verità. “Der Wunder höchstes ist, daß uns die wahren, echten Wunder so alltäglich werden können, werden sollen” (“Il miracolo supremo è che i veri, autentici miracoli possano, debbano essere quotidiani”), leggiamo in Nathan der Weise (Nathan il saggio, 1778-1779) (7).

Cristo è, a differenza di Platone, der erste zuverlässige, praktische Lehrer der Unsterblichkeit der Seele, perché un conto è credere, ipotizzare l’immortalità dell’anima secondo una mera speculazione filosofica, un altro conto è conformare ad essa le proprie azioni interiori ed esteriori (cfr. OF 531). In un frammento del 1780 (l’anno precedente la sua morte), intitolato Die Religion Christi (La religione di Cristo; secondo Merker, questo “è il più noto frammento teologico del Lessing della maturità e rappresenta il documento della sua rottura radicale con il cristianesimo come religione positiva, rivelata”, RU 91) e pubblicato postumo dal fratello Karl nel Theologischer Nachlass, Lessing porta alle estreme conseguenze queste impostazioni.

In Die Religion Christi (RU 90-92, OF 701-702) per Lessing è “problematico” che Cristo sia stato “più che uomo”, cioè divino. La divinità di Cristo non è affatto certa. Pure nel breve scritto apparso anonimo nel 1777 Ueber den Beweis des Geistes und der Kraft (Sulla prova dello spirito e della forza, OF 541-547, RU 65-71) il filosofo afferma che, anche ammettendo la resurrezione, non sarebbe affatto dimostrato l’essere figlio di Dio da parte di Cristo (cfr. OF 545). La grandezza umana di Cristo (“vero uomo”) è invece fuori discussione, per il resto i dubbi concernono non solo la sua natura divina, ma la sua stessa esistenza storica reale (cfr. OF 701).

In un testo rimasto inedito del 1777-1778 coevo al Fragmentenstreit e pubblicato dal fratello Karl nel Theologischer Nachlass, Lessing considera del resto gli evangelisti “come storiografi meramente umani”, le cui opere non sono affatto di natura e ispirazione divina (cfr. Neue Hypothese über die Evangelisten als bloss menschliche Geschichtsschreiber betrachtet, OF 555-580, RU 73-89, da connettere ad un altro testo presumibilmente di quegli anni, le Thesen aus der Kirchengeschichte, Tesi desunte dalla storia della chiesa, OF 481-490, RU 45-53).

Nel brevissimo frammento Die Religion Christi l’autore distingue fra la “religione di Cristo”, universalmente apprezzabile in riferimento all’umanità di Cristo e la “religione cristiana”, che divinizza Cristo stesso e costruisce un impianto dottrinario (sul tema della divinità di Cristo e della sua indimostrabilità si veda pure Ueber den Beweis des Geistes und der Kraft, OF 545, RU 69). Queste sono “due cose totalmente diverse”. La “religione di Cristo” è ciò che ogni uomo può avere in comune con lui a partire dal riconoscimento che è “sublime e degna d’amore” la figura di Gesù come “semplice uomo”. Per la “religione cristiana”, invece, Cristo vale come “più che uomo”, ha natura divina e come tale ne fa oggetto della propria venerazione.

Il paragrafo 5 del frammento pone un aut-aut: o Cristo è divino o è un semplice uomo, figura umanamente sublime e degna d’amore. La “religione di Cristo” è contenuta nei Vangeli in modo chiaro e preciso; la “religione cristiana”, invece, è “incerta e ambigua”, la sua interpretazione non può essere univoca né può avere rigore scientifico (cfr. OF 702). Nel XIX secolo Ludwig Feuerbach riprenderà a suo modo questa distinzione lessinghiana tra “religione di Cristo” e “religione cristiana” per operare il passaggio dalla teologia all’antropologia, nella tensione ad una “filosofia dell’avvenire”.

I paragrafi 53-62 di Die Erziehung des Menschengeschlechts insistono in particolare sulla figura di Cristo come pedagogo e maestro pratico dell’umanità che raccomandò “un’intima purezza del cuore in vista di un’altra vita” (OF 531). Nel propagare la sua dottrina, i cristiani sono da annoverare tra i promotori e benefattori del genere umano e gli scritti del Nuovo Testamento - le cui “dottrine contaminate” hanno fornito un nuovo Richtungsstoß (spinta direzionale) alla ragione umana - “costituiscono per il genere umano il secondo, migliore libro elementare” (cfr. i paragrafi 63-64, OF 531-532, RU 146).

Un grandissimo libro, dunque, il Nuovo Testamento, che ha esercitato per molti secoli una funzione storica ineludibile, ma pur sempre anch’esso un libro elementare, bisognoso di superamento. Gli scritti neotestamentari hanno impegnato e illuminato da 1700 anni l’intelletto umano, sia pure con quella luce limitata da esso introdotta (cfr. paragrafo 65, OF 532). Dal punto di vista storico-culturale era necessario che per un certo periodo il Nuovo Testamento fosse ritenuto il non plus ultra per ciascun popolo, come succede ai ragazzi, cui sono adatti soltanto libri elementari (cfr. il paragrafo 67, OF 532). Vi è dunque una necessità storica del Nuovo Testamento, ma si avverte anche, ormai, l’esigenza di un suo superamento nella direzione di una maggiore maturità dell’umanità e della civiltà. Ciò che sino ad ora veniva insegnato come verità rivelata va compreso infatti come verità di ragione.

6. Ragione e rivelazione in Lessing

Il Nuovo Testamento è secondo Lessing l’età dell’adolescenza del genere umano, in cui l’immortalità dell’anima viene predicata come una rivelazione, non insegnata come risultato di argomentazioni umane. Come succede per la dottrina dell’immortalità dell’anima (che va ricondotta soltanto alle deduzioni umane), la ragione umana deve imparare a riappropriarsi di questa e di altre simili verità credute rivelate (un esempio è la dottrina della trinità, Dreieinigkeit. Cfr. OF 533-534 e lo scritto del 1773 Obiezioni di Andreas Wissowatius contro la trinità, OF 445-479). Parlando di Cristo come di un figlio di Dio, i cristiani hanno reso popolare, nel senso di accessibile al popolo, l’idea di Dio, ma noi esseri umani riusciamo a formarci una possibilità e una rappresentazione di Dio che non esaurisce mai l’essenza della sua realtà necessaria (cfr. OF 533-534).

Lessing respinge poi l’obiezione - proveniente dai settori religiosi più oscurantisti e intolleranti - secondo cui egli non potrebbe e dovrebbe indagare sui Geheimnisse (misteri) della religione, perché “il perfezionamento delle verità rivelate in verità di ragione è assolutamente necessario se si vuole aiutare il genere umano” (OF 535). Qui vanno sottolineate le parole se si vuole aiutare il genere umano, con cui il filosofo indica l’esigenza forte del servizio rigoroso alla verità umana al di là di ogni ottica di rafforzamento di poteri, privilegi, interessi, vanità, punti di vista particolari. Lessing delinea un cammino razionale dell’umanità ancora da percorrere. Il suo non è un vuoto e astratto razionalismo, anche perché cerca di enucleare la “verità interna” alla religione e di confrontarsi con essa. La ragione è però qui al servizio di tutta l’umanità e non di istituzioni ecclesiastiche, statali e politiche.

Sembra davvero - come ha rilevato pure Hans Küng in uno stimolante saggio contenuto nel volume Dichtung und Religion (1985) - che Lessing cominci a promuovere un’autocritica dello stesso illuminismo: “Lessing - un uomo dall’andatura eretta e dal fiuto intellettuale - sarebbe oggigiorno presumibilmente il primo tra coloro che richiedono un’illuminazione dell’illuminismo. Sarebbe oggigiorno uno dei primi a mettere in guardia da ogni fiducia acritica nella ragione umana e nella scienza - per la conoscenza della verità e l’organizzazione umana della vita -, come già Pascal aveva fatto contro Descartes. Oggigiorno i dubbi circa la realizzazione della razionalità nell’età moderna sono cresciuti a dismisura. E comprendere il corso della storia umana come costante progresso e come una progressiva e autonoma rivelazione in direzione della ragione è, dopo l’eccidio degli ebrei ad Auschwitz, dopo Hiroshima e l’Arcipelago Gulag, assolutamente impossibile. Si può presumere che, se fosse vissuto più a lungo, lo stesso Lessing avrebbe colto la ‘dialettica dell’illuminismo’“(8).

In un importante frammento rimasto inedito (Ueber die Entstehung der geoffenbarten Religion, Sulla genesi della religione rivelata, RU 39-41, OF 409-411), risalente probabilmente al 1763-1764 e pubblicato dal fratello Karl nel Theologischer Nachlass, Lessing considera la quintessenza della natürliche Religion (religione naturale), ossia il riconoscimento di un Dio e l’ispirazione a esso dei propri pensieri e delle proprie azioni, come la base, il punto di partenza, la genesi della religione rivelata. Solo dalla religione naturale si elaborò una religione positiva (positive Religion), che è dunque derivata e frutto di convenzioni. La religione positiva si istituì mediante il prestigio del suo fondatore, il quale fece credere, tramite la sua mediazione, che gli aspetti convenzionali di essa provenissero da Dio stesso.

In Ueber die Entstehung der geoffenbarten Religion tutte le religioni positive e rivelate sono - scrive Lessing riferendosi a un motto dell’Agostino dei Soliloquia posto all’inizio pure dell’Educazione del genere umano - ugualmente vere e false ; vere nel senso delle esigenze della realtà sociale, storica e politica, in quanto ovunque vi è stata la necessità pratica e storico-culturale di un accordo sulla uniformità della religione pubblica; false perché gli elementi convenzionali delle religioni indeboliscono e rimuovono la componente essenziale della natürliche Religion. La migliore religione rivelata o positiva contiene dunque le minori aggiunte convenzionali alla religione naturale.

Le riflessioni libere dai pregiudizi, dallo zelo fideistico e dal fanatismo sui rapporti fra religione naturale e religione positiva, fra ragione e religione (come quelle compiute da pensatori come Bruno e Spinoza) non hanno mai nuociuto alla società civile, solo la tirannia, la repressione e l’insensatezza di impedire tali speculazioni hanno causato il male. Nell’Antitesi ai frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel, Lessing sottolinea da un lato l’arroganza e la presunzione delle gerarchie ecclesiastiche e dei teologi dogmatici, d’altro lato l’unilateralità e l’irrisione verso la religione troppo spesso ridotta a mera superstizione. Soprattutto, da parte ufficiale “non ci si è fatti alcuno scrupolo a tacciare di incredulità il dubbio e di empietà l’accontentarsi di ciò che dice la ragione. In un caso, si è degradato il teologo a pretastro, nell’altro caso il saggio profano a negatore di Dio” (OF 493). Qui emerge in piena luce l’illuminista, col suo elogio del dubbio e della ragione insieme.

Non vi è ancora - osserva il filosofo differenziandosi anche dalle posizioni di Reimarus - una critica della religione che ne sappia riconoscere gli elementi essenziali e non la riduca a nefasta superstizione né vi è una difesa della religione che non sia ottusa e dogmatica, fatta “più con zelo che con intelligenza” (cfr. OF 493). Ecco perché il nostro Aufklärer invoca nozioni, conoscenze, argomenti, serietà e genuino amore per la verità. Parole chiare e forti che risuonano attualissime anche oggi, sballottati e oscillanti come siamo tra un anticlericalismo talora troppo sbrigativo, superficiale e un dogmatismo ecclesiastico ufficiale di fatto intollerante, illiberale.

Il cammino dell’umanità nel nome del rischiaramento (Aufklärung) e della purezza del cuore (Reinigkeit des Herzens) conduce ad amare la virtù non in vista della beatitudine eterna, non in riferimento a ricompense o a pene, ma, spinozianamente, in sé e per sé stessa (cfr. i paragrafi 80 e 85 di Die Erziehung des Menschengeschlechts, OF 536-537). Intelletto e sentimento, rischiaramento razionale e purezza del cuore sono in Lessing indissolubilmente congiunti e proprio questa relazione stretta impedisce al suo pensiero di perdersi nelle secche di un arido razionalismo incapace di soffio vitale. Tali rischiaramento e purezza non sono però qualcosa di ovvio e sicuro, anzi sono sempre a rischio e in dubbio.

Il vero problema per Lessing è rappresentato - come egli suggerisce anche nello scritto del 1773 intitolato Leibnitz sulle pene eterne (OF 413-443) - dall’umanità che non prende sul serio il proprio perfezionamento, persiste nel peccato e nel male. L’inquietudine e l’ansia del domandare del filosofo a questo proposito sono più che mai esplicite nel brevissimo paragrafo 81 di Die Erziehung des Menschengeschlechts, che suona: “Oder soll das menschliche Geschlecht auf diese höchste Stufen der Aufklärung und Reinigkeit nie kommen? Nie?” (“O il genere umano non dovrebbe mai giungere a questo supremo livello di rischiaramento e di purezza? Mai?”, OF 536). Nel paragrafo 91 di questo scritto l’autore parla esplicitamente di Unmerklichkeit (impercettibilità) della ewige Vorsehung (divina Provvidenza), ma tale Unmerklichkeit non deve indurci alla disperazione (cfr. OF 538).

Alla fine egli scioglie l’interrogativo e si dice fiducioso nell’avvento del “tempo del compimento” (Zeit der Vollendung), in cui l’uomo “farà il bene perché è il bene” e non per altro. E’ il tempo di un nuovo Evangelo eterno, scrive il filosofo con un’allusione all’Apocalisse di Giovanni (Ap 14,6) e alla teoria di Gioacchino da Fiore - diffusa pure fra molti mistici tedeschi e olandesi del Trecento - delle tre età del mondo, corrispondenti all’età del Padre (Antica Alleanza), del Figlio (Nuova Alleanza), dello Spirito Santo (Evangelo eterno), quest’ultima apportatrice anche di giustizia sociale (cfr. OF 537, RU 152).

Ora, una simile speranza miracolistica appare forse oggi - nel nostro tempo del pericolo estremo, caratterizzato dall’inquietudine più radicale - tra gli aspetti più caduchi e meno convincenti del pensiero lessinghiano, ma per Lessing i sognatori (Schwärmer) del XIII e XIV secolo come Gioacchino da Fiore sbagliarono solo nell’annunciare l’avvento troppo vicino del tempo del nuovo Evangelo eterno, che va invece inscritto nel piano dell’educazione universale del genere umano (cfr. i paragrafi 86-88, OF 537, RU 152).

-  Questi Schwärmer furono capaci di gettare “giusti sguardi sul futuro”, ma furono incapaci di attenderlo, poco pazienti e disattenti agli effettivi processi di maturazione della civiltà umana (cfr. il paragrafo 90, OF 538). Occorre invece sperare che la “grande, lenta ruota” che conduce il genere umano più vicino alla sua perfezione (Vollkommenheit) possa essere messa in moto dal personale contributo di “ruote più piccole e più veloci” (cfr. il paragrafo 92, OF 538, RU 153).
-  Dal paragrafo 93 sino alla fine dello scritto, ponendosi numerosi interrogativi, Lessing esprime una posizione favorevole alla Seelenwanderungslehre, la dottrina della metempsicosi, della trasmigrazione e reincarnazione delle anime.
-  La conclusione del paragrafo 100 (“Und was habe ich denn zu versäumen? Ist nicht die ganze Ewigkeit mein?”, “E che cosa ho mai da farmi scappare? Non è mia l’eternità intera?”, OF 540) sembra assumere un respiro bruniano-spinoziano, di sapore panteistico.

Ora, più che “cifra del costante e ininterrotto perfezionamento dell’essere umano” (come scrive Guido Ghia nel suo ricco e stimolante saggio introduttivo all’edizione italiana degli scritti filosofici del Nostro, cfr. OF 32-33), la Seelenwanderungslehre appare come una via di fuga e di consolazione metafisica rispetto ai problemi irrisolti del pensiero lessinghiano e della sua epoca storica (cfr. su ciò le considerazioni di Merker, RU XX-XXI).

Il nucleo più pregnante del pensiero di Lessing rimane comunque per noi quello teso alla formazione del genere umano, alla “religione dell’umanità”, dove al centro non è l’umanità che divinizza sé stessa, ma quella che si pone dalla parte della “mano sinistra di Dio”. Vi è per lui nel genere umano - come si afferma in un bel passo dell’Antitesi ai frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel - una economia della salvezza per cui nessun’anima deve andar perduta e tutti siamo chiamati alla massima responsabilità e disponibilità in proposito (cfr. OF 501).

7. La polemica Lessing-Goeze. La libertà della ragione contro il fanatismo

Come è giunto il nostro filosofo a porre le basi del dialogo interreligioso e della civiltà della convivenza democratica? Quale è il senso di ciò che all’inizio del nostro lavoro abbiamo chiamato la lotta di Lessing, la sua peculiare battaglia per l’umanità e per la verità? Per rispondere a queste domande occorre riferirci, sia pure brevemente, al senso complessivo di alcuni scritti dedicati dal nostro Aufklärer alla polemica durissima contro il pastore luterano di Hamburg Johann Melchior Goeze, il prete collerico (zornige Priester, come viene definito nel settimo Anti-Goeze, cfr. OF 633) che nel periodico “Freywillige Beyträge” (“Contributi spontanei”), fra il 1777 e il 1778, aveva più volte attaccato Lessing responsabile della pubblicazione dei Frammenti di Reimarus.

Come ha rilevato Merker, al di là delle questioni teoriche sollevate dai Fragmente circa i rapporti tra fede e ragione, filosofia e religione, religione positiva e religione naturale, “l’ortodossia protestante si mise in allarme soprattutto per l’immediata ripercussione politica che la critica deistica contro le religioni rivelate implicava: ossia avvertì che la critica del cristianesimo rivelato minacciava direttamente l’ordine costituito, l’assolutismo politico ‘per grazia di Dio’, e che quindi si doveva imbavagliare d’autorità ogni revisione filosofico-critica del cristianesimo tradizionale. (...) In questo clima di caccia alle streghe la polemica teologica di Lessing assunse in primo luogo il tono di un’appassionata battaglia per la libertà di pensiero e di stampa” (RU VIII-IX).

Nel breve scritto Die Bitte (La preghiera), apparso nel marzo 1778 assieme a Eine Parabel (Una parabola) e a Das Absagungsschreiben (Lo scritto di diniego), Lessing risponde agli attacchi di Goeze rendendo con durezza e sarcasmo pan per focaccia. Il pastore e il bibliotecario si relazionano fra loro come il pastore di pecore e l’esperto di erbe. Lessing è come l’esperto di erbe che si rallegra di tutte le erbe che conosce, mentre il miope Goeze “conosce solo le erbe dei suoi pascoli” (cfr. OF 585).

Nella polemica paradigmatica fra Lessing e Goeze si rispecchia e si palesa il conflitto fra l’intellettuale del potere e dell’istituzione, il cane da guardia dell’ortodossia da una parte e il pensatore libero, laico, lo spirito critico dall’altra. Goeze è una “testa calda” che si crede onnisciente (allwissend) e infallibile (untrüglich), un fanatico che viene vanamente invitato da Lessing, con “freddi ragionamenti”, alla correttezza e all’autocritica, a ricredersi e a imparare dai propri stessi errori.

Il nostro Aufklärer, nel combattere qui una nobile, coraggiosa e sacrosanta battaglia contro l’intolleranza, l’ottusità, il fanatismo, la malafede, la faziosità di Goeze, è pienamente consapevole dei rischi che corre (contro Lessing, Goeze si appellerà al Consiglio di Corte Imperiale, supremo organo giudiziario del paese) e decide - forzando pure la propria natura di intellettuale amante della quiete degli studi - di non cedere di un millimetro, di usare un tono molto aspro, richiamandosi sempre all’apporto dei verständige Christen (cristiani intelligenti) contro i fanatici (cfr. OF 586). La miglior difesa è, in queste condizioni, l’attacco. Scrive il Nostro nel secondo Anti-Goeze: “Ich muß, ich muß entbrennen - oder meine Gelassenheit selbst, meine Kälte selbst machen mich des Vorwurfs wert” (“Io devo, devo scaldarmi, - altrimenti saranno la mia stessa calma e la mia stessa freddezza a rendermi degno di rimprovero”, OF 604).

Gli undici Anti-Goeze scritti da Lessing tra l’aprile e il luglio 1778 (cfr. OF 593-659) - che, come ha scritto Guido Ghia, “hanno potuto essere paragonati da un lato alle Lettres provinciales di Pascal, dall’altro lato al Candide di Voltaire: nel Fragmentenstreit, infatti, si compendia davvero tutto Lessing, l’erudito, il polemista mordace e sardonico, l’artefice di Rettungen, il commediografo brillante, il razionalista logico, l’umanista appassionato” (OF 37) - sono tutti percorsi dalla sana indignazione di un intellettuale che non cessa di richiamarsi ad una concezione della ragione fondata sull’esame aperto, sulla libera discussione, sul confronto incessante, sulla verifica costante dei propri presupposti, pure sulla polemica e sulla confutazione sempre al servizio della verità.

Nello scritto del 1669 Wie die Alten den Tod gebildet. Eine Untersuchung (Come gli antichi hanno raffigurato la morte. Una ricerca, steso in polemica con Christian Adolph Klotz a proposito di alcune tesi del Laokoon, cfr. OF 309-364), Lessing difende esplicitamente il ruolo della polemica e del contraddittorio in funzione del rischiaramento (Aufklärung) e del coglimento della Sache selbst: “gli uomini nel mondo non sarebbero ancora d’accordo su nulla, se nel mondo non avessero ancora litigato su nulla. (...) La disputa ha nutrito lo spirito dell’esame, ha mantenuto in costante agitazione il pregiudizio e l’apparenza, in breve: ha impedito che si insediasse, al posto della verità, la non-verità truccata” (OF 309-310).

Der Herr Hauptpastor Goeze è però un fanatico che non conosce il valore della disputa in questo senso nobile indicato in Wie die Alten den Tod gebildet, non ama davvero la verità, aggrappato com’è ad una presunta verità dogmatico-istituzionale che non solo non s’interroga più sui propri presupposti e fondamenti, ma punta alla eliminazione di ogni dissenso e voce critica. L’accorata difesa della libertà di pensiero, di stampa e di espressione è qui la stella polare del nostro Aufklärer.

Nel primo Anti-Goeze egli si appella allo spirito autentico del protestantesimo contro la stolida e ottusa ortodossia protestante: “Il vero luterano non vuole essere protetto dagli scritti di Lutero, ma dallo spirito di Lutero; e lo spirito di Lutero esige categoricamente che non si debba impedire a nessun uomo di progredire nella conoscenza della verità secondo la propria personale discrezione. Ma lo si impedisce a tutti se si vuole proibire anche ad uno solo di comunicare ad altri il suo progredire nella conoscenza. Infatti, senza questa comunicazione del caso singolo, non è possibile alcun progredire dell’universale” (OF 596).

Di fatto, non c’è un solo tipo di orientamento cristiano, ci sono i cristianesimi, al plurale. Lo scopo finale del cristianesimo non è solo la nostra beatitudine (Seligkeit), ma - leggiamo nel quarto Anti-Goeze - la beatitudine mediante illuminazione (Seligkeit vermittelst unsrer Erleuchtung). Quello di Goeze e compagnia (Goeze und Compagnie) è invece un cristianesimo solo di facciata, falso e ipocrita, completamente chiuso alla “intera ricerca della verità” (alle Untersuchung der Wahrheit überhaupt, OF 615-616). Lessing rifiuta in particolare la posatezza, la ragionevolezza e il moderatismo degli ipocriti, dei conformisti e di tutti coloro che per comodità e vile ossequio al potere rinunciano alla ricerca della verità, alla spregiudicatezza, all’approfondimento delle cose, alla franchezza e all’onestà intellettuale.

Mentre Goeze è l’uomo dei Vorurteile (pregiudizi) che vorrebbe imbavagliare gli spiriti, impedire la libertà della cultura, effettuare un completo ritorno ai tempi cupi della più totale illibertà, Lessing combatte esaltando il valore del dubbio, dell’ esame razionale e della libertà di ricerca.

Soffermandosi nel sesto Anti-Goeze sul rapporto ragione-religione, egli afferma che la religione trae oggettivamente (objektive) dei vantaggi dai dubbi e dalle obiezioni che “la ragione ancora non soggiogata” (die noch ununterjochte Vernunft) rivolge ad essa (cfr. OF 623-624). Più precisamente, la “ragione non ancora soggiogata”, nell’esigere la libertà di discussione nello spazio pubblico, migliora la religione stessa, rendendola più illuminata e razionale, contribuendo a toglierle soprattutto ogni tentazione di dominio, sopruso, intolleranza, sopraffazione sulla ragione stessa. Com’è noto, Lessing sperimenterà personalmente la repressione della libertà di stampa quando nell’agosto 1778 la censura del duca di Braunschweig (del quale era bibliotecario dal 1770) gli vieterà sostanzialmente di proseguire la polemica con Goeze e di scrivere il dodicesimo Anti-Goeze che aveva già in progetto.

Anticipando i temi tipici del celebre scritto di Kant su Was ist Aufklärung? (1784), nel settimo Anti-Goeze Lessing difende il nucleo stesso centrale dell’intera cultura illuministica, l’autorità e l’autonomia del sano intelletto umano che ciascuno assume responsabilmente da sé. Per un altro aspetto, egli non aderisce acriticamente alle tesi dell’Anonimo, Reimarus - che comunque fu ein selbstdenker Kopf, un libero pensatore dalla mente illuminata e dal cuore puro, come vien detto nel nono Anti-Goeze (cfr. OF 643-644) - e dichiara di non sentirsi affatto “un segreto nemico della religione cristiana” (ein heimlicher Feind der christlichen Religion, cfr. OF 630-631).

Come ha rilevato Merker, “La risposta di Lessing al quesito sulla validità del cristianesimo rovescia (...) sia le posizioni illuministiche che avevano tentato un compromesso tra fede e ragione (Leibniz e Wolff), sia quelle che avevano liquidato le religioni positive come invenzioni e favole irrazionali (Reimarus). Le rovescia avanzando l’ipotesi storicistica che le ‘rivelazioni’, cioè le religioni positive con il loro bagaglio di concezioni più o meno mitiche e di atteggiamenti fideistici verso queste concezioni, non sono che momenti intermedi (storici) dello sviluppo della ragione umana. E’, questo, il filo conduttore dell’Educazione del genere umano” (RU XIV). Il problema dell’eredità antropologico-culturale della tradizione religiosa rimane in questo modo del tutto aperto.

8. La legge dell’amore e l’ “elemento beatificante” nelle religioni

Al di là delle dispute e dei conflitti ermeneutico-teologici vi è una verità umana della religione consistente nell’invito all’amore reciproco fra gli uomini, al rispetto della legge dell’amore: “filioli, diligite alterutrum!” (“figlioli, amatevi gli uni gli altri!”), si può leggere nel Testamento di Giovanni riportato nel commento di S. Girolamo all’ Epistola ai Galati di Paolo (cfr. il breve scritto del 1777 Das Testament Johannis. Ein Gespräch, Il Testamento di Giovanni. Un dialogo, OF 549-554).

Questo Testamentum Johannis è certamente apocrifo (canonico è il Vangelo di Giovanni), ma è comunque “divino” (cfr. OF 547, 552). Lessing insiste qui sulla differenza abissale fra la pratica dell’amore cristiano e le dottrine, i dogmi della fede cristiana (cfr. OF 553). E’ più facile affidarsi ai dogmi, alle dottrine ed è più difficile praticare l’amore. Poche, buone, essenziali sono le parole del Testamentum Johannis, ma - osserva Lessing con un fondo amaro - “si diventa ben presto sazi del bene e anche del meglio, quando comincia ad essere quotidiano!” (OF 551).

Nell’Antitesi ai frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel l’autore rileva che l’intelletto umano avanza solo molto gradualmente, ma poi vi sono state, in tutti i tempi e in tutti i paesi, “anime privilegiate che, con le proprie forze, si sono spinte col pensiero al di là della sfera dei propri contemporanei, correndo incontro ad una luce più grande e potendo, certamente non trasmettere, ma comunque raccontare ad altri le proprie sensazioni di essa” (OF 509).

Ora, per questi uomini, per quanto eccezionali siano, non vi è alcuna possibilità di provare una loro “origine immediatamente divina”; ciò non toglie che possano esserci libri divini, “redatti grazie ad una superiore ispirazione divina”, sebbene non contengano nessun riferimento all’immortalità dell’anima, alle ricompense ultraterrene, al paradiso celeste, etc.; tali libri racchiudono in sé una “religione beatificante” (che non può essere fatta coincidere con la mera religione cristiana), obbediente alle “leggi della sua nostalgia e del suo desiderio”, con la quale gli uomini possono confermarsi nella sicurezza della propria beatitudine (cfr. OF 509).

Lessing rintraccia più profondamente un “elemento beatificante” presente in tutte le religioni, benché non possa ravvisarsi un’unica rivelazione divina di tale elemento: “se la religione cristiana è potuta apparire solo in un certo tempo e in un certo ambito, dovettero per questo tutti i tempi anteriori e tutti gli altri ambiti non avere una religione beatificante? Concederei volentieri ai teologi che l’elemento beatificante nelle diverse religioni è tuttavia sempre stato lo stesso: se solo, però, essi a loro volta mi concedessero che non per questo gli uomini devono aver legato a ciò sempre il medesimo concetto. Dio potrebbe certamente aver voluto rendere beati in tutte le religioni gli uomini buoni per i medesimi motivi e avendo di loro la medesima considerazione, senza per questo aver dato a tutti gli uomini la medesima rivelazione di questa considerazione e di questi motivi” (OF 509).

I migliori risultati della teologia del XX secolo e la sua ricchezza devono molto a queste impostazioni di Lessing. Gettando uno sguardo sulla teologia odierna, per Hans Küng dopo Lessing si tratta di evitare da un lato sia il “pluralismo indifferentista”, il “relativismo che rende uguali tutti i valori e le norme” sia l’assolutismo teologico: “dopo Lessing quell’assolutismo teologico che pone la propria verità assolutamente, in modo ab-soluto da tutte le altre verità, si è fatto insostenibile; quel punto di vista esclusivistico, che condanna le religioni non cristiane nel loro insieme come non vere, appare come un puro e semplice postulato teologico, tanto quanto ogni pretesa di superiorità che consideri la propria religione come quella per principio moralmente o intellettualmente superiore”(9). Molti sono gli interrogativi che si pongono più che mai ancor oggi, a partire da queste posizioni di Lessing, soprattutto sulle religioni monoteistiche e sul destino storico complessivo delle religioni.

Si chiede ad esempio Nicolao Merker, senza che né lui né alcun altro possa dare una risposta esaustiva: “come si dovrà valutare l’intero patrimonio dell’esperienza storico-religiosa del passato, che cosa si potrà ricuperare delle esperienze culturali e delle elaborazioni concettuali cui essa ha dato luogo, e infine, soprattutto, quale sarà per l’umanità il futuro della religione? Continuerà il genere umano a sperimentare il succedersi di religioni storiche, ‘rivelate’ nel senso in cui affermano di esserlo le religioni positive, o si può ipotizzare che quest’ultime, in date condizioni, si esauriscano e si estinguano? Epperò da quale altra esperienza verrà in tal caso sostituita l’esperienza religiosa storica tradizionale?” (RU X-XI).

Nel discorso di Lessing salta ogni tipo di ortodossia teologico-religiosa, egli getta davvero le basi autentiche di un dialogo interreligioso le cui radici giungono sino a noi, nel nostro tempo tormentato e che merita oggi più che mai di essere perseguito se vogliamo dare un futuro all’umanità, consistenza all’idea di “uomo planetario”, alle possibilità della convivenza nell’età della globalizzazione.

Da questo punto di vista possiamo rintracciare una linea filosofico-teologica, culturale e antropologica che da Lessing e dal meglio della cultura illuministica perviene a toccare e a intrecciarsi con alcune proposte e tematiche culturali decisive del nostro tempo. Mi riferisco - per limitarci qui a qualche esempio, senza poter approfondire il discorso - all’etica della responsabilità (il Prinzip-Verantwortung) di Hans Jonas, al progetto di Weltethos (etica mondiale) di Hans Küng, all’idea di Terre-Patrie (Terra-Patria) di Edgar Morin, alla cultura e all’etica dell’ “uomo planetario” di Ernesto Balducci.

Nella già citata Rettung des Hieronymus Cardanus scritta nel 1752, Lessing ritiene che sia necessario evitare le indagini unilaterali sulla propria religione per riconoscere le ragioni anche parziali dell’altro; se i “caratteri divini” possono essere rintracciati in tutte le religioni, è aperta la via al dialogo interreligioso, una via difficile, che si scontra con pregiudizi diffusi e mentalità radicate, ma possibile. E’ altamente raccomandabile per il Nostro la comparazione fra le varie religioni. Nella mancanza, infatti, del dialogo interreligioso, la posta in gioco è molto alta ed è sempre possibile il prevalere della violenza, dell’odio, del muro contro muro, della minaccia alla convivenza fra diversi. La violenza è sempre in agguato, i più forti e prepotenti tendono a imporsi senza esitazioni grazie anche alla “bile bigotta” dei credenti fanatici di tutte le risme (cfr. OF 396-397, RU 35).

9. L’umanismo di Lessing-Nathan, l’Oriente e il dialogo interreligioso

Nel breve scritto Eine Parabel (1778, OF 582-584) centrale è la metafora del palazzo, che molto probabilmente fa riferimento alla grandezza della verità e all’essenza della religione. Ora, del palazzo molti possiedono degli “schizzi” particolari che però tendono a essere scambiati per l’intero. Ognuno tende a considerare e a valorizzare solo il proprio schizzo per salvare il palazzo minacciato dalle fiamme, ma in realtà tende a salvare essenzialmente il proprio schizzo, il proprio punto di vista sul palazzo. “Se fosse stato per questi affaccendati attaccabrighe il palazzo sarebbe anche potuto bruciare davvero; se solo esso avesse preso fuoco. - Ma i guardiani impauriti avevano scambiato un’aurora boreale per una lingua di fuoco” (OF 584).

In Die Parabel, se interpretiamo bene, gli “schizzi” del palazzo stanno a indicare il rapporto degli uomini con la verità. Tali “schizzi” non rappresentano soprattutto le nostre ostinate cecità e illusioni che ci fanno fissare lo sguardo solo su alcuni particolari, impedendoci di scorgere la verità in tutta la sua ampiezza? Gli “schizzi” non ci parlano dei nostri limiti, piccolezze, manchevolezze in rapporto alla verità che nessuno possiede, di cui siamo al servizio e parte, senza poterne scorgere tutta l’immensa portata? Occorre allora tenere conto di tutti gli “schizzi” e nel contempo andare oltre essi.

Sul rapporto di Lessing con la verità ha scritto Hannah Arendt in Von der Menschlichkeit in finsteren Zeiten. Gedanken zu Lessing : “Lessing (...) si è rallegrato di ciò che - almeno da Parmenide e Platone - ha gettato i filosofi nella disperazione: che la verità, non appena enunciata, si trasforma immediatamente in un’opinione tra le altre, viene contestata, riformulata, portata a essere nient’altro che un oggetto di conversazione come tanti. La grandezza di Lessing non consiste soltanto nell’intuizione teorica che non può esserci una verità unica nel mondo umano, ma nella sua gioia per il fatto che non ne esiste nessuna e che quindi il dialogo infinito degli uomini tra di loro possa continuare incessantemente finché esisteranno gli uomini. Un’unica verità assoluta, se fosse esistita, avrebbe significato la fine di tutte le controversie in cui questo padre e maestro di tutte le polemiche in lingua tedesca era così a suo agio e in cui prese sempre partito in modo totalmente chiaro e definito. Ciò avrebbe significato decretare la fine dell’umanità”(10).

Lessing tenta di considerare e nel contempo oltrepassare tutti gli “schizzi” nell’opera teatrale Nathan der Weise (1778-1779), la quale può essere considerata come quel dodicesimo Anti-Goeze che la censura del duca di Braunschweig gli impedì di pubblicare(11).

Nathan-Lessing mette in discussione la premessa “apparentemente ovvia” (come rileva acutamente Andrea Casalegno nel suo commento a NW 320. Cfr. anche NW 148-149) su cui si fondano tutte le religioni monoteistiche, secondo cui una sola di esse può esser vera. Si tratta qui della “superbia (...) che solo il proprio Dio sia il vero Dio”, della “pia follia di avere il Dio migliore” (die fromme Raserei den bessern Gott zu haben, NW 104-105).

Tali superbia e follia mostrano il volto feroce della violenza tra le religioni, della rivalità, della diffidenza e dell’odio reciproci, della guerra e fanno dimenticare o sottovalutare il fatto essenziale che siamo tutti - prima di ogni altra aggiunta, definizione e caratteristica - uomini in mezzo ad altri uomini (Ah! wenn ich einen mehr in Euch gefunden hätte, dem es gnügt, ein Mensch zu heißen!, cfr. NW 106-107). Anche nel secondo dialogo di Ernst und Falk (1778) Lessing aveva sostenuto che cristiani, ebrei e mussulmani si rapportano fra loro non come semplici uomini (bloße Menschen), ma come uomini particolari (solche Menschen), ogni gruppo dei quali proclama polemicamente il proprio primato culturale e spirituale sugli altri (cfr. OF 674).

Che cosa ci insegna allora la parabola degli anelli (Ringparabel)(12) nel terzo atto di Nathan il saggio? Come per i tre anelli dei tre fratelli, è impossibile provare e stabilire quale sia la vera fede. L’anello vero, che nessuno possiede, ha però il magico potere di rendere amati e di risvegliare, di invitare all’amore reciproco, libero da pregiudizi, al rispetto della eguaglianza e dignità di tutti gli esseri umani. Il Dio inafferrabile che è amore ama tutti gli uomini senza distinzione alcuna: “Jud’ und Christ und Muselman und Parsi, alles ist ihm eins” (“Ebreo, cristiano, musulmano e parsi per lui sono tutt’uno”, NW 88-89).

Anche e soprattutto in riferimento alla celebre testimonianza di Friedrich Heinrich Jacobi (che fece visita al filosofo nel luglio 1780 a Wolfenbüttel e diffuse in lettere a Moses Mendelsshon il contenuto del colloquio incentrato sul pensiero di Spinoza e sull’ Hen kai Pan(13), in cui Lessing individuerebbe il suo credo filosofico), sembra proprio che l’unico vero Dio di Lessing sia stato l’Uno-Tutto infinito, irriducibile ai dogmi e alle supposizioni di qualsivoglia religione positiva. Leggiamo nei Lessings Gespräche mit Jacobi alcune celebri e discusse affermazioni di Lessing: “Die orthodoxen Begriffe von der Gottheit sind nicht mehr für mich; ich kann sie nicht genießen. Hen kai Pan! Ich weiß nichts anders”.

Quale fu, allora, anche in relazione al suo pensiero fondamentale del Dio come Uno-Tutto incommensurabile e inafferrabile, l’idea di umanità di Lessing? Risponde Arendt: “Nessuna idea sulla natura dell’Islam, dell’Ebraismo o del Cristianesimo avrebbe potuto impedirgli di allacciare un’amicizia o di dialogare con un maomettano convinto, un ebreo pio o un cristiano credente. La sua coscienza tanto ferma quanto integralmente libera sarebbe bastata a smascherare ‘obiettivamente’, come un errore, ogni dottrina che rendesse impossibile in via di principio l’amicizia tra gli uomini. Si sarebbe messo subito dalla parte degli uomini, senza preoccuparsi troppo degli argomenti, più o meno eruditi, dell’uno e dell’altro campo. Questa era l’umanità di Lessing”(14).

E’ questo il Grund (fondamento) comune a tutte le religioni. E’ questo il senso della Ringparabel e di ciò che possiamo definire l’umanismo della concretezza terrena, non retorico di Nathan-Lessing, la cui Ehrlichkeit (probità, integrità, onestà), Güte (bontà d’animo) e Großmut (generosità) conducono ad amare gli uomini nella loro libertà e autonomia, nella concretezza della loro condizione e vita quotidiana (cfr. NW 8-11, 20-21, 122-123): “un uomo amerà sempre un uomo più di un angelo” (NW 18-19).

Su Nathan der Weise ha osservato mirabilmente Mittner: “Il particolare incanto del Nathan è creato dalla misura imposta alla nobiltà, dalla modestia che dissimula il sublime. Il linguaggio, anche nei momenti più alti, è quello bonario ed anche umoristico della conversazione familiare; i versi hanno una loro scioltezza che cerca quasi di nascondere il ritmo. Ora questo affettuoso e controllatissimo spirito umanistico ha nel Nathan un suo particolare colorito orientale. L’Oriente, sentito da Lessing come terra della più antica saggezza umana e rappresentato senza banali fronzoli decorativi, diventa veramente, fra scena e scena, un paese da fiaba; è il paese in cui le razze e le religioni s’incontrano e si riconciliano per sempre. In tale clima tanto concreto e pur quasi magico s’incontrano e si riconciliano - come in nessun’altra opera dell’illuminismo tedesco - anche la ragione illuminante e la fantasia immaginifica”(15).

-  Recha, la figlia adottiva di Nathan, afferma di lui: “Mio padre non ama la fredda erudizione dei libri (kalte Buchgelehrsamkeit), che si imprime nella mente con segni morti” (NW 274-275).
-  Distinguendo fra “sogni pii” e “buone azioni”, Nathan dice, rivolto alla figlia: “ora comprendi quanto è più facile fare sogni pii che buone azioni? Quanto ama i sogni pii anche l’uomo più inetto, pur - talvolta forse, senza esserne cosciente - di non dover fare buone azioni?” (NW 30-31).
-  Molti s’illudono, credono di essere saggi, ma sono soltanto furbi, vivono come tali e obliano che la saggezza (Weisheit) - non la ricchezza (Reichtum), il potere, la gloria e altri miti mondani - è il nostro bene più grande (cfr. NW 60-61, 86-87).

Per Nathan-Lessing - la cui coscienza del male in cui si radica la storia umana è acuta (Was sind wir Menschen!, esclama rivolto a Daja nel primo atto, cfr. NW 12-13) - la crudeltà e la disumanità sono il “peccato dei peccati” (cfr. NW 230-231). Egli sa che la crisi dell’umanità e della civiltà è dovuta innanzi tutto alla sfiducia nell’uomo e nelle sue possibilità creative, è una crisi del senso e della direzione della nostra civiltà. Ma Nathan ha il cuore aperto a ogni virtù, lo spirito sgombro dai pregiudizi e disposto a capire ogni bellezza (cfr. NW 92-93); la sua religiosità è intimamente, indissolubilmente congiunta al senso del buono e del bello (cfr. Wie die Alten den Tod gebildet, OF 363-364) - di quella bellezza che è per Lessing la prima legge dell’arte e alla luce della quale si dà tutta la sua interpretazione del Laokoon (1766, cfr. OF 133-308).

“La sua saggezza - ha rilevato Mittner - è soltanto bontà, ma è bontà attiva che, per essere efficace, deve e sa essere sempre prudente ed oculata. La letteratura tedesca non ha un altro personaggio che sia come lui virtuoso senza ingenuità ed avveduto senza mendacia”(16).

Può darsi, allora, che il dialogo interreligioso non sia altro che una “dolce illusione” (di süß Wahn parlano in proposito Daja e Nathan, cfr. NW 16-19), Nathan-Lessing non si nasconde affatto le enormi difficoltà che lo concernono (e che continuano a riguardarlo anche nella nostra epoca), ma esso merita comunque di essere tenacemente perseguito per contribuire a promuovere il presente e il futuro della civiltà planetaria.

Piacenza, febbraio-marzo 2008

* NOTE

-  Agli amici Daniele Bonelli e Attilio Finetti

-  1. G. E. Lessing, Religione e libertà, a cura di G. Ghia, Morcelliana, Brescia 2000, p. 33.

-  2. A tali Streiten si riferisce Guido Ghia nella sua ricca e stimolante “Introduzione” a G. E. Lessing, Opere filosofiche (d’ora in poi cit. con la sigla OF), a cura di G. Ghia, Utet, Torino 2006, pp. 7-46. Riporteremo invece con la sigla RU un’altra importante raccolta di scritti teologico-filosofici del nostro Aufklärer: G. E. Lessing, La religione dell’umanità, a cura di N. Merker, Laterza, Roma-Bari 1991.

-  3. L. Mittner, Storia della letteratura tedesca II. Dal pietismo al romanticismo (1700-1820), tomo primo, Einaudi, Torino 1978, p. 198. Su Lessing si vedano qui le pp. 198-246.

-  4. Cfr. H. Arendt, L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing, a cura di L. Boella, Raffaello Cortina, Milano 2006, pp. 51-54 (lo stesso saggio della Arendt era già apparso, con la medesima traduzione italiana, col titolo L’umanità nei tempi oscuri. Riflessioni su Lessing, ne “La società degli individui” n.7, 2000/1, pp. 5-30).

-  5. L. Mittner, op. cit., p. 231.

-  6. Cfr. H. S. Reimarus, I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel pubblicati da G. E. Lessing, a cura di F. Parente, Bibliopolis, Napoli 1977.

-  7. G. E. Lessing, Nathan il saggio, “Introduzione” di E. Bonfatti, a cura di A. Casalegno, Garzanti, Milano 2004, pp. 22-23.

-  8. H. Küng, La religione nel processo dell’illuminismo, in H. Küng - W. Jens, Poesia e religione, trad. it. di R. Garaventa, Marietti, Genova 1989, p. 90.

-  9. H. Küng, La religione nel processo dell’illuminismo, in H. Küng - W. Jens, Poesia e religione, trad. it. di R. Garaventa, Marietti, Genova 1989, p. 89. In questo stesso volume si veda su Lessing il bel saggio di W. Jens, ‘L’opinione di Nathan è sempre stata la mia’, pp. 91-105.

-  10. H. Arendt, L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing, a cura di L. Boella, Raffaello Cortina, Milano 2006, pp. 91-92.

-  11. Cfr. G. E. Lessing, Nathan il saggio, con testo a fronte, “Introduzione” di E. Bonfatti, a cura di A. Casalegno, Garzanti, Milano 2004 (d’ora in poi riportato con la sigla NW) e l’ “Introduzione” di G. Ghia a G. E. Lessing, Religione e libertà, cit., pp. 12-13.

-  12. Cfr. NW 154-163 e G. E. Lessing, La parabola dei tre anelli, a cura di M. L. Wandruszka, “La società degli individui”, n.7, 2000/1, FrancoAngeli, pp.115-123. Cfr. anche C. Cases, Lessing: ‘Nathan il saggio’, in Saggi e note di letteratura tedesca, Einaudi, Torino 1963, pp. 66-81 e G. Ghia, L’umano come fondamento del dialogo tra le religioni. Nathan il saggio di G. E. Lessing,in “Filosofia e teologia” 1/1999, pp. 125-137.

-  13. Cfr. Lessings Gespräche mit Friedrich Heinrich Jacobi über Spinoza, in Lessings Werke in fünf Bänden, zweiter Band, (Ausgewählt von Karl Balser), Aufbau-Verlag, Berlin und Weimar 1988, pp. 347-348.

-  14. H. Arendt, L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing, a cura di L. Boella, Raffaello Cortina, Milano 2006, p. 96.

-  15. L. Mittner, op. cit., p. 240.

-  16. L. Mittner, op. cit., p. 243.


SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:

-  Gotthold Ephraim Lessing - (Wikipedia).

-  MELCHISEDECH A SAN GIOVANNI IN FIORE, TRA I LARICI “PISANI”.
-  Per i ‘Settanta’ di VATTIMO: 1° FESTIVAL INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA A SILVANA MANSIO (CS) - di Federico La Sala

-  Fuori dalla "preistoria". Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).
-  DANTE, VIRGILIO E IL ’CODICE’ DI MELCHISEDECH. DIO è AMORE (Charitas), in ‘volgare’!!! E LE RADICI DELLA TERRA SONO “COSMICOMICHE”!
-  Un’ipotesi di ri-lettura della DIVINA COMMEDIA, e un omaggio a Ennio Flaiano e a Italo Calvino

-  GIORDANO BRUNO, LE "TRE CORONE" E IL VANGELO ARMATO.
-  Nuccio Ordine rilegge la grande opera di Bruno (e fa intravedere impensate connessioni con Dante, Boccaccio, Lessing e noi, tutti e tutte).

-  EU-ANGELO, BUONA-NOTIZIA. "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»!!!!
-  "DIO NON E’ CATTOLICO". "Dio è al di là delle frontiere che vengono erette". Accorato appello del Cardinale Carlo M. Martini alla Chiesa per una sua rapida e profonda riforma

-  Ragione ("Logos") e Amore ("Charitas"). Per la critica dell’economia politica ..... e della teologia "mammonica" ("Deus caritas est", 2006)
-  L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana"


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