[...] arriva la promessa della presenza in piazza di un cartello di associazioni omosessuali e delle famiglie di fatto: "Anche noi parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie, perché anche le nostre sono famiglie italiane", annunciano, in una nota congiunta, le associazioni nazionali Agedo (associazione genitori di omosessuali), Arcigay, Arcilesbica, Famiglie arcobaleno (associazione papà e mamme omosessuali), e Liff (Lega italiana famiglie di fatto).
"Siamo famiglie italiane. Siamo genitori - si legge nella nota - di figli gay, che amiamo vedere felici con i propri compagni. Siamo coppie conviventi da vent’anni, senza diritti ma con un forte consapevolezza dei nostri doveri reciproci. Siamo mamme lesbiche che amano i propri figli, anche se per lo Stato una di noi due è un’estranea. Crediamo che le politiche per le famiglie vadano consolidate".
Il Forum famiglie: vescovi e politici "non sono minimamente coinvolti".
Alcune associazioni gay promettono: "Anche noi partecipiamo con le nostre famiglie"
Dico, "Family day" il 12 maggio a Roma
i cattolici chiamano in piazza a San Giovanni
Il direttore della sala stampa vaticana attacca i media: descrivono una Chiesa oscurantista *
CITTA’ DEL VATICANO - "Il bene della famiglie è il bene del Paese". Questo lo slogan sotto al quale scenderà in piazza, il 12 maggio in piazza San Giovanni a Roma, larga parte del mondo associativo cattolico. La conferma della data è arrivata da Daniele Nardi, il portavoce del Forum delle Associazioni Familiari. E il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, attacca i media: dipingono una Chiesa oscurantista.
Giovanni Giacobbe, presidente del Forum famiglie, motore della manifestazione, mette le mani avanti: i vescovi "non sono minimamente coinvolti", dice. Quanto ai politici, Giacobbe afferma che "la manifestazione è organizzata al di fuori da tutti i partiti politici, poi ognuno è libero di partecipare". Il presidente delle Acli, Andrea Olivero, usa gli stessi toni: "La riunione di oggi è andata molto bene. Abbiamo approvato il manifesto e lavorato lungamente". E nel manifesto volutamente non si fa mai esplicitamente riferimento ai Dico. Comunque è scontata la partecipazione di una parte del mondo politico. Già annunciata quella di Enzo Carra, Dl e portavoce dei teodem, che invita i parlamentari dell’Unione a essere in piazza.
Ma arriva la promessa della presenza in piazza di un cartello di associazioni omosessuali e delle famiglie di fatto: "Anche noi parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie, perché anche le nostre sono famiglie italiane", annunciano, in una nota congiunta, le associazioni nazionali Agedo (associazione genitori di omosessuali), Arcigay, Arcilesbica, Famiglie arcobaleno (associazione papà e mamme omosessuali), e Liff (Lega italiana famiglie di fatto).
"Siamo famiglie italiane. Siamo genitori - si legge nella nota - di figli gay, che amiamo vedere felici con i propri compagni. Siamo coppie conviventi da vent’anni, senza diritti ma con un forte consapevolezza dei nostri doveri reciproci. Siamo mamme lesbiche che amano i propri figli, anche se per lo Stato una di noi due è un’estranea. Crediamo che le politiche per le famiglie vadano consolidate".
Le associazioni di omosessuali "saranno le benvenute al Family Day", ribatte Giovanni Giacobbe. Mi auguro che il loro intervento non sia un un intervento di disturbo ma di partecipazione".
E il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in una nota trasmessa dalla Radio Vaticana, lamenta un uso strumentale delle posizioni della Chiesa sui Dico da parte di agenzie, giornali e tv. La polemica sulle unioni di fatto e la Chiesa, dice il sacerdote, è solo l’ultimo e forse più significativo esempio, di una crisi nella etica della comunicazione e di un abbassamento della professionalità dei media, che ha portato a descrivere una Chiesa oscurantista".
* la Repubblica, 19 marzo 2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La Sacra Unione di fatto
di Enzo Mazzi *
«Sacra Unione di Fatto», questa è la giusta definizione del modello cristianamente perfetto di ogni famiglia, incarnato da quella che tradizionalmente viene chiamata "Sacra Famiglia". Potrebbe sembrare una battuta spiritosa e dissacrante. È invece una reale contraddizione teologica irrisolta che il cristianesimo si porta dietro da quando è divenuto religione dell’Impero. Costantino si convertì al cristianesimo ma al tempo stesso il cristianesimo si convertì a Costantino. La nuova religione dovette cioè farsi carico della stabilità dell’Impero accettando di sacralizzarne alcuni capisaldi e fra questi proprio la famiglia. Fu un compromesso fatale.
Il cristianesimo non era nato per difendere la famiglia. Anzi all’inizio fu un movimento di superamento del concetto patriarcale di famiglia. La cultura e la teologia predominanti nella esperienza da cui sono nati i Vangeli è di un "radicalismo etico", quasi una rivoluzione, che si propone di oltrepassare la cultura e la teologia tradizionali: «Vi è stato detto..., io invece vi dico... » afferma Gesù in contraddittorio con sacerdoti, scribi, farisei. «Si trattò all’inizio di un movimento di contestazione culturale e di abbandono delle strutture della società» (G. Theissen, La religione dei primi cristiani, Claudiana, 2004). Basta pensare alla reazione di Gesù, in un episodio del Vangelo di Matteo: «Ecco là fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: "E chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre"».
Un orizzonte nuovo di valori universali si apre in realtà nel Vangelo col superamento del concetto patriarcale di famiglia: da tale oltrepassamento nasce la comunità cristiana, la nuova famiglia, "senza padre" o meglio con un solo padre «quello che è nei cieli». «Nessuno sia tra voi né padre né maestro... » dice infatti Gesù. Se è vero che «la realizzazione pratica dell’etos del diritto naturale non è possibile senza la vita della grazia», come ha sostenuto di recente il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall’Università del papa, la Lateranense, se cioè bisogna rivolgersi alle scelte della grazia di Dio per sapere che cos’è la natura, allora bisogna concludere che Dio privilegia "l’unione di fatto" e non la famiglia. Insomma per dirla con parole semplici prima viene l’amore, l’unione, la solidarietà e poi viene il patto, la legge, il codice. Questa sembra l’essenza più profonda della natura umana. Lo dice plasticamente il Vangelo: «Il sabato (cioè la norma) è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato». Il compromesso con l’Impero portò alla attenuazione se non al fatale capovolgimento di un tale etos evangelico.
È questa una intrigante contraddizione per le gerarchie ecclesiastiche del "Non possumus" e della rigida Nota anti-Dico, per i preti, i cattolici e i laici del Family-day.
Una traccia vistosa e significativa di tale contraddizione si trova ancora oggi nel celibato dei preti, religiosi e religiose. Il dogma cattolico mentre considera biblicamente il matrimonio come «segno sacro dell’Alleanza nuova compiuta dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, con la sua sposa, la Chiesa», d’altro lato ha bisogno di un segno opposto e cioè la verginità e il celibato per significare «l’assoluto primato dell’amore di Cristo» (cf. Compendio del Catechismo 340-342). Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 338 pone la domanda: «Per quali fini Dio ha istituito il Matrimonio?». La risposta è questa: «L’unione matrimoniale dell’uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla comunione e al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione dei figli». Il fine della "generazione/procreazione" fa parte strutturale della natura del matrimonio. Se esclude il fine della procreazione il patto matrimoniale è nullo. Al n. 344 e 345 lo stesso Catechismo dice: «Che cosa è il consenso matrimoniale? Il consenso matrimoniale è la volontà, espressa da un uomo e da una donna, di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza di amore fedele e fecondo... In ogni caso, è essenziale che i coniugi non escludano l’accettazione dei fini e delle proprietà essenziali del Matrimonio». Addirittura al n. 347, il rifiuto della fecondità viene additato come peccato gravemente contrario al Sacramento del matrimonio: «Quali sono i peccati gravemente contrari al Sacramento del Matrimonio? Essi sono: l’adulterio; la poligamia, in quanto contraddice la pari dignità tra l’uomo e la donna, l’unicità e l’esclusività dell’amore coniugale; il rifiuto della fecondità, che priva la vita coniugale del dono dei figli; e il divorzio, che contravviene all’indissolubilità».
La contraddizione si avviluppa su se stessa e si incattivisce: Maria e Giuseppe escludendo dal loro matrimonio la fecondità naturale, per amore della verginità di Maria, secondo il Catechismo cattolico compiono un grave peccato.
Il Diritto Canonico conferma il dogma in modo apodottico in vari canoni. Specialmente il canone 1101 sancisce che è nullo il matrimonio di chi nel contrarlo «esclude con un positivo atto di volontà» la procreazione. È in base a queste enunciazioni dogmatiche e normative che il Tribunale della Sacra Rota emette quasi ogni giorno dichiarazioni di nullità del matrimonio, perché anche uno solo degli sposi può provare di aver escluso per sempre la procreazione al momento del consenso matrimoniale. I cattolici che si battono per la difesa e la valorizzazione della "famiglia naturale" e si preparano addirittura a scendere in piazza per scongiurare il riconoscimento delle unioni di fatto e l’approvazione dei Dico molto probabilmente non hanno mai riflettuto su queste contraddizioni, non le conoscono o le allontanano dalla loro coscienza e dall’orizzonte della loro fede. Esse invece sono invece parte integrante della stessa fede. Vediamo meglio perché. Il Vangelo di Matteo racconta che «Giuseppe, come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, prese in sposa Maria che era incinta ed ella, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù». Il dogma cattolico aggiunge che Maria aveva consacrato in perpetuo la sua verginità al Signore e quindi nello sposare Giuseppe aveva escluso in maniera assoluta la procreazione, essendo Giuseppe pienamente consenziente con tale esclusione. "Maria sempre vergine", nell’intenzione e nei fatti. Così dice il dogma. Chi lo nega è eretico. Ma con questa esclusione positiva ed assoluta della prole, per lo stesso dogma cattolico e per il Diritto Canonico il matrimonio di Maria con Giuseppe è invalido. Maria e Giuseppe erano una coppia di fatto che oggi il Diritto Canonico non può riconoscere come vero matrimonio. Dio nel momento in cui decide di farsi uomo sceglie di crescere e di essere educato da una coppia, Maria e Giuseppe, che per il dogma e per il Diritto cattolico era unita di fatto in un matrimonio non valido e quindi non era vera famiglia: era appunto una Sacra Unione di fatto.
Dietro una spinta così forte proveniente del Vangelo, da anni ci siamo impegnati, come tanti altri, e con forti conflitti, a immedesimarsi nelle discariche umane prodotte nella "città delle famiglie normali". E lì abbiamo trovato bambini abbandonati per l’onore del sangue, ragazze madri demonizzate e lasciate nella solitudine più nera, handicappati rifiutati, carcerati privati della parentela, gay senza speranza, coppie prive di dignità perché fuori della norma, minori violentati dai genitori, mogli stuprate dietro il paravento del "debito coniugale". La "misericordia" del Vangelo ci ha imposto di non demonizzare anzi di accogliere la ricerca di forme di convivenza meno distruttive. Per purificare lo stesso matrimonio, non certo per distruggerlo. Quei bambini abbandonati, quelle ragazze madri, quegli handicappati, quei carcerati, quei gay, quelle vittime di violenze intrafamiliari, hanno avuto bisogno di "unioni di fatto", magari cosiddette "case famiglia", che se ne facessero carico. Poi anche le famiglie si sono aperte alle adozioni e agli affidamenti. Ma la breccia è stata aperta da "unioni di fatto".
Fine della famiglia tribale e delle sue discariche? Macché. Nuove emergenze incombono. La competizione globale, questa guerra di tutti contro tutti, riporta a galla il bisogno di mura. Il mondo del privilegio non accetta la condivisione e non ne conosce le strade se non nella forma antica della elemosina che oggi è confusa impropriamente con la solidarietà; conosce molto bene però l’arte dell’arroccamento. E di questo bisogno di blindatura approfittano i crociati della famiglia. Guardando bene al fondo, in nome di che si ricacciano in mare gli extra-comunitari? Sono estranei alla nostra famiglia e alla nostra famiglia di famiglie. La difesa a oltranza della famiglia canonica oggi è fonte di esclusione verso i dannati della terra. L’opposizione al riconoscimento delle nuove forme di solidarietà è nel profondo radice di violenza verso gli esclusi. La crociata contro le famiglie di fatto oggettivamente è egoista, oltre i bei gesti e le belle parole e oltre le stesse intenzioni, al di là delle apparenze. Non basta difendere la famiglia naturale. Bisogna ancora una volta guarirla.
È necessario riscoprire il primato dell’amore e della solidarietà oltre i confini di razza, etnia, famiglia, quell’amore responsabile e quella solidarietà piena che sono sacre in radice e rendono sacro ogni rapporto in cui si incarnano. Bisogna ritrovare le strade dell’apertura planetaria della famiglia, di una famiglia purificata e guarita, già annunciate dal Vangelo, nelle attuali esperienze delle giovani generazione e dei nuovi soggetti, con prudenza creativa, senza nascondersi limiti e pericoli, ma anche senza distruttive demonizzazioni.
* l’Unità, Pubblicato il: 12.04.07, Modificato il: 12.04.07 alle ore 14.21
COMUNICATO STAMPA *
Bologna, 19 marzo 2007
FAMILY DAY: ASSOCIAZIONI OMOSEX ANNUNCIANO PARTECIPAZIONE
"ANCHE NOI IN PIAZZA SAN GIOVANNI CON LE NOSTRE FAMIGLIE"
"Anche noi parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie, perché anche le nostre sono famiglie italiane". Lo annunciano in una nota congiunta le associazioni nazionali Agedo (ass. genitori di omosessuali), Arcigay, Arcilesbica, Famiglie arcobaleno (ass. papà e mamme omosessuali), e Liff (Lega italiana famiglie di fatto).
"Siamo famiglie italiane - si legge nella nota -. Siamo genitori di figli gay, che amiamo vedere felici con i propri compagni. Siamo coppie conviventi da vent’anni, senza diritti ma con un forte consapevolezza dei nostri doveri reciproci. Siamo mamme lesbiche che amano i propri figli, anche se per lo Stato una di noi due è un’estranea.
"Crediamo che le politiche per le famiglie vadano consolidate. Chiediamo più assistenza per gli anziani, più asili nido, più agevolazioni per le famiglie numerose, più case popolari. Chiediamo anche che questi interventi siano rivolti a tutta la popolazione, senza discriminare in base all’etnia, alla lingua, alla religione, all’identità di genere o all’orientamento sessuale.
"Rispettiamo la Costituzione della Repubblica italiana, che nel riconoscere all’art. 29 i diritti delle famiglie sposate, non vieta in alcun modo il riconoscimento di altre unioni e nulla toglie alle altre famiglie, e che agli articoli 2 e 3 rispettivamente ’riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’, e sancisce che ’tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’.
"Chiediamo il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che all’art. 9 stabilisce in modo distinto il diritto a sposarsi e il diritto a costituire una famiglia, anche fuori del matrimonio".
"Per questi motivi e su questi presupposti parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie italiane in piazza San Giovanni a Roma. Perché noi siamo famiglie".
* Ufficio stampa Arcigay
E la Chiesa cerca la rivincita nell’anniversario del divorzio
Il 12 maggio 1974 una delle sconfitte più cocenti per il Vaticano e la Democrazia cristiana
Quella domenica di 33 anni fa il referendum che divise l’Italia
Scherzo del calendario o scherzo da prete? La scelta della data del Family Day fa pensare
di FILIPPO CECCARELLI (la Repubblica, 20.03.2007)
Scherzi del calendario o scherzi da prete?
Perché è vero che è passato un sacco di tempo, 33 anni per l’esattezza, ma il fatto che le associazioni cattoliche abbiano fissato proprio il 12 maggio come data del «Family day», beh, un po’ sa di rivalsa o riscatto, di provocazione o purificazione; a meno di non considerare l’anniversario una di quelle misteriose coincidenze che fanno la gioia dell’indagine esoterica a sfondo politico-junghiano.
E comunque: il 12 maggio del 1974 si tenne il referendum sul divorzio. I No all’abrogazione delle legge Fortuna-Baslini prevalsero con il 59,3 per cento sul fronte cattolico, che ottenne il 40,7 per cento. E coincidenza per coincidenza, navigando su Internet ci si imbatte sulla prima pagina dell’Avvenire che sotto i grandi caratteri di stampa, «Hanno prevalso i No», reca un editoriale intitolato: «Impegnarsi a fondo per la famiglia».
Riconobbe allora, il quotidiano della Cei, la pienezza di un’autentica svolta: «Dobbiamo prendere coscienza - scrisse - che si è dinanzi a un mutamento di costume e cultura». Questo, per la verità, non era difficile da cogliersi. La sera dei risultati la primavera era ancora un po’ in ritardo, ma ai primi segnali di vittoria «un’immensa marea di cittadini, forse mezzo milione - scrissero Massimo Teodori, Piero Ignazi e Angelo Panebianco ne I nuovi radicali (Mondadori, 1977) - percorse in corteo le strade della capitale, esternando entusiasmo in un’atmosfera paragonabile a quella della proclamazione della vittoria repubblicana del 1946».
I leader laici, Nenni, Saragat, La Malfa e Malagodi avevano chiuso la campagna elettorale a piazza del Popolo; i comunisti, con Berlinguer, s’erano radunati in quella stessa piazza San Giovanni che 33 anni dopo i cattolici cercheranno di riempire per la famiglia. La notte del 13 maggio il carosello divorzista si condensò spontaneamente a piazza Navona. Sul palco l’impeto tribunizio del vecchio Nenni tornò a solfeggiare antiche tonalità anticlericali: «Hanno voluto contarsi, hanno perduto! Questa la sorte comune dei Comitati civici», che in verità non esistevano più. «Questa - continuò stringendo il pugno - è la sorte della Chiesa»! Non lontano dal leader socialista era Marco Pannella, che allora aveva 44 anni e stava al decimo giorno di sciopero della fame, contro la Rai di Bernabei. Confusi tra la folla, anche due dirigenti del Pci: Maurizio Ferrara e il «sor» Paolo Bufalini, quest’ultimo delegato dal Pci a tenere i rapporti con le gerarchie d’Oltretevere. Entrambi molto romani e altrettanto scettici, erano decisamente infastiditi dal clima radicale e festaiolo, e tale sentimento è rimasto impresso in un sonetto del papà di Giulianone che dopo aver poco amichevolmente descritto «‘na manica de gente assai lasciva/ finocchi e vacche ignude alla Godiva», così si conclude: «Ar vedelli smanià come li bonzi/ sor Paolo ciancicò: "Bell’allegria, / ce tocca vince pure pe’ ‘sti stronzi!».
E tuttavia è ai perdenti di allora che il prossimo 12 maggio consiglia semmai di rivolgere lo sguardo. «Questa sera è una nuova Porta Pia - annotò nei suoi diari Gian Franco Pompei (Il Mulino, 1994) l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede - Anche Paolo VI, come Pio IX, ha voluto avere la sua: l’ha avuta». Papa Montini stava male, tanto che all’inizio del mese un giornale francese l’aveva già dato per morto; e altri pensavano che se si fosse perso il referendum si sarebbe potuto dimettere. Ipotesi tanto più sconsolata se si pensa che in vista della consultazione sul divorzio qualche democristiano se n’era uscito con questa specie di cinico e raffinatissimo dilemma: «Se perdiamo, siamo perdenti. Ma se vinciamo, siamo perduti».
E in effetti. A parte Fanfani, che prima del voto volle inaugurare a Caprese Michelangelo un blocco scultoreo dedicato «dai figli riconoscenti ai genitori uniti» e che in un cinema di Caltanissetta si prese il profetico sfizio di far presente agli uomini in sala che di questo passo le mogli sarebbero potute scappare con le cameriere, ecco, a parte Fanfani contro il divorzio si spese a corpo morto solo il Comitato iper-cattolico di Gabrio Lombardi che anni dopo testimoniò, a futura memoria: «Mai come in quel periodo abbiamo avvertito in noi la grande pace, la grande gioia, che dà certezza di aver compiuto, sino in fondo, il proprio dovere».
Gli altri dc rimasero defilati, o acquattati: Andreotti alla Difesa; Moro alla Farnesina; Rumor, laceratissimo, a Palazzo Chigi. Tutti e tre accolsero la sconfitta con una ideale e trepida alzata di spalle. Eppure, quel giorno, l’Italia non solo cessava di essere una società cattolica, ma la Chiesa capiva anche di non poter più contare sulla Dc. E dopo tanti anni, fra tante date, non ha perso la memoria, né l’occasione di mostrare come tutto, su questa terra, può risolversi nel suo contrario.
Un’inchiesta promossa dalla segreteria generale della CEI, nel 1974, ha portato a individuare nelle cause che la segreteria dei vescovi indica qui di seguito, la ragione della profonda crisi che avvolge il mondo cattolico italiano e che il referendum ha portato alla luce:
" [...] Correnti di pensiero prevalentemente dominate dalla ideologia marxista e tutte permeate da una antropologia unidimensionale.
[...]
Perdita di incidenza, in Italia, del pensiero cattolico; le strutture della cultura sono passate in altre mani.
[...]
una scarsa e disorganica assimilazione del Concilio, con false sperimentazioni e interpretazioni; con lentezza e ritardi da una parte; con precipitazioni spregiudicate dall’altra;
[...]
una "crisi di crescenza" della cultura teologica: sono prolificati libri, opuscoli, riviste, che hanno affrontato e diffuso problemi assai gravi di dottrina teologica e morale, senza i debiti fondamenti e la seria preparazione;
una penetrazione progressiva di idee, interpretazioni, terminologie a sfondo socio-politico e marxista e un’esclusione quasi sistematica della dimensione metafisica e di quella teologico-pastorale"
In questo contesto è stato affrontato il referendum contro il divorzio che, dice sempre la CEI, ha soltanto "evidenziato i mali della Chiesa in Italia e li ha esasperati", mostrando "un declino e un sottosviluppo della coscienza cristiana, che non ha saputo reagire al laicismo e al secolarismo, in stridente contrasto con lo stesso Vaticano II, che impegna il cristiano a portare nell’ordinamento della città terrena lo spirito del Vangelo, secondo l’insegnamento della Chiesa"
[Segreteria generale della CEI, Inchiesta sulla situazione ecclesiale in Italia. Sintesi delle relazioni delle Conferenze regionali e delle Commissioni episcopali, Roma, 10 ottobre 1974, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, vol. 2 (1973-1979), EDB 1985, p. 545].