POSTA INDESIDERATA
di Mariuccia Ciotta (Il Manifesto, 18.03.2007)*
Una letterina pastorale accompagnerà la benedizione delle uova di Pasqua nelle case romane, anzi un volantino di propaganda anti-Dico sull’«importanza sociale della famiglia». È l’ultima trovata del cardinal Ruini, che ha perso la Cei ma non il vizio e che ora in qualità di vicario di Roma ha trasformato i sacerdoti della diocesi in pony-express della chiesa.
Che c’è di male, si dirà, se insieme all’acqua benedetta arriva anche una missiva che aiuta a riflettere sui grandi temi sociali e culturali? Contenuto e metodo, però, non hanno il sapore della colomba pasquale, e sono in linea con il forcing papalino che ha lanciato la campagna dell’obiezione di coscienza per giudici e parlamentari contro leggi «eversive dell’antropologia personale e familiare che dall’Eucarastia scaturisce», e che ha bacchettato il cardinal Martini, detto l’«antipapa», per le sue parole di apertura al dialogo.
La missiva, consegnata secondo le modalità berlusconiane, del tutto inconsueta e forse senza precedenti, è introdotta da Ruini e contiene un testo del cardinale di Firenze Ennio Antonelli, che, in sintonia con Benedetto XVI, fa appello alla «ragione». Così anche chi non è credente potrà condividere le considerazioni proposte in «armonia con la fede cristiana». Ecco di nuovo la pretesa della «ragione universale», l’attacco al relativismo come fonte di tutti i mali, che conduce questo papa verso l’eliminazione di ogni pensiero, filosofia, etica, politica che non siano quelle della Chiesa romana.
Non è la parola del Vangelo che arriverà nelle case, ma una diffida verso uomini e donne che «privilegiano i diritti e l’indipendenza dell’individuo». Che cristianamente accolgono nella comunità umana le coppie di fatto e quelle omosessuali, le quali, invece, «non hanno gli stessi diritti delle famiglie, dato che non hanno gli stessi doveri». Nella lettera, si precisa che tali coppie sono equiparabili a «un rapporto privato tra individui, analogo al rapporto di amicizia, per il quale nessuno si sogna di chiedere un riconoscimento giuridico». Cancellata ogni relazione d’amore, i Dico (mai nominati) si dissolvono in un rapporto inconsistente, indegno di attenzione da parte delle istituzioni.
Questa è la sorpresa pasquale di un pontificato violento che individua nella famiglia tradizionale il baluardo non tanto della società ma del dominio ecclesiale sull’ordine simbolico. Intollerabili non sono i comportamenti «devianti», ma la valorizzazione, il riconoscimento culturale e giuridico di soggetti che ribaltano le gerarchie sessuali (donne e gay) e che quindi, praticando il relativismo estremo, minano il magistero universale del Vaticano. Non c’è più armonia in terra e in cielo con i Dico, tanto che alla fine la lettera esplicita l’invito a «dare la vostra adesione alle associazioni» che tutelano la famiglia, la sola in grado di garantire «libertà e solidarietà». L’unico consiglio per passare una buona Pasqua è: non aprite al postino, nemmeno se suona due volte.
* FONTE: ARCIGAY DI MILANO
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA LEZIONE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI - di PIERO CALAMANDREI.
LA COSTITUZIONE, LA NOSTRA "BIBBIA CIVILE"
SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI
EU-ROPA: ITALIA. RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULL’OMOFOBIA
Bagnasco: "I politici non trascurino il family day" *
ROMA - Il "Family Day", avvisano i vescovi italiani, non potrà essere trascurato dai politici. "E’ la società civile che si è espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati", ha detto oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, aprendo nel pomeriggio i lavori dell’Assemblea generale della Cei in Vaticano. La manifestazione di San Giovanni, ha aggiunto il presule, è "stato un fatto molto importante" "consolante per noi vescovi", e con "un’ottima riuscita". I vescovi italiani, ha aggiunto Bagnasco, non vogliono fare "da padroni", "parlare dall’alto", nè attentare alla laicità della vita pubblica. Il capo dei vescovi ha ricordato le minacce contro di lui e la Chiesa, e si è detto molto preoccupato riguardo "il rischio di una contrapposizione strumentale tra laici e cattolici". "Questa contrapposizione - ha detto oggi - in realtà non trova riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del nostro popolo".
Quanto alle questioni sociali il presidente della Cei è stato altrettanto netto. "La nostra esperienza diretta - ha detto - registra una progressiva crescita del disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate nel ceto medio". "E proporzionalmente - ha aggiunto - c’è un ulteriore schiacciamento delle famiglie che avremmo definite povere". Dalle segnalazioni ricevute, ha spiegato il presidente della Cei, "la situazione attualmente più esposta sembra essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico". "Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese. E’ da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto- anche con i ’pacchi viveri’ che parevano definitivamente superati per lo più mascherata e nascosta per dignità".
* la Repubblica, 21-05-2007.
L’inganno dei valori
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 1/4/2007)
La nota pastorale dei vescovi sulla famiglia e sul pericolo rappresentato da leggi che regolino diritti e doveri di altre forme di convivenza ha fatto molta impressione, fuori Italia, ma per motivi diversi da quelli che immaginiamo. Non hanno colpito i toni della Chiesa, meno duri a ben vedere di quelli usati dall’ex presidente della Conferenza episcopale Ruini. Hanno colpito il timore che questi toni hanno suscitato in Italia, lo smarrimento diffusosi nella classe politica, il successo ottenuto in fin dei conti dall’intimidazione. Nel testo di Bagnasco non ci sono né anatemi, né la denuncia di comportamenti sessuali che la Chiesa continua a considerare anomali, devianti. In realtà quest’ultima non ha più bisogno della durezza per imporsi: i politici e la laicità si lasciano intimidire anche con poco, per poi farsi magari sorprendere quando lo stesso Bagnasco dice che da cosa nasce cosa, paragonando l’omosessualità a incesto e pedofilia (salvo in un secondo momento precisare di essere stato male interpretato). A tal punto sono oggi deboli politica e Stato laico, incapaci di difendersi, prede d’ogni sorta di gruppo di pressione. Affermatasi lungo i secoli, l’autonomia della politica da cultura e religione vacilla.
Quest’infermità della politica e delle leggi non è un fenomeno solo italiano. Valori e religione, cultura e morale privata occupano in gran parte dell’Occidente uno spazio centrale, privatizzando e abbassando la politica. Si vincono le elezioni su questi temi, si misura la popolarità dei politici su passioni sino a ieri intime come la paura, l’amore. Assistiamo alla restaurazione di grandi colpe, grandi peccati, e alla sete di punizione che la restaurazione promette.
Colpe sessuali soprattutto, visto che politici stampa e la stessa gerarchia ecclesiastica son divenuti indifferenti a mali ben più cruciali come l’illegalità, la mafia, il rubare, il guerreggiare senza casus belli. Vengono fabbricati anche capri espiatori per questa politica intimista: lo straniero, l’omosessuale, perfino il malato. Il benefico tabù che dai tempi di Auschwitz protegge l’ebreo non vale, singolarmente, per le altre vittime dei Lager: omosessuali, zingari, malati psichici. Per quanto concerne l’Italia non è nuovo. Negli anni 60-70 fu Pasolini, il diverso da abbattere mettendo la giustizia a servizio di quello che venne definito, da un pubblico ministero nel ’63, il comune sentire della «stragrande maggioranza degli italiani che non trova voce per esprimere le proprie idee». In uno splendido saggio su quei processi, Stefano Rodotà scrive nel ’77 che Pasolini è «la somma di tutti i vizi, e incarna il sogno di chi vorrebbe il Male con una sola testa per decapitarlo con un colpo solo».
Evocare oggi quei processi aiuta a ricordare due cose. Primo, l’aureola di normalità che non da oggi circonda la famiglia. Secondo: le forze che l’hanno aureolata, complici fascisti, democristiani e comunisti. È una verità che la sinistra dimentica, quando oggi ripesca nelle proprie tradizioni la famiglia col tempo abbandonata. La cultura familistica e puritana era potentissima, in Urss come in Europa, e in Italia sfociò nell’esecrazione di Pasolini come di Aldo Braibanti, il filosofo omosessuale condannato per plagio nel ’69. Quando Pasolini fu espulso dal Pci per «indegnità morale», nel ’49, sull’Unità apparve un commento di Ferdinando Mautino, della Federazione di Udine, in cui si denunciavano «le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre, di altrettanti decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese». Se in Italia si infranse il mito del collettivo puro e incontaminato - collettivo della famiglia o del partito, le due purezze erano congiunte - lo si deve ai radicali, non alla sinistra classica. La sinistra che oggi disseppellisce famiglia e comunitarismo non disseppellisce il meglio di sé ma il più asfissiante. Riscopre il Noi che sostituisce l’Io, il collettivo contro l’individualismo borghese. Non siamo i soli in Europa, abbiamo visto. Un analogo frantumarsi della politica avviene nella sinistra francese, oggi impersonata da quella donna fervente e ammaliata da Giovanna d’Arco che è Ségolène Royal. Anch’essa riscopre i valori della famiglia, convinta com’è che la politica sia impopolare non perché impotente, ma perché neutrale su questioni di morale privata. Nelle scorse settimane ha ascoltato Sarkozy appassionarsi per l’identità nazionale e s’è messa a rincorrerlo. Ogni famiglia, ha annunciato, dovrebbe avere in casa il tricolore, e come ai vecchi tempi appenderlo alle finestre alle feste nazionali.
La politica dei valori è un termine che rispetta poco il principio di non contraddizione - per definizione la politica governa valori discordanti - e s’è insediata in Occidente dopo l’esperienza Thatcher. Cominciò a propagandarla John Major, per fronteggiare il declino dei conservatori, quando parlò di «basic values»: una bandiera ripresa dal nuovo laburismo. L’ammirazione per Blair, a sinistra come a destra, non è casuale in Europa. Senza temere di contraddirsi, le sinistre stanno appropriandosi di slogan che in Francia appartennero alle destre di Pétain: travail-famille-patrie (lavoro-famiglia-patria) sembra quasi soppiantare fraternità libertà e uguaglianza. Il politico che propone questi valori può vincere un’elezione, ma alla lunga può perdere. Così come è perdente l’opposizione che ogni sera invita il governo a dimettersi. Quel che si ottiene è una politica che fa harakiri, incapace di legiferare con spirito laico. Di laicità si discute molto, e spesso a sproposito: viene descritta come un’ideologia dello scetticismo, del relativismo. Il cardinale Scola, a Rai 1, l’ha definita così: «Somiglia a una notte in cui le vacche son tutte nere». Questa tendenza a identificare lo Stato laico con una filosofia serve lobby e disegni di potere coltivati in nome di culture religiose. Se la laicità è una filosofia come le altre, allora tutte le filosofie, religiose o no, possono governare la città, imponendo o impedendo leggi. In Germania, nei giorni scorsi, si è giunti a una vera perversione. Un giudice ha negato il divorzio rapido a una giovane marocchina picchiata dal marito musulmano, perché sposandolo doveva sapere che il Corano concede il «diritto alla punizione corporale». Le gerarchie cattoliche rischiano derive non diverse, quando chiedono che una legge sia fatta o non fatta su indicazione della Cei.
La laicità non è un’ideologia. È un metodo che consente a individui di diversa cultura, a credenti e non credenti, di convivere senza distruggersi. È lo strumento che permette di separare la politica da fede e cultura, e di evitare che la sovranità sia spartita tra i due poteri, temporale e spirituale. La diatriba è antica. Nei primi del ’600, frate Paolo Sarpi considerava tale spartizione fonte di temibili turbolenze. Difendendo la Repubblica veneziana dalle pressioni del Vaticano scriveva che non era possibile l’esistenza di due poteri eguali e indipendenti, e che per la conservazione della «quiete» - oltre che per rispettare la parola di Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo» - occorreva che leggi e politica spettassero solo al Principe. Era colpa della politica, aver delegato alla Chiesa sovranità che non le spettavano. Era una forma di superstizione, e la Chiesa che ne profittava era accusata di petulanza.
Questa tradizione non è mai venuta meno nel cristianesimo. Jacques Maritain parlava di «principi immutabili» e della superiorità spirituale della Chiesa sul Principe, ma sosteneva che la realizzazione dei valori doveva tener conto delle circostanze e dell’autonomia acquistata dalla società politica, attenendosi al principio pluralistico e a quello del minor male. Antonio Rosmini affermava che i privilegi erano una piaga cristiana, e che una Chiesa con meno privilegi era una Chiesa più libera dallo Stato. La sinistra riscopre la famiglia, Ségolène e Sarkozy rispolverano l’identità nazionale. In realtà non s’appropriano di valori trascurati o rubati. Si adeguano a quel che immaginano essere una volontà generale, presupponendo che essa sia bene interpretata da Le Pen, di cui tutti i candidati sono mimetici figli: Ségolène quando esalta il tricolore; Sarkozy quando elogia l’identità nazionale, il centrista Bayrou quando fa sapere che la virilità è quel che sua moglie ammira in lui.
I valori diventano così qualcosa di astratto: si fanno perfino guerre, in nome di nobili invenzioni. Maritain, ancora, diceva che soggetti di diritto dovrebbero essere non entità astratte come «verità» o «errore» ma le persone umane, prese individualmente e collettivamente. Altrimenti la realtà evapora, la persona concreta si fa invisibile. Sono invisibili le unioni alternative, in aumento ovunque perché la famiglia è in frantumi. È invisibile l’Europa, quest’insieme di persone che cercano di recuperare la sovranità perduta dalle patrie. Da queste cecità scaturisce la strategia dei Valori. L’astratto furore si presenta come nobile, ma abbassando il Principe corrompe sia la politica sia i valori.
Dico, Family day il 12 maggio a Roma
cattolici in piazza a San Giovanni *
CITTA’ DEL VATICANO - Si terrà il 12 maggio in piazza San Giovanni a Roma la grande manifestazione dei cattolici in difesa della famiglia. Lo ha confermato all’Agi Daniele Nardi, il portavoce del Forum delle Associazioni Familiari.
E il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lomabardi, in una nota trasmessa oggi dalla Radio Vaticana, lamenta un uso strumentale delle posizioni della Chiesa sui Dico da parte di agenzie, giornali e tv. "Troppe volte la Chiesa si è dimostrata una componente viva e attenta nella vita della società italiana perché qualcuno possa pensare che sia bene che rimanga al margine o si trovi in atteggiamento di rottura". Il gesuita rileva che "da diversi mesi chi segue la stampa e in generale l’informazione in Italia si trova di fronte a un fiume ininterrotto di interventi di vario genere direttamente o indirettamente connessi al dibattito sulle coppie di fatto. Può darsi - osserva padre Lombardi - che qualcuno si rallegri dell’impopolarità che ne risulta per la Chiesa. La meschinità e la miopia di un tale atteggiamento sono troppo spregevoli per occuparcene. Perchè il problema riguarda tutti noi, tutta la società italiana anche aldilà del coinvolgimento, in questo caso, della Chiesa o di suoi personaggi".
La questione, secondo il religioso, chiama in causa "la capacità comune di condurre dibattiti costruttivi, su temi importanti, con la prospettiva del bene comune, senza lasciarci imprigionare da contrapposizioni senza uscita". Secondo padre Lombardi, "il problema è più ampio, riguarda il degrado generale della capacità di confronto civile e costruttivo nella prospettiva del bene comune. E come tale è un problema che riguarda assolutamente tutti: cattolici e laici, credenti e non credenti, e nessuno se ne può sentire estraneo. Perciò diventa urgente in questo momento una grande capacità di autocontrollo delle reazioni, un’attenzione vigile a non alzare i toni, a rispettare di più ciò che l’interlocutore ha detto e ha voluto dire, a tener conto del contesto e della natura dei documenti. Un impegno quotidiano necessario e doveroso, perchè l’inserimento della Chiesa nella nostra società possa nuovamente essere meglio compreso nella sua natura positiva di proposta e di servizio per il bene di tutti".
* la Repubblica, 19-03-2007
Le debolezze di Benedetto sedicesimo
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 18.03.2007)
Giorno dopo giorno si chiarisce sempre meglio la linea del pontificato di Benedetto XVI: la sua strategia, ma anche la sua debolezza. In primo piano una pretesa, quella di restituire al Vaticano la possibilità di un magistero universale, ascoltato da tutto il mondo, anche se non sempre seguito. Un freno a quel relativismo - tutte le posizioni sono egualmente valide, tutte incerte - che è, per il papa, la malattia mortale del mondo moderno.
Per la chiesa cattolica un magistero privilegiato, non una posizione di parità con tutte le altre cattedre. Lo esigerebbe la verità. Una posizione indubbiamente rigida, contraria allo spirito e alla cultura moderni ma in linea con una certa forte tradizione cattolica. Una posizione che trova il suo sostegno non tanto nel Vangelo quanto in una presunta ragione. Il Vangelo, infatti non è di tutti ma soltanto dei credenti cristiani (cattolici), mentre la ragione - quella di Ratzinger - si presume universale. In nome della ragione il papa potrebbe parlare a tutti (sul matrimonio e la famiglia, ad esempio, sulle nascite e le morti).
La debolezza di questa posizione è evidente, nonostante le sue pretese. La ragione, ormai da qualche secolo (dalle scoperte geografiche?) non è più eguale per tutti. Non esiste più - se mai è esistita - una ragione unica e universale, anche in Africa e in Oriente, della quale il Vaticano sarebbe custode.
Perciò il discorso di Ratzinger appare carico di una rigida pretesa ormai fuori tempo, antistorica. La sua base - il rapporto stretto fra fede cattolica e ragione universale - non regge più. Una debolezza che non può non venire alla luce. Perciò hanno buon gioco le contestazioni, sia quelle chiare che provengono dal mondo laico e di altre fedi, sia quelle più velate che hanno origine dallo stesso mondo cattolico. Significative le perplessità estremamente autorevoli dello stesso cardinale Martini. Significativi anche i tentativi vaticani di colpire in qualche modo chi si oppone, come nel caso di Sobrino, esponente di spicco della teologia della liberazione. Proprio quella teologia che, sull’onda del Concilio, aveva cercato di superare l’ancoraggio della fede alla ragione, rafforzando, invece, quello alle pagine bibliche. Ma il concilio Vaticano II dal pontificato di Benedetto XVI sembra ormai lontano, ben più di qualche decennio.
Bisognerà cominciare, come qualcuno ha detto, a pensare a un altro concilio?
COMUNICATO STAMPA *
Bologna, 19 marzo 2007
FAMILY DAY: ASSOCIAZIONI OMOSEX ANNUNCIANO PARTECIPAZIONE
"ANCHE NOI IN PIAZZA SAN GIOVANNI CON LE NOSTRE FAMIGLIE"
"Anche noi parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie, perché anche le nostre sono famiglie italiane". Lo annunciano in una nota congiunta le associazioni nazionali Agedo (ass. genitori di omosessuali), Arcigay, Arcilesbica, Famiglie arcobaleno (ass. papà e mamme omosessuali), e Liff (Lega italiana famiglie di fatto).
"Siamo famiglie italiane - si legge nella nota -. Siamo genitori di figli gay, che amiamo vedere felici con i propri compagni. Siamo coppie conviventi da vent’anni, senza diritti ma con un forte consapevolezza dei nostri doveri reciproci. Siamo mamme lesbiche che amano i propri figli, anche se per lo Stato una di noi due è un’estranea.
"Crediamo che le politiche per le famiglie vadano consolidate. Chiediamo più assistenza per gli anziani, più asili nido, più agevolazioni per le famiglie numerose, più case popolari. Chiediamo anche che questi interventi siano rivolti a tutta la popolazione, senza discriminare in base all’etnia, alla lingua, alla religione, all’identità di genere o all’orientamento sessuale.
"Rispettiamo la Costituzione della Repubblica italiana, che nel riconoscere all’art. 29 i diritti delle famiglie sposate, non vieta in alcun modo il riconoscimento di altre unioni e nulla toglie alle altre famiglie, e che agli articoli 2 e 3 rispettivamente ’riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’, e sancisce che ’tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’.
"Chiediamo il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che all’art. 9 stabilisce in modo distinto il diritto a sposarsi e il diritto a costituire una famiglia, anche fuori del matrimonio".
"Per questi motivi e su questi presupposti parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie italiane in piazza San Giovanni a Roma. Perché noi siamo famiglie".
* Ufficio stampa Arcigay