Risoluzione del Parlamento europeo sull’omofobia nell’Unione europea (18 gennaio 2006)*
Il Parlamento europeo,
visti gli obblighi internazionali ed europei in materia di diritti umani, come quelli contenuti nelle convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
viste le disposizioni dell’Unione europea sui diritti dell’uomo, in particolare la Carta europea dei diritti fondamentali nonché gli articoli 6 e 7 del trattato sull’Unione europea,
visto l’articolo 13 del trattato che istituisce la Comunità europea, il quale conferisce all’Unione europea il potere di adottare le misure necessarie per combattere le discriminazioni fondate, tra l’altro, sull’orientamento sessuale, nonché per promuovere il principio di parità,
visto l’articolo 103, paragrafo 2, del suo regolamento,
A. considerando che l’omofobia può essere definita come una paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e così via,
B. considerando che l’omofobia si manifesta nella sfera pubblica e in quella privata sotto forme diverse, come le dichiarazioni inneggiati all’odio e l’istigazione alla discriminazione, la ridicolizzazione, la violenza verbale, psicologica e fisica così come la persecuzione e l’omicidio, la discriminazione in violazione del principio di parità, nonché le limitazioni ingiustificate e irragionevoli dei diritti, spesso nascoste dietro motivazioni di ordine pubblico e di libertà religiosa,
C. considerando che recentemente si è verificata una serie di eventi allarmanti in numerosi Stati membri dell’Unione europea, cui la stampa e le ONG hanno dato ampia copertura, e che vanno dal divieto delle manifestazioni del "gay pride" o delle marce per l’uguaglianza fino all’impiego da parte di leader politici di un linguaggio provocatore, minaccioso o inneggiante all’odio, all’incapacità della polizia di fornire una protezione adeguata o addirittura all’interruzione, da parte della polizia, di manifestazioni pacifiche, all’organizzazione di manifestazioni violente da parte di gruppi omofobici e all’introduzione di modifiche nelle costituzioni volte ad impedire matrimoni o unioni tra omosessuali,
D. considerando che al contempo, in taluni casi, si è registrata una positiva reazione democratica e tollerante da parte del pubblico, che ha manifestato contro l’omofobia, nonché da parte della magistratura, che ha corretto le discriminazioni più flagranti e illegali,
E. considerando che diversi Stati membri dell’Unione europea hanno introdotto nei rispettivi ordinamenti giuridici misure volte a tutelare i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, a combattere le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e a promuovere la parità,
F. considerando che è necessaria un’ulteriore azione a livello dell’UE nonché negli Stati membri per sradicare l’omofobia e promuovere una cultura di libertà, tolleranza e uguaglianza tra i cittadini e nella legislazione,
1. invita gli Stati membri e la Commissione ad intensificare la lotta contro l’omofobia, sia con mezzi didattici - ad esempio lanciando campagne contro l’omofobia nelle scuole, nelle università e nei media - sia attraverso strumenti amministrativi, giudiziari e legislativi;
2. chiede agli Stati membri di garantire che le dichiarazioni inneggianti all’omofobia o le istigazioni alla discriminazione siano condannate con la massima efficacia e che la libertà di manifestazione - sancita da tutti i trattati sui diritti dell’uomo - sia concretamente rispettata;
3. invita la Commissione a garantire che la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale sia vietata in tutti i settori completando il pacchetto di misure antidiscriminazione basato sull’articolo 13, sia presentando nuove proposte di direttive sia proponendo una sola direttiva di portata generale che contempli tutti i tipi di discriminazione e tutti i settori;
4. chiede agli Stati membri di includere la lotta contro l’omofobia al momento di stanziare i fondi dell’"Anno 2007 -Parità di opportunità per tutti" e di coinvolgere le ONG di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, ed invita la Commissione a controllare da vicino tale processo e ad avvertire immediatamente il Parlamento qualora gli Stati membri non procedano in tal senso;
5. invita gli Stati membri ad intraprendere qualunque altra azione essi ritengano opportuna per lottare contro l’omofobia e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, nonché per applicare il principio di parità quale parte integrante delle rispettive società e dei rispettivi ordinamenti giuridici;
6. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri e dei paesi candidati nonché al Consiglio d’Europa.
* Risoluzione approvata il 18 gennaio 2006
L-g-b-t-i, non è una sigla smart ma ogni lettera è un mondo
di Antonia Caruso* (il manifesto, 10.07.2020)
Per affrontare un discorso sulla legge Zan bisognerebbe partire da almeno due punti.
Il primo è il dato di realtà sulla violenza che la popolazione Lgbti subisce quotidianamente. Non si tratta solo di violenza fisica: botte, percosse, pestaggi, fino all’omicidio, ma anche violenza psicologica, mobbing, bullismo, cyberbullismo, difficoltà ad accesso al lavoro, violenza medica.
Ogni lettera della sigla è una soggettività, e ogni soggettività ha la sua storia, anche politica, le proprie modalità relazionali e specifiche discriminazioni.
Molto pragmaticamente: la violenza che subisce una donna lesbica è diversa da quella che subisce un uomo gay che è diversa da quella che subisce una donna bisex che è diversa da quella che subisce un uomo bisex.
Ci sono una discriminazione legata all’orientamento e una legata al genere e all’identità di genere, e spesso si sommano.
È importante nominare la lesbofobia perché è anche misogina. È importante nominare la bifobia perché le persone bisex vengono costantemente cancellate dal discorso pubblico.
È importante nominare la transfobia non solo in quanto legata ad una transizione di genere in sé ma anche legata al genere. La violenza che subisce una donna trans è legata sia al fatto di essere trans sia al fatto di essere una donna (al quale si può aggiungere una ulteriore discriminazione per il suo orientamento).
Omolesbobitransfobia può non essere una parola attraente e smart ma è esattamente quello di cui stiamo parlando. È quello che ci serve per nominare e a riconoscere le varie forme di violenza e discriminazione.
È una parola-sommario di tutte le discriminazioni e nessuna delle sue componenti può essere in nessun modo dimenticata o tralasciata in nome di una supposta difficoltà di comprensione o della sintesi giornalistica.
Il secondo punto è che una legge come questa serve in primo luogo al riconoscimento sul piano giuridico e sociale dell’esistenza della discriminazione e della violenza omolesbobitransfobica, anche in quanto violenza di genere, e in secondo luogo disciplinarne le sanzioni verso chi la agisce.
La contestazione del concetto di identità di genere da parte di alcune femministe risulta fuori luogo rispetto all’obiettivo politico della legge: un ulteriore riconoscimento giuridico delle esigenze della popolazione Lgbti, dopo le Unioni Civili.
Per rimanere sul piano giuridico già la sentenza della Corte di Cassazione n. 15138/2015 permettendo alle persone trans il cambio anagrafico senza rettifica chirurgica dei genitali aveva di fatto iniziato un percorso culturale e giuridico di disgiunzione dell’identità di genere dal sesso anatomico.
Detto ciò, l’approccio unicamente punitivo è efficace solo come un parziale deterrente.
Sempre molto pragmaticamente: una persona omofoba che agisce una discriminazione e viene sanzionata per questo continua a rimanere omofoba. Serve un’azione incisiva sul piano della formazione, negli ospedali, negli uffici e soprattutto nelle scuole.
* scrittrice, editrice, attivista trans e femminista
Politica
I vescovi contro la legge sull’omofobia: «Limita la libertà di opinione»
La Cei attacca i cinque i ddl all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio
di Luca Kocci (il manifesto, 11.06.2020)
Durissimo attacco dei vescovi contro i disegni di legge per il contrasto all’omotransfobia in discussione in Parlamento: non servono - dicono i vescovi - e possono limitare la libertà di opinione.
Sono cinque i ddl all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio (presentati da Boldrini e Zan del Pd, da Scalfarotto di Italia Viva, da Perantoni del M5S e da Bartolozzi di Forza Italia). Tutti puntano a introdurre nel codice il reato di omotransfobia, visto anche il moltiplicarsi degli episodi di violenza e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali e transessuali.
Progetti di legge che però non piacciono alla Presidenza della Conferenza episcopale italiana, che ha emanato una dura nota dal titolo inequivocabile: «Omofobia, non serve una nuova legge».
«Le discriminazioni, comprese quelle basate sull’orientamento sessuale, costituiscono una violazione della dignità umana», scrive la Cei. Che subito dopo aggiunge: ma non ci sono «vuoti normativi» o «lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni», «nell’ordinamento giuridico del nostro Paese esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio».
La «preoccupazione» dei vescovi, quindi, non è tanto il contrasto all’omotransfobia, quanto il timore che «un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui, più che sanzionare la discriminazione, si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione». Qualche esempio? «Sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma, e non la duplicazione della stessa figura, significherebbe introdurre un reato di opinione», spiegano i vescovi. E questo limiterebbe «la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso».
Ad essere puniti, quindi, non sarebbero coloro che discriminano, insultano o aggrediscono le persone omosessuali, ma vescovi, preti, catechisti e genitori che affermano le proprie convinzioni sul valore dell’eterosessualità. Perlomeno questo è quello che pensano i vescovi. E insieme a loro le associazioni della galassia Family Day, che esultano per la presa di posizione della Cei, a cominciare dal presidente Massimo Gandolfini («siamo grati ai vescovi italiani per aver ribadito che non serve una nuova legge sull’omotransfobia»).
«Non si tratta di una legge contro la libertà di opinione, ma di una legge che protegge la dignità delle persone», rassicura Alessandro Zan, il deputato del Pd che sta lavorando all’unificazione dei testi in un unico ddl. «Lo ripeto per l’ennesima volta: non verrà esteso all’orientamento sessuale e all’identità di genere il reato di “propaganda di idee” come oggi è previsto dall’articolo 604 bis del codice penale per l’odio etnico e razziale. Dunque nessuna limitazione della libertà di espressione o censura o bavaglio come ho sentito dire a sproposito. Qui stiamo parlando di vittime vulnerabili e che proprio per questo necessitano di una tutela rafforzata. Stiamo parlando di storie di ragazzi che vengono picchiati per strada solo perché si tengono per mano o che vengono aggrediti, bullizzati e uccisi solo per il loro orientamento sessuale o la propria identità di genere».
Aggiunge Laura Boldrini: «La legge contro l’omotransfobia ha per obiettivo non le opinioni e la libertà di espressione, come afferma erroneamente la nota della Cei, ma gli atti discriminatori o violenti e l’istigazione a commettere questi reati. Si tratta di misure che puntano a tutelare i diritti delle persone seguendo il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione e le indicazioni del Parlamento europeo su questa materia, che risalgono al 2006 ma sono rimaste finora fuori dal nostro ordinamento». E Nicola Fratoianni, portavoce nazionale di Sinistra Italiana: «In questi anni difficili ho apprezzato pubblicamente, da non credente, posizioni coraggiose e controcorrente dei vescovi italiani, e spesso ci siamo trovati insieme nella lotta contro il razzismo, dalla parte dei più deboli. È per questo che oggi, con altrettanta franchezza, dico che non condivido in nessun modo la loro posizione sulla legge contro l’omofobia. L’unica deriva liberticida che conosco è quella sempre più aggressiva nei confronti di persone che vengono ferite nella loro dignità».
Vescovi contro ogni discriminazione.
Omofobia, non serve una nuova legge
La Cei: nessun vuoto normativo per assicurare alle persone omosessuali la tutela contro maltrattamenti, violenze, aggressioni. Nei 5 Ddl in discussione alla Camera anche il rischio ideologico
di Luciano Moia (Avvenire, mercoledì 10 giugno 2020)
Nessun vuoto normativo per assicurare alle persone omosessuali la tutela contro maltrattamenti, violenze, aggressioni. Il nostro codice penale dispone già degli strumenti necessari per garantire in ogni situazione il rispetto della persona. È quanto ribadiscono i vescovi italiani a proposito dei disegni di leggi attualmente in discussione alla Commissione Giustizia della Camera. Si tratta di cinque ddl (Boldrini, Zan, Scalfarotto, Perantoni, Bartolozzi) che puntano a modificare agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Obiettivo più che condivisibile visto che, come afferma papa Francesco in Amoris laetitia (n.250), “nessun persona dev’essere discriminata sulla base al proprio orientamento sessuale”. Ma, come spiegano bene i vescovi della presidenza della Cei, c’è il rischio concreto che queste proposte si traducano in confusione normativa e possibilità di nuove discriminazioni verso coloro che non si allineano al cosiddetto “pensiero unico”. Quindi, con l’obiettivo di porre rimedio a un’ingiustizia, si rischia di innescarne di nuove, altrettanto gravi e odiose.
Il primo punto messo in luce da tutti i ddl è quello del vuoto normativo. Indispensabile, si dice, varare una nuova normativa che, si spiega nel ddl di cui è primo firmatario Alessandro Zan (Pd) prevede un allargamento della cosiddetta legge Mancino (n.205 del 1993) con l’obiettivo “di estendere le sanzioni già individuate per i reati qualificati dalla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi anche alle fattispecie connesse all’omofobia e alla trans fobia”. Ma è davvero necessario? Il nostro codice già prevede sanzioni proporzionate alla gravità del reato per i delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.). Fino al 2016 l’ordinamento ha ritenuto illecita anche la semplice ingiuria (art. 594 cod. pen.).
Ma c’è un altro assioma, presente in tutti i ddl, che sembra ampiamente discutibile, quello dell’emergenza omofobia. Secondo i dati diffusi dal ministero degli Interni, negli ultimi otto anni, i reati riferibili all’orientamento sessuale e all’identità di genere, sarebbero solo 212, in media 26,5 ogni anno. Condizionale d’obbligo viste le considerazioni che arrivano dai sostenitori dei vari ddl, secondo cui proprio la mancanza di norme specifiche impedisce la classificazione dei reati. E anche su questo gli esperti di diritto penale sono discordi.
Come altrettanto complesso appare districare la complessa questione legata ai contenuti di espressioni come “identità di genere” e “orientamento sessuale”. Quando si parla di discriminazioni per motivi di razza, provenienza geografica, etnia, religione siamo di fronte a concetti largamente condivisi, che non offrono la possibilità di equivocare. Sull’orientamento sessuale e, soprattutto sull’identità di genere ci troviamo a confrontarci con concetti tutt’altro che definiti in modo stabile e univoco. Quanto è opportuno allora inserire in una legge penale - che per sua natura ha necessità di riferimenti certi - concetti di cui psicologia e antropologia dibattono da decenni senza arrivare a un piattaforma concettuale definita? Il rischio è effettivamente elevato. Ci sono anche studiosi della stessa area lgbt secondo cui il triplice riferimento all’orientamento, all’identità e al ruolo non possono esaurire la complessità della sfera sessuale e, soprattutto, il suo rapporto con la realtà sociale e culturale. Possibile allora che l’obiettivo di sanzionare le discriminazioni basate su concetti fluttuanti come identità di genere e orientamento sessuale finiscano per punire, oltre che i fatti concreti, le legittime opinioni di chi non si allinea al cosiddetto “pensiero unico”? Per essere più chiari: sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile? E sottolineare che la tesi della “nessuna differenza” tra gli esiti psicologici-esistenziali mostrati dai figli che vivono all’interno di famiglie gay rispetto a quelli che vivono e crescono con i propri genitori biologici, eterosessuali, potrà diventare atto d’accusa?
I sostenitori dei ddl in discussione alla Commissione Giustizia della Camera escludono queste derive. E speriamo che si tratti di convinzioni sincere. Purtroppo nei Paesi dove legislazioni simili a quelle che si vorrebbero adottare anche in Italia sono già vigenti, i giudici si sono mossi in modo diverso. In Spagna, il 6 febbraio 2014, il cardinale Fernando Sebastián Aguilar (morto di recente), arcivescovo emerito di Pamplona, è stato iscritto nel registro degli indagati per “omofobia” per aver rilasciato un’intervista pubblicata sul quotidiano di Malaga, “Diario Sur” il precedente 20 gennaio, nel corso della quale, sulla premessa che la sessualità è orientata alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa. In Francia, dove una legge del 2004 sanzionava le discriminazioni razziali (sul modello italiano della legge Mancino - Reale) prima nel 2008, poi nel 2012 quelle disposizioni sono state estese alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, grazie all’iniziativa del ministro della Giustizia dell’epoca Christiane Taubira. Esempi che non dovrebbero essere dimenticati.
C’è invece un percorso vincente, sottolineano ancora i vescovi, per combattere violenza e intolleranza contro chiunque, e soprattutto verso le persone più fragili, ed è l’impegno educativo finalizzato ad attivare seri percorsi di prevenzione. Su questo punto il dibattito è aperto e la disponibilità della Chiesa italiana è rivolta a “un confronto aperto e intellettualmente onesto”. Nessuna preclusione quindi, nessuna chiusura, ma un atteggiamento di accoglienza e misericordia secondo quel modello di Chiesa in uscita più volte sollecitato dal papa Francesco. Ecco il testo del comunicato della presidenza Cei.
“Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva. Le discriminazioni - comprese quelle basate sull’orientamento sessuale -costituiscono una violazione della dignità umana, che - in quanto tale - deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking... sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini. Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio. Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni. Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui - più che sanzionare la discriminazione - si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma - e non la duplicazione della stessa figura - significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso. Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto. Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese.
Piano europeo anti-omofobia
Ulrike vince la sua battaglia
Dal parlamento di Strasburgo una tabella di marcia per combattere tutte le discriminazioni sessuali
di Ivo Caizzi (Corriere della Sera, 05.01.2014)
DAL NOSTRO INVIATO STRASBURGO - L’Europarlamento promuove la tutela dei diritti delle persone Lgbti, termine usato per comprendere lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex. Gli eurodeputati hanno approvato a Strasburgo la richiesta alla Commissione europea e ai 28 governi della Ue di stabilire una specifica tabella di marcia.
L’obiettivo è introdurre una politica globale contro l’omofobia e le discriminazioni basate sugli orientamenti sessuali in «tutte le attività e in tutti i settori» dove è in corso l’elaborazione di politiche future o il monitoraggio dell’attuazione del diritto europeo. Spiccano le sollecitazioni ad intervenire sul bullismo nelle scuole e ad applicare la libera circolazione dei cittadini all’interno della Ue, consentendo di convalidare le unioni tra persone dello stesso sesso quando si trasferiscono da uno Stato membro all’altro.
L’Europarlamento considera la condizione delle persone Lgbti ancora molto difficile in Europa, richiamando un sondaggio condotto nel 2013 dall’Agenzia Ue dei diritti fondamentali. Indica nel 47% i gay, lesbiche, bisessuali, transgender e intersex che affermano di sentirsi discriminati o di essere stati molestati. Il 26% ha denunciato di essere stato «aggredito fisicamente».
Il rapporto, curato dall’eurodeputata austriaca Ulrike Lunacek dei Verdi, è passato a larga maggioranza con 394 voti a favore, 176 contrari e 72 astensioni. «L’omofobia non deve più essere tollerata in Europa - ha commentato Lunacek -. Molti di noi, lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali hanno vissuto, per troppo tempo, la propria vita nella paura. Paura di tenersi per mano in strada, paura di essere insultati, paura di essere buttati fuori dalle nostre case, scuole o posti di lavoro. Nella mia relazione si evidenzia che l’Unione Europea deve agire in tal senso, in modo che anche noi si possa godere dei diritti garantiti a tutti nella Ue».
Gli eurodeputati hanno segnalato una serie di obiettivi precisi da raggiungere con la tabella di marcia, sempre rispettando le competenze degli Stati membri. Riguardano la tutela nel diritto di famiglia e della libertà di circolazione, le discriminazioni sul lavoro, l’istruzione, la sanità, la libertà di espressione, i beni e i servizi, i crimini d’odio e l’asilo. Particolarmente diffuso sarebbe l’atteggiamento persecutorio nelle scuole contro alunni Lgbti da parte di compagni.
La relazione Lunacek chiede alla Commissione europea di «promuovere l’uguaglianza e la lotta alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere in tutti i suoi programmi dedicati all’istruzione e ai giovani».
I Paesi membri dovrebbero coordinare interventi contro il bullismo anche con materiali didattici. Parità di trattamento e pari opportunità andrebbero attuate e monitorate nelle attività lavorative, sensibilizzando le organizzazioni di datori di lavoro e i sindacati sui diritti delle persone Lgbti.
Un settore molto delicato viene considerato quello della sanità, sia per le carenze nelle politiche strategiche della Ue, sia relativamente alla formazione del personale medico. Viene chiesto alla Commissione europea di collaborare con l’Organizzazione mondiale della sanità per depennare i disturbi dell’identità di genere dalle malattie mentali. Il diritto all’integrità fisica dovrebbe imporre di vietare la sterilizzazione forzata, dove è prevista per consentire i cambiamenti di sesso. Fondamentale appare il problema dell’indicazione del sesso sui documenti di identità e nelle patiche amministrative.
La normativa penale contro il razzismo e la xenofobia dovrebbe essere estesa ai «crimini di odio» collegabili all’orientamento sessuale. L’Europarlamento considera necessario anche un monitoraggio continuo nei Paesi extraeuropei per favorire le richieste di asilo alle persone Lgbti discriminate e perseguitate nei luoghi d’origine.
Usa, la Corte Suprema spiana
la strada ai matrimoni omosessuali
maurizio molinari
corrispondente da new york
E’ incostituzionale la legge che definisce il matrimonio come l’unione fra un uomo e una donna, e il bando delle nozze gay in California deve essere abolito: con queste due sentenze, emesse a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, la Corte Suprema di Washington consegna altrettante vittorie alla campagna per la parità dei diritty fra gay e etero negli Stati Uniti.
La prima sentenza riguarda la legge “Defense of Marriage Act” del 1996. Con un verdetto di 5 a 4, scritto dal giudice Anthony Kennedy, viene definita “incostituzionale” perché affermare che il matrimonio è solo l’unione fra un uomo e una donna “viola la pari tutela davanti alla legge di tutti i cittadini che il governo deve garantire”. Inoltre, secondo il testo scritto da Kennedy e sostenuto dai quattro giudici liberal della Corte Suprema, “il Defense of Marriage Act viola il diritto degli Stati di legiferare sul tema del matrimonio”.
L’altra sentenza, scritta dal giudice John Roberts che è anche il presidente della Corte Suprema, riflette un’opinione bipartisan su “Proposition 8” ovvero il bando delle nozze gay approvato con un referendum in California nel 2008. La tesi espressa da Roberts è che a decidere su “Propotision 8” deve essere una Corte della California ma l’indicazione data è a favore dell’abolizione, destinata a consentire il ritorno alla legalità delle nozze gay. Su questa posizione, che accomuna la difesa del diritto degli Stati a legiferare sul matrimonio e il sostegno alle nozze gay, si è ritrovata una maggioranza di 5 giudici che include oltre al presidente il conservatore Antonin Scalia e i liberal Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Elena Kagan.
Fuori dalla sede della Corte Suprema i militanti per i diritti gay hanno reagito alle sentenze con espressioni di giubilo. Il presidente americano Barack Obama ha saputo delle sentenze della Corte Suprema mentre era a bordo dell’Air Force One in volo verso il Senegal. “Applaudo la decisione della Corte Suprema di abolire il Defense of Marriage Act perché si tratta di una legge che discrimina - dichiara Obama - trattando le coppie gay e lesbiche come se fossero di una classe inferiore. La Corte Suprema ha corretto quanto era sbagliato ed ora l’America è un posto migliore”. Da qui l’omaggio alle “coppie che si sono battute a lungo per ottenere il riconoscimento della parità dei diritti” e la disposizione al ministero della Giustizia per “mettere in atto legalmente” il pronunciamento della Corte Suprema.
* La Stampa, 26.06.2013
Diritti dei gay la nostra vergogna
di Michela Marzano (la Repubblica, 27 giugno 2013)
L’abolizione da parte della Corte suprema degli Stati Uniti del Defence of Marriage Act è molto più che una vittoria storica per l’affermazione dei diritti degli omosessuali.
Come ha giustamente commentato il presidente Obama, si tratta di una vittoria collettiva, la vittoria della libertà di tutti. È solo nel momento in cui tutti i cittadini vengono trattati nello stesso modo, infatti, che la libertà di ognuno diventa reale ed effettiva. Tutti liberi di essere se stessi e di amare una persona dello stesso sesso, indipendentemente dalle aspettative sociali, dai dogmi religiosi e dagli stereotipi culturali. Senza più vergogna. Senza più doversi nascondere o fingere.
Perché la legge, ormai, non solo non tollera l’omofobia e la transfobia, ma non può nemmeno più imporre ai cittadini di accettare l’ordine simbolico della “famiglia tradizionale”. Che pensare allora dell’Italia, ormai ultima della classe in Occidente in tema di diritti e libertà individuali, che non ha neppure un ministro delle Pari opportunità? Come giustificare l’assenza di una legge non solo sui matrimoni gay e le unioni civili, ma anche sui reati di omofobia e transfobia? Come si fa a tollerare ancora l’odio nei confronti di chi non ha altra colpa che quella di amare una persona dello stesso sesso?
Il vero problema dell’Italia, in cui alcuni diritti non sono ancora accessibili a tutti, è proprio quello della mancanza di libertà e di uguaglianza. Nel nostro paese, nonostante le grandi dichiarazioni di principio, i cittadini continuano di fatto ad essere distinti in due categorie: da un lato quelli di serie A, ossia gli eterosessuali che, in quanto conformi alle norme vigenti, vengono considerati e trattati come “normali”, “adeguati” e “degni”; dall’altro lato quelli di serie B, ossia gli omosessuali che, proprio perché non-conformi alle norme, vengono considerati e trattati come “anormali”, “devianti”, “indegni”. Un popolo di “quasi adatti”, per utilizzare le parole dello scrittore Peter Hoeg, che dovrebbero smetterla di domandare gli stessi diritti di tutti gli altri. Non si può mica volere tutto e il contrario di tutto - pensano ancora taluni, spiegando che non si può al tempo stesso voler essere liberi di non conformarsi alle aspettative altrui e voler essere trattati come tutti gli altri. Non si può mica essere al tempo stesso diversi e uguali - cercano di argomentare altri, senza capire che l’uguaglianza dei diritti è proprio l’uguaglianza nella diversità.
L’Italia è arretrata. Nonostante gli sforzi fatti in questi ultimi decenni dalle associazioni Lgbt e dai difensori delle pari opportunità per tutti i “diversi”, i pregiudizi persistono. La differenza continua a far paura. Rimette ancora troppo in discussione quello che si conosce, o che si pensa sapere, spingendo a rifiutare ciò che è “altro” rispetto a sé, ai propri codici, alle proprie abitudini.
Ecco perché c’è tanta urgenza di leggi che riconoscano i diritti degli omosessuali e dei trans, e che permettano di dire in modo chiaro da che parte stanno la libertà e l’uguaglianza, e da che parte invece continua a stare la vergogna: in un paese democratico e liberale non ci si può vergognare di quello che si è o di chi si ama; ci si dovrebbe piuttosto vergognare di non permettere a tutti, nonostante le differenze, di essere uguali e liberi
"Celebrate la giornata contro l’omofobia"
L’invito di Profumo ai presidi italiani
Il 17 maggio cade la ricorrenza istituita dal Parlamento europeo nel 2007 e per la prima volta il governo promuove l’iniziativa negli istituti. La Concia: "Quando era ministro la Gelmini non volle mai incontrarmi"
di MARCO PASQUA *
ROMA - Un invito alle scuole a celebrare la giornata internazionale contro l’omofobia, in programma per il prossimo 17 maggio. È il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, attraverso una circolare, a rivolgere un appello agli istituti italiani affinché partecipino attivamente alla giornata istituita nel 2007 dal Parlamento europeo. "E’ la prima volta che avviene qualcosa del genere", commenta Paola Concia, deputata del Pd.
"Siamo di fronte ad un atto fondamentale e rilevantissimo", dice soddisfatto Paolo Patané, presidente nazionale Arcigay. "Quando la Gelmini era ministro, cercai di parlarle del problema dell’omofobia a scuola, ma non accettò mai di incontrarmi", rivela oggi la Concia.
Un’iniziativa, questa del ministero, che rappresenta dunque una novità assoluta e si inserisce nell’ambito della campagna "Smonta il bullo". Lanciata nel 2007 per contrastare il fenomeno del bullismo tra i banchi scolastici (dall’allora ministro Giuseppe Fioroni), non aveva però una sezione specifica per l’omofobia, che è stata aggiunta nei mesi passati, su impulso di Profumo e del sottosegretario Marco Rossi Doria.
Tra i primi atti del ministero, subito dopo l’insediamento di Mario Monti, c’è stata l’istituzione di un gruppo di lavoro sulle Pari Opportunità, che ha messo all’ordine del giorno il tema dell’omofobia. A ispirare il lavoro di questo team, le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che in occasione della giornata contro l’omofobia del 2011, si disse preoccupato "per il persistere di discriminazioni e comportamenti ostili nei confronti di persone con orientamenti sessuali diversi. Si tratta di atteggiamenti che contrastano con i dettami della nostra Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali della Ue".
La circolare del direttore generale , Marcello Limina, datata 10 maggio, è indirizzata ai Dirigenti delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. "L’Unione Europea ha indetto per il 17 maggio di ogni anno - sottolinea il funzionario del ministero - la Giornata internazionale contro l’omofobia (risoluzione del Parlamento Europeo del 26 aprile del 2007) ossia contro ogni forma di atteggiamenti pregiudiziali basati sull’orientamento sessuale. La giornata rispecchia i principi costitutivi sia dell’Unione Europea sia della Costituzione italiana: il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l’uguaglianza fra tutti i cittadini e la non discriminazione. Sono le condizioni che consentono alla società di promuovere l’inclusione di tutti e di ciascuno e di battersi contro ogni offesa alle persone".
Si evidenzia, a tale proposito, il ruolo fondamentale svolto dagli istituti scolastici: "La scuola si cimenta ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. E’, infatti, ad un tempo, la prima comunità formativa dei futuri cittadini e un luogo importantissimo per la crescita e la costruzione dell’identità di ciascuna persona. Così, le scuole favoriscono la costruzione dell’identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale. Il loro ruolo nell’accompagnare e sostenere queste fasi non sempre facili della crescita risulta decisivo, anche grazie alla capacità di interagire positivamente con le famiglie".
L’impegno contro gli atti omofobi deve essere una priorità per i docenti: "Le scuole, nello svolgere tale prezioso lavoro educativo ogni giorno, contrastano ogni forma di discriminazione, compresa l’omofobia". Per questo "il ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca intende supportare il lavoro dei docenti impegnati quotidianamente nella formazione dei propri alunni sulle problematiche relative a tutte le tipologie di discriminazione, in particolare, attraverso strumenti informativi presenti sul sito www.smontailbullo.it 2 e assicurando un primo supporto a tutti i ragazzi, i docenti e le famiglie attraverso il numero verde 800.669.696".
L’invito ai docenti e dirigenti scolastici che abbiano già realizzato progetti o iniziative sul tema delle discriminazioni omofobiche, anche in collaborazione con Associazioni ed Enti del territorio, è quello di darne comunicazione al sito "Smonta il Bullo". "Iniziative e progetti segnalati dalle scuole saranno successivamente pubblicati in un apposito spazio del sito dedicato alle ’buone pratiche’ che servirà a una riflessione corale delle scuole, anche nella prospettiva del confronto europeo su questi temi", fanno sapere dal ministero.
Un plauso all’iniziativa arriva dall’Arcigay: "La circolare - dice il presidente, Paolo Patané - rappresenta un atto fondamentale che ha in se stesso l’evidenza del suo grande spessore, laddove richiama la nostra Costituzione e la Carta dei diritti dell’Unione europea. Mi sembra che sia rilevantissimo per tre ragioni: perché per la prima volta fa della giornata mondiale contro l’omofobia un tema che doverosamente deve vivere nelle scuole un teatro essenziale; perché dimostra che stare in Europa non può voler dire solo occuparsi di pareggio di bilancio; e perché offre alle scuole un riferimento preciso all’interno del Ministero nel contrasto al bullismo. C’è poi il dato politico: un governo definito ’tecnico’ ha avuto il coraggio di salire di livello e di ricollocare un tema di giustizia come quello del contrasto all’omofobia e del diritto alla realizzazione della propria personalità in un contesto chiave come quello scolastico, sottraendolo ai beceri conflitti ideologici e riconoscendogli finalmente dignità oggettiva. Questo è l’orizzonte a cui guardiamo e su cui pretendiamo che i partiti che presto si confronteranno per il governo del Paese, dimostrino altrettanto spessore culturale e politico".
Soddisfatta Paola Concia, che ricorda di aver presentato una proposta di legge per l’istituzione di un osservatorio contro le discriminazioni e il bullismo presso il Miur (sottoscritto da circa cinquanta parlamentari bipartisan): "Sono felicissima e ringrazio sia il ministro che il sottosegretario Marco Rossi Doria, entrambi molti sensibili a questi temi. E’ una svolta, dopo gli anni della Gelmini. L’omofobia si combatte con le leggi ma anche con l’educazione, tra i banchi di scuola".
Per Giacomo Guccinelli, responsabile Rete Giovani Arcigay, quello del ministero è "un utile investimento sulle generazioni future" perché contribuisce "alla diffusione e alla valorizzazione di una cultura del rispetto, dell’inclusione e della valorizzazione di ogni tipo di differenza in ambito scolastico".
* la Repubblica, 15 maggio 2012
La Cassazione: alle coppie gay gli stessi diritti delle famiglie
L’anomalia
italiana
di Natalia Aspesi (la Repubblica, 16 marzo 2012)
La Corte di Cassazione con una sua sentenza che qualche analfabeta di ritorno definirà shock, e che invece è solo finalmente giusta, ha stabilito una cosa ovvia. Ci ha detto che se in questo Paese, dove avvengono le massime trasgressioni ladrone non sempre perseguite, due persone che si amano ma appartengono allo stesso genere (detto anche sesso) non possono (per ora) sposarsi, hanno però i diritti di tutte le coppie diciamo tradizionali, che in chiesa e municipio hanno potuto sposarsi per il solo fatto di essere un uomo o una donna; il diritto di vivere liberamente la loro condizione di coppia, il diritto di condurre una vita familiare come gli garba, il diritto di pretendere «un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
Era ora! Visto che nella famosa Europa dove tutti i cittadini di tutti i paesi dovrebbero godere più o meno delle stesse leggi, noi siamo (o eravamo?) i soli fuori posto, fuori tempo, fuori realtà, fuori civiltà, fuori giustizia e anche fuori legge e fuori morale umana, per quel che riguarda la vita privata delle persone. Perché per il resto, se non si tratta di Giovanardi che ieri ha perso la testa, del povero Alfano che qualche giorno fa parlava a vanvera di nozze gay come della fine della civiltà, pochi altri peccatori incattiviti, più qualche scemo razzista, la maggior parte degli italiani non ne può più di tutti questi tremebondi legislatori e di questi monotoni prelati senza fede, e di anni e anni di su e giù sulle stesse posizioni polverose, mentre il mondo va avanti e il nostro paese arretra anche su altri temi più fondamentali del letto coniugale e di chi ha il diritto, legale, di occuparlo.
Ormai il nostro paese, come il mondo, è pieno di coppie cosiddette di fatto, e c’è da dire che le più invidiate sono quelle gay, perché sono sempre meno litigiose di tante etero e non potendo, per ora, far l’errore di sposarsi, non gli viene neppure in mente di divorziare. Ogni volta che in Italia si è tentato di formulare una legge (vade retro matrimonio!) che consentisse come in Francia (e Svizzera e Germania) i cosiddetti Patti Civili di Solidarietà (anche Saint Laurent lo aveva sottoscritto con il compagno Pierre Bergé), ne sono successe di ogni colore, a destra come a sinistra, per non parlare dei pulpiti.
Insomma ogni tentativo di instaurare una legge simile a quella dell’Europa più timida (le coppie omo si sposano persino in Spagna e Portogallo, in Inghilterra adottano bambini), da noi è sempre caduta in un frastuono generale. Neanche i più convinti sostenitori dei diritti omosessuali, per intelligenza e prudenza, hanno mai affrontato discussioni sull’eventualità del matrimonio gay: ma la ridicola e violenta ipocrisia della destra peggiore e della sinistra bigotta ha sempre chiamato «matrimonio» ogni proposta di una legge di rispetto dei diritti civili delle omocoppie, satanizzandola.
Ancora più vergognosa, per falsità, è la predica, di nuovo da ieri in circolazione, con probabili vaneggiamenti del segretario del Pdl, che se due giovanotti cucinano insieme e dormono nella stessa camera e vanno a trovare la mamma dell’uno e dell’altro, tutte e due contentissime per quei cari affettuosi ragazzi che si vogliono così bene, le famiglie "vere" si sfasciano. E non importa se queste unioni benedette da parroci e sindaci, e anche da vescovi, sono composte da un marito che cornifica la moglie anche con giovanotti, da una moglie che perde la casa giocando d’azzardo, e da figli presi regolarmente a ceffoni o spinti a partecipare tutti dipinti a gare canore tivu.
La famiglia è la famiglia, si sa, anche le coltellate alla moglie (o al marito) fanno parte del vero matrimonio. Fantastica la reazione del rustico Giovanardi, che se incazzato, straparlando manda scintille: per lui infatti, e qui ci si chiede come possa rappresentare politicamente anche solo un paio di sfortunati etero, la sentenza della Cassazione è solo il parere ovviamente sbagliato, di un qualsiasi cittadino.
Certo, la Cassazione non fa leggi, però è intervenuta con tutta la sua autorità nel vuoto codardo della nostra politica: il suo parere conta moltissimo non solo nella giurisprudenza, ma anche nella vita di tutti. E’ un gran bel giorno non solo per i gay, ma per chiunque creda che anche l’Italia non sia esclusa dalla civiltà europea.
Addio tabù di Ida Dominijanni (il manifesto, 16 marzo 2012)
Molto di più di un dovuto riconoscimento di pari diritti, la sentenza con cui la Corte di Cassazione ridefinisce la condizione giuridica delle coppie omosessuali cade come un macigno nello stagno del parlamento italiano, ricorda a Mario Monti e ai suoi sponsor che l’Europa esiste in materia di diritti fondamentali e non solo di debito, smonta il teorema naturalistico che pone, e impone, il legame eterosessuale come condicio sine qua del matrimonio e della famiglia. Tre piccioni con una fava bastano a definire «storica» la sentenza. Basteranno anche a scuotere le membra anchilosate della politica italiana, la sua resa recente alla tecnocrazia e la sua sudditanza antica al Vaticano, le divisioni fra laici e cattolici che paralizzano il Pd, le barriere fra destra, centro e sinistra tanto labili quando si tratta di imporre rigore quanto ferree quando si tratterebbe di riconoscere libertà?
Chiamata a decidere sulla trascrizione in Italia del matrimonio contratto in Olanda da una coppia gay, la Corte non poteva far altro, a termini di legge, che dire di no. Ma ha corredato questo no con una motivazione di 80 pagine in cui afferma chiaro e tondo che le coppie omosessuali devono poter godere degli stessi diritti delle coppie eterosessuali, con ciò assestando un gancio al parlamento che né sotto Prodi né sotto Berlusconi (ma la prima proposta, della socialista Alma Cappiello, risale al lontano 1988) è riuscito a emanare una legge sulle unioni civili, Dico o Pacs che la si volesse chiamare.
Non basta: la Cassazione fa di più. Invocando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, mette nero su bianco che l’idea per cui un «vero» matrimonio può darsi solo fra un uomo e una donna è da considerarsi archiviata. Addio fondamento naturale del dogma sociale dell’eterosessualità obbligatoria. Addio tabù della famiglia omosessuale. Addio gerarchia fra matrimoni possibili e matrimoni impossibili.
E qui di ganci ne partono tre: uno di nuovo al parlamento, che se non riesce a partorire i Pacs figuriamoci se riesce a legittimare i matrimoni gay; uno ai cattolici, che si ostinano indebitamente a leggere sulla base del fondamento naturale dell’eterosessualità il dettato costituzionale sulla famiglia; uno agli europeisti a corrente alternata, che obbediscono ai dogmi della Bce ma ignorano la Carta europea dei diritti, nonché le sollecitazioni del parlamento di Strasburgo.
L’ultima delle quali, solo due giorni fa, invitava gli Stati membri ancora reticenti a legiferare sulle unioni civili omosessuali e ad abbandonare le «definizioni restrittive di famiglia», ed era stata approvata con il voto contrario del Ppe e con le solite divisioni nel drappello dei democratici nostrani.
Dopo la sentenza della Cassazione già se ne sentono di tutti i colori: dal ministro della famiglia Riccardi che se ne lava le mani («è materia del parlamento») al Pd che commenta e non commenta. Voci più ciniche da destra, dopo la risoluzione di Strasburgo, ricordano a Monti che il riconoscimento delle coppie omosessuali costa troppo, in pensioni e previdenza: viva la faccia. Ci penserà Elsa Fornero a trovare la quadra fra rigore e pari opportunità.
Il presidente della Repubblica alla conferenza internazionale sulla violenza contro le donne
"In Italia si verificano anche fatti raccapriccianti che ci allontanano dalla Costituzione"
Diritti, il monito di Napolitano
"Lotta contro tutte le discriminazioni"
Migranti, Barroso richiama il premier italiano e maltese al rispetto delle norme internazionali
ROMA - Lottare contro l’omofobia e la xenofobia. Fare di tutto per mettere un freno alla violenza sulle donne. Tutelare i diritti senza allontanarsi dai principi della Costituzione. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano apre così la Conferenza Internazionale sulla violenza contro le donne che si tiene a Roma. Con un severo monito contro le discriminazioni che ci stanno allontanando dallo spirito delle Costituzione.
"La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l’omofobia fa tutt’uno con la causa del rifiuto dell’intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentata dall’ignoranza, dalla perdita dei valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dei principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza della nazione democratica" ammonisce il presidente.
Parla della violenza contro le donne, il presidente. "Fatti raccapriccianti" li definisce. Che si verificano anche in paesi "evoluti e ricchi come l’Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare, negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani". E se è vero che il Parlamento ’’già da decenni si sia impegnato in una severa legislazione sulla violenza’’, è anche vero che ’qualunque paese rappresentiamo in questa sala dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell’incompiutezza di progressi realizzati’’.
Diritti ed Europa. A partire dalla Carta della Ue che "vincola alla non discriminazione". Parole che suonano quanto mai di attualità. "In Italia stiamo sperimentando la complessità della presenza crescente nel nostro Paese di comunità immigrate e del conseguente processo di integrazione da portare avanti - dice Napolitano - Integrazione i cui cardini sono nel rispetto della diversità di culture, religioni e tradizioni e nel rispetto dell’individuo e della sua dignità, da garantire insieme ai principi e alle leggi nazionali che regolano l’appartenenza alle società d’accoglienza".
Diritti da tutelare, quindi. Il cui riconoscimento è la "condizione di convivenza civile, libera e democratica". "In qualsiasi contesto il pieno riconoscimento la concreta affermazione dei diritti umani - conclude il capo dello Stato - costituisce una innegabile pietra di paragone della condizione effettiva delle popolazioni e delle persone del grado di avanzamento materiale e spirituale di un Paese". E su questa strada, è il senso delle parole di Napolitano, c’è ancora molto da fare.
Immigrati, il richiamo di Barroso. Il presidente della Commissione europea, Barroso, ha "esortato i primi ministri italiano e maltese a rispettare tutte le norme internazionali" nella vicenda dei respingimenti dei migranti clandestini nel mediterraneo. Lo ha riferito lo stesso Barroso agli eurodeputati del gruppo dei Socialisti e democratici durante la sua audizione in corso oggi a Bruxelles. "Il mio commissario competente (Jacques Barrot, ndr) ha mandato subito una lettera formale ai due governi chiedendo spiegazioni. E’ necessario - ha concluso Barroso - sostenere i diritti umani e i diritti fondamentali in Europa e nel mondo".
* la Repubblica, 9 settembre 2009
Fanalino di coda
di Moni Ovadia (l’Unità, 14 agosto 2010)
Gli episodi di intolleranza nei confronti dei cittadini gay continuano a offendere la dignità civile della nostra società. I motivi più innocenti come un bacio, la più universale e diffusa manifestazione d’affetto e d’amore, o tratti dell’abbigliamento sono sufficienti a scatenare insulti violenti, reazioni di disgusto e spesso di brutale violenza . La questione non riguarda solo la minoranza oggetto delle varie forme di aggressione, come probabilmente pensano molte persone che pure aborrono le violenze sui gay o su altre minoranze, ma riguarda tutti noi cittadini. È una questione di civiltà generale.
Una nazione democratica, come l’Italia si fregia di essere, non dovrebbe permettere manifestazioni di odio o di discriminazione come quelle che hanno luogo nei confronti dei gay perché esse sono il segno di patologie democratiche, di illiberalità che influiscono sulla qualità della vita di tutto il paese. Sarebbero necessarie al riguardo leggi severissime non solo al fine di reprimere la natura delittuosa delle aggressioni, ma anche per contribuire al formarsi di una nuova sensibilità collettiva sull’uguaglianza di tutti i cittadini. Ma tali provvedimenti sono inefficaci se non si mette mano in modo inequivoco ad una legge sulle unioni gay nella forma del matrimonio civile. È ora di abbandonare titubanze e pavidità che servono solo a creare ambiguità tossiche, le ridicole prudenze nominalistiche sono segno di contorsioni idiote e riescono solo a ritardare processi di civiltà giuridica che sono iscritti nel cammino di una cultura universale del diritto che sta manifestando tutta la sua naturale forza in ogni parte del mondo come dimostra il caso del Portogallo e soprattutto il luminoso esempio dell’Argentina. Risparmiamoci per una volta l’umiliante condizione del fanalino di coda.
23/11/2006 - ANSA - redazione
*** A ROMA CONVEGNO ‘I DIRITTI GAY IN EUROPA E IN ITALIA’
"Entro Natale convocheremo gli Stati generali del centrosinistra del Lazio - ha dichiarato ieri Nicola Zingaretti, segretario Ds della regione Lazio - La prima cosa da fare è un convegno sui diritti degli omosessuali. Credo sia importante far capire che l’Europa non è solo Maastricht ma anche la lotta a tutte le discriminazioni. Anche all’interno del partito non ci spaventa avere componenti e sensibilità diverse, la sfida è saper ascoltare e trovare un punto di sintesi". E proprio Zingaretti parteciperà insieme all’eurodeputato Inglese Michael Cashman, organizzatore della bocciatura di Buttiglione alla Commissione EU e presidente dell’interguppo glbt al Parlamento europeo, al convegno ‘I DIRITTI GAY IN EUROPA E IN ITALIA: Pari diritti per tutti e politiche di pari opportunità’.
Il 2007 sarà l’anno europeo per le pari opportunità per tutti. L’Italia, la Grecia e l’Irlanda sono ormai gli unici paese in Europa a non aver adottato normative a sostegno delle coppie lesbiche e gay. Inoltre, l’Italia non ha ancora nessuna legge che punisca l’omofobia. “L’anno Europeo per le Pari Opportunità vuole essere una celebrazione di quello che è stato fatto, il condividere le buone pratiche acquisite, prendere di mira quelle aree nelle quali le persone vengono ancora discriminate - ha dichiarato Michael Cashman - Per alcune associazioni Gay e Lebiche è molto difficile anche riceve un solo Euro dai loro governi, perché questi governi dicono che a loro non piacciono certi programmi”.
Gli omosessuali subiscono fin dall’adolescenza violenze fisiche e psicologiche, umiliazioni dalla società e persino dai familiari. Le coppie omosessuali non sono riconosciute dallo Stato. Quali diritti? Vivere la propria vita, stando in silenzio? Senza potersi sposare ed avere dei bambini, senza la dignità di tutti gli altri?
Solo gli uomini etero sono creati uguali?
07/09/2006 - ANSA - redazione
POLONIA: I PARLAMENTARI OMOFOBI DOVRANNO CHIEDERE SCUSA
Varsavia - Due parlamentari del partito conservatore di destra al governo, ’Diritto e giustizia’ (Pis), il deputato Jacek Tomczyk e il senatore Przemyslaw Alexandrowicz, sono stati costretti da un tribunale di Poznan a presentare pubblicamente le scuse per aver paragonato tempo fa l’omosessualita’ alla pedofilia e alla zoofilia. Si tratta di un fatto senza precedenti in Polonia Lo riferisce oggi il quotidiano ’Gazeta Wyborcza’ ricordando che si tratta di una dichiarazione rilasciata nel novembre 2004 dai due politici del Pis, i quali criticando allora il sindaco di Poznan per aver autorizzato la Marcia dell’uguaglianza dei gay argomentarono che l’iniziativa avrebbe potuto promuovere la pedofilia, la zoofilia e la necrofilia. Dopo la prima indagine della magistratura di Poznan il caso era stato archiviato nel maggio 2005 ma riaperto di nuovo nel maggio scorso con il nuovo atto di accusa presentato con l’appoggio del prof. Zbigniew Holda, rappresentante polacco della Fondazione dei diritti umani di Helsinki.
L’accordo raggiunto dalle parti davanti al tribunale prevede che le scuse di Tomczyk e Alexandrowicz siano presentate lunedi’ prossimo in una conferenza stampa. Secondo Gazeta Wyborcza a novembre Tomczyk potrebbe diventare il candidato di Pis per la carica di sindaco di Poznan.
Nel frattempo emerge una forma perniciosa di razzismo: la clerofobia. Alcuni cittadini (vedi maggior parte degli articoli di questa testata) sembrano proprio ossessionati dalla Chiesa e dalle sue gerarchie. Naturalmente siamo tutti per la libera espressione di ciascuno, però c’è d’allarmarsi, perchè dalla clerofobia possono discendere possibili forme di discriminazione e d’intolleranza (vedi sempre contenuto degli articoli fin qui pubblicati da questa testata).
Se qualche mente qui presente giudica una forma di razzismo considerare patologicamente l’omosessualità (come se prognosticare una malattia implicasse disprezzo o discriminazione), nessuna però ha da dire qualcosa sull’accanimento clerofobico di qualcuno su queste pagine....
In nome di "Dio", UN PREI-STORICO PRESENTE....... nella "citta’ della pace"!!!
GERUSALEMME - GAY PRIDE IN TERRA SANTA RABBINI E INAM :”UNA TAGLIA SUI SODOMITI”. della redazione (Il Giornale, 12.07.2006)
A meno di un mese da una grande raduno internazionale gay a Gerusalemme gli ambienti religiosi stanno moltiplicando gli sforzi per impedire la «profanazione di massa» della Città Santa. Per una volta, rabbini e imam musulmani sono sulla medesima barricata, uniti nella lotta contro quella che considerano un’insopportabile «degradazione dei costumi»
In questo clima di radicalizzazione è giunta ieri la distribuzione nelle cassette postali dei rioni ortodossi ebraici di Mea Shearim e di Gheula di volantini incendiari in cui si propone addirittura una taglia di 20mila shekel (più di 3000 euro) a chi riesca a provocare la morte «di quanti vengono da Sodoma e Gomorra». Gerusalemme, avvertono rabbini oltranzisti, rischia di fare la medesima fine se la marcia gay World Pride non sarà fermata.
«Trecentomila animali corrotti, noti peccatori della comunità di Sodoma, vogliono invadere la nostra Città Santa e corrompere i nostri figli», si legge nei volantini firmati da un gruppo sconosciuto: «La Mano Rossa per la Salvazione». Il testo è accompagnato da disegni che insegnano come approntare per il fatidico giorno del confronto bottiglie Molotov.«Saranno bottiglie Schlissel-Special», aggiungono gli autori, riferendosi con deferenza a Yishai Schlissel, lo zelota ebreo che un anno fa si lanciò a testa bassa con un coltello contro una marcia di omosessuali nel centro di Gerusalemme, ferendo in modo grave uno dei partecipanti. Il volantino insegna anche a produrre gli Schlissel-Speik (un piccolo pezzo di legno dotato di un lungo chiodo, da tenere stretto nel pugno) e i Satmar-Klapper: calze elastiche con dentro un sasso, da far roteare sopra la testa.
E illustri rabbini, fra cui il centenario Elyashiv e il rabbino Ovadia Yossef di Shas hanno già ordinato ai seguaci di scendere nelle strade per impedire con la propria presenza che la «Marcia disgustosa» abbia luogo. Malgrado il clima sempre più acceso, gli organizzatori della manifestazione hanno respinto proposte di compromesso, di trasferire cioè la Parade alla più laica e più tollerante Tel Aviv, distante appena 60 chilometri. Anche per loro ci sono principi più alti in gioco.
Nota della Santa Sede per esprimere "viva disapprovazione". "Il governo israeliano si muova per impedire la manifestazione"
Gerusalemme, Vaticano contro il gay pride "Grave affronto per milioni di ebrei"
La polizia: necessario rinvio per tutelare sicurezza. L’Arcigay: "Scandalose pressioni da Roma" *
CITTA’ DEL VATICANO - Il Vaticano chiede a Israele di cancellare la sfilata dei gay prevista a Gerusalemme per dopodomani. In attesa che la Corte Suprema si pronunci sui ricorsi dell’ultimo minuto presentati da più parti, la Santa Sede, attraverso il nunzio in Israele, e con una nota ufficiale, ha fatto domanda al ministro degli Esteri, Tsipi Livni, di adoperarsi affinché venga impedita la manifestazione nella Città santa per ebrei, cristiani e musulmani.
Se non annullato, l’evento sarà probabilmente rinviato a venerdì prossimo. La sorveglianza di una manifestazione così folta in un contesto ad alto allarme terroristico richiede la presenza di migliaia di agenti. "Abbiamo fatto presente che sarà necessario rinviarlo", ha detto il capo della polizia di Gerusalemme, Ilan Franco. "Possiamo aspettare un settimana se oggi la situazione della sicurezza non lo permette", ha spiegato Noa Satat, leader della comunità omosessuale di Gerusalemme.
Nella nota inviata dal Vaticano viene ribadita la posizione della Chiesa sulle persone omosessuali, espressa nel Catechismo della chiesa cattolica. "La Santa Sede esprime la sua viva disapprovazione per tale iniziativa perché essa costituisce un grave affronto ai sentimenti di milioni di credenti ebrei, musulmani e cristiani, i quali riconoscono il particolare carattere sacro della città e chiedono che la loro convinzione sia rispettata".
Nei giorni scorsi l’annunciato evento aveva causato una sorta di "intifada" tra gli ebrei ultra-ortodossi decisi a non far passare l’affronto. In serata la sala stampa ha diffuso il testo della nota della nunziatura in cui esprime il "dispiacere" per la notizia della convocazione del Gay Pride auspicando che il governo "voglia esercitare la sua influenza perché sia riconsiderata la decisione di autorizzare".
E ancora: "Alla luce di tali elementi e considerando che in precedenti occasioni sono stati sistematicamente offesi i valori religiosi - si legge nella nota - la Santa Sede nutre la speranza che la questione possa venire sottoposta a doverosa riconsiderazione".
Da una settimana ormai, tutte le notti, il celebre quartiere degli zeloti a Mea Sharim, nel cuore di Gerusalemme, vive ore di rivolta. Centinaia di ultra-ortodossi, nelle tradizionali redingote nere, barba e cappello, si scontrano con la polizia, lanciano pietre, danno fuoco ai cassonetti dell’immondizia per protestare contro una manifestazione che vedono come blasfema.
I rabbini di Edah Haredit, una corte rabbinica ultra-ortodossa, potrebbero lanciare prima di venerdì la temibile maledizione cabbalistica della Pulsa de Nura (la Scudisciata di Fuoco, in aramaico) contro gli organizzatori della Parade e contro le autorità che ne hanno reso possibile lo svolgimento, ha detto oggi il loro portavoce Shmuel Papenheim.
La Parade, organizzata dall’associazione Open House, si svolgerà nella zona dei ministeri lontano dai quartieri abitati dagli ultra-ortodossi in centro. Gli attesi 2-3.000 manifestanti saranno protetti da almeno 12.000 poliziotti. Si prevede che migliaia di zeloti cercheranno di opporsi al suo svolgimento.
Il Rabbinato capo di Israele ha invitato a una protesta pacifica e a "riunioni di preghiera contro questa abominevole marcia". Da giovedì mattina sedute di preghiera contro la Gay Pride si svolgeranno in particolare al Muro del Pianto.
"E’ scandaloso che, come avvenne a Roma nel 2000, anche in occasione del secondo World Pride, che si terrà tra pochi giorni a Gerusalemme, il Vaticano prema sulle istituzioni statali per un divieto". E’ quanto afferma il presidente di Arcigay, Sergio lo Giudice.
"Il Vaticano - prosegue - conferma di essere la più grande organizzazione internazionale omofoba del pianeta. Preferiremmo che l’ accordo fra le tre grandi religioni monoteiste si trovasse sul tema della pace nel mondo e non - conclude Lo Giudice - sulla lotta ai diritti umani delle persone omosessuali". (8 novembre 2006)
* la Repubblica, 08.11.2006
Vaticano e ultraortodossi contro il corteo di Gerusalemme
Gay pride, perché le religioni odiano i «pervertiti»?
di Saverio Aversa (Liberazione, 12.11.2006)
Ancora una volta la Libertà è stata sconfitta a Gerusalemme. Venerdì 10 novembre i diritti umani e civili hanno subito una grave battuta d’arresto da parte dei fondamentalisti delle tre religioni monoteiste che non si sono fatti alcuno scrupolo nello strumentalizzare lo stato di guerra continua presente in quella città, in Israele e in Palestina, per cercare di impedire una manifestazione pacifica organizzata dalle associazioni gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Già dall’anno scorso a Gerusalemme si sarebbe dovuto tenere il World Pride, il secondo dopo quello di Roma del 2000, ma la tensione e i disordini collegati allo sgombero dei coloni israeliani dalla striscia di Gaza aveva imposto uno spostamento all’anno successivo. Il WP era stato quindi rimandato all’agosto 2006 ma, sfortunatamente, la concomitanza con la guerra con il Libano ha fatto cancellare il nuovo appuntamento ed è stata fissata un’altra data: il 10 novembre.
Ma già il 18 ottobre scorso, esponenti politici conservatori e rabbini ultraortodossi sono scesi in piazza chiedendo la definitiva cancellazione del Pride. Una serie di manifestazioni intolleranti e violente, avallate dai partiti di destra che fanno parte del governo, si è protratta anche nei giorni successivi trasformandosi in una vera e propria rivolta contro “il corteo dei pervertiti” con lanci di pietre e altri oggetti verso i poliziotti, con fuochi appiccati ovunque. Una bomba rudimentale è stata ritrovata in una stazione di polizia sotto la scritta “Via i sodomiti”.