MI SONO RIVELATO, MI SENTO ACCETTATO di Giuseppe Platone, direttore del settimanale “Riforma” (www.ildialogo.org/omoses, 23.06.2006)
“In chiesa, dopo il culto, uscendo alcuni mi hanno chiesto, sorridendo: ’come è andato il Gay Pride?’ E non c’era ironia nella domanda. Mi sono rivelato nella mia comunità e oggi mi sento accettato. Possiamo parlare della nostra condizione di omosessuali senza essere immediatamente classificati come malati che debbono essere curati. O peccatori impenitenti. Ma a dire il vero peccatori lo siamo tutti e proprio per questo della Grazia di Dio ne abbiamo bisogno tutti”. Ken Britsch, membro del concistoro valdese di Torino ritiene che questo Gay Pride torinese (un corteo di cinquantamila persone che ha sfilato, più altre cinquantamila che assistevano) segni una svolta. Si è passati dalla lotta alla collaborazione con le istituzioni cittadine. Si è fatto un passo avanti sul fronte del riconoscimento dei diritti. Ci sono stati meno aspetti provocatori e più discussioni, incontri, riflessioni nei giorni precedenti la parata. Mai come in questo Gay Pride sono state coinvolte le associazioni culturali cittadine. L’assessore alla cultura del Comune di Torino ha saputo creare la cornice giusta alla manifestazione che ha mostrato grande attenzione al tema del rispetto delle minoranze. Tra le associazioni coinvolte si notava la Consulta torinese per la laicità delle istituzioni. Era presente anche un piccolo drappello di pastori e laici della “Rete evangelica: fede e omosessualità”. Rimane comunque - al di là del successo sia di partecipazione sia di pacifico incontro della città con i manifestanti - un discorso, quello dell’omosessualità, aperto. Discorso difficile (a volte doloroso) nelle nostre stesse chiese evangeliche storiche. Tema che forse non è mai stato affrontato in modo completo. Ci sono comunque centri, come quello evangelico di Agape a Prali (TO), o chiese protestanti, che hanno voluto scavare e contestualizzare i testi biblici che affrontano l’omosessualità. L’ultima in ordine di tempo è la chiesa battista di via Passalacqua di Torino, che ha svolto una riflessione partendo proprio da testi dell’Antico e del Nuovo testamento. Da questa ricerca emergono alcuni punti fermi. Il primo riguarda il comandamento fondamentale che l’Evangelo annuncia: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Un altro sottolinea il fatto che il messaggio neotestamentario è rivolto a ogni persona e non discrimina, né ghettizza. Sono le persone che costruiscono le differenze e subito dopo i ghetti, ma non certo Dio. In sostanza la chiesa, questa la conclusione della riflessione condotta nella comunità battista, “è chiamata ad annunciare la Grazia di Dio a ogni essere umano, indipendentemente da razza, censo, sesso o orientamento etero o omosessuale. L’amore di Dio è inclusivo, non mira a creare gruppi di eletti o sette ma a salvare l’umanità intera”. Sul fronte delle chiese evangeliche fondamentaliste un comunicato lanciato alla vigilia del Gay Pride ricorda che l’omosessualità è “una situazione di peccato, dipinto come tale dalla stessa Parola di Dio”. La posizione coincide con quella del cardinale Poletto di Torino, che sviluppando il parallelo tra la recente processione della Consolata e il Gay Pride ha osservato che Torino “così ricca di santi non si merita di essere umiliata nei tesori più preziosi della sua tradizione di fede”. Ancora una volta emerge, nel vasto arcipelago evangelico, una diversità di approccio che scaturisce dalla diversa lettura che si fa dei testi. Il dibattito, come succede del resto anche nel mondo evangelico internazionale, è destinato a continuare e approfondirsi anche perché la condizione omosessuale riguarda milioni di persone nel mondo. Non si può ridurre ad unum il punto di vista evangelico sull’omosessualità. L’accoglienza e l’amore dovrebbero essere i tratti distintivi di ogni chiesa che si richiama a Cristo. Nessuno ha il monopolio dell’amore di Dio, né della sua Parola. Essa mette, continuamente, in crisi le nostre certezze e le nostre paure. E comunque la si voglia valutare questa parata non è stata un’imposizione ma l’affermazione dei diritti di tutti a vivere la propria sessualità nel rispetto delle regole della società. Prima di accusare gli altri di attaccare o di imporre le proprie scelte etiche occorre chiedersi chi realmente cerca di imporre agli altri, in questo Paese, la propria visione del mondo. (NEV 25/06)
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