Dopo il primo, il secondo. Conclusi i lavori del 2° Festival Internazionale di Filosofia ....

MELCHISEDECH A SAN GIOVANNI IN FIORE, TRA I LARICI “PISANI”. Per i ‘Settanta’ di VATTIMO: 1° FESTIVAL INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA A SILVANA MANSIO (CS) - di Federico La Sala

domenica 8 luglio 2007.
 

A gloria e difesa della nostra Costituzione: Viva l’Italia!!!

SECONDO L’ORDINE DI MELCHISEDECH

In memoria di don Lorenzo Milani e in omaggio a Carlo A. Ciampi

di Federico La Sala

Caro Direttore,

Nella risposta data (nella sua rubrica) da frà Calvino alla mia lettera (cfr. Etsi deus non daretur..., ildialogo, 06 maggio 2006), c’è un ‘passaggio’ su cui - a mio parere - è assolutamente necessario ritornare e chiarirlo, subito e decisamente: “Tu, sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech!”*. E’ un’amnesia, un lapsus, o che?!

Solo una indicazione rapida: non ci si ricorda più di che cosa e di quanto importante è successo con la Riforma protestante?. Capisco, capisco, ma - me lo permetta - Spinoza, Lessing**, Rousseau, Kant, Feuerbach, Marx, e Max Weber ... avevano capito che c’era un nesso tra religione e capitalismo e cercarono di trovare proprio la parola nascosta: Melchisedech - re di Giustizia e di Pace! Il richiamo di Paolo, a questa Figura, è decisivo - ma è una mezza verità!!! E Lutero (e Calvino!!!) aveva capito tutta l’importanza di questa questa mezza verità: sacerdozio universale!!! L’altra mezza verità ... nell’ordine del messaggio eu-angelico: regalità universale!!! Tocca a noi, tutti e tutte, riprenderla: Tu, sei re in eterno secondo l’ordine di Melchisedech .... e di Giuseppe e Maria e Gesù!!!

Cosa ha detto e ripetuto, qual è stata l’indicazione e il messaggio di don Lorenzo Milani!? Non è stata quella di avere il coraggio di dire ai nostri e alle nostre giovani che sono tutti e tutte re e regine ... sacerdoti e sacerdotesse?! E questo non è nell’ordine di Melchisedech ... di Gesù, e dell’Amore dei nostri Padri e delle nostre Madri?! E della Costituzione della Repubblica Italia, della Legge dei nostri Padri e delle nostre Madri? O no?!

E, allora - me lo permetta! Basta con la deligittimazione continua e costante che la gerarchia vaticana porta alla nostra società e alle nostre Istituzioni - a cominciare dalla Scuola Pubblica ... con il suo falso e terribile revisionismo (cfr. F. Colombo, Il papa revisionista, L’Unità, 29.05. 2006***) culturale, politico, storico, e teologico!!! La sua dottrina - come è già stato detto - è incompatibile con la nostra e ogni repubblica democratica e , in particolare, con la Costituzione dei nostri Padri e delle nostre Madri!!!

VIVA LA COSTITUZIONE ....E VIVA WOJTYLA!!! W O JTYLA = W. O. ITALY !!! VIVA L’ITALIA! (29.05.2006).

Molti cordiali saluti,

Federico La Sala

(www.ildialogo.org/filosofia,30.05.2006)


* DOC. 1

SAN MELCHISEDECH RE DI SALEM E SACERDOTE

26 agosto

II millennio a.C.

“Melchisedech, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo” è citato due volte nell’Antico Testamento. Incontrò Abramo, gli offrì pane e vino e lo benedisse. Abramo in cambio gli consegnò la decima del bottino recentemente conquistato (Gn 14,18-20). Quando Gerusalemme diventò capitale del Regno di Israele, il re Davide venne proclamato “sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedech” (Sal 110,4). Tale allusione ad un altro sacerdozio, differente da quello levita, venne utilizzata nella Lettera agli Ebrei: Cristo è sacerdote non per discendenza carnale, ma “alla maniera di Melchisedech” (Eb 6,20). La tradizione cristiana vide in Melchisedech una profezia di Cristo e nell’offerta del pane e del vino la profezia dell’Eucaristia.

Etimologia: Melchisedech = il Re, cioè Dio, è giustizia

Emblema: Pane e vino

“Melchisedech, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abramo con queste parole: Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”. Così il libro della Genesi (14,18-20) cita questo misterioso personaggio, vissuto verso il secondo millennio avanti Cristo, re cananeo di Salem, nome arcaico della futura città di Gerusalemme e capitale del re Davide, ed al tempo stesso sacerdote della divinità locale el-\’eljòn, cioè “Dio altissimo”.

I segni del pane e del vino, che Melchisedech presentò al patriarca biblico Abramo, per il cristiano divennero segno di un più alto mistero, quello dell’Eucaristia. Proprio in tale nuova luce l’episodio di Melchisedech acquista un nuovo significato rispetto a quello originario. Per l’autore della Genesi infatti l’offerta di pane e vino ad Abramo ed alle sue truppe affamate, di passaggio nel territorio del re di Salem tornando da una spedizione militare contro i quattro sovrani orientali per liberare il nipote Lot, è intesa quale segno di ospitalità, di sicurezza e di permesso di transito. Il territorio di Salem e quindi Gerusalemme saranno infatti strappati come è assai noto ai Gebusei solo secoli dopo dal re Davide. Abramo accettò il benevolo gesto di Melkisedech e ricambiò con la decima del bottino di guerra, così da attuare un sorta di patto bilaterale.

La seconda citazione antico testamentaria è data dal Salmo 110,4, nel quale a proposito del re davidico si dice: “Tu sei sacerdote per sempre, al modo di Melkisedech”, forse per assicurare anche al sovrano di Gerusalemine una qualità sacerdotale, differente dal sacerdozio levitino, in quanto Davide ed i suoi successori appartennero alla tribù di Giuda anziché a quella sacerdotale di Levi.

Sin qui il cuore storico del racconto, per altro non esente da interrogativi e da questioni esegetiche che dilungherebbero però eccessivamente la presente trattazione. E’ invece interessante evidenziare la simbologia che il re di Salem ha acquisito dalla successiva tradizione cristiana. Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Ebrei (cap. 7) iniziò infatti ad intravedere in Melchisedech il profilo Gesù Cristo, sacerdote perfetto. Infatti l’autore neotestamentario di tale libro, volendo presentare Cristo come sacerdote in modo unico e nuovo rispetto all’antico sacerdozio ebraico, decise di ricorrere proprio all’antica figura di Melkisedech. Questo nome significa infatti “il Re, cioè Dio, è giustizia”, mentre “re di Salem” vuol dire “re di pace”. Si coniugano così nel re-sacerdote i due doni messianici per eccellenza: la giustizia e la pace.

Rimarcando poi il fatto che Abramo si sia lasciato benedire da lui, riconoscendone perciò la supremazia, afferma implicitamente la superiorità del sacerdozio di Melkisedech rispetto a quello di Levi discentente di Abramo. Non resta dunque così che concludere che Cristo, discendente davidico, è “sacerdote in eterno alla maniera di Melkisedech”, proprio come predetto dal Salmo 110. È dunque in questa luce che la tradizione cristiana non esitò a riconoscere nel pane e nel vino offerti dal re di Salem ad Abramo una profezia dell’Eucaristia.

Il celebre padre Turoldo, religioso e poeta del XX secolo, cantò infatti: “Nessuno ha mai saputo di lui, donde venisse, chi fosse suo padre; questo soltanto sappiamo: che era il sacerdote del Dio altissimo. Era figura di un altro, l’atteso, il solo re che ci liberi e ci salvi: un re che preghi per l’uomo e lo ami, ma che vada a morire per gli altri; uno che si offra nel pane e nel vino al Dio altissimo in segno di grazie: il pane e il vino di uomini liberi, dietro Abramo da sempre in cammino”.

In quest’ottica Melchisedech entrò a far parte anche del patrimonio liturgico latino, tanto da meritarsi una citazione nel cosiddetto Canone Romano, cioè dopo il Concilio Vaticano II la Preghiera Eucaristica I: “Tu che hai voluto accettare i doni di Abele il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote, volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno”. Ciò comporto una certa influenza anche nell’ambito iconografico ed in tale direzione sono da segnalare i mosaici della basilica romana di Santa Maria Maggiore, risalenti al V secolo, in cui la scena di Melchisedech è stata collocata nei pressi dell’altare al fine di meglio sottolineare il legame intrinseco con l’Eucaristia.

Inoltre sulla parete interna della facciata della cattedrale di Reims, XIII secolo, è raffigurato l’incontro tra Abramo e il re sacerdote proprio come se si trattasse della comunione eucaristica. Infine si cita Rubens che nel ‘600 inserì la scena biblica in un arazzo intitolato “Il trionfo dell’Eucaristia”. Il pane e il vino sono infatti ormai definitivamente intesi come quelli deposti sulla tavola dell’ultima cena da Gesù e la spiegazione del loro valore è costituita dalle parole che Cristo stesso pronunziò nella sinagoga di Cafarnao: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. [...] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me i o in lui” (Gv 6,51.56).

Venerato come santo, Mechisedech viene ricordato l’8 settembre nel calendario della Chiesa Etiopica, mentre il nuovo Martyrologium Romanum ha inserito in data 26 agosto la “Commemorazione di San Mechisedech, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, il quale benedicendo salutò Abramo che ritornava vittorioso dalla guerra. Offrì a Dio un santo sacrificio, una vittima immacolata. Viene visto come figura di Cristo re di giustizia, di pace e eterno sacerdote, senza genealogia”.

(Autore: Fabio Arduino, www.santiebeati.it)


** DOC. 2.a

A lezione di dialogo da Lessing

Karl-Josef Kuschel rilegge il «Nathan» e sottolinea che tra i tre monoteismi ci può essere un solo conflitto: la volontà di eccellere nell’amore

di Massimo Giuliani (Avvenire, 06.06.2006, p. 29)

Nella disputa contemporanea tra gli accusatori postmoderni dell’Illuminismo e i difensori della «ragion pubblica», tipica dell’età dei Lumi, l’opera teatrale di Gotthold Ephraim Lessing, Nathan il saggio (1779), rischia di essere rimossa dai primi come mero manifesto di un generico ecumenismo tra le religioni e dai secondi acriticamente esaltata come vessillo ideologico non solo del pluralismo ma anche del relativismo religioso.

Una lettura più teologica e attenta al contesto come L’ebreo, il cristiano e il musulmano si incontrano? di Karl-Josef Kuschel offre una prospettiva nuova. Si tratta infatti, secondo Kuschel, del primo tentativo fatto in Occidente di ragionare sugli effetti negativi degli scontri di civiltà di epoca medioevale e moderna, onde superarli non in chiave di mera tolleranza della religione, come amerebbe vedere una superficiale lettura filo-illuminista, ma piuttosto di reciproco riconoscimento teologico delle tre religioni storico-rivelate.

Il volume è originale per le puntuali ricostruzioni storico-letterarie e comparative sulle fonti e le tradizioni parallele e analoghe del famoso apologo dei tre anelli; ma il suo valore riposa soprattutto sullo spessore delle tesi religioso-teologiche, radicalmente innovative per il XVIII secolo. Il Nathan di Lessing non propone infatti di superare giudaismo, cristianesimo e islam in una generica religione naturale, ma di «mettere in evidenza la parte del veramente umano presente in tutte le religioni». Ciò è possibile proprio quando dalla semplice tolleranza si passa alla rivalutazione delle fedi diverse dalla nostra e all’autocritica nei confronti degli effetti prodotti dalla nostra stessa religione.

Il testo si spinge a proporre idee nuove come quella di una tolleranza non più basata sullo scetticismo ma sul geocentrismo, e sul fatto che la diversità religiosa tra ebrei, cristiani e musulmani fa parte del mistero stesso del progetto di Dio sul mondo. Il Nathan, da questo punto di vista, è un tentativo di far superare al cristianesimo una visione negativa del giudaismo e dell’islam. Anzi, dice il teologo Kuschel, proprio il carattere radicalmente filo-musulmano di quest’opera, più ancora che quello filo-ebraico, costituisce una radicale novità e una rottura - nel cuore del XVIII secolo - con le contemporanee rappresentazioni del profeta Maometto.

Offrire una visione positiva del sultano musulmano oltre che di un mercante ebreo serviva a Lessing per testimoniare che la tolleranza non è un valore esclusivo della cultura occidentale. Una testimonianza, nel senso che Lessing fu colpito in tal senso dal suo viaggio in Italia (1775) e dalla tappa a Livorno, città in cui aveva constatato che una pacifica convivenza tra frequentatori di sinagoga, chiesa e moschea era possibile anche si suoi tempi, quando l’immaginario collettivo soggiaceva al terrore dei «turchi». Anzi, tale esperienza lo convinse ancor di più che l’unica competizione accettabile tra i seguaci delle tre fedi non è quella della verità esclusiva ma quella dell’emulazione nell’amore e nel rispetto reciproco.

«Con la sua parabola - commenta Kuschel - Lessing smonta precisamente questo modello di argomentazione: nessuno può e deve più richiamarsi a Dio per sostenere che la propria sia la religione migliore. Dio stesso ha voluto la pluralità delle religioni, non la tirannia di una di esse». Oggi, in un’Europa con dodici milioni di musulmani, la lezione di Lessing andrebbe ristudiata.

-  Karl-Josef Kuschel
-  L’ebreo, il cristiano e il musulmano s’incontrano? Il «Nathan il saggio» di Lessing
-  Queriniana. Pagine 312. Euro 23,50

___

Doc. 2.b

Melchisedech: I TRE ANELLI di G. BOCCACCIO

(dal “Decamerone”, novella della “prima giornata”)

Il Saladino, il valore del qual fu tanto che non solamente di piccolo uomo il fe’ di Babilonia Soldano, ma ancora molte vittorie sopra li Re saracini e cristiani li fece avere, avendo in diverse guerre, et in grandissime sue magnificenze, spese tutto il suo tesoro, e, per alcuno accidente sopravvenutogli, bisognandogli una buona quantità di danari, né veggendo donde così prestamente, come gli bisognavano, aver li potesse, gli venne a memoria un ricco giudeo, il cui nome era Melchisedech, il quale prestava ad usura in Alessandria, e pensossi costui avere da poterlo servire quando volesse; ma si era avaro che di sua volontà non l’avrebbe mai fatto, e forza non gli voleva fare: per che, stringendolo il bisogno, rivoltosi tutto a dover trovar modo come il giudeo il servisse, s’avvisò di fargli una forza da alcuna ragion colorata (violenza con apparenza di ragione).

E fattolsi chiamare, e familiarmente ricevutolo, seco il fece sedere, et appresso gli disse: - Valente uomo, io ho da più persona inteso che tu se’ savissimo, e nelle cose di Dio senti molto avanti; e per ciò io saprei volentieri da te, quale delle tre Leggi tu reputi la verace, o la giudaica, o la saracina, o la cristiana.

Il giudeo, il quale veramente era savio uomo, s’avvisò troppo bene che il Saladino guardava di pigliarlo nelle parole, per dovergli muovere alcuna quistione, e pensò non potere alcuna di queste tre più l’una che l’altra lodare, che il Saladino non avesse la sua intenzione. Per che, come colui il qual parea aver bisogno di risposta per la quale preso non potesse essere, aguzzato lo ‘ngegno, gli venne prestamente avanti quello che dir dovesse, e disse:

-  Signor mio, la quistione la qual voi mi fate è bella, et a volerne dire ciò che io ne sento, mi vi convien dire una novelletta, qual voi udirete. Se io non erro, io mi ricordo aver molte volte udito dire che un grande uomo e ricco fu già, il quale, intra l’altre gioie più care che nel suo tesoro avesse, era uno anello bellissimo e prezioso; al quale per lo suo valore e per la sua bellezza volendo fare onore, et in perpetuo lasciarlo ne’ suoi discendenti, ordinò che colui dei suoi figliuoli appo il quale, sì come lasciatogli da lui fosse questo anello trovato, che colui s’intendesse essere il suo erede, e dovesse da tutti gli altri essere, come maggiore, onorato e reverito.

Colui al quale da costui fu lasciato tenne somigliante ordine ne’ suoi discendenti, e così fece come fatto avea il suo predecessore: et in breve andò questo anello di mano in mano a molti successori; et ultimamente pervenne alle mani ad uno, il quale avea tre figliuoli belli e virtuosi, e molto al padre loro obbedienti; per la qual cosa tutti e tre parimente gli amava. Et i giovani, li quali la consuetudine dell’anello sapevano, si come vaghi ciascuno d’essere il più onorato tra i suoi, ciascuno per sé, come meglio sapeva, pregava il padre, il quale era già vecchio, che, quando a morte venisse, a lui quello anello lasciasse.

Il valente uomo, che parimente tutti gli amava, né sapeva esso medesimo eleggere a qual più tosto lasciar lo volesse, pensò, avendolo a ciascuno promesso, di volergli tutti e tre soddisfare; e segretamente ad uno buono maestro ne fece fare due altri, li quali si furono somiglianti al primiero, che esso medesimo che fatti gli aveva fare, appena conosceva qual si fosse il vero.

E venendo a morte, segretamente diede a ciascuno de’ figliuoli, li quali, dopo la morte del padre, volendo ciascuno la eredità e l’onore occupare, e l’uno negandolo all’altro, la testimonianza di dover ciò ragionevolmente fare, ciascuno produsse fuori il suo anello. E trovatisi gli anelli sì simili l’uno all’altro, che qual fosse il vero non si sapeva conoscere, si rimase la quistione, qual fosse il vero erede del padre, in pendente, et ancor pende.

E così vi dico, signor mio, delle tre Leggi alli tre popoli date da Dio Padre, delle quali la quistion proponeste: ciascuno la sua eredità, la sua vera Legge, et i suoi comandamenti si crede avere a fare; ma chi se l’abbia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione. -

Il Saladino conobbe, costui ottimamente essere saputo uscire dal laccio il quale davanti a’ piedi teso gli aveva: e per ciò dispose d’aprirgli il suo bisogno, e vedere se servire il volesse; e così fece, aprendogli ciò che in animo avesse avuto di fare, se così discretamente, come fatto avea, non gli avesse risposto.

Il giudeo liberamente d’ogni quantità che il Saladino richiese il servì; et il Saladino poi interamente il soddisfece; et oltre a ciò gli donò grandissimi doni, e sempre per suo amico l’ebbe, et in grande et onorevole stato appresso di sé il mantenne.



*** DOC. 3

UN PAPA REVISIONISTA

di Furio Colombo (L’Unità, 29.05.2006)

Per la prima volta un Papa riflette sul passato del suo Paese e del mondo con parole che non sono di religione, non sono di magistero e non sono - non vogliono essere - universali.

Benedetto XVI, cresciuto in Germania sotto il nazismo, e ieri in visita alla più tremenda reliquia dell’invasione nazista in Europa - ciò che resta dei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau - ieri ha parlato da tedesco che ricorda la storia tedesca, probabilmente al modo di molti altri tedeschi della sua generazione.

Bisogna pur convivere col passato, anche quando quel passato è assurdo e impossibile da guardare in faccia come la memoria di una grande, efficiente, meticolosa macchina di sterminio. I governi tedeschi del dopoguerra, e la gran parte degli intellettuali di quel Paese, hanno scelto la strada dura del guardare in faccia l’impossibile verità, e anzi di impedire - per legge, con l’insegnamento, con intere biblioteche di testimonianza - che la tremenda verità possa essere negata. Hanno lavorato molto (più intensamente, con più tenacia di altri governi e altre culture europee) per impedire che si potesse dare una versione mite, riduttivistica del nazismo. E hanno tenuto ferma in tutti questi anni la cruda e incancellabile definizione: un regime di sterminio, una meticolosa politica di sterminio, largamente sostenuta e condivisa anche attraverso poderosi apparati di indottrinamento e di propaganda, diretta contro molti nemici ma soprattutto contro il popolo ebreo di tutta Europa.

Mai nessuno avrebbe potuto dire in Germania ciò che si è detto con disinvoltura in Italia: che i fascisti non erano poi tanto cattivi e mandavano gli avversari a prendere il sole nelle isole.

D’altra parte è probabile che molti cittadini tedeschi abbiano trovato, in privato, una scorciatoia per non convivere con un passato vergognoso e inaccettabile. Per esempio, non parlare (o parlare il meno possibile) di Shoah, per esempio mettere insieme le tante sventure di quel massacro che è stata la Seconda guerra mondiale. E - se possibile, quando è possibile - parlare più di Stalin che di Hitler.

Benedetto XVI, di fronte ai cancelli di Auschwitz e Birkenau, ha usato due sole volte la parola che rappresenta il destino assegnato dai nazisti agli Ebrei, la Shoah. Ha nominato Stalin fra i mali del mondo (ha certamente ragione, ma ha dimenticato che sono state le truppe sovietiche ad abbattere i cancelli del luogo di sterminio tedesco-nazista da cui stava parlando). Non ha mai nominato Hitler.

Ha voluto lui stesso avvertire il mondo della differenza rispetto al suo predecessore. Giovanni Paolo II era polacco. Questo Papa è tedesco. Ha parlato da cittadino medio, nato e per un po’ vissuto nell’epoca spaventosa del nazismo. Come tanti della sua generazione ha usato i due più diffusi argomenti per rendere la memoria meno invivibile, per neutralizzare l’immagine che da sessant’anni è impressa nella memoria del mondo e che è stata nitidamente rappresentata dal titolo del non dimenticabile libro di Goldenhagen, «I volenterosi carnefici di Hitler».

Evidentemente il cittadino tedesco settantanovenne Josef Ratzinger, come molti altri tedeschi della sua età, non ha apprezzato quella descrizione di un passato di cui ha fatto parte, nell’unico Paese d’Europa senza alcuna Resistenza al nazismo e al fascismo. Qualcuno ricorderà che c’è un eccezione, nella storia tedesca: il piccolo ed eroico gruppo cattolico della «Rosa Bianca» . Purtroppo quel gruppo, nel discorso del Papa, non è stato ricordato.

E allora il cittadino tedesco Ratzinger ha detto che la Germania, nel periodo che noi chiamiamo nazismo, è stata vittima di un imbroglio. Cercava onore e dignità per la patria ed è caduta nelle mani di un gruppo di criminali. È finita sotto un governo cattivo e dispotico. Ecco, secondo Ratzinger la storia della Germania e dell’Europa dal 1933 al 1945 è tutta qui. E poiché il tremendo progetto dominante di distruggere gli ebrei, fino all’ultimo vecchio, fino all’ultimo bambino (un progetto così dominate da mettere la Germania in condizioni di perdere la guerra pur di portarlo a compimento) è troppo grande da sopportare, facciamo seguire una lunga lista di tante diverse nazioni e popoli e vittime, una lista in cui gli ebrei non sono neppure al primo posto. Tutti travolti da una brutta guerra e da un governo cattivo che ha agito da solo.

Seguendo questo percorso, in cui la responsabilità è di «un gruppo di criminali» la cui cattiveria tutti noi (tedeschi e ucraini, ebrei e rom, e tanti, tanti altri) abbiamo subito, il cittadino tedesco Ratzinger si è messo accanto ad un modo di pensare raramente dichiarato, ma forse largamente condiviso da tanti altri tedeschi che hanno vissuto il nazismo e - comprensibilmente - non amano ricordarlo così come era: una perfetta e totale macchina di consenso ubbidiente.

Seguendo questo percorso Benedetto XVI non solo si è scostato dal suo predecessore, che ha guardato in faccia il male del mondo, senza distinzioni, e senza citare un male piuttosto che un altro. Benedetto XVI si è scostato da se stesso, dal suo frequente e solenne mettere in guardia contro le propagande, le persuasioni, le seduzioni pericolose.

Può il male di Auschwitz essere spiegato come una disavventura tragica ma senza altri colpevoli che alcuni criminali che lo hanno voluto?

Il cittadino tedesco Ratzinger con una memoria spiegabilmente solidale con la sua patria e con tanti suoi coetanei concittadini, ha preso e guidato, per un momento la mano di un Papa. Dal Papa, da quel luogo e in quel giorno tanti nel mondo si aspettavano parole più grandi.

E così una giornata nata per essere memorabile (un Papa tedesco ad Auschwitz) non lo è stata.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  "DEUS CARITAS EST": LA VERITA’ RECINTATA!!!

-  Il teologo Ratzinger, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore), ha precisato: "Gesù di Nazaret" si scrive "senza acca".

-  AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.

-  L’IDEOLOGIA CATTOLICO-FASCISTA DEL MAESTRO UNICO E L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE, UN BUCO NERO CHE DISTRUGGE L’ITALIA E LA STESSA CHIESA CATTOLICA.
-  Per un ri-orientamento teologico-politico

-  ’’Camere a gas? Mai esistite’’(27 gennaio 2009) Ecco l’intervista shock al vescovo Richard Williamson, recentemente riabilitato da papa Ratzinger

-  "DEUS CARITAS EST"(Benedetto XVI): UN FALSO FILOLOGICO, ANTROPOLOGICO E TEOLOGICO. Così Mammona, il Dio del "denaro" e del "mercato", inganna Papa Ratzinger, e Papa Ratzinger inganna gli esseri umani ....
-  FINE DEL CATTOLICESIMO E DELLA GERARCHIA ROMANA, ATEA E DEVOTA
-  "CHARITAS" (Amore, il dono del Dio della Grazia) o "CARITAS" ("Mammona", il Dio dell’Amore a "caro-prezzo")?!
-  Un contributo e una risposta di chiarificazione alle perplessità di due “charis-simi” amici

-  MOSE’, GESU’, MAOMETTO. "TRE ANELLI"? NO, TRE IMPOSTORI. La favolosa storia del trattato sui profeti bugiardi. Una nota di Adriano Prosperi sul lavoro di Georges Minois

-  IL FARISEISMO CATTOLICO-ROMANO E LA NOVITA’ RADICALE DELL’ANTROPOLOGIA CRISTIANA. PARLARE IN PRIMA PERSONA, E IN SPIRITO DI CARITA’.

FLS


Rispondere all'articolo

Forum