“Mammasantissima”: l’ordine simbolico dell’alleanza della madre e del figlio!!!
A ‘PALERMO’ COME A ‘ROMA’, MA SEMPRE A TEBE - NEL REGNO DI EDIPO.
Una nota di Federico La Sala
Caro Peppe Sini*
A proposito del tuo “messaggio di saluto inviato [...] al convegno sul contributo della nonviolenza alla lotta contro la mafia svoltosi a Palermo il 21-22 maggio 2005”, ripreso e riproposto nella “domenica della nonviolenza.62” (26.02.2006), e titolato “La non violenza contro la mafia. Sette tesi”
tenendo presente soprattutto il punto 2: “La riflessione e le pratiche dei movimenti delle donne sono il cuore della nonviolenza e il cuore della lotta antimafia. Cosicché chiunque si voglia impegnare nella lotta contro la mafia e chiunque si voglia accostare alla nonviolenza, e massime chi voglia operare contro la mafia con la scelta pienamente consapevole della nonviolenza, non può non far riferimento al pensiero e all’agire delle donne e dei movimenti delle donne. Ed è naturale che sia così, poiché il sistema di potere mafioso è una delle manifestazioni piu’ evidenti anche di quella forma di oppressione che e’ il patriarcato, e non si da’ lotta contro la mafia, come non si da’ lotta contro la guerra, e contro ogni discriminazione ed ogni totalitarismo, se non si riconosce il nesso che queste forme di oppressione lega alla dominazione patriarcale”
è da dire, a mio parere, che c’è in esso qualcosa di non illuminato e di non pensato - non sul piano personale (ovviamente!), ma sul piano storico e ‘collettivo’ - che impedisce e ostacola la stessa nonviolenza in cammino. In questa direzione e in questo senso, mi sembra opportuno dare un piccolo contributo: fare una breve considerazione e, possibilmente, un invito a ri-considerare da un altro punto di vista il problema.
Recentemente Lea Melandri (L’occhio di Dio e la parola delle donne, www.liberazione.it, 14 gennaio 2006, e www.ildialogo.org - sez. “pianeta donna”) ha messo ‘il dito nella piaga’ e ha invitato a pensare e a pensare di nuovo e più a fondo: “C’è un solo modo per non restare fermi all’immaginario della nascita, per distogliere lo sguardo da quella coppia di protagonisti dell’origine, madre e figlio, su cui si può ipotizzare che si siano modellate tutte le coppie di opposti che conosciamo: è pensarsi uomini e donne, liberi”.
Questo, se ci riflettiamo, indica una direzione di ricerca e di riflessione che tocca la “mafia”, la “chiesa cattolica” (in particolare) e tutta la nostra stessa “cultura” - tutti e tutte, figli e figlie di “mammasantissima”!!!
Se si vuol continuare a parlare di “patriarcato” dobbiamo pensare diversamente e, con Freud (ma anche con Marx), alla struttura edipica: alla base del cosiddetto patriarcato, non c’è affatto il dominio dell’uomo sulla donna ma il dominio e l’alleanza (su tutti i piani, dall’antropologico al politico e al teologico - cfr. almeno uno dei miei ultimi interventi sul sito: www.ildialogo.org/filosofia [qui, ALLEGATO, in fondo]) della madre con il figlio ... sposo e padre di tutti gli altri uomini e di tutte le altre donne della ‘città’!!!
Aprire di più e meglio gli occhi! In tal direzione, forse, potremo capire meglio (non solo Freud e Marx, ma anche) Kafka (1920): “Il capitalismo è un sistema di dipendenze che vanno dal di dentro al di fuori, dal di fuori al di dentro, dall’alto al basso e dal basso in alto. Non c’è cosa che non sia concatenata e dipendente. Il capitalismo è una situazione del mondo e dell’anima”. (www.ildialogo.org/filosofia, 27.02.2006)
M. cordiali saluti,
Federico La Sala
* Direttore de "La nonviolenza e’ in cammino"
ALLEGATO:
Nel 150° anniversario della nascita di Sigmund Freud... IL VATICANO PREPARA LE SUE “LEGGI” CONTRO GLI OMOSESSUALI ?!
di Federico La Sala
Nel 1899 (1900) Freud pubblica L’interpretazione dei sogni e mostra su quale pericolosissimo vulcano è costruita la casa di tutta la umana società: come poi dirà, senza esagerare, un altro colpo decisivo è inferto alla boria e alle illusioni dei “sapienti” di tutta la cultura europea, in particolare. Ancora oggi, con Copernico e Darwin, Freud fa passare terribili notti insonni ai ‘faraoni’ della cultura occidentale - al tramonto!: non solo la Terra non è al centro dell’Universo, e l’essere umano non è affatto differente dagli animali, ma nemmeno il loro “io” è padrone nella sua stessa casa. La lezione è ‘terribile’ per ... i bambini che non vogliono crescere o che i ‘genitori’ e i ‘maestri’ non li vogliono far crescere mai!!! Dopo Einstein (1905), e “[...] fino al 1906, data in cui l’insegnamento adotta la tesi della fecondazione dell’ovulo con un solo spermatozoo e della collaborazione di entrambi i sessi alla riproduzione e la Facoltà di Parigi proclama questa verità ex cathedra, i medici si dividevano ancora in due partiti, quelli che credevano, come Claude Bernard, che solo la donna detenesse il principio della vita, proprio come i nostri avi delle società prepatriarcali (teoria ovista), e quelli che ritenevano [...] che l’uomo emettesse con l’eiaculazione un minuscolo omuncolo perfettamente formato che il ventre della donna accoglieva, nutriva e sviluppava come l’humus fa crescere il seme”(Françoise D’Eaubonne).
Il lavoro di Freud prosegue e si approfondisce sempre di più: nel 1907, Freud propone - e ne sottolinea tutta l’importanza - di unire (come allora e già si faceva in Francia) al ‘programma’ di educazione politica e civica (cfr. la lettera al dott. M. Furst) il ‘programma’ di “istruzione sessuale dei bambini”....
Ma le resistenze e gli interessi erano e sono enormi, di portata più che millenaria. E la mala educazione continua - ieri, come oggi!!! Come nascono i bambini .... nessuno lo vuole sapere e far sapere - né sul piano biologico, né sul piano psicologico e culturale!!!
Se, nella recente discussione e votazione - avvenuta in Italia - sui quesiti referendari relativi alla Legge 40/2004, ha ‘vinto’ una millenaria ignoranza e arroganza, e soprattutto ha perso l’autonomia degli uomini e delle donne, dei cittadini e delle cittadini, e la stessa concezione democratica della vita, non è stato un caso!!! Il ‘marcio’ non è (solo) in ‘Danimarca’!!!
Alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, del 2000 d. C. (non avanti Cristo!!!), il cardinale Dario Castrillon Hoyos così dichiarò: "Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(La Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35). Un doppio falso, come in cielo così in terra !!!: si interpreta un fatto spirituale (la nascita di Gesù) come un fatto biologico (Maria e “Dio”) e, come fatto biologicamente mal interpretato (“Ella[Maria] partorirà un figlio, e tu Giuseppe gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”: Matteo 1. 21), viene innalzato a fatto spirituale e ‘teologico’... per continuare a tenere in piedi il proprio “Dio”, un idolo fatto a propria immagine e somiglianza - tutto ‘faraonico’! Questo il ‘cuore’ della loro ‘saggezza’ e della loro universale (“cattolica”) dottrina: non avendo ascoltato né Galilei, né Darwin, né Freud, e non sapendo affatto e ancora né “come va il cielo” (la natura), né “come si va in cielo” (la cultura), come possono pretendere di capire l’identità dell’uomo e della donna in quanto persone e le loro differenze di genere sessuale (sia omosessuali sia eterosessua li sia bisessuali sia transessuali )? E cosa possono pretendere di insegnare? Che cosa e a chi - con questa ‘preistorica’ confusione?!
A 150 anni dalla nascita di Freud, non solo non sanno ancora “come nascono i bambini”, ma nemmeno si sono ancora interrogati sulla questione da lui posta, con determinazione, alla fine della sua vita e alla vigilia dello sterminio del suo popolo: “ Scaturito da una religione del padre, il cristianesimo divenne una religione del figlio. Non sfuggì alla fatalità di doversi sbarazzare del padre”(S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1938).
Cosa si vuole? Con le ‘armi’ dell’arroganza e dell’ignoranza, preparare una nuova e più grande ‘campagna’ - di portata planetaria, questa volta - contro gli ‘omosessuali’? Che il dio dei nostri padri e delle nostre madri aiuti tutti e tutte - ad uscire dalla ‘Terra’ della cecità e della barbarie!!! (20.02.2002)
Federico La Sala
P.S.
“GESU’” E “MARIA”...CHE ‘BELLA’ E ‘SANTA’ ALLEANZA!!!
Una nota sull’ordine simbolico della madre ...e del figlio
di Federico La Sala
Dalla teoria alla pratica: Ratzinger - Benedetto XVI apre alla donna-MADRE e Luisa Muraro (la teorica dell’ordine simbolico della MADRE: cfr. Intervista*, “Più che di morale, ci dice qualcosa di Dio”, a c. di Lorenzo Fazzini, Avvenire, 02.03.2006) apre all’ uomo-FIGLIO - e tutti e due stringono una “santa alleanza” e ... partono per sogni incestuosi sul ’corpo’ e sul ’trono’ di "DIO". GESU’ e MARIA!!!...e questo che cosa è se non la teorizzazione e la santificazione dell’incesto e della struttura edipica, ‘cattolica’ - ‘universale’, di cui Freud - ‘Giuseppe’ (il grande interprete dei sogni) ha denunciato abbondantemente vita morte e miracoli, “peste” e “corna”!!! Dopo la tempesta di vento e la chiusura del Libro, al funerale di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II (del cui travaglio non si è proprio capito e voluto far capire niente), per queste pacchianate pre-evangeliche non c’è proprio più futuro!!! Cerchiamo di svegliarci.... e cerchiamo di capire che significa essere esseri umani!!! (03.03.2006)
Federico La Sala
*
«PIU’ CHE DI MORALE, CI DICE QUALCOSA DI DIO»
Luisa Muraro:«Nell’enciclica si coglie il senso del mistero»
di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 02.03.2006)
Ha letto l’enciclica Deus est caritas come donna impegnata nella riflessione filosofica ed ermeneutica. E pure come persona che «non aderisce a nessun credo», ma «non per questo anticlericale», come lei stessa si è definita. Luisa Muraro, filosofa della differenza sessuale, analizza il documento papale sull’amore scoprendo «bagliori caldi» di pensiero nel testo di Benedetto XVI. Condividendo in maniera convinta la critica di Ratzinger al marxismo in nome di un «qui e ora inattingibile al pensiero e assoluto» rispetto a ogni strumentalizzazione.
Quali sono questi punti "caldi" del documento di Benedetto XVI? «Due, soprattutto: quando dice che "il programma del cristiano è un cuore che vede". E quando scrive che "Dio ci coglie di sorpresa". Credo che questi elementi vengano proprio dal suo cuore, che li abbia scritti senza la preoccupazione della dottrina. Qui il Papa vuole - a mio parere - comunicare il senso del divino che ha dentro di sé. Non gli interessa la morale, ma qualcosa di Dio, che a noi arriva proprio nel modo in cui lui lo percepisce. Si sente, in questi frangenti, che Benedetto XVI è uno come noi, che parte dalla sua bisognosità creaturale di Dio, e ci comunica quanto lui stesso ha provato di Dio».
«Un cuore che vede» è un’espressione quasi materna... «Sì, è vero, mi ha richiamato subito la figura della madre verso il proprio figlio. E vorrei ricordare quanto lo psicoanalista inglese Donald Woods Winnicott diceva delle mamme "sufficientemente buone", che in quanto tali adempiono il programma cristiano, così come lo prospetta Benedetto XVI. Anche se devo sottolineare che nell’analisi dell’amore compiuta nell’enciclica manca il riferimento all’amore materno».
Nel suo testo il Papa critica il marxismo da un punto di vista inedito: «L’uomo che vive nel presente viene sacrificato al moloch del futuro». Qui e altrove Benedetto XVI sembra fare spazio ad una prospettiva di "trascendenza terrena" che può unire credenti e non credenti: cosa pensa al riguardo? «Questo mi sembra una questione cruciale, che considero il punto più alto dell’enciclica. Finora il marxismo respingeva la religione in quanto rimandava al Cielo ciò che doveva essere un’esperienza umana, da sperimentarsi qui e ora. In questo passaggio, invece, Benedetto XVI segna un punto importante nella critica al marxismo: rifacendosi ad un "qui e ora", il Papa afferma la precedenza del presente sull’assente. E segna un’affermazione fondamentale della metafisica nei confronti della religione moderna e postmoderna, che su questo punto è un macchinoso marchingegno che si fonda sul filo dell’assenza. Per il Papa questo "qui e ora" è la presenza dell’amore. E Benedetto XVI si oppone alla modalità pratica del marxismo, che usa l’altro per ottenere un suo fine - con effetti aberranti, come si è visto nella storia. A tutto questo il Papa contrappone la testimonianza di un "di più" presente nell’amore cristiano che rende visibile un assoluto che nessuno può controllare. Questo, a mio giudizio, è il punto cruciale dell’intero testo, perché il "qui e ora" come testimonianza dell’amore rimanda a un altro che è inattingibile e che nessuno può possedere in maniera speculativa. Infatti l’amore è il punto di contatto fra quello che noi siamo nella nostra finitezza e l’infinitezza (per usare un’espressione di Simone Weil) che i cristiani chiamano Dio, che è appunto amore».
DIRITTO
Se a Roma il «pater familias» era sovrano assoluto e i cristiani introdussero l’idea dei «doveri» del genitore, dal Medioevo in poi l’autorità sui figli è entrata in crisi. Un saggio di Marco Cavina spiega perché
Paternità, un declino durato mille anni
di Giulia Galeotti (Avvenire, 02.06.2007)
Che l’autorità paterna sia un concetto giuridico ormai superato è noto. Meno note sono però le profonde variazioni che essa ha vissuto nei secoli, variazioni oggetto del recente volume di Marco Cavina, Il padre spodestato. Se l’autorità paterna era assoluta per i potenti padri biblici e romani, una novità l’ha proposta il cristianesimo, introducendo due principi rivoluzionari: la rottura dei vincoli familiari in nome di valori più alti e, soprattutto, l’affiancare al concetto di potere quello di dovere del padre. Altri snodi cruciali saranno poi due momenti piuttosto vicini tra loro, la Rivoluzione francese e gli anni Sessanta del Novecento: dopo una longevità millenaria, infatti, in soli due secoli si è realizzato il definitivo affossamento dell’autorità paterna. Il volume, ricco d’informazioni (specie fino a tutta l’età moderna), mostra che il quadro è più complesso di quanto ci si aspetterebbe. Una riprova sono gli oltre venti punti in cui i trattatisti del tardo Medioevo individuavano le articolazioni dell’autorità paterna. Molti i diritti, come la vendita dei figli per necessità di fame, il diritto del padre di uccidere la figlia colta in adulterio, l’obbligo del figlio di seguire la religione paterna (salvo che per i figli di ebrei), il potere di far incarcerare o castigare dal giudice il figlio. Non mancavano però i doveri, come la perdita della patria potestà per induzione della figlia alla prostituzione o l’obbligo di riscattare il figlio prigioniero. Al godimento di vantaggi e privilegi pubblici per meriti paterni, corrispondeva specularmente l’imposizione di svantaggi per peccati o delitti del medesimo.
Secondo Cavina, docente di Storia del diritto medievale e moderno, il progressivo annientamento del potere paterno ha dei precisi responsabili: l’individualismo borghese, l’industrializzazione, lo statalismo, la trasformazione del mercato del lavoro e l’emancipazione femminile. Come per il giusnaturalismo lo Stato non è più un’autorità per diritto divino, ma per libero contratto tra gli individui, così la famiglia è fondata non più su un padre investito di potere naturale, ma su una pattuizione. Si parlava dunque di legittimazione gerarchica sulla base dell’atto di generazione; di legittimazione contrattualista in nome del tacito consenso dei figli; soprattutto, però, era seguita la spiegazione funzionale-utilitaria: il potere del padre sul figlio era dovuto all’incapacità di quest’ultimo di gestirsi autonomamente (da cui il venir meno della perpetuità della patria potestà del modello romano). La motivazione per sottrarre all’autorità paterna buona parte delle sue articolazioni sarebbe stata l’interesse del figlio: è in nome di costui che lo Stato entra nella famiglia. «Un puerocentrismo promosso dallo Stato divenne la parola d’ordine delle democrazie liberali», scrive Cavina. Tra l’altro, ciò è l’ennesima riprova dell’infondatezza dello stereotipo che vuole i totalitarismi particolarmente invasivi nelle relazioni domestiche, mentre si tratta di un’"invasione" condivisa in toto dalle politiche democratiche.
Cavina coglie due "capitolazioni" emblematiche per l’autorità paterna in età contemporanea. Il primo durissimo colpo le viene inferto nell’Ottocento quando istituti come la diseredazione o la libertà testamentaria vengono fortemente ridotti: riformare il sistema successorio in senso egualitario significa, infatti, sottrarre al padre qualsiasi possibilità di investire patrimonialmente il proprio successore. L’altro attacco, molto più recente, è quello al cognome paterno, simbolo della supremazia del padre e strumento per garantire l’unità domestica. Via via che nei vari Paesi si è diffusa la possibilità di scegliere il cognome per i figli, infatti, «il cuore stesso del patrimonio simbolico trasmesso dal padre è stato annientato, o quasi». Con quali conseguenze, è da vedere. Questo però il diritto non lo dice, potendo solo registrare i cambiamenti in atto.
Marco Cavina
Il padre spodestato
L’autorità paterna dall’antichità a oggi
Laterza. Pagine 360. Euro 20,00
di Francesca Rigotti (DOPPIOZERO, 16 Dicembre 2016)
Dopo che Giuseppe l’ebreo fu tirato su dal pozzo e venduto dai suoi fratelli ai mercanti di schiavi Medianiti, e prima che venisse acquistato dall’eunuco Potifar per conto del faraone d’Egitto, molti, al mercato degli schiavi, si erano offerti di comprarlo. Tra loro una vecchia filatrice che mostrando alcuni gomitoli di lana colorata da lei stessa filata disse al sensale: «Ci sono anch’io, vendi a me quel giovanotto, lo desidero pazzamente, ecco qui il mio pegno». Il sensale rise: «Anima semplice, guarda che per questo gioiello di schiavo mi hanno offerto tesori; con il tuo filo non puoi comprarlo». «Lo so che in questo mercato io non lo compro» gli rispose la donna. «Mi sono messa in fila perché dicano, amici e nemici: anche lei ci ha provato». Con questo magnifico apologo, tratto da una breve storia scritta fra i secc. XII e XIII dal mistico persiano Farid al-din ’Attar, inizia il primo capitolo/non capitolo del saggio/non saggio di Luisa Muraro dal titolo Al mercato della felicità (nuova edizione presso Orthotes di un libro uscito per i tipi di Mondadori nel 2009).
La storia dell’anziana donna che vorrebbe comprare il bel giovanotto da lei pazzamente desiderato mi è proprio piaciuta, sia per il rovesciamento dei ruoli di gender, sia per il messaggio finale: anche la vecchia ci ha provato, provarci è importante. Se non vai al mercato non avrai nulla. E fin qui tutti d’accordo. Ma anche se vai al mercato coi tuoi gomitoli di lana colorata, si potrebbe obiettare, non otterrai un bel niente e tanto meno Giuseppe in persona. E allora? Che cosa cambia? Cambia il desiderio, cambia l’intensità del desiderio, cambiano gli effetti del desiderio sulla realtà - afferma Muraro - perché il reale non è indifferente al desiderio. Vuol dire allora, continuiamo a domandarci, che se desideri molto, avrai? Avrai che cosa, la merce che desideri? O l’apologo sta soltanto a significare che la realizzazione (=il divenire reale) del desiderio avverrà soltanto se desideri non beni materiali, per i quali i gomitoli di certo non bastano, ma un altro tipo di oggetti: l’arte, la libertà, il rispetto, la cura?
Mi par di capire che Muraro intenda l’uno e l’altro. Da una parte ella esalta quella capacità che oggi molti glorificano con estrema facilità e faciloneria, ovvero la resilienza. Resilienza, termine preso in prestito dall’ingegneria e trasferito dal linguaggio della tecnologia dei materiali a quelli dell’ecologia, del linguaggio informatico e della psicologia; qui esso indica, nell’illustrazione offerta da Marco Belpoliti, «la capacità di un organismo di autoripararsi dopo un danno: un sistema operativo capace di adattarsi e resistere all’usura. La capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre». Dunque, in altre parole, l’abilità di far tesoro degli handicap e delle carenze per diventare campioni di qualcosa, dal giornalismo allo sport.
È una sorta di resilienza la dote della vecchia filatrice, il cui oggetto del desiderio, il bel Giuseppe, è posto talmente in alto da essere irraggiungibile? È un altro modo per esprimere la morale cattolica nel punto in cui essa esorta a fare di necessità virtù commisurando i desideri alle possibilità, e diventare una buona monaca, nelle parole di Alessandro Manzoni, anche se ti hanno monacato a forza contro la tua volontà?
I due messaggi di Muraro vengono rafforzati nel pensiero esposto nel secondo non capitolo del non saggio, Dei difetti fai profitti (se premetto le negazioni è perché il volume di Muraro non è una monografia tematica quanto una serie di considerazioni sparse ispirate a lavori precedenti e disposte lungo un percorso personale che l’autrice espone alla condivisione). Un «pensiero per tutti», lo chiama, che per tutti e tutte non è in quanto si ancora a due pilastri non da tutti/e condivisibili: la prospettiva fideistica cattolica con inclinazione alla mistica, primo, e, secondo, la posizione - all’interno del femminismo - definita di tipo «differenzialista».
Io per esempio non condivido né il primo né il secondo pilastro; per quanto riguarda il secondo, faccio parte di quelle donne legate alla «landa d’insensatezza» - così Muraro la definisce - del femminismo dell’eguaglianza e dell’emancipazione che esige parità dei sessi e non sopporta la logica religiosa (non necessariamente cristiana, in questo tutte le religioni monoteiste sono sorelle) della differenza/complementarietà dei sessi, che mi sembra una sorta di apartheid sessuale: diversi ma uguali, o uguali ma diversi, come preferite, voi di qua noi di là e tutti felici e contenti. Io donna con le mie caratteristiche (innate? naturali? genetiche?) che risiedono nell’attenzione, nella cura, nella passività, nella devozione o nell’accompagnamento (sic) e di là gli uomini col coraggio, la decisionalità, l’audacia, l’attività, la creatività. O anche tutti insieme, non importa, purché sia ribadita la differenza.
Per quanto riguarda il primo pilastro mi associo alla posizione di Virginia Wolf: noi siamo le parole, noi siamo la musica, noi siamo la realtà, sicuramente e decisamente non esiste alcun Dio; cui aggiungo, di mio, noi siamo la misericordia che mette un po’ di riparo al male; di Dio, se Dio ci fosse.
Ecco che allora il pensiero della differenza, già saldato con la dottrina della chiesa, si connette in Muraro col pensiero della resilienza o del far profitti da difetti, usando a proprio vantaggio il fatto di essere donne, minus habentes, dotate, lo dice Sant’Agostino, di parvus intellectus. Bello. Suona bene. (Hillary Clinton ci ha provato e le è andata male. Clinton ha perso perché ha affermato di essere donna ma essere una donna, e una donna di una certa età, non coincide con l’ideale vittorioso di forza, dinamicità e potenza che gli USA pretendono di incarnare). Il femminismo di Muraro con la sua logica del mercato della felicità esorta dunque a lottare contro il male di essere nate donne per vivere il femminile liberamente e incondizionatamente. Il suo è il femminismo filato col filo della resilienza e del far profitto del difetto, e tessuto al telaio della fede e della mistica. Che piace e ha successo. Non è il mio e di chi mi accompagna nella «landa d’insensatezza», ma pazienza.
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Luisa Muraro, Al mercato della felicità, revisione a cura di Clara Jourdan, Napoli-Salerno, Orthotes, 2016, pp. 178 (prima edizione: 2009 Arnoldo Mondadori Editore, Milano).
SCHEDA EDITORIALE.
In questo libro Luisa Muraro, tra le più importanti filosofe italiane, lancia una sfida: che cosa sarebbe la nostra vita senza grandi desideri? Si può desiderare ciò che sembra impossibile da ottenere? Nella cultura che cambia senza andare avanti, in un’economia che cresce e si espande ma non si cura di far crescere né la gioia né il senso di sicurezza, nella vita che sembra tutta un mercato, con l’umanità stretta fra il troppo e troppo poco, traspare l’intuizione che il reale non è indifferente al desiderio e non assiste indifferente alla passione del desiderare. Il mondo è salvo solo a patto che coloro che lo abitano abbiano aspettative incommensurabili ai propri mezzi e non perdano mai la fiducia di essere destinati a qualcosa di grande.