Non tutti i vescovi italiani d’accordo*
Il Papa non nasconde la sua grande preoccupazione per l’avanzata di leggi che Sua Santità considera contro la famiglia. Ma non tutti all’interno del Vaticano sono sulla stessa linea. E riferendosi al disegno di legge sulle coppie di fatto Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea dice: «Mi pare sia una cosa abbastanza ben fatta».
«Io credo - ha spiegato monsignor Bettazzi - che abbiano trovato una soluzione che forse scontenta tutti ma perchè cerca di accontentare tutti. C’è il riconoscimento dei diritti senza arrivare a paragonare ogni convivenza con un matrimonio. Credo che - ha detto ancora - se da una parte c’erano delle spinte ad un rigoroso riconoscimento assoluto, dall’altra c’erano però dei timori spinti all’eccesso. Io credo sia una soluzione che va incontro a delle esigenze senza creare i pericoli che si temevano per la famiglia naturale».
Nessuna perplessità, quindi, sul fatto che si parli anche di coppie formate da persone dello stesso sesso?
«Da quanto ho visto si tratta di riconoscimenti dei diritti individuali. Il fatto poi che stiano insieme...anche noi in fondo nei conventi siamo persone dello stesso sesso che vivono insieme».
«Voglio puntualizzare che, - ha ribadito - come aveva detto il Presidente del Consiglio, che è un cattolico sincero, ama la famiglia e viaggia sempre con la moglie, e noi bolognesi lo conosciamo, si sono voluti difendere i diritti individuali senza creare dei grossi problemi di sconvolgimento di mentalità e di sensibilità».
* l’Unità - ** l’Unità, Pubblicato il: 09.02.07, Modificato il: 09.02.07 alle ore 16.38
Mons. Bettazzi: «Cristo era di sinistra»
di Diego Novelli *
Conosco Monsignor Bettazzi da una quarantina d’anni, dai tempi in cui era Vescovo di Ivrea, ed io giornalista a l’Unità di Torino. Ricordo di averlo incontrato in più occasioni in quegli anni «caldi» da un punto di vista sociale, mentre svolgevo il mio lavoro di cronista, in mezzo ai cortei degli operai in sciopero, per la difesa dei loro diritti, primo fra tutti quello del posto di lavoro. Incontri fugaci, ma significativi. E Monsignor Bettazzi era lì, tra quei lavoratori, a quegli operai, a esprimere loro la solidarietà di tutta la sua Diocesi. E quella presenza gli costò anche una denuncia «per blocco stradale».
Venne prosciolto in istruttoria, con tutti gli operai in lotta «perché il fatto non costituiva reato».
Negli anni del mio mandato di sindaco di Torino fui coinvolto in uno scambio di corrispondenza tra Luigi Bettazzi e Enrico Berlinguer. Il vescovo di Ivrea, nel luglio 1976, aveva indirizzato una lettera aperta al segretario generale del Pci che così si apriva: «Onorevole, Le sembrerà forse singolare, tanto più dopo le ripetute dichiarazioni di vescovi italiani, che uno di loro scriva una lettera, sia pure aperta, al Segretario di un partito, come il suo, che professa esplicitamente l’ideologia marxista, evidentemente inconciliabile con la fede cristiana. Eppure mi sembra che anche questa lettera non si discosti dalla comune preoccupazione per un avvenire dell’Italia più cristiano e più umano».
Berlinguer rispose in tredici fitte cartelle dattiloscritte, che varrebbe la pena ripubblicare integralmente con la lettera del vescovo di Ivrea considerata la struggente attualità di alcuni temi trattati. Scrive Berlinguer: «Le posizioni assunte e i comportamenti seguiti dal Pci lungo diversi decenni fino ad oggi, penso dovrebbero portarLa a riconoscere, Signor Vescovo, che l’insieme di essi costituisce la valida garanzia che nel Partito comunista italiano esiste ed opera la volontà non solo di costruire e di far vivere qui in Italia un partito laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non antiteista; ma di volere anche, per diretta conseguenza, uno Stato laico e democratico, anch’esso dunque non teista, non ateista, non antiteista». Quanti della folta schiera dei «neo-liberali» (oggi vanno di moda) del centro sinistra e della cosiddetta Casa delle libertà sarebbero disposti a sottoscrivere una dichiarazione di questo genere?
Ed eccomi qui, nella casa vescovile di Albiano, dove vive oggi il Vescovo Emerito di Ivrea, Monsignor Luigi Bettazzi. Una conversazione, stimolata, provocata, da una serie di domande a 360 gradi. Partiamo subito.
Larga parte dei giovani oggi ci dicono che «questo mondo così com’è non ci piace» e che «un altro mondo è possibile». Cosa rispondiamo loro?
«Io credo che dobbiamo renderci conto del tipo di comunicazione che c’è oggi. Ai tempi di Berlinguer la tensione ideologica portava la gente a riflettere, a pensare, a orientarsi e a scegliere. Oggi il tipo di comunicazione che c’è, così rapido e preordinato, fa sì che non si pensi più: i problemi vengono presentati e hanno già le loro soluzioni. Questo è talmente evidente che si fa fatica oggi nel mondo a distinguere le politiche di destra e quelle di sinistra, e a trovare il modo di sopravvivere nel mondo globalizzato in cui viviamo, senza rendersi conto che in fondo chi possiede i mezzi di comunicazione li utilizza secondo i propri interessi. Già nel 1980 il Rapporto Brandt dell’Onu (Rapporto sulla disparità fra Nord e Sud del mondo, promosso dall’ex cancelliere tedesco Willy Brandt, ndr) segnalava che il più grande pericolo per l’umanità non era la guerra atomica (allora possibile), ma la divaricazione fra la parte più ricca e sviluppata dell’umanità e quella più povera e dipendente. Cosa che va continuando dal 1980, per cui il mondo è organizzato dai G8, cioè dalle nazioni più ricche, secondo i loro interessi, rendendo sempre più emarginata la maggioranza dell’umanità. È questo tipo di atmosfera che rende difficile lo sviluppo di un pensiero autonomo, che nelle grandi linee viene orientato da chi ha in mano le leve del potere economico, politico e militare, e dalla stragrande maggioranza delle persone viene ricevuto automaticamente attraverso i mezzi di comunicazione di massa che offrono le soluzioni preordinate dei Grandi. Di questo credo siano vittime in modo particolare i giovani, che a questo forse non sono sufficientemente preparati. A loro dovremmo dire di rendersi conto che il futuro è nelle loro mani, ma devono cercare di essere consapevoli e responsabili dell’orientamento del mondo, altrimenti diventano strumenti di un mondo organizzato dagli altri per i propri interessi. Danno a questi giovani le cose rispondenti forse ai loro desideri più immediati, ma in fondo li mettono al di fuori delle leve dell’orientamento del mondo di domani».
Lei, Monsignore, è stato molto in sintonia con il pensiero, non solo come intellettuale, ma come uomo di Chiesa, quindi con la sua azione di vescovo del cardinale Pellegrino, e in particolare alla sua lettera pastorale «camminare insieme», definita stoltamente «datata». Le posso chiedere perché una figura eminente come la sua è stata praticamente rimossa dalla Chiesa piemontese?
«Credo che vada sottolineata intanto l’importanza delle due parole “camminare insieme”, nel senso che anche all’interno del mondo ecclesiale c’è chi spinge per camminare ma autonomamente, o a gruppetti, e chi, per stare insieme, sta fermo. Direi invece che è una fondamentale legge dell’umanità e della Chiesa quella di camminare insieme. Quanto al cardinal Pellegrino, al di là della sua ben documentata formazione intellettuale, sul piano umano, mi piace ricordare che quando aveva un’intuizione su qualche verità o orientamento lo presentava con molto vigore, alle volte anche con poca diplomazia. Anche quando parlava all’interno della Cei, ricordo che spesso usava forme che si prestavano ad essere criticate per alcuni particolari, e questo lo rendeva forse meno efficace. D’altra parte è anche vero che quando si propongono dei notevoli cambiamenti si trovano delle notevoli resistenze. Basta guardare anche oggi come viene considerato il Concilio: l’autorità religiosa di Bologna non c’era ai funerali di Alberigo e non ho potuto presiederlo io, vescovo. Criticano Alberigo perché considerava il Concilio come un evento di grande cambiamento, mentre loro lo considerano solo un’accelerazione, che non va interpretato come una discontinuità ma come una continuità. Su un piano dogmatico è vero che c’è continuità, non ci sono verità nuove, ma su un piano pastorale invece la discontinuità è fortissima. Un vescovo romano è addirittura arrivato a dire che siccome Paolo VI accettava sollecitazioni della minoranza, il Concilio va interpretato secondo la minoranza. Sarebbe come dire che siccome un quadro deve avere una cornice, la bellezza del quadro è determinata dalla cornice. E questo si dice in un volumone presentato dal cardinal Ruini e dal professor Riccardi (docente di Storia del Cristianesimo e fondatore della Comunità di S. Egidio, ndr) a Roma».
Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, non si stanca mai di ripetere, rifacendosi al Vangelo, «di essere schierato dalla parte degli ultimi». Non si ha la sensazione che questa massima evangelica sia molto osservata non solo dagli uomini politici ma anche dalla stessa autorità della Chiesa di Roma. Mi sbaglio? Nel recente viaggio in Brasile del Papa si è avuta l’impressione che quella moltitudine di poveri, «gli ultimi», siano stati un po’ trascurati.
«C’è un documento Cei del 1981, che è un’isola, perché dice che bisogna cominciare dagli ultimi; ma in seguito non se n’è tenuto molto conto. Questo anche perché si è fortemente condizionati dall’opinione pubblica, che non è fatta dagli ultimi, ma dai mezzi di comunicazione di massa che sono in mano ai potenti, i quali hanno l’abilità di presentare delle motivazioni anche umanistiche per quelli che sono i propri interessi. Basti pensare a chi dice di fare la guerra per portare la democrazia quando invece si sa che c’è ben altro sotto. Quindi è difficile continuare a partire dagli ultimi perché siamo parte di un meccanismo che non lo prevede. Pensiamo anche all’otto per mille, che certo permette alla Chiesa di fare del bene, ma che in fondo mette la Chiesa nell’esigenza di muoversi nell’ambito finanziario. Quindi si fa molto per gli ultimi ma sempre partendo da un certo tipo di mondo. Paolo VI preparò la Popolorum progressio del 1967, un’enciclica molto forte che fu il suo modo per dire che la Chiesa stava con i poveri. Ma il vero intervento fu fatto nel 1968 a Medellin dai vescovi dell’America Latina, i quali dissero che bisognava incominciare a vedere le cose con gli occhi dei poveri. Invece oggi normalmente i mezzi di comunicazione di massa ci presentano le cose con gli occhi dei ricchi, tant’è vero che oggi la prima cosa che si fa per salvare l’economia è licenziare gli operai. Io ricordo che, quando vendevamo le armi a Iraq e Iran (ed è proibito vendere armi a paesi belligeranti), il nostro bravo Ministro della Difesa d’allora la prima volta disse che noi le vendiamo a tutti e due (e vinca il migliore!), la seconda volta disse che “non sapeva”, (ma un ministro dovrebbe sapere!); e la terza volta disse che di due casi sapeva ma aveva chiuso gli occhi perché altrimenti sarebbero fallite due fabbriche italiane. Ecco, questo è vedere con gli occhi dell’economia e di chi sta bene, mentre partire dagli ultimi significa soprattutto guardare dal loro punto di vista. Questa io credo che dovrebbe essere la grande presa di coscienza che dovremmo fare: noi ci preoccupiamo dei giovani, ma quando loro vedono che i grandi corrompono e fanno i loro interessi a discapito degli altri possiamo poi lamentarci se nel loro piccolo fanno altrettanto? Per quanto riguarda il viaggio in Brasile è normale che succeda questo, perché chi organizza non vuole far vedere la miseria. Succedeva anche quando andava Giovanni Paolo II, anche se magari voleva fermarsi a benedire una capanna in Africa veniva bloccato, perché questi viaggi sono tutti organizzati nel dettaglio, e chi organizza vuole fare bella figura».
Motivo di questo nostro colloquio è stato quello di verificare una sensazione che ci angoscia, cioè di vivere un tempo «dissociato», quasi che una forma di virus misterioso abbia colpito le classi dirigenti dell’umanità accentuando le disuguaglianze, la povertà, la violenza, mettendo a rischio quelli che vengono chiamati «i beni comuni» sull’altare di una falsa modernità. Non ritiene che la Chiesa in un contesto mondiale caratterizzato da una drammatica realtà potrebbe avere una grande funzione di orientamento, di guida, nonché di denuncia?
«Io credo che qualcosa si muove, ma purtroppo succede lentamente. Ai vertici nel 1989 a Basilea per la prima volta si sono incontrati i Cristiani d’Europa, Cattolici, Protestanti e Ortodossi; e il tema era “pace e giustizia a salvaguardia del creato”. Significava che prima di metterci d’accordo sul piano dei valori teologici, sui quali si continuerà sempre a discutere, bisognava mettersi insieme sui valori dell’umanità, sui grandi temi. Fu una cosa molto importante. Papa Giovanni ebbe a dire “ma se noi guardiamo bene Gesù aveva posizioni che oggi chiameremmo di sinistra”. Noi siamo più propensi ad intervenire sulla morale individuale, che poi però viene lasciata alla valutazione della persona, che su quella sociale, che sfocia nel politico. Ma dovremmo avere la chiarezza di dire che non possiamo prendere come principio politico il potere e l’interesse perché questo è proprio quello che scredita la religiosità. Giovanni Paolo II ebbe questa grande intuizione di convocare ad Assisi tutte le religioni dicendo che pur avendo opinioni e nomi diversi adoriamo tutti lo stesso Dio e non possiamo più fare le guerre in nome della religione. Papa Giovanni diceva già nel 1963 nella Pacem in terris che dati i mezzi di distruzione che ci sono oggi e date le possibilità di incontro, ritenere che si possa portare avanti la pace con la guerra è alienum a ratione, che fu tradotto “sembra impossibile” ma in realtà significa “è roba da matti”. Papa Giovanni Paolo II nel dicembre 2003 arrivò a dire che si doveva insistere di più sulla non violenza attiva, perché proprio secondo i principi cristiani dovremmo condannare la guerra».
La nostra è una rivista che si rivolge in modo particolare alle nuove generazioni. Se dovesse inviare loro un messaggio cosa gli direbbe?
«Gli direi innanzitutto di cercare di pensare, di farsi delle idee proprie attraverso verifiche e confronti. Poi direi loro di mettersi insieme ad altri, perché da soli non si arriva da nessuna parte. Io penso sempre ai giovani del ’68, che dicevano “facciamo l’amore e non la guerra”: di fronte ad un mondo tutto orientato al consumo, organizzato per la produzione e per il commercio, con il settore delle armi in testa all’industria, loro auspicavano un mondo impostato sull’umanità. Certo, poi l’amore bisogna anche farlo per bene».
* l’Unità. Pubblicato il: 13.07.07, Modificato il: 13.07.07 alle ore 7.49
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Caro BENEDETTO XVI ...
Corra, corra ai ripari (... invece di pensare ai soldi)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro-prezzo’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (“Logos”) è diventato il marchio capitalistico di una fabbrica (“Logo”) infernale ... di affari e di morte?! Ci illumini: un pò di CHIAREZZA!!! FRANCESCO e CHIARA di Assisi si sbagliavano?! Claritas e Charitas, Charitas e Claritas... o no?!
Federico La Sala
"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST"(1 Gv., 4.1-16)
2008, L’ANNO DELLA PAROLA.
IN EBRAICO: VERITA’ - "EMET", E MORTE - "MET".
BENEDETTO XVI:"Deus caritas est", 2006)!!!
DIO E’ MAMMONA ("CARITAS"): UN’ENCICLICA DI UNA CHIESA SENZA "H" E SENZA AMORE ("CHARITAS").
LA LEZIONE DI FREUD: "MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA". INDICAZIONI PER UNA RILETTURA
Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio... *
Un vescovo emerito scrive.
Evasori fiscali, non si tradiscono così Dio e la nazione
di Luigi Bettazzi (Avvenire, mercoledì 8 luglio 2020)
Egregi evasori fiscali,
(e-gregio vuol dire infatti "fuori, al di sopra del gregge", della gente comune) da vescovo più giovane e da presidente di Pax Christi, Movimento internazionale per la pace, m’era venuto di scrivere ai politici del tempo - ad esempio al democristiano Benigno Zaccagnini e al comunista Enrico Berlinguer - invitandoli a essere coerenti con le loro scelte politiche e convergenti al bene della nazione, ora, al termine della mia vita (ho ormai più di 96 anni), mi viene di scrivere una lettera a voi.
La pandemia che stiamo vivendo ci ha obbligati a vivere più ritirati, quindi più pensosi per la nostra vita personale e per il bene della collettività. Ed è così, ad esempio, che ci siamo resi conto del lavoro delle varie mafie che, attente a evitare situazioni più clamorose, come quelle che finiscono in uccisioni e stragi, sfruttano la situazione per aumentare le loro ricchezze, ad esempio con prestiti a usura a chi non riesce a trovare mezzi legali per sovvenire alla mancanza di danaro causata dalla limitazione del lavoro o dalla sua perdita. Al contrario, v’è chi arriva a frodare per avere sovvenzioni a cui non ha diritto.
Questo ci ha fatto pensare come le limitazioni, sia del sistema sanitario antecedente come dei provvedimenti per arginare l’espandersi della pandemia e frenare le crisi dell’industria e delle aziende, derivi anche dalle minori disponibilità economiche dovute anche a quanto viene evaso da chi non paga le tasse, soprattutto di chi, con la ricchezza, riesce a trovare i mezzi per portare i suoi beni nei cosiddetti paradisi fiscali. Questa è una grossa ingiustizia perché quanto viene portato fuori dalla nazione è stato raggranellato con il lavoro dei concittadini e utilizzando le leggi (e le sottigliezze) dello Stato. È triste pensare che la nazione vi abbia fatti crescere e sviluppare fino al punto di poterla tradire.
Non voglio pensare che tra voi ci siano quelli che formalmente figurano come rispettosi - o addirittura partecipi attivi - del cristianesimo che ha accompagnato la storia della nostra nazione, ma poi trasgrediscono il suo messaggio fondamentale, che è quello di non chiudersi nel proprio egoismo, ma di aprirsi agli altri, proprio cominciando dai più piccoli, dai più poveri, dai più emarginati.
Così fanno i boss delle varie mafie, che poi a copertura delle loro violenze proteggono le devozioni popolari e se ne fanno riverire, o quei politici che nel mondo ostentano oggetti e proteggono frange di strutture religiose per coprire le loro minori attenzioni umane. Non vorrei che anche voi, magari sovvenendo pubblicamente alcune opere di solidarietà, vogliate così "scontare" la vostra ingiustizia di fondo.
È vero che alle volte, nel mondo, le tassazioni possono sembrare eccessive o ingiuste. Ma, in democrazia, si devono trovare i mezzi, soprattutto da parte dei più abbienti come siete voi, per correggerle, non per avere un pretesto per evaderle, portando il proprio danaro negli... inferni fiscali.
Perché purtroppo il danaro diventa quasi una divinità, anzi la vera alternativa a Dio: aveva già detto chiaramente Gesù (usando un termine locale) che non si possono servire due padroni: o Dio o mammona (il danaro).
Non so se anche qualche parroco vi ha mai detto che l’evasione fiscale è peccato mortale: l’ha detto qualche tempo fa laicamente Romano Prodi, ve lo ripete oggi un vescovo, anche se emerito. Mi verrebbe da ripetere la frase forte che san Giovanni Paolo II proclamò, nella valle di Agrigento, contro le mafie: "Convertitevi! Un giorno dovrete risponderne di fronte a Dio". E allora non ci saranno pretesti e coperture.
Vi chiedo scusa se vi ho attaccati pubblicamente. Spero comunque di avervi fatto pensare.
Da vescovo, pregherò per voi, per le vostre famiglie e per le vostre attività, ovviamente purché siano oneste.
Vescovo emerito di Ivrea
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"ERODE" E LE GERARCHIE CATTOLICO-ROMANE CONTRO CRISTO E "CONTRO CESARE. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi".
VIVA L’ITALIA !!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.
Federico La Sala
Lettera per amore.
Dialogo tra un vescovo e un giornalista: Dio, natura, umanità
di Francesco D’Agostino (Avvenire, sabato 18 maggio 2019)
Ammirevole la lettera che il vescovo Luigi Bettazzi, emerito di Ivrea, scrive a Corrado Augias, provocandolo, con amicizia, sul tema dei temi, quello di Dio e del nostro rapporto con Lui. Augias, diversamente da altri giornalisti e saggisti del suo spessore, non ha mai eluso il tema della religione, anzi lo ha affrontato più di una volta, anche in scritti di ampio respiro, senza però mai volersi compromettere personalmente e fino in fondo con questa tema.
Bettazzi non scrive ad Augias per metterne in discussione la spiritualità, ma per esortarlo a respingere la tentazione dell’ateismo e a considerarsi piuttosto agnostico: infatti, chi (come Augias) dà prova di credere nella libertà, nella bellezza, nella giustizia, crede fondamentalmente nel bene, anche se non vuole o comunque esita a chiamarlo ’Dio’. Agli agnostici, intesi nel senso che si è detto, conclude il vescovo, si può voler bene; mentre voler bene agli atei è davvero difficile.
La risposta di Augias nella rubrica che tiene su ’la Repubblica’ (pubblicata martedì scorso, 14 maggio 2019) è sobria e limpida: grato per l’attenzione che gli viene rivolta, egli ribadisce che il suo atteggiamento fondamentale è quello di prendere le distanze da tutti i dogmi, dai riti, dai catechismi, dai testi sacri e soprattutto da quell’immagine di Dio, come ’super-padre’, occulto e onnipotente governatore del creato, che le religioni inevitabilmente veicolano.
L’immagine di Dio è ormai uscita dagli scenari del nostro tempo, insiste Augias, ma non per questo ci mancano efficaci surrogati di questa immagine, surrogati tra i quali sembra che egli prediliga un’immagine vagamente spinoziana della natura, come epifania di Dio («Deus sive natura»). Il giornalista-scrittore riconosce che l’amore per la terra, per l’acqua, per l’aria non è un perfetto surrogato della religione, ma può comunque essere sufficiente per giustificare una spiritualità «matura e pacifica», rispettosa del prossimo e dell’ambiente e in fondo non molto diversa da quella percepita ed espressa da san Francesco di Assisi.
Il ’naturalismo’ di Augias non ci deve naturalmente meravigliare troppo: è perfettamente in sintonia con l’ecologismo dominante nella cultura contemporanea. Né ci deve meravigliare il riportare il naturalismo allo spirito francescano. Non è la prima volta che questo nesso viene istituito, anche se ha ben poco fondamento: l’amore di san Francesco per la natura è direttamente conseguente al suo amore per il creato e il creato, nello spirito francescano (e ovviamente non solo nello spirito francescano, ma in generale nella spiritualità cristiana), va amato proprio in quanto ’creato’, come portatore dell’immagine di Dio. Se togli Dio, o lo metti tra parentesi, del creato resta solo il paradigma materialistico e meccanicistico che pervade tanta parte della scienza contemporanea. La materia può anche essere ammirata, e una pari ammirazione possiamo nutrire nei confronti degli algoritmi che la strutturano; ma tra l’ammirazione e l’amore c’è una distanza su cui non dovremmo mai smettere di riflettere.
Il cuore della questione è che l’essenza della religione (e penso, in particolare, alla religione cristiana) non consiste nel costruire un’immagine di Dio come Ente supremo o come super-Padre e nel predicare la nostra doverosa sottomissione ai suoi comandi, bensì nel ricevere e nell’accogliere un Vangelo, una buona notizia, tanto semplice quanto sconvolgente: siamo creati e siamo amati da Dio senza alcun merito da parte nostra e questo amore, assolutamente immeritato, chiede di essere ricambiato.
La natura ci nutre, ci tiene in vita, ci affascina, ma non ci ama; dobbiamo rispettarla, prendercene cura, al limite anche venerarla, ma non dobbiamo illuderci: è la stessa natura, nel cui contesto veniamo al mondo, che ci condanna a morte. Solo l’amore è promessa di vita e solo l’amore gratuito di Dio è promessa di vita eterna. Augias ha ragione, quando afferma che oggi la domanda stessa se Dio esista per tanti «è», o sembra, «uscita di scena». Ciò però che non può uscire di scena è il bisogno di amore che ogni persona, anche la più violenta e arrogante, nutre nel segreto del cuore. Ateismo e agnosticismo sono nobili concetti teoretici, l’amore è un’esigenza vitale. Forse è proprio da qui che bisogna dare inizio alla nuova evangelizzazione, della quale da tanto tempo si parla.
SUL TEMA, BEL SITO, SI CFR.:
Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio ... Francesco D’Agostino (dall’Avvenire) vuole dare lezioni a Rosy Bindi e mostra solo tutto il livore di un cattolicesimo che ha sempre confuso "Erode" con Cesare e Dio con "Mammona"!!!
LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
In ricordo di Giovanni Franzoni
di Mons. Luigi Bettazzi (Già presidente di Pax Christi) *
Pax Christi Italia e Mosaico di Pace mi chiedono di esprimere la loro partecipazione al lutto della famiglia e della Comunità cristiana di S. Paolo a Roma per la morte di Giovanni Franzoni.
Personalmente lo ricordo, quando era Abate di S. Paolo, alle Assemblee della CEI e agli ultimi due Periodi del Concilio Vaticano II. Penso alla sua attività negli anni caldi dopo il 1968; il suo libro “La terra è di Dio” (cui seguì poi “Anche il cielo è di Dio. Il credito dei poveri”) anticipava i problemi ecologici oggi sul tavolo della politica internazionale. Le sue prese di posizione sulla Chiesa dei poveri e sul dialogo con i comunisti sembrano appartenenti al passato, ma la sua dichiarazione di aver votato comunista lo portò alla “riduzione allo stato laicale”.
Il suo temperamento ardente, ma soprattutto il legame con la Comunità di S. Paolo, che aveva fondato e diretto fino ai nostri giorni, lo portarono a prese di posizioni di critica e di contestazione molto forti al di là di ogni compromesso (ad esempio di prendere domicilio nella mia Diocesi, pur restando a Roma), che indussero poi la Chiesa a decisioni drastiche.
Era rimasto, anche vivendo da laico (e sposandosi) uomo di fede. L’avevo incontrato il mese scorso, presentando insieme, in una parrocchia piemontese, il Concilio Vaticano II, di cui eravamo rimasti gli ultimi membri viventi italiani, ed era stato molto pacifico e fraterno.
Forse i suoi atteggiamenti di contrasto non permetteranno lo si ponga tra i profeti, accanto a don Mazzolari e don Milani, ma non gli tolgono il merito di una profezia - sulla Chiesa dei poveri, sull’ecologia, sulla nonviolenza e la pace - perseguita con sincerità e con coraggio e con la coscienza di una fede sincera. Gliene restiamo grati.
Nel dialogo Berlinguer-Bettazzi le radici del Pd
In “L’anima della sinistra” Claudio Sardo ricostruisce l’incontro fra cattolici e comunisti
di Claudio Tito (la Repubblica, 13.01.2015)
«COSTRUIRE e far vivere qui in Italia un partito laico e democratico». A pronunciare questa frase non è stato uno dei “padri fondatori” del Pd. Non si tratta di una scontata locuzione suggerita negli anni in cui il centrosinistra italiano si è misurato con la formazione dell’Ulivo prima e del Partito Democratico poi. Ma è di Enrico Berlinguer. Che nella lettera dell’ottobre 1977 con cui rispondeva a Monsignor Bettazzi definiva il Pci proprio in quei termini: «laico e democratico».
Può essere la prova che già in quegli anni, il Dna del tutto originale del Partito comunista italiano prevedesse uno sviluppo nella direzione poi assunta dagli anni Novanta in poi? Secondo Claudio Sardo, ex direttore dell’ Unità, nella sostanza sì.
Nel libro L’anima della sinistra ( edito dalla Eir) torna a pubblicare lo scambio epistolare tra il segretario comunista e il vescovo di Ivrea, accompagnata da due saggi, di Giuseppe Vacca, storico del marxismo e del Pci, e di Domenico Rosati, ex presidente delle Acli.
È evidente che il contesto politico e sociale di quelle due missive non è paragonabile alla lunga transizione che ha impegnato il nostro Paese dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi. Era la stagione del “pensiero lento” ma profondo e non quello veloce e superficiale di twitter. La trasformazione del sistema dei partiti e la metamorfosi della sinistra italiana hanno stravolto i parametri della politica rispetto agli anni Settanta.
Il confronto in quel periodo si basava sul “compromesso storico” prima e sulla “solidarietà nazionale” poi. Sul dialogo e la potenziale intesa, dunque, tra i due grandi partiti popolari che nel 1976 rappresentavano i tre quarti dell’elettorato e che però dal dopoguerra si fronteggiavano su trincee opposte in una democrazia bloccata.
Eppure quel dialogo in una certa misura può rappresentare l’embrione del Pd. «Non ci sarebbero stati in Italia né l’Ulivo né il Pd - scrive Sardo - senza la storia del Partito comunista italiano e senza la particolare natura della Democrazia cristiana». I passi avanti compiuti da Berlinguer nel rapporto con i cattolici (già avviato nei primi anni del decennio precedente da Togliatti) e con l’associazionismo cattolico, e l’idea - attualissima ma mai portata fino in fondo - di una «seconda rivoluzione democratica», costituiscono, forse anche involontariamente, il terreno più fertile per la costruzione di una moderna sinistra «democratica e laica».
In quel quadro politico, Monsignor Bettazzi chiedeva “garanzie” al Pci sulla sua lealtà democratica e sulla possibilità di una convivenza civile tra i cattolici e i comunisti, nonostante il materialismo marxista. In una certa misura - osserva Rosati - quelli potevano essere definiti i «valori non negoziabili» del tempo.
La risposta del leader di Botteghe oscure è “rivoluzionaria” rispetto al movimento comunista internazionale. La diversità italiana si conferma nella dichiarazione che il Pci non «professa l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica». E, spiega Vacca, configura il Pci come «un partito non ideologico». Il confronto con il mondo cattolico poneva così le premesse per dare vita a una miscela culturale unica. «Quello che voi siete - diceva Aldo Moro nel 1977 rivolgendosi al Pci - noi abbiamo contribuito a farvi essere e quello che noi siamo, voi avete aiutato a farci essere ». Per i comunisti italiani rappresentava anche lo strumento originale per la ricerca di una “terza via” ante litteram tra comunismo e socialdemocrazia. E negli anni Ottanta per non rassegnarsi all’affermazione del riformismo di stampo craxiano.
Quindi, conclude Sardo, «senza quell’intreccio nelle radici politico-cultirali della sinistra, senza il peculiare impasto del comunismo italiano, il centrosinistra avrebbe avuto una diversa configurazione e non sarebbero state poste le basi per la nascita del Pd».
«Matrimoni gay ferita per la pace»
di Luca Kocci (il manifesto, 15 dicembre 2012)
Si apre la campagna elettorale e, puntuale, arriva l’intervento del Vaticano a chiarire da che parte stare, ribadendo i «principi non negoziabili» a cui i politici devono attenersi. Non si tratta di un’esternazione mirata: quelle del papa sono le parole del tradizionale messaggio urbi et orbi per la giornata mondiale della pace dell’1 gennaio, «quasi una piccola enciclica» sottolinea l’editoriale dell’Osservatore Romano. Tuttavia la lettura politica è inevitabile, anche perché è sollecitata direttamente dai due prelati che ieri in Vaticano lo hanno presentato alla stampa.
«Beati gli operatori di pace» è il titolo del messaggio. E subito, dopo un brevissimo cenno «ai focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri» provocate «anche da un capitalismo finanziario sregolato», viene chiarito che «operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità». Segue il consueto elenco: no all’aborto e all’eutanasia, sì al matrimonio fra uomo e donna, no a coppie di fatto e coppie gay, sì alla scuola cattolica. Con un’aggiunta pesante: la negazione di questi principi costituisce «una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace».
«Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria», scrive Benedetto XVI, che chiede: «Come si può pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?». Non è giusto «codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita». Per cui è necessario che «gli ordinamenti giuridici» riconoscano «l’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia».
Il secondo capitolo riguarda la famiglia: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione». Le coppie gay non vengono nominate, ma il papa si riferisce a loro. A tal proposito desta una inquietudine apprendere - lo ha segnalato Il Fatto Quotidiano - che il 13 dicembre Benedetto XVI ha ricevuto in Vaticano Rebecca Kadaga, presidente del Parlamento ugandese, dove è in corso di approvazione una legge che prevede la pena di morte per il reato di omosessualità: in questo caso sulla difesa della vita si può chiudere un occhio.
Infine, fra le righe, la scuola cattolica: «Bisogna tutelare - scrive il papa - il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso». C’è anche dell’altro: il «diritto al lavoro» e la ricerca di «un nuovo modello di sviluppo». Ma quasi scompaiono in mezzo all’elenco dei «valori non negoziabili». Che i destinatari privilegiati delle avvertenze papali siano i politici - non solo italiani, data l’universalità del messaggio e visto che da qualche settimana per esempio di matrimoni gay si parla molto negli Usa (quattro Stati li hanno approvati con un referendum lo stesso giorno della rielezione di Obama) e in Francia, dove il Parlamento presto si esprimerà a breve - lo chiarisce mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, presentando il messaggio: «Le comunità politiche sono chiamate a riconoscere, tutelare, promuovere tali diritti e doveri»; quelle che, «mediante ad esempio la liberalizzazione dell’aborto, attentano alla vita dei più deboli» e quindi «non appaiono dotate di una salda tenuta morale». Quasi una scomunica. Del resto, da anni, la strategia appare la stessa: le gerarchie ecclesiastiche non fanno più esplicita professione di fede per un’unica forza politica, ma usano i «principi non negoziabili» come paletti per delimitare il campo in maniera invalicabile.
Bettazzi: il Papa può dimettersi. Il Vaticano: siamo sotto attacco.
di Roberto Monteforte (l’Unità, 14 febbraio 2012)
Il Papa si vuole dimettere. Dietro la teoria del complotto contro Benedetto XVI ci sarebbe l’intenzione di preparare l’opinione pubblica alle sue dimissioni a cui lo stesso papa Ratzinger starebbe pensando. La pensa così monsignor Luigi Bettazzi, padre conciliare e vescovo emerito di Ivrea che dai microfoni del programma di Radio2 Un Giorno da Pecora (interviste provocatorie) ha avanzato la sua teoria.
Ai due conduttori, Sabelli Fioretti e Lauro, che gli chiedono un giudizio sulla teoria del complotto per uccidere papa Ratzinger svelato dal Fatto Quotidiano, risponde: «No, non credo. Fosse stato il Papa precedente lo capirei, ma questo Papa - aggiunge - qui mi sembra così mite, religioso. Non troverei i motivi per attentarlo».
Alla domanda su cosa abbia pensato quando è venuta fuori la notizia del complotto, arriva l’originale risposta di monsignor Bettazzi: «Penso ad un cosa per preparare l’eventualità delle dimissioni. Per preparare questo choc, perché - spiega - le dimissioni di un Papa sarebbero un choc, cominciano a buttare lì la cosa del complotto».
Ma - gli chiedono - papa Ratzinger vorrebbe dimettersi? «Io credo di sì - risponde - anche se l’hanno smentito. Un vecchio cardinale, però, mi diceva sempre: se il Vaticano smentisce vuol dire che è vero...».
L’anziano vescovo emerito di Ivrea, quindi, spiega quali sarebbero a suo avviso le ragioni di questa determinazione di papa Benedetto XVI: «Penso che si senta molto stanco, basta vederlo, è un uno abituato agli studi». «E di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni che ci sono all’interno della Curia - conclude - potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo Papa».
Oltretevere non si commentano le parole di monsignor Bettazzi. Ci si limita a definire piuttosto ardita, addirittura «bizzarra», la sua teoria delle dimissioni del Papa di cui non si capirebbe il nesso con i fatti di questi giorni e con l’ipotesi del «complotto», ritenuta una «farneticazione».
La possibilità di dimissioni l’ ha riconosciuta lo stesso Benedetto XVI nel suo libro autobiografico Luce del mondo. Ma in astratto. Qualora lo stesso pontefice si rendesse conto di non essere più nelle condizioni di governare bene la Chiesa. Non vi sarebbe nessun rapporto con la situazione che vive oggi in Vaticano. Anche se quelli attuali non sono certo momenti facili.
La fuga dei documenti è segno evidente dello scontro interno. Lo riconosce anche padre Federico Lombardi che dai microfoni di Radio Vaticana invita a «tenere tutti i nervi saldi perché nessuno si può stupire di nulla». Denuncia un «duro attacco contro la Chiesa». «L’amministrazione americana ha avuto Wikileaks, il Vaticano ha ora i suoi leaks, le sue fughe di documenti che tendono a creare confusione e sconcerto e a facilitare una messa in cattiva luce del Vaticano e della Chiesa».
I LEAKS OLTRETEVERE
Il direttore di Radio Vaticana invita i media a fare «uso della ragione» e a saper distinguere. «Mettere tutto insieme - osserva - giova a creare confusione». Una cosa sono i documenti sulla gestione economica vaticana, cosa diversa e «farneticante» è la storia del complotto contro il Papa.
«C’è qualcosa di triste - ammette - nel fatto che vengano passati slealmente documenti dall’interno all’esterno in modo da creare confusione. La responsabilità c’è dall’una e dall’altra parte. Anzitutto da parte di chi fornisce questo tipo di documenti, ma anche di chi si dà da fare per usarli per scopi che non sono certo l’amore puro della verità».
Lombardi insiste sull’impegno serio della Santa Sede «nel garantire una vera trasparenza del funzionamento delle istituzioni vaticane anche dal punto di vista economico». Come contro la pedofilia. Vede nella recente campagna di stampa un tentativo di «screditare questo impegno» e «ciò - assicura- costituisce una ragione di più per perseguirlo con decisione senza lasciarsi impressionare».
Ma le carte riservate fatte uscire dal Vaticano non sono segno di una lotta di potere? PadreLombardi respinge questa lettura. L’attribuisce alla «rozzezza morale di chi la provoca e di chi la fa, che spesso non è capace di vedere altro». Le vere preoccupazioni di chi porta responsabilità nella Chiesa-assicura - sono i problemi gravi dell’umanità».
di Gianfranco Ravasi (Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2011) *
Le due foto di copertina valgono più di una prefazione: nel frontespizio del libro un Giovanni Paolo II accigliato e a braccia conserte ascolta il vescovo che ebbe uno scambio di lettere con l’onorevole Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano; nell’ultima di copertina, un Papa sorridente con le mani e col volto dimostra il dissolversi delle sue perplessità. Il vescovo in questione è monsignor Luigi Bettazzi, una figura notissima dell’episcopato italiano, divenuto nel 1962 vescovo ausiliare di Bologna a soli 39 anni col titolo di Tagaste, la città nativa di sant’Agostino. Trasferito nel 1966 a Ivrea, guidò quella diocesi per ben 33 anni, dal 1966 al 1999. Ora egli propone una sua riflessione - profondamente intrisa di spirito conciliare (Bettazzi è, infatti, uno dei pochi vescovi che hanno potuto partecipare a quasi tutto il Concilio Vaticano II) - su uno dei temi più frementi nel dibattito ecclesiale e politico dei nostri giorni, quello della "laicità" e del "laicismo" irreligioso, sotto il titolo provocatorio Vescovo e laico?
Forte del suo lungo impegno nel dialogo tra credenti e non - in un certo senso egli è stato il precursore di quel «Cortile dei Gentili» voluto da Benedetto XVI e messo ora in azione proprio del Pontificio Consiglio della cultura, il dicastero vaticano che presiedo - , monsignor Bettazzi delinea un originale profilo del "laico" autentico attraverso quelle che paradossalmente sono le virtù per eccellenza "teologiche", ossia fede, speranza e carità. Accostando la duplice declinazione di questa triade da parte del cristiano e del laico a partire dalla carità-amore, passando attraverso la fede-pensare, fino alle speranze storiche e alla speranza ultima, egli dimostra che "laico" e "cristiano" non sono un ossimoro e neppure sono necessariamente un contrappunto dialettico, ma costituiscono una suggestiva coincidentia simbolica, purché si esorcizzino gli estremi devastanti dell’integralismo sacrale e del laicismo aggressivo, del fondamentalismo acceso e del sincretismo incolore.
Non è nostra intenzione ora riassumere le pagine di questa limpida eppur appassionata riflessione: la lettura sarà fruttuosa per vescovi e sacerdoti, per laici ecclesiali e laici civili, per credenti e per agnostici. Noi, prendendo spunto proprio da questa «spiegazione per gli amici», come è sottotitolato lo scritto, suggeriamo una nostra modesta ed essenziale considerazione sul dialogo tra chi crede e chi si classifica come ’’laico" nel senso "profano" che questo termine di matrice ecclesiale ha ormai assunto.
È un incontro possibile quando si lasciano alle spalle le apologetiche feroci e le dissacrazioni devastanti e si toglie via la coltre grigia della superficialità e dell’indifferenza, che seppellisce l’anelito alla ricerca delle ragioni profonde della speranza del credente e dell’attesa dell’ateo. È ciò che monsignor Bettazzi aveva fatto anni or sono nel suo dialogo con l’onorevole Enrico Berlinguer, Segretario del Pci, espresso appunto nella famosa Lettera a Berlinguer (1976) e nella relativa risposta. Quando si dialoga, tenendo però ben saldi i piedi ciascuno nel proprio territorio ideale senza facili concordismi, le identità non creano cortine di ferro invalicabili, perché gli sguardi si incrociano e gli orecchi e la mente ascoltano le ragioni dell’altro. Come insegna anche in questo libro monsignor Bettazzi, per un simile incontro non ci si deve armare di spade dialettiche, ma di coerenza e di rispetto: coerenza con la propria visione dell’essere e dell’esistere, senza slabbramenti sincretistici o sconfinamenti fondamentalistici o approssimazioni propagandistiche; rispetto per la visione altrui alla quale si riservano attenzione e verifica oggettiva.
L’ostacolo più grave nell’atmosfera culturale contemporanea per questo dialogo è forse uno solo, quello della superficialità che stinge la fede in una vaga spiritualità e riduce l’ateismo a una negazione banale o sarcastica. Per molti, ai nostri giorni, il «Padre nostro» si trasforma nella caricatura che ne ha fatto Jacques Prévert: «Padre nostro che sei nei cieli, restaci!». O ancora nella ripresa beffarda che il poeta francese ha escogitato della Genesi: «Dio, sorprendendo Adamo ed Eva, / disse: Continuate, ve ne prego, / non disturbatevi di me, / fate come se io non esistessi!».Far come se Dio non esistesse, etsi Deus non daretur, è un po’ il motto della società del nostro tempo: chiuso come egli è nel cielo dorato della sua trascendenza, Dio (o la sua idea) non deve disturbare le nostre coscienze, non deve interferire nei nostri affari, non deve rovinare piaceri e successi.
È questo il grande rischio che mette in difficoltà una ricerca reciproca, lasciando il credente avvolto in una lieve aura di religiosità, di devozione, di ritualismo tradizionale, e il non credente immerso nel realismo pesante delle cose, dell’immediato, dell’interesse. Come annunciava già il profeta Isaia, ci si ritrova in uno stato di atonia: «Guardai, ma non c’era nessuno; tra costoro nessuno era capace di consigliare, nessuno c’era da interrogare per avere una risposta» (41,28). Il dialogo è proprio per far crescere lo stelo delle domande, ma anche per far sbocciare la corolla delle risposte. Almeno di alcune risposte autentiche e profonde.
* Luigi Bettazzi, Vescovo e laico?, Dehoniane, Bologna, pagg. 106, € 9.
Dagli amici...
di mons. Luigi Bettazzi (vescovo emerito di Ivrea )
“mosaicodipace” , 03.08. 2010
“Dagli amici mi guardi Dio”, così dicevano gli antichi, aggiungendo poi “che dai nemici mi guardo io!”, per significare come talora sono proprio quelli che tu consideri amici a combinarti dei guai. Il card. Bertone, Segretario di Stato del Papa, è troppo buono per averlo pensato quando ha visto lo scalpore che ha suscitato la notizia della cena in casa del giornalista televisivo Vespa, a cui hanno partecipato anche il Presidente del Consiglio, on. Berlusconi, e il Presidente dell’UDC, on. Casini.
I giornali non si sono soffermati sul singolare gesto di cortesia del card. Bertone verso il noto giornalista, che festeggiava cinquant’anni di giornalismo, né hanno pensato che il cardinale, se pur sapeva chi erano i commensali, doveva aver ricevuto l’assicurazione che l’incontro sarebbe rimasto assolutamente privato. Forse avrebbero potuto sospettare che, per i buoni uffici dell’on. Letta, che è “gentiluomo di Sua Santità” e quindi gode di notevoli entrature in Vaticano, avrebbe potuto assistere a una specie di riconciliazione dell’on. Casini - che, nonostante le sue vicende personali, viene considerato come un tutore della dottrina della Chiesa nella vita politica italiana - con l’on. Berlusconi, che, al di là anche lui delle sue vicende personali, è oggi in qualche difficoltà per le riserve che nel suo stesso partito si pongono ad alcune leggi giudicate di interesse troppo personale e quindi lesive della nozione diffusa della legalità. Ma questo intento, che sarebbe già in qualche modo politico, ma pur sempre di riconciliazione, quindi di ispirazione evangelica, viene scavalcato da chi ritiene invece si tratti di una sponsorizzazione del governo Berlusconi, come il garante dei principi cristiani “non negoziabili”, quali la vita dall’inizio alla fine o la famiglia e l’attività della Chiesa.
È vero che - almeno a parole - il governo mostra di allinearsi ai principi della dottrina della Chiesa, e oggi la gente più che guardare ai comportamenti dei governanti - anche nella loro vita privata - si lascia guidare dalla televisione, che è il messaggero ideologico odierno e che - in Italia - è a stragrande maggioranza portavoce del Governo; ma occorre anche tenere conto che, se la qualifica del cristiano è la carità, la sua formula attuale - al dire di papa Giovanni Paolo II nella Enciclica Sollicitudo rei socialis - è la solidarietà; cosicché non può dirsi veramente cristiano chi - singolo o governo - non promuova e viva la solidarietà.
Ora, se guardiamo alle attività di questo governo, dobbiamo concludere quanto esso sia contraddittorio con questa veramente “non negoziabile” qualifica del cristiano, dal rifiuto degli immigrati, costretti a tornare nelle inumane carceri libiche quando non nelle patrie da cui sono fuggiti in quanto perseguitati politici, alle politiche economiche, che privilegiano i benestanti - tra cui loro, i politici - e rendono sempre più difficile la vita delle famiglie normali e sempre più precario il lavoro, in particolare per i giovani.
Ma è soprattutto l’impressione che viene data - ed è deleteria soprattutto per i giovani - che quello che conta non sia compiere il proprio dovere, essere onesti, contribuire al “bene comune” (pur senza trascurare il “bene individuale”), ma sia invece arraffare più che si può, appoggiandosi ai politici, corrompendo amministratori e - possibilmente - anche magistrati, e collegandosi anche con organizzazioni criminali, soprattutto con quelle più “coperte”. E questo è totalmente diseducativo perché corrode lentamente tutte le strutture morali, al di là addirittura delle battaglie per la vita, nelle quali la prospettiva è chiara e nessuno è obbligato a prendere posizioni che veda chiaramente contrastare le proprie convinzioni. Il Signore Gesù ha messo in guardia da questa scelta di “mamòna”, parola aramaica che traduciamo con “ricchezza” ma che vi aggiunge la sete di potere, e che Gesù pone come la vera alternativa a sé: “O Dio o mamòna”.
Purtroppo il nostro mondo occidentale (e anche il nostro italiano) è impregnato di “mamòna”, e per questo sta perdendo la fede. Credo che pensare a una sponsorizzazione così esplicita della Chiesa a un governo di “mamòna” potrebbe al massimo venire considerato come la scelta di un “male minore”, che dovrebbe comunque essere accompagnata dalla percezione del male in questione e dalla responsabilità degli operatori a rinunciare a quanto costituisce il male. Gesù non disdegnava i pubblicani e le peccatrici, ma cercava di far cambiare loro vita, come fece con Matteo e Zaccheo e con la Maddalena e l’adultera...
Chissà che dagli incontri con il card. Bertone non nascano spinte a “cambiare vita”, per rendere la politica più trasparente, più onesta... sì, anche più cristiana!
Chiesa e omosessualità. Cenni di ripensamento
di Luigi Bettazzi (Adista - Segni Nuovi - n. 18, 27 febbraio 2010)
Al termine di una conferenza sul Concilio promossa all’inizio di febbraio dal gruppo di omosessuali credenti “Il Guado” di Milano (v. Adista n. 14/10, ndr), , la discussione è finita ben presto sui temi legati a questi specifici problemi. La prima domanda riguardava la notizia che un vescovo emerito italiano avrebbe dichiarato che non si può dare la Comunione agli omosessuali. Ho risposto che quella dichiarazione andrebbe inserita nel suo contesto, ma potrebbe anche esprimere l’opinione diffusa che omosessuale sia sempre chi condivide la vita sessuale fisica con una persona dello stesso sesso, e che, se la morale sessuale cristiana non ammette l’uso pieno della sessualità se non nel matrimonio, che consacra l’unione piena - spirituale e fisica - di due persone, ovviamente non l’ammette per due persone dello stesso sesso. Questa immediata identificazione con un’omosessualità attiva sembrerebbe confermata, ad esempio, dalla recente determinazione vaticana che esclude gli omosessuali dai seminari. Anche in questo caso gli uomini della Chiesa danno l’impressione di condividere la mentalità diffusa che, in campo sociale, tende a discriminare ed emarginare chi è giudicato diverso.
Credo, più che mai in questo caso, che si debba tener conto del maturare della conoscenza e della cultura. Nell’antichità si riteneva che l’omosessualità fosse una scelta fatta arbitrariamente per motivi pratici (in tal modo i filosofi - secondo lo stesso Socrate - potevano evitare le complicazioni del matrimonio e della famiglia) o per soddisfare la passionalità (erano noti in alcuni templi, accanto alle prostitute sacre, anche i prostituti sacri), da cui derivavano allora le dure condanne della Bibbia e della Chiesa. Oggi risulta che la radice dell’omosessualità può trovarsi nella stessa struttura fisiologica o in situazioni di fatto che hanno inciso inconsciamente nella costituzione personale.
Ora, se perfino nel matrimonio si è arrivati a sottolineare che il fine primario è l’amore e che la procreazione ne è la conseguenza più significativa, perché non riconoscere ad amicizie omosessuali gradi di affettività e di amore di intensità tali da costituire entità significative nella società umana?
Che poi questi legami possano talvolta portare a situazioni riprovevoli (quello che moralmente viene chiamato peccato) sarà un problema per le singole coscienze (come lo è anche per gli eterosessuali nell’esercizio della loro sessualità), ma non potrà portare a riprovare automaticamente la caratteristica di “omosessuale”.
Dobbiamo riconoscere che forse certe manifestazioni organizzate per rivendicare la dignità degli omosessuali contro la diffusa antica “omofobia” (quella che portava il nazismo, ed oggi certi Paesi islamici, a condannare l’omosessualità come reato) possono esprimersi in forme così chiassose e provocatorie (anche contro la Chiesa) da risultare controproducenti, da corroborare cioè l’atteggiamento di diffidenza e di condanna; ma toccherà proprio ai cristiani, pur nella chiarezza delle proprie convinzioni, farsi testimoni di rispetto e di amore.
Ci sono nella Chiesa cenni di ripensamento; penso, ad esempio, alla Diocesi di Torino che ne ha fatto argomento di specifica riflessione, con un volumetto (con prefazione addirittura del cardinale arcivescovo) che suggerisce le modalità di una pastorale concreta.
Credo che dobbiamo abituarci a considerare gli omosessuali come fratelli e sorelle, con i loro problemi (come tutti li abbiamo), aiutandoli a vivere serenamente la loro vita, senza discriminarli a priori, correggendo con prudenza e carità quanto emergesse pubblicamente di meno accettabile, ricordando sempre l’antico detto: “Unità nelle cose necessarie e doverose, libertà e rispetto in quelle opinabili, ma in tutto e sempre carità”.
* Vescovo emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi
CULTURA E RELIGIONE
la recensione
Cristianesimo, fede della «carne» da Adamo a Gesù
di MAURIZIO SCHOEPFLIN (Avvenire, 23.07.2008)
Vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999, l’ottantacinquenne Monsignor Luigi Bettazzi, a lungo presidente di Pax Christi, è sicuramente una delle personalità più note della Chiesa italiana del nostro tempo. Le sue prese di posizione non sono mai passate inosservate e una trentina d’anni fa fece molto discutere un suo scambio di lettere con l’allora segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer. Bettazzi ha scritto vari libri, come egli stesso ricorda nel suo ultimo lavoro.
Bettazzi avverte subito che il suo scritto si radica nel messaggio del Concilio Vaticano II (al quale egli, vescovo dal 1963, prese parte personalmente) e nella sua esperienza di pastore che quel messaggio volle trasmettere e far vivere alla Chiesa eporediense. Fu in quel contesto che - scrive - «incontrai la parola ’carne’, a cominciare dall’affermazione fondamentale di Gv 1,14: ’Il Verbo si è fatto uomo [carne]’, con la consapevolezza che, di fronte alle articolazioni e divisioni della mentalità greco-romana, portata all’astrattezza dei concetti universali (uomo-umanità), la Scrittura parla invece di ’carne’ e ci fa sentire come ogni uomo, pur essendo nella linea degli altri uomini, costituisce però un’identità sostanzialmente autonoma e, come direbbero alcuni filosofi, irripetibile. E Dio si è fatto ’carne’; non ha assunto una natura umana astratta, l’ha assunta in concreto, ’esistenzialmente’, come si dice oggi, vivendola giorno per giorno».
Muovendosi su questa linea, Bettazzi sottolinea il fatto che la ’carne’ preferita da Dio è quella dei poveri e dei deboli, piuttosto che quella dei ricchi e dei potenti. Non casualmente, egli informa il lettore che il libro è stato pensato e scritto in Burundi, in una missione, ove il contatto con la realtà concreta del bisogno e della sofferenza e la presenza di culture diverse rendono più chiaro il significato dell’Incarnazione di Cristo.
Dopo aver proposto numerose riflessioni sul senso del rapporto fra carne e spirito e sul valore dell’espressione ’cuore di carne’, secondo una prospettiva squisitamente biblica, monsignor Bettazzi ne allarga la portata fino a considerarne gli sviluppi di carattere sociale. Il volume si conclude infatti con una meditazione sulla pace: «Il Verbo - si legge nelle pagine finali - ha portato lo Spirito nella carne dell’umanità perché viviamo la pace del cuore, la costruiamo nella famiglia e nella società, perché la realizziamo nella Chiesa e in tutte le sue articolazioni, perché la diffondiamo nel mondo».
Luigi Bettazzi
-CARNE E SPIRITO
-Adamo, Gesù Cristo... e la pace fra gli uomini
-Cittadella. Pagine 120. Euro 9,80
Lettera aperta ai confratelli vescovi
di † Luigi Bettazzi *
in “Mosaico di pace” del 6 maggio 2008 *
Più volte, in passato, in previsione dell’Assemblea annuale della CEI - a cui ritengo opportuno non partecipare - ho scritto a tutti i Confratelli Vescovi una lettera con le mie riflessioni, con quelle che avrei comunicato se mi fossi recato in Assemblea. Lo facevo in segno di collegialità, ritenendo che pur tagliato ormai fuori dalla corresponsabilità della pastorale italiana, potessi ancora manifestare vicinanza al cammino della Chiesa italiana. Questa volta partecipo le mie riflessioni, sollecitate dagli incontri che ancora faccio su e giù per l’Italia, anche agli amici di "Mosaico di pace" come semplici auspici, sui quali pregherò, specialmente nei giorni dell’Assemblea della CEI.
Non so quale sarà il giudizio della CEI sui risultati delle recenti elezioni. La nostra gente ha sempre pensato che i Vescovi, pur astenendosi da interventi diretti, non riuscissero a nascondere una certa simpatia per il Centrodestra, forse perché, almeno apparentemente, si dichiara più severo nei confronti dell’aborto e dei problemi degli omosessuali e più favorevole alle scuole e alle organizzazioni confessionali.
Credo peraltro che siamo stati meno generosi verso il Governo Prodi, non come approvazione della sua politica - dopotutto meritoria di aver evitato il fallimento finanziario del nostro Stato di fronte all’Europa (anche se questo può aver rallentato l’impegno, già avviato, di attenzione ai settori di popolazione più in difficoltà), quanto come riconoscimento di un esempio di cattolicesimo vissuto personalmente, familiarmente, programmaticamente - in situazioni e in compagnie particolarmente problematiche. Anche perché in un mondo, come il nostro Occidente, dominato dal capitalismo, che sta impoverendo sempre più la maggioranza dei popoli e tutto teso, tra noi e fuori di noi, verso la ricchezza e il potere - la "mammona" evangelica, che Gesù contrappone drasticamente a Dio - tra i valori "non negoziabili", accanto alla campagna per la vita nascente e per le famiglie "regolari", va messo il rispetto per la vita e lo sviluppo della vita di tutti, in tempi in cui si allarga la divaricazione già denunciata da Paolo VI nella "Populorum progressio" (quarant’anni fa!) tra i popoli e i settori più sviluppati e più ricchi e quelli più poveri e dipendenti, avviati a situazioni di fame inappagata e di malattie non curate, vanno messi l’impegno per un progressivo disarmo, richiesto da Benedetto XVI all’ONU, e quello per la nonviolenza attiva, che è la caratteristica del messaggio e dell’esempio di Gesù ("Obbediente fino alla morte, e a morte di croce" - Fil 2, 16).
Forse siamo sempre più pronti a dare drastiche norme per la morale individuale, sfumando quelle per la vita sociale, che pure sono altrettanto impegnative per un cristiano, e che sono non meno importanti per un’autentica presenza cristiana, proprio a cominciare dalla pastorale giovanile. Mi chiedo come possiamo meravigliarci che i giovani si frastornino nelle discoteche o nella droga, si associno per violenze di ogni genere, si esaltino nel bullismo, quando gli adulti, anche quelli che si proclamano "cattolici", nel mondo economico e in quello politico danno troppo spesso esempio di arrivismo e di soprusi, giustificano la loro illegalità ed esaltano le loro "furberie", e noi uomini di Chiesa tacciamo per "non entrare in politica", finendo con sponsorizzare questo esempio deleterio, che corrompe l’opinione pubblica e sgretola ogni cammino di sana educazione. Ci stracciammo le vesti quando all’on. Prodi scappò detto che non aveva mai sentito predicare l’obbligo di pagare le tasse; ma avremmo dovuto farlo altrettanto quando altri invitavano a non pagarle...
Lo dico come riflessione personale. Perché mi consola pensare che il nuovo Presidente della CEI - a cui auguro un proficuo lavoro - proprio nell’intervento inaugurale di questo suo ministero richiamava il principio tipicamente evangelico del "partire dagli ultimi", che era stato proclamato in una mozione del Consiglio Permanente della CEI nel 1981 (!), e che risulta più che mai importante in un mondo (anche quello italiano! e qualche segnale ce lo fa temere sempre più per l’avvenire...), in cui si suole invece partire "dai primi", garantendo i loro profitti e i loro interessi, che non possono poi non essere pagati dalle crescenti difficoltà di troppe famiglie italiane.
L’auspicio è confortato dalla recente Settimana Sociale dei Cattolici italiani - e qui il compiacimento si rivolge al loro Presidente, che è il mio successore in Ivrea - che ha richiamato un altro centro nodale della Dottrina sociale della Chiesa e quindi della pastorale di ogni suo settore, che è il "bene comune", sul quale dovremmo comprometterci in un tempo in cui troppi - politici, impresari, categorie professionali e commerciali - pensano e lavorano solo per il "bene particolare", a spese - ovviamente - di chi non si può o non si sa difendere. Che questo dunque, dopo essere stato un messaggio così significativo sul piano dottrinale, appaia davvero come un impegno concreto e quotidiano, come qualche Vescovo già ha iniziato a dichiarare, sfidando riserve e mugugni. Come si vede, sono tanti i motivi per auspicare, tanti i motivi per pregare, in vista di questa annuale Assemblea dei Vescovi italiani.
* Presidente emerito di Pax Christi Internazionale, presidente del Centro Studi economico-sociali per la pace, vescovo emerito di Ivrea
L’Amaca
di Michele Serra (la Repubblica, 15.03.2007)
Cerco di dirlo così come mi viene, mi scusino eventuali pignoli o suscettibili. Leggere sulle prime pagine le parole "contro natura", pronunciate dal papa a proposito delle unioni omosessuali, mi fa rivoltare le viscere.
La natura umana è così complicata e ricca (essendo biologica, psicologica, culturale, sociale) che estrarne un pezzo e appenderlo al lampione del Giudizio Divino equivale ad amputarla. L’omosessualità è sempre esistita ed esisterà sempre, consiste di amore e di vizio, di eros e di moda, di piacere e di colpa, di profondità e di futilità, tanto quanto le altre pulsioni dell’animo e del corpo.
Si può diffidarne, si può criticarla, ma solo una violenta e impaurita torsione dello sguardo sulle persone, sulla vita, sull’eros, può arrivare addirittura a scacciare l’amore omosessuale dalla "natura umana".
Leggendo quei titoli ho pensato ai miei amici omosessuali, ad alcune storie di sofferenza e di punizione, all’orribile marchio di "anormale" che qualcuno di loro ha dovuto leggere negli occhi e nelle parole degli altri, e mi sono profondamente vergognato per quel "contro natura". Possibile che i preti omosessuali, notoriamente molti, non abbiano niente da dire a questa Chiesa spietata?
Priore per 12 anni, ora sono innamorato *
Gentile Dottor Augias, un suo lettore difendeva giorni fa il celibato sacerdotale sottolineandone "il valore profetico, dimostrativo della verità". Hoi 43 anni, per 12 sono stato sacerdote e priore di una comunità di un importante ordine monastico.
Ho vissuto con serenità il celibato fino al momento in cui mi sono innamorato di una donna. Un evento a causa del quale ho rinunciato con gioia ai non pochi privilegi della mia posizione. Nonostante concordi sul fatto che l’ astinenza possa essere per alcune persone o per un periodo, un valore, la realtà è purtroppo molto spesso diversa.
Negli anni trascorsi in monastero ho visto la quasi totalità delle persone patire moltissimo l’ impossibilità di manifestare apertamente la propria affettività.
Io stesso sono stato oggetto per l’ intero periodo di molestie e pressioni perché mi rifiutavo di "cedere" agli inviti di alcuni confratelli che esigevano da me, in nome di una presunta "amicizia spirituale", prestazioni in contrasto con i miei sentimenti e il mio orientamento affettivo nonché con le regole del Diritto Canonico.
Sono stato più volte invitato, in quanto priore, a manifestare un "intima vicinanza" anche ai novizi per porre rimedio alla carenza di vocazioni con uana risposta "naturale" al loro bisogno di affetto, essendo la profonda solitudine la principale causa di abbandono da parte dei postulanti.
Come si può ancora una volta vedere (e questo è ancora più triste in un’ Istituzione che continua a condannare le unioni omosessuali), tra il dire e il fare c’ è di mezzo molto più che il mare.
Ma se anche cosi non fosse, se tutti fossero in grado di negare la parte costitutiva del proprio essere umano per dedicare a Dio un amore indiviso, il problema rimane comunque quello di una Chiesa che a tavolino decide il bene e il male per tutti e non si lascia cambiare dalla vita e dalle persone, a differenza di Gesù che invece non metteva nemmeno Dio e la sua legge al di sopra dell’ uomo.
Se lo spazio lo consentisse, vorrei raccontarle quanta verità ho trovato in certe pagine della letteratura. Sono propenso a pensare che la realtà della vita sia di gran lunga più debitrice all’ arte che non alla teologia.
Alberto Stucchi.
* la Repubblica, 28.02.2007, p. 18.
COSA SONO I DICO *
IL DDL - Nessuna cerimonia, formalità ridotte all’osso, solo una dichiarazione all’anagrafe da fare insieme o da comunicare tassativamente al partner assente con lettera raccomandata: basterà per avere diritto all’eredità e agli alimenti, a subentrare nell’affitto di casa e a prendere decisioni in tema di salute e donazione di organi. Queste le novità principali contenute nel disegno di legge del governo sulle coppie di fatto, "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi", che il Consiglio dei ministri ha approvato (il testo definitivo ci sarà solo domani, dopo le ultime limature dei tecnici). Niente Pacs, insomma, arrivano i ’DICO’.
CONVIVENTI. La definizione scelta dal governo per individuare i conviventi è semplice: "Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale", si legge all’articolo 1 del testo. Queste due persone non devono essere legate però da "vincoli di matrimonio, parentela o affinità in linea retta, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno". Perché venga riconosciuta la convivenza basta che entrambi i partner la dichiarino all’anagrafe. O da soli o insieme, ma in due diversi atti "contestuali". Se un convivente va da solo a fare la registrazione dovrà però informare il partner assente con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Una norma che é già stata battezzata ’anti-badante’, perché evita che un ignaro vecchietto diventi a sua insaputa il ’compagno’ della propria governante.
NESSUNA CONDANNA - Due sole esclusioni impediscono il riconoscimento della convivenza: non si deve essere stati condannati per aver ucciso o per aver tentato di uccidere il coniuge o il partner della propria attuale ’meta’’. E non ci deve essere alcun legame contrattuale o lavorativo che obblighi a vivere insieme.
CARCERE PER CHI ’BARA’ - Chi dichiara il falso è punito con la reclusione da uno a tre anni di carcere e con la multa da 3.000 a 10.000 euro. In più la falsa dichiarazione di convivenza comporta la nullità di tutti gli atti.
UNITI ANCHE NELLA MALATTIA - Toccherà alle strutture ospedaliere stabilire le regole per le visite del convivente al partner malato. Un ’compagno’, previa designazione scritta e autografata, potrà anche decidere in materia di salute nel caso in cui la propria ’meta’’ sia incapace di intendere e di volere. In caso di morte potrà stabilire come celebrare il funerale e se donare o meno gli organi. Nel caso in cui sia impossibile scrivere l’autorizzazione basterà una comunicazione a voce ma in presenza di tre testimoni. ù
CASA E AFFITTO - I conviventi entreranno nelle graduatorie per l’assegnazione di case popolari. E, in caso di morte, si potrà subentrare nell’affitto, se però si è vissuto insieme per almeno 3 anni o vi siano figli in comune. Ma questa norma potrà essere applicata anche nei casi di ’separazione’.
LAVORO, PARTECIPAZIONE AGLI UTILI E PENSIONE - Anche i conviventi potranno chiedere il trasferimento nel comune di residenza del proprio partner ma perché questo possa avvenire devono esserci alle spalle almeno tre anni di vita in comune. Le modalità comunque sono rinviate alla legge e ai contratti collettivi in materia. Se i due partner lavorano nella stessa impresa e la titolarità di questa è di uno dei due, l’altro potrà chiedere il riconoscimento della partecipazione agli utili "in proporzione dell’apporto fornito". Sulle pensioni, uno dei nodi del provvedimento, si è preferito invece soprassedere rinviando tutto alla riforma della previdenza. Scompare il limite dei 6 anni di convivenza inseriti in una prima bozza del disegno di legge.
EREDITA’ - Anche il convivente ha diritto all’eredità. In questo caso l’aliquota sarà del 5% se il valore netto complessivo dei beni supera i 100.000 euro. Si avrà diritto alla ’legittima’ solo se si sarà vissuto insieme almeno 9 anni. Si potrà avere un terzo dell’eredità in presenza di un solo figlio; la quota scende a un quarto se la prole è più numerosa. Se si concorre all’eredità insieme a fratelli e sorelle, al convivente spetterà la metà dei beni. Nel caso in cui non ci siano né figli né cognati la quota salirà a 2/3 e si diventerà eredi universali in assenza di parenti entro il terzo grado.
ALIMENTI - Come i coniugi, anche ai conviventi ’bisognosi’, si dovranno versare gli alimenti. Ma a due condizioni: che la convivenza sia stata di almeno 3 anni e che questa assistenza non duri più di quanto si sia vissuto insieme.
EFFETTI RETROATTIVI - La legge avrà effetti retroattivi. I conviventi avranno nove mesi per mettersi in regola.
* ANSA » 2007-02-09 12:28
Benedetto XVI attacca ancora sui temi "caldi" che stanno a cuore alla Chiesa. Invito agli scienziati francesi: "Coraggio nel proclamare l’essenza dell’umanità"
Il Papa: "Matrimonio e fine della vita. La confusione minaccia l’esistenza dell’uomo" *
ROMA - Unioni di fatto, eutanasia, rapporti con la politica. Come ogni giorno, Benedetto XVI continua ad attaccare sulle questioni che stanno più a cuore alla Chiesa: "La confusione a livello del matrimonio e il non riconoscimento dell’essere umano in tutte le tappe della sua esistenza, dal concepimento alla fine naturale, lasciano pensare che ci siano dei periodi in cui l’essere umano non esista veramente". Il Papa lo ha detto parlando ai membri dell’Accademia delle Scienze Politiche e Sociali di Parigi ricevuti in Vaticano e ha esortato i politici ad avere "il coraggio di proclamare ciò che sono l’uomo e l’umanità".
"E’ importante non lasciarsi incatenare - ha spiegato Benedetto XVI - da elementi come il relativismo, la ricerca del potere e del profitto a tutti costi, la droga e le relazione affettive disordinate".
"Invito - ha detto - le autorità civili e le persone che hanno funzioni nella trasmissione dei valori ad avere il coraggio della verità sull’uomo". Ai politici di oggi, Papa Ratzinger ha indicato anche un modello eroico: il fisico russo Andrei Sakharov, premio Nobel perseguitato dal regime comunista. Sackharov, ha concluso, "ci ricorda che è necessario nella vita personale come nella vita pubblica di avere il coraggio di dire la verità e di perseguirla, di essere liberi in rapporto al mondo circostante e spesso ha la tendenza di imporre modi di vedere e comportamenti da adottare".
Secondo il Pontefice le scelte legislative devono seguire due criteri: "il rispetto di tutto l’essere umano e la ricerca del bene comune". "Nel mondo attuale - ha spiegato - è più che mai urgente invitare i nostri contemporanei a un’attenzione rinnovata questi due elementi".
A preoccupare il Pontefice è "lo sviluppo del soggettivismo per cui ciascuno tende ad avere se stesso come unico riferimento e a considerare che ciò che lui pensa abbia un carattere di verità". Questo, ha scandito, "ci incita a formare le coscienze sui valori fondamentali che non possono essere ignorati senza mettere in pericolo l’uomo e la sua società stessa". Secondo il Papa esistono "criteri oggettivi" che devono guidare "una decisione che supponga un atto di ragione". Il riferimento è ancora una volta al diritto naturale.
* la Repubblica, 10 febbraio 2007
DICO: ROMA SUONA LA ’SVEGLIA’ DEI DIRITTI
ROMA - Il conto alla rovescia e’ stato scandito da tutte le personalità presenti sul palcoscenico della manifestazione per i Dico a piazza Farnese e alle sei suona ’la sveglia’ dei diritti. Alle 18, infatti, tutta la piazza ha fatto scattare sveglie, fatto suonare fischietti e cellulari, e applaudito per chiedere una sveglia sui diritti civili.
CECCHI PAONE LASCIA PER PROTESTA LA MANIFESTAZIONE
Il conduttore televisivo Alessandro Cecchi Paone ha rinunciato a condurre la manifestazione a sostegno di una legge di riconoscimento delle unioni civili e per protesta contro gli organizzatori ha lasciato Piazza Farnese. Pierluigi Diaco, l’altro conduttore della kermesse, ha provato a richiamarlo dal palco, ma il presentatore non si è fatto vedere. Prima di salire sul palco e cominciare ad attendere silenziosamente il suo turno, dopo Diaco, Cecchi Paone aveva avuto un pesante battibecco con uno degli organizzatori dell’ evento: "Ma siete matti, mi hanno chiamato cento volte per dirmi di non parlare contro la Chiesa e di non dire una parola contro il Vaticano. Ma dico, stiamo scherzando?". Poi si era allontanato per prendere posto accanto agli ospiti della manifestazione. Quando ormai Diaco stava per dargli la parola, Cecchi Paone ha preferito andarsene.
ORGANIZZATORI, SIAMO DIVENTATI 80 MILA IN PIAZZA
"Siamo diventati 80 mila". Lo ha appena annunciato dal palco la conduttrice Delia Vaccarelli. La folla ha applaudito a lungo la notizia.
PRODI, PERPLESSO SULLA PRESENZA DEI MINISTRI
"Non ho mai nascosto la mia perplessità riguardo la partecipazione dei ministri a queste manifestazioni, che possono poi ricoprire significati diversi da quello da cui partono". Così il premier Romano Prodi ha risposto a Bologna ai giornalisti che gli hanno chiesto se sia un problema la partecipazione di alcuni ministri alla manifestazione romana sui Dico. "Però - ha aggiunto Prodi - speriamo che tutto vada tranquillo".
FASSINO, MANIFESTAZIONE DI ROMA E’ GIUSTA
La manifestazione di Roma sui Dico é "giusta". Non essendoci andato perché impegnato in iniziative per il Partito Democratico in Emilia-Romagna, il segretario dei Ds Piero Fassino ha comunque sottolineato la validità delle motivazioni della manifestazione. "Penso - ha spiegato Fassino a Bologna - che ogni manifestazione vada rispettata, sempre. Io non ho condiviso la manifestazione che fece in novembre la Casa delle libertà contro la Finanziaria a Roma, però ho ascoltato quello che diceva quella piazza e ho cercato di capire perché la gente era lì. Poi ci sono manifestazioni che condivido o meno. Credo che quella di oggi a Roma sia una manifestazione giusta, perché con essa si vuole rendere evidente la irrinunciabilità dei diritti individuali delle persone, la necessità di riconoscere i diritti di ogni persona, quali che siano le sue scelte di vita, l’orientamento sessuale, il modo in cui organizza la propria vita, affettività e relazioni interpersonali". "Naturalmente - ha detto ancora Fassino - bisogna farlo in modo equilibrato e giusto. La legge sui Dico è equilibrata e giusta, perché riconosce diritti a coloro che hanno scelto una convivenza di fatto, omosessuale o eterosessuale, senza peraltro mettere in discussione l’articolo 29 della Costituzione che riconosce la famiglia fondata sul matrimonio". Fassino ha risposto con "parliamo di cose serie" alla domanda sulla posizione di Vladimir Luxuria che, per i contrasti sui Dico, ha chiesto che Paola Binetti, della Margherita, sia espulsa come è successo nel Prc a Franco Turigliatto per il suo no per la presenza militare italiana in Afghanistan.
DILIBERTO, INSOPPORTABILE INTOLLERANZA VATICANO
"Regolamentare i diritti delle coppie di fatto è una scelta di buonsenso. Trovo insopportabile l’intolleranza delle gerarchie vaticane". Oliviero Diliberto, impegnato nella riunione del comitato centrale del Pdci, ha tenuto un incontro con i giornalisti nel quale ha appoggiato tra l’altro la legge sui Dico. "Il governo - ha sottolineato il segretario del Pdci - ha fatto la sua parte, consegnando la sua proposta al Parlamento. E’ evidente che si tratta di un tema eticamente sensibile e politicamente rilevante. Anche per questo mi sembra opportuno attenersi a quanto c’é scritto nel programma dell’ Unione. Noi del resto non chiediamo né di più né di meno".
CAPEZZONE, CDL ILLIBERALE MA GOVERNO HA CREATO IL CAOS
Parte della Cdl ha un comportamento illiberale ma è proprio il governo che ha creato il caos sui Dico e ha fatto "partire la macchina senza benzina". Lo afferma Daniele Capezzone (Rnp), presidente della commissione Attività produttive della Camera. "Non c’é dubbio. Purtroppo - dice Capezzone - un pezzo di Cdl sta tenendo un comportamento illiberale in materia di unioni civili: e a mio avviso, questo atteggiamento chiuso non corrisponde ai sentimenti di quella parte dell’elettorato. Comportamento negativo (e situazione per certi versi anche più grave) pure dall’altra parte. Nonostante l’orientamento di gran parte dell’elettorato di centrosinistra, è proprio il Governo che ha creato il caos, e che ha le maggiori responsabilità". Infatti, c’erano proposte di iniziativa parlamentare che sono state fermate - spiega - in attesa della proposta del Governo. Era chiaro che sarebbe stato un testo al ribasso, e infatti è stato così. Poi, non pago di questo, il Governo ha messo la questione sul binario morto del Senato, ha espunto il tema dalle dodici priorità di Prodi, il quale si è ulteriormente smarcato in un suo recente intervento parlamentare. Insomma, prima si sono sgonfiate le ruote alla macchina, e poi la si è fatta partire senza benzina". "Questo non cancella né copre anche le responsabilità della minoranza - conclude - ma, lo ripeto, sono Governo e maggioranza a doversi assumere il carico delle scelte compiute. Una sequenza di autogol".
OCCHETTO, IN PIAZZA PER DIFENDERE LAICITA’ STATO
"Sono qui in piazza per difendere la laicità dello Stato. Perché la Chiesa non può impedire allo Stato di legiferare, né può imporre in questo modo le sue convinzioni". Lo ha detto Achille Occhetto, intervenendo alla manifestazione in sostegno di una legge sulle unioni civili a Piazza Farnese. "Non sono affatto soddisfatto di questa sinistra - ha aggiunto - perché non è laica. Stiamo tornando indietro di anni. Siamo riusciti persino a retrocedere rispetto alle posizioni sostenute da Alcide De Gasperi. Spero che si possa arrivare ad una buona legge in difesa delle coppie di fatto".
RIZZO, GRANDE GIORNATA PER DIRITTI
"Una giornata importante per i diritti e per le persone e per dire che la Chiesa non può avere una ingerenza tale nella politica italiana". E’ il commento di Marco Rizzo (Pdci) alla manifestazione sui Dico a piazza Farnese a Roma. Alla domanda se il Governo è diviso sul ddl, visto che Mastella parteciperà ad un’ altra manifestazione, Rizzo ha risposto: "E’ un progetto di legge del Governo".
* ANSA » 2007-03-10 19:16
Dura critica dell’Osservatore romano alla manifestazione di sabato nella capitale. "Una proposta ideata soprattutto per legalizzare le coppie omosessuali"
Il Vaticano sui Dico: una carnevalata bambini sfruttati per la causa gay *
ROMA - Una carnevalata, per di più isterica, i cui autori sono persone irrispettose. Questa l’opinione dell’Osservatore romano sulla manifestazione romana di sabato sui Dico. Una "esibizione carnascialesca della vera natura dei Dico", questo "il corteo di Roma a favore del riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Una manifestazione nella quale - commenta il giornale vaticano - al di là dell’immagine borghese e rassicurante che si voleva dare, hanno trovato posto discutibili mascherate e carnascialate varie. Ironie e isteriche esibizioni da parte di chi invoca riconoscimenti e non esprime rispetto".
Nell’articolo, l’Osservatore rileva che "erano in molti, fra l’altro, i manifestanti omosessuali che recavano sulle spalle o per mano, dei bambini, frutto di precedenti relazioni o anche di fecondazioni praticate all’estero. Bambini - scrive il quotidiano del Papa - la cui presenza è stata sfruttata proprio allo scopo di accreditare l’immagine, che vorrebbe essere rassicurante, di una famiglia da tutelare. Almeno quando è nato, ogni bambino - ricorda la nota - gode, anche nell’ordinamento italiano, di diritti che gli vengono riconosciuti comunque, in ogni condizione si trovino i loro genitori. Anche per questo, sfruttare la loro ingenuità appare un’operazione particolarmente criticabile".
Secondo l’Osservatore, quanto è accaduto sabato a Roma è allora "ancora una volta, la prova evidente di quale sia la finalità di chi si batte per il riconoscimento legale delle coppie omosessuali, essendo la presenza di minori determinante per garantire ad un nucleo famigliare particolari diritti. Non è un caso - conclude la nota vaticana - che nelle immagini trasmesse sul corteo di sabato a parlare siano state quasi esclusivamente le coppie omosessuali, la categoria per la quale, al di là di ogni tattica politica, i recenti tentativi di regolamentazione sono concepiti".
* la Repubblica, 12 marzo 2007