Buona notizia, eu-angelo... ed eu-politica

MONSIGNOR LUIGI BETTAZZI, VESCOVO EMERITO DI IVREA. Sulle coppie di fatto, i "Dico", la "Pacs-ia" vaticana, e altri temi in un’intervista di Diego Novelli - a cura di pfls

Anche noi in fondo nei conventi siamo persone dello stesso sesso che vivono insieme
venerdì 13 luglio 2007.
 


Unioni civili, ingerenza vaticana il Papa si scaglia contro la legge.

Non tutti i vescovi italiani d’accordo*

Il Papa non nasconde la sua grande preoccupazione per l’avanzata di leggi che Sua Santità considera contro la famiglia. Ma non tutti all’interno del Vaticano sono sulla stessa linea. E riferendosi al disegno di legge sulle coppie di fatto Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea dice: «Mi pare sia una cosa abbastanza ben fatta».

«Io credo - ha spiegato monsignor Bettazzi - che abbiano trovato una soluzione che forse scontenta tutti ma perchè cerca di accontentare tutti. C’è il riconoscimento dei diritti senza arrivare a paragonare ogni convivenza con un matrimonio. Credo che - ha detto ancora - se da una parte c’erano delle spinte ad un rigoroso riconoscimento assoluto, dall’altra c’erano però dei timori spinti all’eccesso. Io credo sia una soluzione che va incontro a delle esigenze senza creare i pericoli che si temevano per la famiglia naturale».

Nessuna perplessità, quindi, sul fatto che si parli anche di coppie formate da persone dello stesso sesso?

«Da quanto ho visto si tratta di riconoscimenti dei diritti individuali. Il fatto poi che stiano insieme...anche noi in fondo nei conventi siamo persone dello stesso sesso che vivono insieme».

«Voglio puntualizzare che, - ha ribadito - come aveva detto il Presidente del Consiglio, che è un cattolico sincero, ama la famiglia e viaggia sempre con la moglie, e noi bolognesi lo conosciamo, si sono voluti difendere i diritti individuali senza creare dei grossi problemi di sconvolgimento di mentalità e di sensibilità».

* l’Unità - ** l’Unità, Pubblicato il: 09.02.07, Modificato il: 09.02.07 alle ore 16.38



Mons. Bettazzi: «Cristo era di sinistra»

di Diego Novelli *

Conosco Monsignor Bettazzi da una quarantina d’anni, dai tempi in cui era Vescovo di Ivrea, ed io giornalista a l’Unità di Torino. Ricordo di averlo incontrato in più occasioni in quegli anni «caldi» da un punto di vista sociale, mentre svolgevo il mio lavoro di cronista, in mezzo ai cortei degli operai in sciopero, per la difesa dei loro diritti, primo fra tutti quello del posto di lavoro. Incontri fugaci, ma significativi. E Monsignor Bettazzi era lì, tra quei lavoratori, a quegli operai, a esprimere loro la solidarietà di tutta la sua Diocesi. E quella presenza gli costò anche una denuncia «per blocco stradale».

Venne prosciolto in istruttoria, con tutti gli operai in lotta «perché il fatto non costituiva reato».

Negli anni del mio mandato di sindaco di Torino fui coinvolto in uno scambio di corrispondenza tra Luigi Bettazzi e Enrico Berlinguer. Il vescovo di Ivrea, nel luglio 1976, aveva indirizzato una lettera aperta al segretario generale del Pci che così si apriva: «Onorevole, Le sembrerà forse singolare, tanto più dopo le ripetute dichiarazioni di vescovi italiani, che uno di loro scriva una lettera, sia pure aperta, al Segretario di un partito, come il suo, che professa esplicitamente l’ideologia marxista, evidentemente inconciliabile con la fede cristiana. Eppure mi sembra che anche questa lettera non si discosti dalla comune preoccupazione per un avvenire dell’Italia più cristiano e più umano».

Berlinguer rispose in tredici fitte cartelle dattiloscritte, che varrebbe la pena ripubblicare integralmente con la lettera del vescovo di Ivrea considerata la struggente attualità di alcuni temi trattati. Scrive Berlinguer: «Le posizioni assunte e i comportamenti seguiti dal Pci lungo diversi decenni fino ad oggi, penso dovrebbero portarLa a riconoscere, Signor Vescovo, che l’insieme di essi costituisce la valida garanzia che nel Partito comunista italiano esiste ed opera la volontà non solo di costruire e di far vivere qui in Italia un partito laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non antiteista; ma di volere anche, per diretta conseguenza, uno Stato laico e democratico, anch’esso dunque non teista, non ateista, non antiteista». Quanti della folta schiera dei «neo-liberali» (oggi vanno di moda) del centro sinistra e della cosiddetta Casa delle libertà sarebbero disposti a sottoscrivere una dichiarazione di questo genere?

Ed eccomi qui, nella casa vescovile di Albiano, dove vive oggi il Vescovo Emerito di Ivrea, Monsignor Luigi Bettazzi. Una conversazione, stimolata, provocata, da una serie di domande a 360 gradi. Partiamo subito.

Larga parte dei giovani oggi ci dicono che «questo mondo così com’è non ci piace» e che «un altro mondo è possibile». Cosa rispondiamo loro?

«Io credo che dobbiamo renderci conto del tipo di comunicazione che c’è oggi. Ai tempi di Berlinguer la tensione ideologica portava la gente a riflettere, a pensare, a orientarsi e a scegliere. Oggi il tipo di comunicazione che c’è, così rapido e preordinato, fa sì che non si pensi più: i problemi vengono presentati e hanno già le loro soluzioni. Questo è talmente evidente che si fa fatica oggi nel mondo a distinguere le politiche di destra e quelle di sinistra, e a trovare il modo di sopravvivere nel mondo globalizzato in cui viviamo, senza rendersi conto che in fondo chi possiede i mezzi di comunicazione li utilizza secondo i propri interessi. Già nel 1980 il Rapporto Brandt dell’Onu (Rapporto sulla disparità fra Nord e Sud del mondo, promosso dall’ex cancelliere tedesco Willy Brandt, ndr) segnalava che il più grande pericolo per l’umanità non era la guerra atomica (allora possibile), ma la divaricazione fra la parte più ricca e sviluppata dell’umanità e quella più povera e dipendente. Cosa che va continuando dal 1980, per cui il mondo è organizzato dai G8, cioè dalle nazioni più ricche, secondo i loro interessi, rendendo sempre più emarginata la maggioranza dell’umanità. È questo tipo di atmosfera che rende difficile lo sviluppo di un pensiero autonomo, che nelle grandi linee viene orientato da chi ha in mano le leve del potere economico, politico e militare, e dalla stragrande maggioranza delle persone viene ricevuto automaticamente attraverso i mezzi di comunicazione di massa che offrono le soluzioni preordinate dei Grandi. Di questo credo siano vittime in modo particolare i giovani, che a questo forse non sono sufficientemente preparati. A loro dovremmo dire di rendersi conto che il futuro è nelle loro mani, ma devono cercare di essere consapevoli e responsabili dell’orientamento del mondo, altrimenti diventano strumenti di un mondo organizzato dagli altri per i propri interessi. Danno a questi giovani le cose rispondenti forse ai loro desideri più immediati, ma in fondo li mettono al di fuori delle leve dell’orientamento del mondo di domani».

Lei, Monsignore, è stato molto in sintonia con il pensiero, non solo come intellettuale, ma come uomo di Chiesa, quindi con la sua azione di vescovo del cardinale Pellegrino, e in particolare alla sua lettera pastorale «camminare insieme», definita stoltamente «datata». Le posso chiedere perché una figura eminente come la sua è stata praticamente rimossa dalla Chiesa piemontese?

«Credo che vada sottolineata intanto l’importanza delle due parole “camminare insieme”, nel senso che anche all’interno del mondo ecclesiale c’è chi spinge per camminare ma autonomamente, o a gruppetti, e chi, per stare insieme, sta fermo. Direi invece che è una fondamentale legge dell’umanità e della Chiesa quella di camminare insieme. Quanto al cardinal Pellegrino, al di là della sua ben documentata formazione intellettuale, sul piano umano, mi piace ricordare che quando aveva un’intuizione su qualche verità o orientamento lo presentava con molto vigore, alle volte anche con poca diplomazia. Anche quando parlava all’interno della Cei, ricordo che spesso usava forme che si prestavano ad essere criticate per alcuni particolari, e questo lo rendeva forse meno efficace. D’altra parte è anche vero che quando si propongono dei notevoli cambiamenti si trovano delle notevoli resistenze. Basta guardare anche oggi come viene considerato il Concilio: l’autorità religiosa di Bologna non c’era ai funerali di Alberigo e non ho potuto presiederlo io, vescovo. Criticano Alberigo perché considerava il Concilio come un evento di grande cambiamento, mentre loro lo considerano solo un’accelerazione, che non va interpretato come una discontinuità ma come una continuità. Su un piano dogmatico è vero che c’è continuità, non ci sono verità nuove, ma su un piano pastorale invece la discontinuità è fortissima. Un vescovo romano è addirittura arrivato a dire che siccome Paolo VI accettava sollecitazioni della minoranza, il Concilio va interpretato secondo la minoranza. Sarebbe come dire che siccome un quadro deve avere una cornice, la bellezza del quadro è determinata dalla cornice. E questo si dice in un volumone presentato dal cardinal Ruini e dal professor Riccardi (docente di Storia del Cristianesimo e fondatore della Comunità di S. Egidio, ndr) a Roma».

Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, non si stanca mai di ripetere, rifacendosi al Vangelo, «di essere schierato dalla parte degli ultimi». Non si ha la sensazione che questa massima evangelica sia molto osservata non solo dagli uomini politici ma anche dalla stessa autorità della Chiesa di Roma. Mi sbaglio? Nel recente viaggio in Brasile del Papa si è avuta l’impressione che quella moltitudine di poveri, «gli ultimi», siano stati un po’ trascurati.

«C’è un documento Cei del 1981, che è un’isola, perché dice che bisogna cominciare dagli ultimi; ma in seguito non se n’è tenuto molto conto. Questo anche perché si è fortemente condizionati dall’opinione pubblica, che non è fatta dagli ultimi, ma dai mezzi di comunicazione di massa che sono in mano ai potenti, i quali hanno l’abilità di presentare delle motivazioni anche umanistiche per quelli che sono i propri interessi. Basti pensare a chi dice di fare la guerra per portare la democrazia quando invece si sa che c’è ben altro sotto. Quindi è difficile continuare a partire dagli ultimi perché siamo parte di un meccanismo che non lo prevede. Pensiamo anche all’otto per mille, che certo permette alla Chiesa di fare del bene, ma che in fondo mette la Chiesa nell’esigenza di muoversi nell’ambito finanziario. Quindi si fa molto per gli ultimi ma sempre partendo da un certo tipo di mondo. Paolo VI preparò la Popolorum progressio del 1967, un’enciclica molto forte che fu il suo modo per dire che la Chiesa stava con i poveri. Ma il vero intervento fu fatto nel 1968 a Medellin dai vescovi dell’America Latina, i quali dissero che bisognava incominciare a vedere le cose con gli occhi dei poveri. Invece oggi normalmente i mezzi di comunicazione di massa ci presentano le cose con gli occhi dei ricchi, tant’è vero che oggi la prima cosa che si fa per salvare l’economia è licenziare gli operai. Io ricordo che, quando vendevamo le armi a Iraq e Iran (ed è proibito vendere armi a paesi belligeranti), il nostro bravo Ministro della Difesa d’allora la prima volta disse che noi le vendiamo a tutti e due (e vinca il migliore!), la seconda volta disse che “non sapeva”, (ma un ministro dovrebbe sapere!); e la terza volta disse che di due casi sapeva ma aveva chiuso gli occhi perché altrimenti sarebbero fallite due fabbriche italiane. Ecco, questo è vedere con gli occhi dell’economia e di chi sta bene, mentre partire dagli ultimi significa soprattutto guardare dal loro punto di vista. Questa io credo che dovrebbe essere la grande presa di coscienza che dovremmo fare: noi ci preoccupiamo dei giovani, ma quando loro vedono che i grandi corrompono e fanno i loro interessi a discapito degli altri possiamo poi lamentarci se nel loro piccolo fanno altrettanto? Per quanto riguarda il viaggio in Brasile è normale che succeda questo, perché chi organizza non vuole far vedere la miseria. Succedeva anche quando andava Giovanni Paolo II, anche se magari voleva fermarsi a benedire una capanna in Africa veniva bloccato, perché questi viaggi sono tutti organizzati nel dettaglio, e chi organizza vuole fare bella figura».

Motivo di questo nostro colloquio è stato quello di verificare una sensazione che ci angoscia, cioè di vivere un tempo «dissociato», quasi che una forma di virus misterioso abbia colpito le classi dirigenti dell’umanità accentuando le disuguaglianze, la povertà, la violenza, mettendo a rischio quelli che vengono chiamati «i beni comuni» sull’altare di una falsa modernità. Non ritiene che la Chiesa in un contesto mondiale caratterizzato da una drammatica realtà potrebbe avere una grande funzione di orientamento, di guida, nonché di denuncia?

«Io credo che qualcosa si muove, ma purtroppo succede lentamente. Ai vertici nel 1989 a Basilea per la prima volta si sono incontrati i Cristiani d’Europa, Cattolici, Protestanti e Ortodossi; e il tema era “pace e giustizia a salvaguardia del creato”. Significava che prima di metterci d’accordo sul piano dei valori teologici, sui quali si continuerà sempre a discutere, bisognava mettersi insieme sui valori dell’umanità, sui grandi temi. Fu una cosa molto importante. Papa Giovanni ebbe a dire “ma se noi guardiamo bene Gesù aveva posizioni che oggi chiameremmo di sinistra”. Noi siamo più propensi ad intervenire sulla morale individuale, che poi però viene lasciata alla valutazione della persona, che su quella sociale, che sfocia nel politico. Ma dovremmo avere la chiarezza di dire che non possiamo prendere come principio politico il potere e l’interesse perché questo è proprio quello che scredita la religiosità. Giovanni Paolo II ebbe questa grande intuizione di convocare ad Assisi tutte le religioni dicendo che pur avendo opinioni e nomi diversi adoriamo tutti lo stesso Dio e non possiamo più fare le guerre in nome della religione. Papa Giovanni diceva già nel 1963 nella Pacem in terris che dati i mezzi di distruzione che ci sono oggi e date le possibilità di incontro, ritenere che si possa portare avanti la pace con la guerra è alienum a ratione, che fu tradotto “sembra impossibile” ma in realtà significa “è roba da matti”. Papa Giovanni Paolo II nel dicembre 2003 arrivò a dire che si doveva insistere di più sulla non violenza attiva, perché proprio secondo i principi cristiani dovremmo condannare la guerra».

La nostra è una rivista che si rivolge in modo particolare alle nuove generazioni. Se dovesse inviare loro un messaggio cosa gli direbbe?

«Gli direi innanzitutto di cercare di pensare, di farsi delle idee proprie attraverso verifiche e confronti. Poi direi loro di mettersi insieme ad altri, perché da soli non si arriva da nessuna parte. Io penso sempre ai giovani del ’68, che dicevano “facciamo l’amore e non la guerra”: di fronte ad un mondo tutto orientato al consumo, organizzato per la produzione e per il commercio, con il settore delle armi in testa all’industria, loro auspicavano un mondo impostato sull’umanità. Certo, poi l’amore bisogna anche farlo per bene».

* l’Unità. Pubblicato il: 13.07.07, Modificato il: 13.07.07 alle ore 7.49


Sul tema, nel sito, si cfr.:

Caro BENEDETTO XVI ...

Corra, corra ai ripari (... invece di pensare ai soldi)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro-prezzo’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (“Logos”) è diventato il marchio capitalistico di una fabbrica (“Logo”) infernale ... di affari e di morte?! Ci illumini: un pò di CHIAREZZA!!! FRANCESCO e CHIARA di Assisi si sbagliavano?! Claritas e Charitas, Charitas e Claritas... o no?!

Federico La Sala


-  "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST"(1 Gv., 4.1-16)

-  2008, L’ANNO DELLA PAROLA.
-  IN EBRAICO: VERITA’ - "EMET", E MORTE - "MET".
-  BENEDETTO XVI:"Deus caritas est", 2006)!!!
-  DIO E’ MAMMONA ("CARITAS"): UN’ENCICLICA DI UNA CHIESA SENZA "H" E SENZA AMORE ("CHARITAS").

-  LA LEZIONE DI FREUD: "MOSE’ E LA RELIGIONE MONOTEISTICA". INDICAZIONI PER UNA RILETTURA


(per leggere gli art. seguenti, cliccare sul rosso)

-  SINODO DEI VESCOVI 2008

-  MONSIGNOR RAVASI, MA NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? SI TRATTA DELLA PAROLA FONDANTE E DISTINTIVA DELLA FEDE CRISTIANA!!! DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi coriggerete")?!

-  PER UNA NUOVA TEOLOGIA E PER UNA NUOVA CHIESA.
-  L’INDICAZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI GIOVANNI PAOLO II: LA RESTITUZIONE DELL’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE.
-  Il loro successore ha il cuore di pietra e se lo tiene ben stretto.
-  Per lui Dio è Valore e tutto ha un caro-prezzo ("Deus caritas est")!!!


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