Campo della Gloria del cimitero monumentale di Milano , 1 novembre 2009
Intervento di Mons. Gianfranco Bottoni a nome dell’arcivescovado della Diocesi di Milano *
La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l’evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza.
È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia di un’Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello stato e della moralità pubblica. Infine, in questi ultimi 150 anni di storia della sua unità, l’Italia si è sempre ritrovata con la “questione democratica” aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l’involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l’avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un’Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una “democrazia bloccata” (come fu definito), è stata comunque democrazia a sovranità popolare.
La caduta del muro di Berlino aveva creato condizioni favorevoli per superare questo limite posto alla nostra sovranità popolare fin dai tempi di “Yalta”. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. L’elenco dei fatti che l’attestano sarebbe lungo ma è noto. Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse; alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro sempre più capillare e garantita penetrazione economica e sociale; mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti...
Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. Differente invece resta la valutazione politica se oggi in Italia possiamo ancora, o non più, dire di essere in una reale democrazia. È una valutazione che non compete a questo mio intervento, che intende restare estraneo alla dialettica delle parti e delle opinioni. Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva “eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista.
Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può persino servire la ridicola volgarità dell’ignoranza o della malafede di chi pensa di liquidare come “comunista” o “cattocomunista” ogni forma di difesa dei principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano la stampa democratica mondiale.
Il senso della realtà deve però condurci a prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e recriminatori, ignorando i cambiamenti irreversibili avvenuti negli ultimi decenni. Servono invece proposte positivamente innovative e democraticamente qualificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni del paese. Perché finisca la deriva dell’antipolitica e della sua abile strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente. Ci attendiamo non una politica che dica “cose nuove ma non giuste”, secondo la prassi oggi dominante. Neppure ci può bastare la retorica petulante che ripete “cose giuste ma non nuove”. È invece indispensabile che “giusto e nuovo” stiano insieme. Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura, unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia, giustizia e pace.
Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza. Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della città terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi giorni. La fede ne attende la risurrezione dei corpi alla pienezza della vita e dello shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana per l’oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà.
Vorrei che l’appello si rivolgesse in particolare a coloro che, nell’una e nell’altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici, dentro la maggioranza e l’opposizione, si richiamano ai principi della libertà e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e dell’etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia - e, per chi crede, dinanzi a Dio - avete la responsabilità di fermare l’eutanasia della Repubblica democratica. L’appello è invito a dialogare al di là della dialettica e conflittualità politica, a unirvi nel difendere e rilanciare la democrazia nei suoi fondamenti costituzionali. Non è tempo di contrapposizioni propagandistiche, né di beghe di basso profilo.
L’attuale emergenza e la memoria di chi ha combattuto per la Liberazione vi chiedono di cercare politicamente insieme come uscire, prima che sia troppo tardi, dal rischio di una possibile deriva delle istituzioni repubblicane. Prima delle giuste e necessarie battaglie politiche, ci sta a cuore la salute costituzionale della Repubblica, il bene supremo di un’Italia unitaria e pluralista, che insieme vogliamo “libera e democratica”.
*
EUTANASIA DELLA REPUBBLICA.
Dall’amico Vittorio Bellavite ricevo e volentieri inoltro a voi questo intervento che mons. Gianfranco Bottoni a nome dell’arcivescovo di Milano ha tenuto il 1 novembre al cimitero monumentale di Milano.
E’ da leggere e da far leggere.
Diffondetelo.
Buona giornata
Aldo [don Antonelli] .
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Aggiornamento (11.11.2009)
INCISIVI INTERVENTI
di don Gianfranco Bottoni *
[...]
2 - Grazie a voi: in risposta ai messaggi ricevuti in seguito all’intervento del 1° novembre
Mi scuso se rispondo con un messaggio comune alle moltissime persone ed organizzazioni che hanno espresso apprezzamento e solidarietà con tanto slancio e calore per il mio modesto intervento del 1° novembre al “Campo della Gloria” (nel Cimitero Maggiore di Milano). La sorprendente e gradita quantità di messaggi ricevuti mi costringe purtroppo ad interrompere il tentativo iniziale di rispondere ad uno ad uno. Sono io che devo ringraziare per una così corale e qualificata reazione e per molti appassionati e significativi commenti, che ho avuto modo di leggere e a cui avrei desiderato offrire una risposta mirata ed approfondita: siete voi, amiche ed amici di vecchia data e di nuova acquisizione, ad accendere e alimentare in me quella speranza che, come ho cercato di dire, non dobbiamo perdere.
Non amo il protagonismo di ecclesiastici sulla scena pubblica e, ancor meno, certe loro interferenze in campo politico. Evito pertanto esposizioni mediatiche, convinto che il mio compito è di servire l’evangelo e, solo in nome di esso, la società in cui viviamo. Nel contesto di un incontro laico e civile, nel luogo della memoria dei Caduti per la Liberazione, di fronte alla gravità di ciò che accade in Italia e di fronte alla superficiale indifferenza di troppi, mi è però sembrato doveroso non tacere. Sottovalutare la situazione civile del paese espone al rischio di incorrere in una vera e propria forma di omertà.
Vorrei sottolineare l’importanza e la necessità che le voci ecclesiali, per essere in nome dell’evangelo e non della pur nobile passione politica, sappiano rivolgersi a tutte le persone di buona volontà, che dobbiamo credere ed essere convinti esistano nell’uno e nell’altro dei fronti opposti. Di qui il senso dell’appello rivolto a maggioranza ed opposizione che, al di là della prospettiva generica e limitata nel mio intervento del 1° novembre, dovrebbe essere un po’ da tutti rivolto e portato ai livelli alti (e ben più decisivi) della politica. Ora, per il bene della democrazia repubblicana, è necessario che si favorisca un clima di dialogo e convergenza, che, senza interrompere il libero e legittimo dibattito politico tra le parti, si concentri in modo unitario sulla dignità e tenuta delle istituzioni repubblicane, sulla necessità di porre fine al processo di eutanasia della democrazia.
In questo momento, è presumibile che, ad essere più in difficoltà a liberarsi dai condizionamenti politici di parte, siano le persone libere e democratiche che militano nella maggioranza politica del paese. Ma è proprio la loro presa di coscienza delle proprie responsabilità che oggi è più urgente e politicamente indispensabile ottenere, ai fini dell’auspicato dialogo tra tutti. Senza il perseguimento di questo obiettivo, senza la loro decisione a dire “basta! si cambia...”, temo che la situazione diventi irreparabile, perché è enormemente ampia la fascia di società allo sbando. E c’è urgenza... Andare politicamente oltre, però, non tocca a me prete; bisogna che altri dicano e facciano. Ma mi pare importante che resti la prospettiva dell’appello contenuto nell’intervento.
Poiché qualcuno scrive di essere informato solo dai giornali e di non conoscere l’appello nel testo del mio intervento, mi scuso se ne invio copia a tutti in allegato, senza distinguere tra chi l’ha già ricevuto e chi no. Concludo con l’invito a non perdersi di vista e a comunicarsi ogni eventuale salto di qualità apparisse percorribile e con un cordiale saluto a ciascuna e ciascuno di voi.
Gianfranco Bottoni
Articolo tratto da:
FORUM (171) Koinonia
http://www.koinonia-online.it
Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046
* IL DIALOGO, Mercoledì 11 Novembre,2009 Ore: 15:32 (ripresa parziale).
Sul tema, in rete e enel sito, si cfr.:
Cardinale Schuster la verità sul Beato
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 13 ottobre 2012)
Si ispirò a San Carlo Borromeo e anticipò il rinnovamento del Concilio, eppure non mancarono incomprensioni nella sua vita di Beato. Il cardinale Ildefonso Schuster nel febbraio del ’45 veniva bollato come «spregiudicato imbroglione», aiutato «da un piccolo gruppo di farisei chiamati monsignori della curia». Fonte: un rapporto del Comando Speciale della guardia repubblichina. L’accusa: proteggere partigiani ed ebrei. Di lì a pochi mesi, ecco, invece, i leader della Resistenza chiedere l’«epurazione dell’arcivescovo», giudicato compromesso col fascismo. In realtà Schuster era autenticamente un santo, come documentato dal processo di beatificazione.
Domani alle 23,30 su Rai1 andrà in onda il programma dedicato al monaco che Pio XI volle alla guida della Chiesa Ambrosiana subito dopo il Concordato del ’29. Ildefonso Schuster: scommettere sull’Italia è il titolo del documentario.
Spiega Marco Simeon, responsabile Rai Vaticano: «La figura del cardinale è straordinariamente attuale perché, come De Gasperi, è simbolo di un’Italia umile e vincente che nel dopoguerra difese il patrimonio di valori indispensabile al rilancio». Sullo schermo si susseguono testimonianze d’epoca o inedite. Il successore Angelo Scola attualizza la lezione «politica» ai cattolici impegnati nella vita pubblica, il condannato a morte Indro Montanelli descrive il plotone d’esecuzione bloccato all’ultimo dall’intervento a San Vittore del porporato.
Non abbandonò mai i fedeli, rimanendo sempre a Milano sotto le bombe. Scrisse persino al re d’Inghilterra chiedendo di sospendere gli attacchi aerei sulla città e trasformò l’arcivescovado in un centro di raccolta di abiti e cibo per i bisognosi. Tentò di convincere Mussolini, il 25 aprile 1945, a consegnarsi agli alleati invece di partire verso il confine svizzero.
Con mezzo secolo di anticipo teorizzò scelte accolte solo successivamente dalla Chiesa con il Vaticano II. Riemerge dagli archivi anche la sua sfortunata battaglia al Sant’Uffizio per rimuovere dalla liturgia il riferimento ai perfidis Judaeis (come farà poi il Concilio). Finì in minoranza, malgrado il sostegno del Papa, però poi toccherà a lui tuonare contro le leggi razziali.
«A Milano nuove forme di strategia della tensione»
di Paolo Foschini (Corriere della Sera, 12 dicembre 2009)
«A quarant’anni di distanza da Piazza Fontana la sfida deve essere di nuovo raccolta», perché «volgere lo sguardo al passato» è necessario ma non basta: occorrono «risposte vere alle ’strategie della tensione’ non solo di ieri ma anche di oggi». La Curia di Milano sceglie il giorno esatto dell’anniversario della prima strage di Stato italiana per rilanciare un monito più preoccupato che mai.
«Se la carica distruttrice del terrorismo di quarant’anni fa può dirsi sconfitta - si legge infatti in un editoriale pubblicato ieri sera sul sito della Diocesi ambrosiana - occorre vigilare su altre forme certo più sottili ma non meno pervicaci di violenza: da quella verbale e intimidatoria sino al dilagare dell’indifferenza che opprime ed esclude, del giudizio privo di qualsiasi senso della misura, dell’utilizzo strumentale del pensiero e dell’agire altrui per far sì che non si tenda invece alla reciproca comprensione, alla collaborazione, all’edificazione di una città a misura di uomo e della sua dignità irrinunciabile».
L’articolo cade a una settimana precisa «dal discorso alla città» pronunciato dal cardinale Dionigi Tettamanzi (foto sopra) alla vigilia di Sant’Ambrogio e che aveva innescato - stante il suo contenuto all’insegna dell’«apertura», della necessità di «maggiore attenzione al sociale» e di un forte rilancio della «questione morale» anche in politica - non solo una reazione a dir poco gelida dell’amministrazione Moratti ma soprattutto quella almeno verbalmente violentissima della Lega.
L’editoriale della Curia - firmato dal vicario episcopale Eros Monti - non richiama espressamente quelle reazioni ma il discorso del cardinale lo riprende più volte. E formulando un parallelismo tra due epoche pur distanti quasi mezzo secolo parla tuttavia di «segni» molto simili. Occorre che «Milano - così si legge - come seppe reagire allora alla logica del terrorismo con la compostezza del suo tessuto sociale», sappia «guardare anche il nostro tempo con occhi rinnovati» per «cogliere la vera volontà di dialogo, di gratuità, disinteresse» che pure esistono: e questo «nonostante la creazione di sempre nuove barricate prosegua di gran carriera» mentre «individualismo e ricerca del proprio tornaconto personale non cessino di stringere tra loro alleanze inedite».
Appello
Alziamo le nostre coscienze e tiriamo su la nostra schiena
di Paolo Farinella, prete *
Il governo e la maggioranza hanno valicato ogni ritegno: ormai delinquono in pubblico e in tv apertamente al grido minaccioso di «Salvare Berlusconi ad ogni costo». Il parlamento chiuso si riapre per approvare una leggina che metta al sicuro Berlusconi dai «suoi processi» e non importa se questa leggina non solo annienta gli scandali di truffa, falso in bilancio, bancarotta, ecc. ma annulla il diritto di milioni di cittadini che hanno diritto ad una sentenza ed eventualmente ad un risarcimento. Con questa legge che riduce solo i tempi dei processi, senza dare personale, strumenti e mezzi per accelerarli, si consuma la supremazia definitiva del sopruso sul diritto, della mafiosità sulla legalità, dell’impudenza sulla dignità e la sconfitta definitiva dello stato di diritto.
Berlusconi, dopo il lodo Alfano torna ad essere, almeno teoricamente, un cittadino come gli altri e come tutti deve essere processato e assolto o condannato con una sentenza inappellabile. Non possiamo tollerare ancora una volta una legge che lo salvi impunemente, anche in presenza di sentenze in corso. Non possiamo assistere inattivi, inermi e complici di una immoralità e indegnità di questa portata.
Usiamo la rete non solo per resistere, ma per reagire, per impedire che ancora una volta il corrotto, corruttore, compratore di giudici, di sentenze e di testimoni, il predatore fiscale che con le sue evasioni e i suoi conti esteri ha rubato a tutti noi e a ciascuno di noi. Una leggina riguarda Mediaset che deve al fisco circa 200 milioni di euro e se la caverà con un misero 5%. Come è possibile che i pensionati, i lavoratori a stipendio fisso, i precari, i cassintegrati, le donne, i senza lavoro, possano ancora votarlo e vederlo come un modello?
Come è possibile che assistiamo rassegnati alla vivisezione della Costituzione e della sopravvivenza di uno scampolo di dignità? Siamo calpestati ogni giorno nei nostri diritti e derisi nella nostra dignità e non siamo in grado di reagire come si conviene ad un popolo di gente che ogni giorno si ammazza per vivere onestamente del proprio lavoro e nel rispetto della Legge.
Non possiamo tollerare più che un uomo disponga dello Stato, delle sue Istituzioni, che ordini alla Rai di firmare un contratto di 6 milioni di euro al suo maggiordomo Bruno Vespa perché è bravo a fargli il bidet. Non possiamo tollerare che un suo dipendente, Minzolini, pontifichi a suo nome dalla tv di Stato; non possiamo più tollerare che sia smantellata Rai anche se aumenta ascolti e fatturato solo perché indigesta al satrapo senza statura. Non possiamo più tollerare che ci domini a suo piacimento e a suo uso e consumo. Se lui è l’utilizzatore finale delle prostitute a pagamento, noi vogliamo essere le sue mignotte «a gratis»?
Mettiamo in moto una rivoluzione e riportiamo il treno dentro i binari della Legge, delle Istituzioni, della Legalità, della Giustizia, della Dignità e del nostro Onore. E’ ora il tempo di scendere in piazza non per rivendicare un aumento di stipendio, ma per rivendicare un sussulto di dignità e di orgoglio di essere Italiani e Italiane che non vogliono essere scaricati come spazzatura. Berlusconi sta imperando e sta distruggendo tutto perché noi lo permettiamo o quanto meno lo tolleriamo.
Alziamoci in piedi e non pieghiamo la testa, chiedendo a gran voce, se necessario con uno sciopero generale ad oltranza, le dimissioni di Berlusconi, dei suoi avvocati pagati da noi e la conclusione dei suoi processi perché in Italia nessuno può essere più uguale degli altri e tutti, nessuno escluso, devono sottostare alla Maestà del Diritto.
Mi appello alle organizzazioni sindacali, ai partiti, alle associazioni nazionali e internazionali, ai gruppi organizzati, all’Onda lunga della scuola, ai blogger, alle singole persone di buona volontà con ancora una coscienza integra perché «el pueblo unido jamás será vencido».
LETTERA Al Sig. Presidente della Repubblica On.
Giorgio Napolitano
di Paolo Farinella, prete
Ho appena inviato la seguente e-mail al Presidente della Repubblica
Se ritenete, fate lo stesso: inondiamo il Quirinale di e-mail, uno tsunami di e-mail, lettere, cartoline, telegrammi, piccioni viaggiatori, mosche cocchiere, tutto ciò che occorre perché si veda e si senta lo sdegno di tutti noi.
Paolo Farinella, prete
Al Sig. Presidente della Repubblica
On. Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
00100 Roma
Via e-mail: presidenza.repubblica@quirinale.it
Sig. Presidente,
Con orrore prendiamo atto che il parlamento, chiuso da settimane per irresponsabilità del governo, riprende freneticamente l’attività per porre rimedio alla sentenza della Consulta che, bocciando il «lodo Alfano» (che pure Lei aveva firmato), ha dichiarato l’uguaglianza assoluta tra tutti i cittadini, compreso il presidente del consiglio dei ministri.
Il governo, la maggioranza, il parlamento e il Paese sono bloccati sulle vicende giudiziarie del presidente del consiglio che continua a pretendere leggi su misura per salvarsi dai processi dove è inquisito di reati gravissimi per i quali alcuni suoi complici sono stati condannati definitivamente (Previti) o in primo grado (Mills). La pretesa di leggi su misura viene fatta in pubblico, alla luce del sole, nella certezza dell’impunità assoluta, anche a costo di annullare migliaia e migliaia di processi gravissimi (Parlat, Cirio, Antonveneta, Eternit, rifiuti a Napoli, ecc.), lasciando centinaia di migliaia di cittadini vittime di ingiustizia senza risposte, senza risarcimenti, senza una sentenza con attribuzione di responsabilità. Sig. Presidente, il Paese è stufo di questo andazzo e in molti siamo pronti alla rivoluzione perché non possiamo tollerare più che le nefandezze di un uomo che si è servito sempre dello Stato distruggano lo Stato stesso per salvare lui e mettere al sicuro il suo patrimonio, frutto di evasione fiscale, riciclaggio, falso in bilancio e corruzione. Non tolleriamo più che un sistema mafioso condizioni lo stato di diritto e calpesti la dignità e la laboriosa onestà della maggior parte delle cittadine e cittadini che hanno sempre avuto il sommo rispetto per la Legalità, anche contro i propri interessi pratici.
Sig. Presidente, lei è l’ultimo baluardo del Diritto, il garante supremo della Carta Costituzionale, il rappresentante della unità nazionale. A nome di migliaia di persone oneste, la supplico di non fermarsi alla pura forma dei suoi compiti, ma di fare tutto il necessario perché il governo e il parlamento tornino ad essere esempio specchiato di trasparenza di vita, di legalità e di esempio morale. Non diventi, anche indirettamente, complice di norme e leggi improvvisate sulle necessità e sui tempi del presidente del consiglio, anche se mascherate con qualche pennellata di «esigenza generale» perché lei sa che così non è. Noi vogliamo che il sig. Berlusconi Silvio si sottoponga la giudizio dei tribunali della Repubblica, come un qualsiasi cittadino. Sig. Presidente stia dalla parte dei cittadini onesti, del Diritto e della Dignità dell’Italia che in questo momento è mortificata proprio da quel governo che dovrebbe condurla fuori dalla crisi economica e sociale e invece la sta infognando e annegando nella melma dell’indecenza. Se necessario, sciolga le Camere per ingovernabilità mafiosa.
Con flebile speranza,
Paolo Farinella, prete
La Chiesa e la spina nel fianco della Moratti
di Giuseppe Caruso (il Fatto - quotidiano, 03.11.2009)
A Milano c’è un prete che “rema contro”. Che non accetta di sentir parlare di rom come di subumani, che è favorevole alla costruzione di nuove moschee e ed a cui non piace “l’eutanasia della Repubblica, con atti illeciti, conflitti di interessi ed uno Stato a gestione personale” in atto in Italia in questo momento. Si chiama Gianfranco Bottoni ed è diventato l’avversario più detestato dal centro-destra meneghino e lombardo, che in lui vede il perfetto nemico cattocumunista.
Monsignor Bottoni - responsabile per la curia cittadina dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso
che domenica scorsa durante la manifestazione in ricordo dei Martiri della Resistenza ha parlato
anche di “morte della democrazia” e di un forte pericolo di “totale deriva delle Istituzioni”, è stato
per questo oggetto di attacchi da parte di diversi esponenti della maggioranza che governa in città.
Il vicesindaco Riccardo De Corato (ex missino, oggi filoberlusconiano del Pdl), una carriera costruita sull’emergenza sicurezza (peraltro mai risolta), ne ha contestato “certi toni apocalittici, che fanno trasparire toni da ultrà poco adatti ad un uomo di chiesa”. Matteo Salvini della Lega - l’uomo che voleva i posti a sedere solo per i milanesi sui mezzi pubblici, per anni capogruppo in consiglio comunale ed oggi europarlamentare - lo ha definito un “Michele Santoro con la tonaca”. Ed ai due si sono uniti tanti altri.
Un bombardamento che però a Milano non si può certo definire una novità: gli scontri tra Chiesa e centro-destra sono ormai una costante. Lo stesso monsignor Bottoni era stato protagonista di alcune polemiche, quando aveva bollato come “fascista” la volontà di sgomberare la moschea di viale Jenner, o quando si era dichiarato “assolutamente favorevole” alla costruzione di una nuova grande moschea cittadina in vista dell’Expo 2015, progetto avversato con tutte le forze da Lega e buona parte del Pdl, vicesindaco De Corato in testa. Anche in quei casi Bottoni era stato attaccato a più riprese.
La stessa sorte è toccata a don Gino Rigoldi, fulcro del volontariato milanese diretto ai bambini ed ai giovani in difficoltà. “Mi hanno chiamato spesso cattocomunista o cappellano rosso” spiega don Gino “ma è inutile rispondere, lo fanno per isolarti. Capisco bene lo sfogo di monsignor Bottoni, ma penso che l’unica cosa da fare sia continuare nella propria opera, senza polemizzare con chi non aspetta altro”. Lo stesso principio utilizzato da Dionigi Tettamanzi, il cardinale di Milano finito spesso sotto il fuoco incrociato dei cecchini verbali del centro-destra per le sue aperture verso il mondo islamico. Anche lui non bada agli attacchi e continua a fare (e dire) quello che sente giusto.
APPELLO A QUANTI LEGGONO
L’intervento di don Gianfranco Bottoni ha provocato la reazione ringhiosa della destra fascista di Milano con una aggressione verbale virulenta, come è costume da quelle parti. Credo che sia obbligo morale di tutti noi fare giungere una parola di sostegno, specialmente in un momento in cui nella «chiesa gerarchica» rifulge il silenzio come metodo.
Chi volesse mandare un segnale, un parola di sostegno a don Gianfranco Bottoni può farlo al seguente indirizzo:
ecumenismo@diocesi.milano.it
Strasburgo, no al crocifisso in aula
Il governo annuncia il ricorso
L’affondo della Cei: "Decisione parziale e ideologica. No alle derive laiciste"
STRASBURGO - La presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è "una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni". E’ quanto ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo su istanza presentata da una cittadina italiana. Ma il governo italiano annuncia ricorso e, in caso di accoglimento, il caso verrà ridiscusso nella Grande Camera. Altrimenti la sentenza diventerà definitiva tra tre mesi. Durissime le prime reazioni, soprattutto nel centrodestra tra i cattolici. A partire dal ministro Gelmini che parla di tradizioni italiane offese. La Cei attacca: "Decisione parziale e ideologica". Prudente Bersani.
Risarcimento per la donna che ha denunciato. Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all’istituto statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme, in provincia di Padova, frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocifissi dalle aule. A nulla, in precedenza, erano valsi i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia. Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato ragione, stabilendo inoltre che il governo italiano debba pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. La sentenza è la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.
La decisione della Corte europea. I sette giudici della Corte europea hanno sentenziato che la presenza dei crocifissi nelle aule può facilmente essere interpretata dai ragazzi di ogni età come un evidente "segno religioso" e, dunque, potrebbe condizionarli. E se questo condizionamento può essere di "incoraggiamento" per i bambini già cattolici, può invece "disturbare" quelli di altre religioni o gli atei.
Le reazioni. In attesa che vengano depositate le motivazioni della sentenza, arriva la prima levata di scudi da parte del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: "La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione". Sulla stessa linea il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli e quello della Giustizia Angelino Alfano. E’ critico il presidente della Camera Gianfranco Fini: "Mi auguro che la sentenza non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni, che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del Cristianesimo nella società e nella identità italiana".
E’ cauta la reazione del neosegretario del Pd Pier Luigi Bersani: "Un’antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno. Penso che su questioni delicate come questa qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto". E l’esponente Udc Rocco Buttiglione parla di "decisione aberrante".
Netta anche la reazione della Conferenza episcopale italiana, che in una nota parla di "sopravvento di una visione parziale e ideologica" che "ignora o trascura il molteplice significato del crocifisso, considerato non solo simbolo religioso ma anche segno culturale". Per l’Osservatore Romano "tra tutti i simboli quotidianamente percepiti dai giovani la sentenza colpisce quello che piu’ rappresenta una grande tradizione, non solo religiosa, del continente europeo’’.
Piena soddisfazione, invece, da parte del leader di Rifondazione comunista Paolo Ferrero: "Esprimo un plauso per la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che ci segnala giustamente come uno stato laico debba rispettare le diverse religioni ma non identificarsi con nessuna".
Dalla Rete degli studenti medi arriva una risposta a distanza al ministro dell’Istruzione: "Ci preoccupano molto di più le intenzioni della Gelmini di parificare l’ora di religione alle altre materie o la normativa già oggi discriminatoria che sfavorisce gli studenti che non la frequentano". Poi l’appello: "Bisognerebbe togliere e riformare profondamente l’insegnamento della religione, non certo inserendo l’ora di islam, ma con una materia dedicata alle religioni e alle culture".
I precedenti in Italia e Spagna. L’ultimo round dell’annosa polemica sui crocifissi a scuola si era chiuso a febbraio, quando una sentenza della Cassazione aveva annullato una condanna per interruzione di pubblico ufficio nei confronti del giudice Luigi Tosti, "colpevole" di aver rifiutato di celebrare udienze in un’aula dove era affisso un crocifisso. Fino al precedente che fece clamore del presidente dell’Unione musulmani d’Italia Adel Smith, protagonista di un episodio analogo e che ora commenta: "Sentenza inevitabile".
La questione non coinvolge solo il nostro Paese. Duri scontri tra Stato e vescovi sono avvenuti anche in Spagna nel novembre dello scorso anno, in seguito a una decisione di un giudice di Valladolid di far rimuovere tutti i simboli cattolici da una scuola.
* la Repubblica, 3 novembre 2009