Ricorrenza
L’uomo, la Luna e l’inno sofferto di Padre Turoldo
di Marco Roncalli *
«Bellissima cosa e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna... », quando, quattro secoli fa, puntato il cannocchiale a contemplarla con nuovi occhi, Galileo Galilei scriveva nel «Sidereus Nuncius» queste righe, i suoi avversari parlavano di un’allucinazione: più o meno come quelli che continuano a dubitare del primo allunaggio, quarant’anni fa, vedendo in esso il «primo assaggio di realtà virtuale» .
Sgombrato il campo dalle teorie dei complotti a colpi di effetti speciali, resta il fatto che l’inizio della colonizzazione umana del cosmo, cominciata con il satellite vicino alla Terra, avvenne nel clima di guerra fredda tra Urss e Usa con investimenti pazzeschi a sostegno di una sfida che esigeva la vittoria e per gli americani ancor più che la guerra in corso nel Vietnam.
E così finì che persino l’astro irraggiungibile cantato nei secoli da Saffo a Leopardi, o da Rabindranath Tagore a Federico García Lorca, venne addirittura calpestato da due coraggiosi astronauti - Neil Armstrong e Buzz Aldrin - che consegnarono agli Usa con il loro balzo sul suolo lunare il ruolo di prima potenza mondiale.
Oggi però rivedere le sequenze filmate di quel repertorio provoca, oltre alle emozioni di ieri, qualche interrogativo in più che nell’ubriacatura del revival di questi giorni non sempre ha trovato... spazio. E non ci riferiamo al fatto che lassù l’uomo, nonostante progressi tecnologici incredibili e il perdurante bisogno di possibili fonti energetiche, non ha voluto rimetterci piede. Né alla crisi economica globale che farebbe sembrare assurda un’altra simile assai onerosa conquista, ritenuta ambigua già quatto decenni fa da chi anelava pane per gli affamati invece che pietre seppure lunari («Non credere, America, che ti si possa perdonare / perché sei approdata sulla Luna: / altri comporranno infiniti pena / all’avvento dell’era nuova. / Non io, pur commosso e lacerato a un tempo / dal rimorso di essere uno dei tuoi: / non io, che sarei maledetto, soffocando / la consapevole impotenza degli umili...» , scrisse padre Davide Turoldo nella sua elegia per il 21 luglio 1969).
No. Piuttosto, ci riferiamo ad alcune immagini. Una fra tutte quella dell’astronauta che posa la bandiera a stella e strisce sulla luna e che - indirettamente - suggerisce l’idea di chi fissa la sua sovranità, quasi a rivendicare un dominio, benché il diritto aerospaziale lo escluda nettamente. Infatti - ed è anche questo il bello della luna -, il Trattato del ’ 67, l’Outer Space Treaty, afferma cose poco note, ma assai interessanti. Ad esempio che « lo spazio extra atmosferico, ivi compresa la luna, [...] può essere esplorato e liberamente, senza alcuna discriminazione » (articolo 1). Anzi dice di più: «Anche realizzando una base lunare permanentemente abitata si potrà al massimo rivendicare la propria sovranità entro la base stessa» (articolo 2).
E non è finita; ecco cosa recita l’articolo 4: « Sono vietati sui corpi celesti l’apprestamento di basi e installazioni militari, di fortificazioni, la sperimentazione di armi di qualsiasi tipo e l’esecuzione di manovre militari » . Mi chiedo perché certe regole che valgono sulla luna non debbano valere su questa terra dove, fra l’altro, sarebbe quanto meno più facile o frequente il poterle applicare. Me lo chiedo ingenuamente pensando che da noi viene respinto chi calpesta il patrio suolo anche se fugge dal suo Paese solo per sopravvivere e, in fin dei conti... non vuole mica la luna.
* Marco Roncalli (Avvenire, 17 Luglio 2009)
UNA TRACCIA PER UNA SVOLTA ANTROPOLOGICA
di Federico La Sala *
[...] Senza equivoci: non siamo più né nelle taverne di Bacco e di Arianna, né nelle caverne a luci rosse. Siamo all’aria aperta: "io amo perfino le chiese e i sepolcri degli dèi, ma quando, con l’occhio suo puro, il cielo penetra dai loro soffitti in rovina: volentieri sto a sedere, come erba e rosso papavero, su chiese in rovina"(Nietzsche). Se volete, siamo a Nea-polis ... si sta suonando e cantando insieme a tanta bella gente,al sole e in mezzo al verde, When the Saints Go Marching In di Louis Armstrong.
Siamo semplicemte contenti: gli astronauti americani Armstrong, Aldrin e Collins (di origini italiane, così le cronache) ... ci hanno inviato la cartolina del pianeta. E la cosa è molto bella e importante. Addirittura anche Mr. Konner lo riconosce: "Se il programma spaziale non avesse dato alcun frutto (e spesso io faccio molta fatica a discernere che cosa ci abbia dato), gli dobbiamo essere grati per aver prodotto tale fotografia". Anch’egli guarda e sorride, guarda e sorride.... Nea-polis ... gli Azzurri [...] (pp. 188-189).
* Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Roma, Antonio Pellicani editore, 1991, in particolare il cap. Terzo della Terza parte - Le "regole del gioco" dell’Occidente e il divenire accogliente della mente.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL CIELO NON E’ VUOTO, MA NEMMENO E’ OCCUPATO DALL’IMPERATORE COSTANTINO E DAL SUO ESERCITO!!!
La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”..
ANDIAMO IN ESTASI
di Alfredo Giuliani *
PER ANNI ho letto trattati e saggi di psicoanalisi come fossero romanzi, zibaldoni poetici, peripezie antropologiche e terapeutiche di nuovi intrigantissimi sciamani. Sono stato toccato nel vivo della fantasia, nell’ ombelico dei sogni, nel cocuzzolo mitologico-filosofico. La letteratura psicoanalitica ha finito con l’ occupare uno spazio cospicuo della mia biblioteca.
A un certo punto della vita ho fatto una soddisfacente esperienza, né troppo breve né troppo lunga, del confessionale junghiano. Che tutto questo mi sia servito per conoscere un po’ meglio me stesso e gli altri, a percepire la forza e le deformazioni degli impulsi, per congetturare la presenza di campi e confini invisibili, mi sembra ovvio.
Per me il fascino principale dell’ analisi risiede nel metodo e nell’ idea che lo muove: che si possa riuscire a conoscere (o riconoscere) ciò che non sappiamo di sapere, ossia la nostra distorta ignoranza o sepolta sapienza. Infatti, c’ è un’ altra cosa ovvia che troppo spesso viene dimenticata: gli oggetti di cui discorre la psicoanalisi sono tanto arcaici e lontani quanto i modi della nostra vita emozionale, affettiva e mentale.
La psicoanalisi è un’ arte maieutica, è un teatro alchemico e manierista, è l’ avventura psichica, come aveva intuito lo Zeno di Italo Svevo; e l’ operatore, lo sciamano, lo esercita a proprio rischio, modificandosi continuamente. Certo, esistono anche sciamani mediocri o cialtroni; ma questo è un altro problema. Nel fascino esercitato dall’ analisi c’ è un fondamentale elemento critico. Io devo supporre che il nostro sciamano possieda i criteri della Ragione e della patologia psichica; e insieme con lui, grazie alla delicata e penetrante manovra di tali criteri, mi avventurerò nel mio sepolto e confuso sapere.
E’ vero che per l’ analisi non esiste la malattia, esiste il malato. Eppure, oggigiorno la relazione terapeutica (che dovrebbe configurarsi come una trasfusione di ritrovamenti e ideazioni dall’ analista al paziente e viceversa) corre due pericoli perfino grotteschi. In sostanza, che sia l’ analista sia il paziente si abbarbichino al già noto. L’ uno per l’ accumulo di conoscenze e interpretazioni trasmesse e collaudate. L’ altro perché subisce la frammentazione temporale delle sedute e perché tende a incanalarsi nella prevedibilità delle cose da dire. Prevedibilità che non finisce mai, attirata dal miraggio di comunicare tutto.
In un libro uscito presso Adelphi nel 1983, Elvio Fachinelli ha indagato con molta finezza questi meccanismi; ma il fatto curioso è che il suo Claustrofilia individua un’ area psicologica che circoscrive diversi fenomeni, tutti individuati dalla ricerca del chiuso (immagine o modello: l’ utero materno). Sicché dalle considerazioni sui limiti e il tempo dell’ analisi si arriva ai sogni di soggiorno intrauterino e al tempo stagnante, estatico, vissuto dal feto nella sua unità duale con la madre (relazione contraddittoria di co-identità).
Se si tiene conto che esperienze di tipo protonirico sembrano presenti nel feto negli ultimi mesi della gravidanza, mentre maturano le funzioni del suo sistema nervoso centrale, e quindi un inizio di vita mentale e sensoriale si sviluppa prima della nascita, ecco che ci si può azzardare a supporre che il bambino non ancora nato avverta nella sua estatica dimora l’ oscura e terrorizzante intrusione di un terzo! La claustrofilia sarebbe dunque un sentimento naturale, acquisito nel soggiorno intrauterino (casa-fortezza, bellissimo giardino, buia piscina ondulante).
L’ avventura psichica comincia assai prima del trauma della nascita; ma, in fondo, le madri sensibili non l’ avranno sempre sospettato? E proprio riflettendo sul tempo stagnante del soggiorno intrauterino, su quel tempo estatico fuori del tempo che a volte ritorna nei sogni dei pazienti, e che si lascia plausibilmente ipotizzare come protoattività mentale secondo le recenti acquisizioni della neurofisiologia, Fachinelli è arrivato al suo appassionante nuovo libro, La mente estatica (Adelphi, pagg. 202, lire 20.000).
Scrittore lucido, sobrio ma vibrante, dotato di un bel garbo stilistico insolito tra i suoi colleghi, Fachinelli non ricorre pressoché mai al formulario gergale della psicoanalisi. Rigoroso nel pensiero e nello stile, non si adatta però completamente alla forma del resoconto scientifico; non lo appagano del tutto neppure le flessibili maniere del saggio.
Per lui un libro deve argomentare una sequenza di sorprese. Così La mente estatica presenta alla rovescia i capitoli d’ una intrepida peregrinazione esplorativa. Prima i risultati: l’ affiorare della percezione estatica, la scoperta che la nostra civiltà si è difesa dalla nozione di estasi attribuendola soltanto a stati di rapimento mistico o religioso, oppure confinandola nel patologico.
Poi la ricognizione storica di esperienze estatiche, per exempla: Meister Eckhart, Dante, il matematico Poincaré, Proust, Bataille e l’ inaspettato Moses Herzog, protagonista dell’ omonimo romanzo di Saul Bellox. Quindi: resoconti di varie esperienze, letture, note ai margini del tema, sondaggi rapsodici del tempo estatico. Segue un approfondimento e ampliamento del motivo già trattato in Claustrofilia: la disponibilità del feto, e qui soprattutto del neonato, alla percezione estatica (unità sublime con la madre). E infine: un sottilissimo esame di alcuni scritti di Freud (e di Lacan), che a detta dell’ autore costituisce l’ antecedente di quanto abbiamo letto nei primi due terzi del libro.
La struttura anomala della Mente estatica è in questo capovolgimento, che fa risaltare l’ assemblaggio delle parti. I capitoli, tanto diversi tra loro, sono scorci, passaggi, giri, percorsi a volte tortuosi, oppure misteriosamente rettilinei, di uno stesso labirinto. Come capita spesso quando si consultano i nostri sciamani, i loro discorsi sembrano inoltrarsi in zone dove le frontiere si annullano. Ma l’ oggetto che quei discorsi evocano con cauta suggestione lo riconosciamo sùbito. Ma s, l’ estasi! Chi può dubitare della sua diffusione profana? Non si dice comunemente: mi ha mandato in estasi, era in estasi, e così via? Lo si dice magari con una sfumatura di enfasi comica, ma anche in quella forma impoverita la parola attesta una parvenza di specialissima condizione esperibile da chiunque. Specialissima e banale! Quale portentosa contraddizione.
Ma l’ opinione di Fachinelli è che non sia più lecito separare dogmaticamente considerandoli incompatibili come si fa ora i differenti livelli dell’ esperienza estatica. Nell’ estasi di qualsivoglia natura si è come fuori di sé, fuori dal sé abituale, secondo il significato originale della parola greca ékstasis, e in questo stato si prova una contentezza, una gioia anch’ essa non abituale, un reale rapimento dell’ animo.
Tale excessus mentis, descritto dai mistici medioevali, è di fatto disponibile in ciascuno di noi. Lo si ammette generalmente nell’ ambito dei sentimenti, nell’ artista e in coloro che godono interiormente l’ opera d’ arte, quale essa sia. Ma come stacco rapinoso dal tempo, sospensione totale del vivere, quasi perdita del respiro, come attimo vuoto che ti accoglie e ti perde (campo di tensioni da attraversare), la situazione estatica viene misconosciuta o cancellata. Si vuole interrompere, perché fa paura, quel movimento verso il nulla, che è familiare al mistico, ma non gli è peculiare.
Il profano teme l’ abolizione dell’ io, per angoscia arretra prima che la smisurata gioia del rapimento invada il vuoto. Peccato, non sa quello che perde. Ma una spiegazione c’ è: si ha terrore della gioia eccessiva (stato che si pone al di là del piacere comunemente inteso) poiché essa è contigua alla pulsione di morte (il vecchio Freud l’ aveva intuito). Mi viene in mente la saggia e bella Porzia del Mercante di Venezia, quando nel terzo atto perora a se stessa: Mòderati, amore, reprimi la tua estasi, trattieni la tua gioia, frena questo eccesso!.
Lo sciamano, ancora una volta, ha attivato un vortice di pensieri che ci toccano nel cocuzzolo e nell’ ombelico. Alcuni di tali pensieri sono futili. L’ estasi degli antipatici sarà anch’ essa antipatica, o varrà la metà? E quella degli sciocchi, varrà poco più di niente? Fachinelli sembra dare la preferenza all’ estasi degli intelligenti. Ma l’ estasi, di per sé, sarà indifferente; cadrà dove vuole, come soffia il capriccioso Spirito biblico? Se è un tipo particolare di percezione, non si potrà attenderla e provocarla con un certo metodo? E chi si droga non è forse un estatico coatto?
Dice Fachinelli: l’ estasi non è soltanto nelle sue epifanie riconoscibili; è anche nella sua irradiazione al resto. Ma allora l’ attimo estatico avrebbe una inimmaginabile potenzialità trasformativa. Io credo che sia proprio così, ma ne traggo conseguenze personali e non saprei inferirne effetti teorici d’ interesse generale. Della gioia eccessiva non si può parlare. Il silenzio la custodisce, e tuttavia... essa parlava apertamente in certi romanzi che hanno segnato la nostra giovinezza.
Trovo strano che Fachinelli non si sia ricordato di Dostoevskij; nel suoi romanzi, penso principalmente a L’ idiota, c’ è un vero delirio di situazioni estatiche. Per alcuni dei suoi personaggi il cadere o il trovarsi fuori di sé, il provare una gioia smisurata, è una condanna, una frenesia ingovernabile che frantuma ogni convenienza, un segno grottesco-sublime del destino; potremmo dire che per loro l’ eccitazione estatica è il meglio dell’ incomprensibile. E può portare al peggio.
L’ argomento di Fachinelli ha mille risvolti, è vago e intenso e non vorrei abbandonarlo. La mente estatica è un libro di evidenze inquietanti, dove buio e luminosità, lontano e vicinoi accelerazione e immobilità, oggetti ancestrali e nuovissimi si proiettano in un misterioso deserto esistenziale popolato di sogni realizzati e di immani attese frustrate. Tempi e spazi percettivi hanno subìto un sommovimento, e anche l’ estasi brulica sulla terra in forme orripilanti.
Nel tempo accelerato e precipitoso, che ci prende tutti, la sospensione estatica del tempo, riconosciuta o no, è un fenomeno di massa. Non lo era anche nel Medioevo? Da religiosa che era è diventata profana, politeista, portatile. Distinguere le situazioni estatiche è l’ ultima risorsa della Ragione?
* di ALFREDO GIULIANI (la Repubblica, 04 aprile 1989).
Ansa» 2009-09-24 16:50
LA LUNA E’ RICCA DI ACQUA
ROMA - La Luna non è affatto il mondo arido che si immaginava, ma è ricca di acqua. Non è acqua allo stato liquido, ma di molecole di acqua e di idrossile, ossia una molecola di acqua privata di uno ione di idrogeno. Le tracce chimiche dell’acqua pervadono l’intera superficie lunare, come dimostrano i dati, pubblicati questa settimana su Science. La scoperta si deve agli strumenti a bordo di tre sonde: quelli dell’indiana Chandrayaan-1, il radar italo-americano della sonda Cassini, chiamato Vims, e gli strumenti della sonda americana Deep Space. I dati, che rivoluzionano l’immagine finora più comune della Luna come di un luogo completamente secco, potrebbero perfino mettere in crisi la teoria comunemente accettata sull’origine della Luna.
Le tracce di acqua sono state individuate diffusamente sull’intera superficie, anche se le zone più ricche sono le più vicine ai Poli. Una prima ipotesi é che l’acqua possa avere migrato dai Poli lunari per diffondersi sul resto della superficie. Sembra inoltre che la formazione delle molecole d’acqua e simili sia un processo che si rinnova continuamente sulla superficie lunare, probabilmente favorito dall’azione del vento solare. Le tracce d’acqua più vicine ai Poli sono state trovate soprattutto dalla sonda Chandrayaan-1, dell’Agenzia Spaziale Indiana. I dati che parlano anche italiano sono quelli del radar Vims (Visual and infrared mapping spectrometer), realizzato in collaborazione fra Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa. Sono stati registrati nel 1999, quando la sonda Cassini si è avvicinata alla Luna, e a dieci anni di distanza hanno fornito un dato che ha stupito gli stessi ricercatori: l’acqua sulla Luna si trova tanto ai Poli quanto a latitudini più basse. Che le tracce d’acqua siano un po’ ovunque sulla superficie grigia e polverosa della Luna lo dicono infine, chiaramente, anche gli strumenti della sonda della Nasa Deep Space.
ARRIVEDERCI LUNA
Se Obama stacca la spina alla signora delle stelle
La Nasa si ritrova senza soldi, senza un missione, appesa soltanto alla speranza che l’attuale presidente non voglia passare alla storia per aver staccato la spina
di VITTORIO ZUCCONI *
WASHINGTON - Doveva essere la grande festa di compleanno, per la signora delle stelle che aveva fatto innamorare l’America, e sarà invece il suo funerale. In questa estate di rimpianti e di nostalgie per il "piccolo, grande passo" sulla Luna del 1969, la Nasa si ritrova senza soldi, senza una missione, senza un futuro e senza amanti a Washington, appesa soltanto alla speranza che Barack Obama non voglia passare alla storia come il presidente che staccò la spina.
A parte i 21mila dipendenti addetti alla ricerca, allo sviluppo e ai lanci, gli eredi di quei secchioni con le matite nei taschini delle camicie a maniche corte e gli occhiali da gufi che vedevamo sudare, abbracciarsi e piangere nel centro di controllo di Houston, non sarebbero in realtà molti quelli che piangerebbero il funerale della Nasa. L’agenzia non ha più santi in cielo, neppure quell’uomo che ironicamente porta proprio il nome di un illustre santo, Augustine, inglese per Sant’Agostino, e ha presieduto la commissione di saggi nominati dalla Casa Bianca per rivedere i programmi della Nasa e capire se la promessa di Bush, di tornare sulla Luna e poi Marte, fosse la solita fanfaronata bushiana o fosse realizzabile. E ha concluso con una frase brutale che racchiude il dramma di questa agenzia alla quale fu ordinato di vincere la Guerra Fredda spaziale ed ebbe il torto di vincerla: "La Nasa non ha i soldi per fare quello che vorrebbe fare, e non saprebbe che cosa fare neppure se avesse i soldi".
Non c’è posto per la gratitudine, e certamente non per il sentimentalismo, in un bilancio federale avviato alle altezze siderali dei 10mila miliardi di dollari di disavanzo fra cinque anni, se non sarà frenato. Anche se i 18 miliardi che oggi rappresentano il budget annuale della Nasa sembrano una mancia, essi rappresentano più di quanto tutte le altre nazioni insieme investano nello spazio e sono presi da un bussolotto nazionale divorato dalle spese militari, per il 50 per cento e per un altro 30 per cento dai costi di quello sgangherato sistema sanitario che Obama sta tentando di riformare.
Poiché nessun organismo, nel darwinismo sociale americano, sopravvive alla propria inutilità, l’agenzia che Eisenhower creò in un’altra estate fatale, nel luglio del 1958, per rispondere al panico del "bip bip" dello Sputnik sovietico, si scopre una soluzione senza un problema. Il programma "Constellation", costruito su nuovi razzi della serie Ares, per tornare sulla Luna e poi tentare l’impresa su Marte, sarà eliminato. Le vecchie navette "Shuttle", figlie di una tecnologia superata, andranno dalla sfasciacarrozze nel 2011, senza proroghe. La stessa stazione spaziale è a rischio di richiamo sul pianeta madre. "E non sarà aggiungendo un miliardo qui o uno là", scrive il crudele Agostino, che pure è l’ex presidente della Lockheed, una delle massime beneficiarie della corsa alla spazio "che ridaremo un senso alla Nasa".
Incalzano i privati, con le loro tecnologie e i loro razzi, che promettono di andare in orbita a un decimo dei costi Nasa, e la sirena della privatizzazione intona il suo irresistibile canto anche nello spazio. La sofisticazione e l’affidabilità dei robot cresce ogni giorno, sostituendo anche in guerra i vulnerabili umani ai comandi e le macchine promettono risultati scientifici eccellenti senza le spese e le difficoltà legate a quel fragile uomo. "Noi umani siamo pessime navicelle spaziale" sembra quasi scherzare la commissione di esperti e questo è il vero senso del funerale che l’America sta preparando per la Nasa. Non la fine della corsa allo spazio, ma la fine della presenza umana nello spazio, per decenni a venire. Una bottiglietta d’acqua portata sulla Luna costerebbe 100mila dollari, più che in un bar per turisti giapponesi al Pantheon. I robot non soffrono la sete.
Non ci saranno ricordi, commemorazioni, rimpianti, vecchi astronauti richiamati per qualche ora in servizio per le televisioni, nel 2049, perché non vedremo esploratori su satelliti e pianeti nel prossimo futuro, al massimo qualche "space cowboys" depositato sui grandi asteroidi, se dovesse tornare la psicosi del meteorite. La Nasa vivrà una lenta eutanasia a piccole dosi. Lancerà ancora qualche vecchio Shuttle, come quello che dovrebbe partire martedì prossimo per la stazione spaziale, sempre che il tempo sulla Florida lo permetta. Altrimenti, dovrà attendere settimane, e il proprio turno, dietro a un cargo giapponese e a una Soyuz russa. La ex fidanzata d’America costretta a fare la fila davanti allo sportello spaziale, come la nonna all’ufficio postale per ritirare la pensione.
* la Repubblica, 22 agosto 2009
ANNIVERSARI
Cento risposte su luna e dintorni
a 40 anni dalla prima missione
Il 20 luglio l’uomo toccava il suolo del nostro satellite. Il computer di bordo non più potente di un cellulare
di L. BIGNAMI *
Erano le 4,56 (ora italiana) di un mattino d’estate: 40 anni fa, il 21 luglio 1969 (negli Usa è ancora il 20), Neil Armstrong metteva piede sulla Luna. Insieme ad Edwin Aldrin aveva toccato il suolo lunare la sera precedente, alle 22,17, a bordo del modulo lunare Eagle.
In orbita attorno alla Luna, a bordo della navicella Apollo 11, era rimasto il loro collega Michael Collins. La missione aveva preso inizio il 16 luglio e terminò il 24 dello stesso mese con l’ammaraggio della navicella Apollo nell’Oceano Pacifico. Dopo Apollo 11 seguiranno altre 6 missioni, anche se Apollo 13 non diede modo agli astronauti di allunare per una esplosione avvenuta a bordo del modulo di servizio della navicella. Apollo 17, l’ultima missione lunare, lasciò il nostro satellite nel dicembre del 1972.
La Nasa prevede il ritorno di uomini alla Luna, su cui costruire una base permanente, all’inizio del prossimo decennio. Questo è il sito speciale per l’avvenimento. E Repubblica.it, per rinfrescarvi la memoria, vi propone le cento cose da sapere.
1)Chi furono i primi due uomini a scendere sulla Luna?
Neil Armstrong e Edwin Buzz Aldrin, Michael Collins rimase in orbita attorno al satellite
[...]
* la Repubblica, 16.07.2009 (eipresa parziale)