“DIGNITA’ DELL’UOMO” ED “EROICI FURORI”. All’origine della svolta antropologica di Vico, e del suo più generale ‘ri-orientamento gestaltico’ del 1725, c’è la disavventura “per la quale disperò per l’avvenire aver mai più degno luogo nella sua patria” (le critiche al “Diritto universale” e l’impossibilità di “conseguire la cattedra” di diritto romano, a cui ambiva, nel 1723) e tuttavia anche il conforto e la consolazione del “giudizio di Giovan Clerico” apparso "nella seconda parte del volume XVIII della Biblioteca antica e moderna, all’articolo VIII” ((op. cit., pp. 33-34).
Ovviamente Vico non si arrese e non si arrende e, consapevole e fiero di sé, così scrive di se medesimo nel 1725: “Ma non altronde si può intender apertamente che ‘l Vico è nato per la gloria della patria e in conseguenza dell’Italia, perché quivi nato e non jn Marocco esso riuscì letterato, che da questo colpo di avversa fortuna, onde altri arebbe rinunziato a tutte le lettere, se non pentito di averle mai coltivate, egli non si ritrasse punto di lavorare altre opere. Come in effetto ne aveva già lavorata una divisa in due libri” (p. 34).
E’ la “Scienza nuova in forma negativa”: nel primo libro - ancora e di nuovo - “andava a ritrovare i principi del diritto naturale delle genti dentro quegli dell’umanità delle nazioni, per via d’inverisimiglianze, sconcezze ed impossibilità di tutto ciò che ne avevano gli altri inanzi più immaginato che raggionato” (p. 34). Ma anche su questo lavoro cade “un colpo di avversa fortuna”! Allora Vico cambia marcia: “ristrinse tutto il suo spirito in un’aspra meditazione per ritrovarne un metodo positivo, e sì più stretto e quindi più ancora efficace”, e “nel fine dell’anno 1725, diede fuori in Napoli”, il suo capolavoro: la “Scienza nuova” (la prima!).
NON INVENTO IPOTESI: "HYPOTHESES NON FINGO" (Isaac Newton, Principi matematici della filosofia naturale, 1713 - si cfr. Nota). Vico ha smarrito la sua diritta via, ma non ha disperato di sé e non si è si perso nel “divagamento ferino per la gran selva della terra”: non è giunto “a stordire ogni senso di umanità”! Ha lavorato eroicamente, ed è venuto fuori dall’“immenso oceano di dubbiezze” e ha trovato la “sola picciola terra dove si possa fermare il piede”, dove “una sola luce barluma: che ‘l mondo delle gentili nazioni egli è stato pur certamente fatto dagli uomini (...) che i di lui princìpi si debbono ritruovare dentro la natura della nostra mente umana e nella forza del nostro intendere, innalzando la metafisica dell’umana mente (finor contemplata dell’uom particolare per condurla a Dio com’eterna verità, che è la teoria universalissima della divina filosofia) a contemplare il senso comune del genere umano come una certa mente umana delle nazioni, per condurla a Dio come eterna provvidenza, che sarebbe della divina filosofia la universalissima pratica; e, ‘n cotal guisa, senza veruna ipotesi (ché tutte si rifiutano dalla metafisica), andarli a ritrovare di fatto tra le modificazioni del nostro umano pensiero nella posterita’ di Caino innanzi, e di Cam, Giafet dopo l’universale diluvio” (p. 185).
LA STORIA DELL’UMANITA’: UNA FATICA DI ERCOLE. Quanto dura sia stata la lotta per superare ostacoli e avversità “nel divagamento ferino della gran selva” e giungere a scoprire “questa unica verità” (la “picciola terra”, “la sola luce”), Vico non lo nasconde (né a se stesso né a chi voglia capire il suo lavoro di rifondazione critica della ragione storica e della ragione filosofica e teologica dommatica - anzi, invita a profittare) e così chiarisce: “noi, in meditando i princìpi di questa Scienza, dobbiamo vestire per alquanto, non senza una violentissima forza, una sì fatta natura e, ‘n conseguenza, ridurci in uno stato di somma ignoranza di tutta l’umana e divina erudizione, come se per questa ricerca non vi fussero mai stati per noi né filosofi, né filologi. E chi vi vuol profittare, egli in tale stato si dee ridurre, perché, nel meditarvi, non ne sia egli turbato e distolto dalle comuni invecchiate anticipazioni” (p. 185).
“PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA” (1725): UN “CANTO” DI VITTORIA. Nella “Idea dell’opera, nella quale si medita una Scienza dintorno alla natura delle nazioni, dalla quale è uscita l’umanità delle medesime, che a tutte cominciò con le religioni e si è compiuta con le scienze, con le discipline e con le arti”, nell’indicare il contenuto del “libro primo” - con orgoglio e con una punta di sana ironia napoletana - premette un verso di Virgilio (“Ignari hominumque locorumque erramus:Ignoranti sia degli esseri umani sia dei luoghi erriamo)e così scrive:. “Necessità del fine e difficoltà de’ mezzi di rinvenire questa Scienza entro l’error ferino de’ licenziosi, deboli e bisognosi, di Ugone Grozio, e de’ gittati in questo mondo senza cura o aiuto divino di Samuello Pufendorfio, da’ quali le gentili nazioni son pervenute” (p. 171). [continua]
ISAAC NEWTON.
Hypotheses non fingo, ("Non formulo ipotesi") è la celebre espressione con la quale Isaac Newton esprimeva l’impossibilità di andare al di là della descrizione dei fenomeni per cercarne la causa. Gli studi di Newton spaziarono in molti campi della fisica ( ottica, meccanica classica) e della matematica (calcolo infinitesimale) e per questo è riconosciuto come uno dei padri della scienza moderna. Nel condurre le sue ricerche sulla legge gravitazionale Newton rinunciò a definire la forza di gravità limitandosi a descrivere i suoi effetti.
L’affermazione Hypotheses non fingo lascia dunque spazio a ogni tipo di interpretazione, metafisica o strettamente meccanicistica ma senza sostenerne alcuna. La famosa frase, è contenuta nella seconda edizione dei Principia del 1713, precisamente nella sezione finale intitolata Scolio Generale.
Lì vi si legge: "[...] In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. [...]"
(Cfr.: Newton, Opere, Vol. 1. Principi matematici della filosofia naturale, a cura di Alberto Pala, Classici della scienza, Torino UTET, 1997, pagg. 801-802 - da: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
SUL TEMA, IN RETE, SI CFR.:
L’ITALIA AL BIVIO: VICO E LA STORIA DEI LEMURI (LEMURUM FABULA), OGGI.
Potrai facilmente, o Leggitore, intendere la bellezza di questa divina Dipintura dall’orrore, che certamente dee farti la bruttezza di quest’altra, ch’ora ti dò a vedere tutta contraria.
A GIAMBATTISTA VICO E ALL’ITALIA, L’OMAGGIO DI JAMES JOYCE.
Federico La Sala (07.03.2013).