L’ITALIA AL BIVIO. LA LEZIONE DI GIAMBATTISTA VICO, OGGI: "LEMURUM FABULA" (LA STORIA DEI LEMURI)

PER UNA NUOVA CITTA’ DELLA SCIENZA, UN OMAGGIO A VICO E LA MASSIMA SOLIDARIETA’ A NAPOLI E A BAGNOLI. Una nota di Federico La Sala e la cronaca di Guido Ruotolo sull’accaduto - "La voce di Fiore".

NAPOLI IN LUTTO. Finisce in cenere il simbolo del Rinascimento napoletano anni ’90.
mercoledì 6 marzo 2013.
 

VICO (E KANT), PER LA CRITICA DELLE VERITA’ DOGMATICHE E DELLE CERTEZZE OPINABILI. Una nota introduttiva alla lettura della "Scienza Nuova"

Quando Giambattista Vico, "nel fine dell’anno 1725 diede fuori in Napoli, dalle stampe di Felice Mosca, un libro in dodicesimo di dodici fogli", con il titolo "Principi di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, per li quali si ritruovano altri principi del diritto naturale delle genti", con un elogio, "l’indirizza alle Università dell’Europa". Per chi non lo ricordasse, siamo già nella fase decisiva della genesi del pensiero illuministico (Kant ha già 21 anni!), nel pieno della "crisi della coscienza europea"(Paul Hazard): nella "età illuminata - come scrive appunto Vico nell’elogio-dedica - in cui nonché le favole e le volgari tradizioni della storia gentilesca ma qualunque più autorità de’ più riputati filosofi alla critica di severa ragione si sottomette" (S.N. 1725).*

Contrariamente a quanto troppo a lungo si è pensato (e questo pesa ancora sulla comprensione della sua opera) Vico non vive fuori dal tempo e dal mondo, e cammina alla grande sulla via aperta da Copernico, Galilei e Cartesio - con i suoi piedi e con la sua testa! Anzi, egli ha lavorato a dare base più ampia e più salda alla rivoluzione scientifica, alla svolta antropologica cartesiana e alla più generale rivoluzione copernicana in filosofia!

Sul piano storico e storiografico, è da dire, Vico ha subito la stessa sorte di Kant: incompreso dagli esponenti e dagli interpreti della tradizione razionalistica e illuministica, è stato ucciso e fagocitato come un ’santo’ della ’preistoria’ della grande "instaurazione" (o, meglio, restaurazione) idealistico-hegeliana. E, così, dai neoidealisti italiani (innanzitutto, Benedetto Croce con "La filosofia di Giambattista Vico", 1911) - ad eccezione di Enzo Paci("Ingens Sylva",1949) - fino a oggi (si cfr. Giambattista Vico, "La Scienza nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744", Bompiani, Milano 2012, con "saggio introduttivo" e "introduzione" alla S.N. del 1730 e del 1744 di Vincenzo Vitiello), non si è stati ancora né capaci di intendere né di essere giusti affatto nel giudicare la nuova arte critica di Vico né conseguentemente il grande prodotto della sua "mente heroica": la "Scienza Nuova"!

Eppure Vico, proprio nel 1725, parlando di sè in terza persona ("Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo"), lo scrive chiaramente: con la sua "nuova arte critica", "con la fiaccola di tal nuova arte critica", egli scopre "tutt’altre da quelle che sono immaginate finora le origini di quasi tutte le discipline, sieno scienze o arti (...). Scuopre altri princìpi storici della filosofia, e primieramente una metafisica del genere umano, cioè una teologia naturale di tutte le nazioni, con le quali ciascun popolo naturalmente si finse da se stesso i propi dèi per un certo istinto naturale che ha l’uomo della divinità, col cui timore i primi autori delle nazioni si andarono ad unire con certe donne in perpetua compagnia di vita, che fu la prima umana società de’ matrimoni; e si scuopre essere stato lo stesso il gran principio della teologia dei gentili e quello della poesia de’ poeti teologi, che furono i primi nel mondo e quelli di tutta l’umanità gentilesca".

COME E’ POTUTO GIUNGERE A QUESTE SCOPERTE? Qual è il ’segreto’, da dove la ’forza’ della sua "nuova arte critica"? Vico lo premette subito, all’inizio del suo racconto autobiografico e il senso è chiaro: si tratta di uscire da secoli di labirinto segnati dalla "doppiezza" di verità dogmatiche e certezze opinabili e seguire attentamente il principio del "verum ipsum factum".

SCIENZA NUOVA, 1725. "Napoli. Sole: gioia di vivere"(Paul Hazard)! "In quest’opera - scrive lo stesso Vico, con onestà e fierezza - egli ritruova finalmente tutto spiegato quel principio, ch’esso ancor confusamente e non con tutta distinzione aveva inteso nelle sue opere antecedenti". E immediatamente spiega e precisa: "Imperciocché egli appruova una indispensabile necesità, anche umana, di ripetere le prime origini di tal Scienza da’ princìpi della storia sacra, e, per una disperazione dimostrata così da’ filosofi come da’ filologi di ritrovarne i progressi ne’ primi auttori delle nazioni gentili, esso (..) discuopre questa nuova Scienza".

Che cosa sta dicendo Vico? Nient’altro se non come, alla luce del suo principio, e con un "doppio sguardo", ha lavorato criticamente ed è giunto ai suoi risultati: ha tenuto presente - sullo sfondo e parallelamente - i principi della storia sacra (la verità rivelata - della nazione ebraica) e ha lavorato al contempo sulla tradizione delle nazioni gentili (la verità storica - della tradizione greca e romana).

Il risultato qual è stato? Ha ritrovato - come è detto nel titolo dell’opera - altri (diversi da quelli tradizionalmente ritenuti tali) "principi del diritto naturale delle genti" non incompatibili con quelli della tradizione sacra! E, con questo, non solo e soprattutto ha aperto una importante e decisiva via a una ragione nuova, ma anche a un’inedita (critica e cristiana) possibilità di rifondazione del discorso del neoplatonismo cattolico-rinascimentale della conciliazione della tradizione degli Ebrei e della tradizione dei Gentili. Nel solco della linea di Dante, Boccaccio, di Bruno, di Galilei, amico di ebrei ma non dello spinozismo, egli guarda lontano. La “mente eroica” di Vico ha dato il “via!”. La rivoluzione copernicana in filosofia è già iniziata: “Sàpere aude!” (Orazio-Kant). [continua]

Federico La Sala

*

Nota:

Tutte le citazioni riportate nel testo sono riprese dall’opera di Giambattista Vico, Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo (1725-28). Cfr. Giambattista Vico, Opere filosofiche, introd. di Nicola Badaloni, a c. di Paolo Cristofolini, Firenze 1971, p. 35. La dedica della "Scienza Nuova" del 1725 è a p. 170.



Finisce in cenere il simbolo del Rinascimento napoletano anni ’90

Triste corteo di cittadini davanti ai muri perimetrali della Città della Scienza. Fuori dal museo anche i 160 dipendenti e i lavoratori dell’indotto

-  di Guido Ruotolo
-  INVIATO A NAPOLI *

Napoli è in lutto. È un pezzo di città che se ne è andato. In fumo. Un dolore corale questa mattina ha segnato il risveglio dei napoletani. Anche di quei napoletani che non possono partecipare alla mesta visita funeraria. Un corteo dolente dalle prime ore dell’alba ha già portato una folla di cittadini, di abitanti di Bagnoli é non solo sul luogo della tragedia.

E i napoletani emigrati o turisti, per dirla con Massimo Troisi, sono ammutoliti e invadono il web per trasmettere la loro orazione funebre. Un lutto vero. Come se la città stesse piangendo i suoi figli più amati, Totò innanzitutto. Ieri sera, dopo cena. La notizia si è diffusa come un tam tam: la «Città della Scienza» sta prendendo fuoco. Un rogo immane, dense nuvole di fumo nero in uno scenario spettrale, da Blude Runner. La città industriale che fu, dove un tempo c’era la fabbrica, l’acciaieria Italsider, si sta vendicando.

E’ troppo presto per capire, per sapere con certezza chi ha pugnalato ancora una volta Napoli. Giornata da dimenticare. Terribile. Prima la voragine fortunata che non ha fatto vittime, con il crollo, alle prime ore della mattinata, di un’ala di un palazzo della Riviera di Chiaia, poi, a sera tarda l’incendio che sta distruggendo quella Napoli che guardava al futuro.

Erano i primi anni ’90 quando il professore Vittorio Silvestrini e un pugno di illuminati professori e intellettuali diedero vita alla Fondazione Idis, e a quell’intuizione che poi porterà a visitare l’area della «Città della Scienza» più di 350.000 visitatori l’anno. Intere scolaresche.

E quell’esperimento prese il via e si sviluppò di pari passo all’esperienza della giunta Bassolino, eletta nel 1993. La stagione del Rinascimento napoletano sicuramente ha avuto anche in Silvestrini e nella sua Fondazione Idis un punto di riferimento.

Ancora ignote le cause: unica certezza, al momento, è che all’interno della struttura non c’erano persone, grazie anche alla chiusura settimanale del lunedì. I danni sono ingentissimi: sopravvivono solo i muri perimetrali, l’interno dei padiglioni è devastato. Il fronte del fuoco è lungo più di un centinaio di metri, e dal rogo si alza una colonna di fumo visibile da buona parte della città. Sul posto decine di vigili del fuoco, con le forze dell’ordine che hanno chiuso al traffico via Coroglio, di fronte al mare di Bagnoli, dove sorgeva la struttura.

Dei numerosi padiglioni che componevano lo `science center’ solo uno è stato risparmiato dalle fiamme. Le testimonianze riferiscono di una estensione rapidissima dell’incendio, complice la gran presenza di legno e altri materiali infiammabili.

Fuori del museo ci sono quasi tutti i 160 dipendenti, angosciati per il loro futuro occupazionale; gli stessi timori coinvolgono i tanti che lavoravano nell’indotto creato dal museo, giunti in via Coroglio dopo aver appreso dell’incendio. L’area distrutta dalle fiamme è stimata in 10-12 mila metri quadrati, praticamente l’intero centro a eccezione del «teatro delle Nuvole», un corpo separato che ospitava rappresentazioni. Il custode racconta di aver visto una colonna di fumo, e di aver dato subito l’allarme: ma in pochi minuti il fuoco ha divorato i padiglioni dall’interno, diventando indomabile. Sono state ore di sgomento anche per tutti gli abitanti di Bagnoli, che temevano di rimanere intossicati dal fumo denso e nero, poi invece sospinto dal vento verso il mare aperto.

* La Stampa, 05/03/2013


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