VICO OGGI. Un’indicazione per uscire dallo "stato di minorità", senza cadute in uno "stato di super-io-rità"....

"NOVA SCIENTIA TENTATUR": VICO E "IL DIRITTO UNIVERSALE". Una nota di Federico La Sala

(...) dal suo lavoro ciò che emerge è una luminosissima costellazione, che modifica tutto il ‘panorama’ dell’intera cultura occidentale, e svela un inedito possibile orizzonte (...)
domenica 6 aprile 2014.
 


VICO, “IL DIRITTO UNIVERSALE”,E IL GRANDE ABBAGLIO DEI DOTTI.

Una nota di Federico La Sala

Benché nel 1968, nel terzo centenario della nascita di Vico, ci sia stata una buona “occasione per una lettura attenta di tutta l’opera vichiana, dai primi componimenti poetici alla Scienza Nuova del 1744”(1), e il lavoro sia continuato con grande impegno, a tutt’oggi, ancora non si è pervenuti a una ‘sintesi’ apprezzabile e condivisa (con tutte le ricadute - a tutti i livelli, fino ai manuali di “storia della filosofia”) dell’intero percorso di ricerca e, con esso, del risultato uno-e-trino del capolavoro di Vico: la Scienza Nuova, prima (1725), seconda (1730), e terza (1744).

Generalizzando una considerazione di Giarrizzo, le ragioni più forti del permanere di questa situazione stanno nella “ingiustificata svalutazione del Diritto Universale” (2), e nella rimozione del “principio dello scrivere”, enunciato dallo stesso Vico, nel “Proloquio” del “De Uno Universi Iuris Principio et Uno”:

“Finalmente leggendo un giorno il libro De civitate Dei di S. Agostino, mi occorse un luogo di Varrone (uomo, che per filosofia ed erudizione meritò il nome di dottissimo, e del più dotto de’ Romani) dov’egli dice, che se avesse avuto l’autorità di proporre al popolo romano gl’iddii da adorarsi, lo avrebbe fatto seguitando “la formula della natura”, cioè proponendo un Dio unico, incorporeo, infinito, e non innumerevoli deità figurate sotto forma di idoli.
-  Illuminata la mia mente da quella lettura, si portò di sbalzo alle seguenti conclusioni: dunque il diritto naturale è la formola, è l’idea del vero, la quale ci dimostra il vero Iddio.
-  Dunque il vero Iddio, principio della vera religione, è ugualmente principio del vero diritto, e della vera giurisprudenza. E non perciò incomincia, nel primo suo titolo, il Codex constitutionum imperialium, dove la giurisprudenza cristiana ebbe il suo perfetto e solenne compimento, a porsi sotto la consacrazione del De summa Trinitate et fide catholica?
-  Dunque la vera giurisprudenza è la vera cognizione delle cose divine e umane. La metafisica è quella dottrina che insegna la critica del vero, perché essa insegna la vera cognizione d’Iddio e dell’uomo.
-  Conchiusi, alla per fine, che non dagli scritti o dai detti dei pagani filosofi debbansi dedurre i principii della giurisdizione, ma della vera e diretta cognizione della natura umana, la quale è originata dal vero Iddio” (3).

Non essendo stata fatta alcuna chiarezza sull’Orizzonte e sull’Ipotesi teologico-politica del programma di ricerca di Vico, il campo dell’interpretazione si è riempito di molti equivoci ed è stato occupato per lo più e costantemente (salvo rarissime eccezioni) dagli opposti fondamentalismi dello schieramento ateo (storicismo idealistico e materialistico) e dello schieramento devoto (storicismo cattolico-romano) di filosofi monastici e solitari, ben addestrati all’esercizio del metodo cartesiano e della logica hegeliana.

Ma senza tener conto delle premesse chiarite da Vico relative alla “occasione dello scrivere” (4), alle “cagioni dello scrivere” (5), al “principio dello scrivere” all’ “argomento del libro”, al “metodo ed ordine seguito”, alle “parti dell’argomento” (6), e alle “definizioni del vero e del certo” (7), come è possibile comprendere il ‘terreno’ su cui si radica il suo programma e da “dove si tenta la nuova scienza” (8), la ‘crisi’ del 1723 e, infine, lo straordinario e immenso lavoro della prima (1725), della seconda (1730), della terza (1744) “Scienza Nuova”, e della sua eccezionale ultima Orazione Inaugurale (“De Mente Heroica”, 1732)?!

Non è forse meglio non ricalcare le orme dell’“ignoto vagante” (9), dichiarare semplicemente - come invita a fare lo stesso Vico - “di non aver capito l’opera” e non andare in giro a diffondere menzogne (10)?!

Nelle “parti dell’argomento”, nel “Proloquio” del “De Uno Universi Iuris Principio et Uno”, Vico così puntualmente precisa:

Nella cognizione delle cose divine ed umane, tre cose saranno da me considerate: l ’ O r i g i n e, i l C i r c o l o (l’espansione progressiva dal centro alla circonferenza), l a C o n s t a n z a, ossia l’intima e stabile coerenza, mostrando:
-  Per l’origine, come tutte da Dio provengano:
-  Pel circolo, come nella loro progressiva espansione tutte verso Iddio s’indirizzino:
-  Per la costanza, come dall’azione continua d’Iddio sieno tutte nelle originarie lor condizioni mantenute e conservate.
-  E come tralasciando l’idea d’Iddio, l’uomo da perpetui abbagli abbacinato, incappa in continui errori” (11).

Senza la conoscenza e la presa d’atto di tali premesse, come si può pretendere di dire qualcosa di sensato già sul “Diritto Universale” e, poi, sulla “Scienza Nuova” prima, seconda, e terza?! Non è meglio aprire gli occhi e la mente e cercare di capire ciò che Vico scrive (con il tono quasi di un punto esclamativo) alla fine della seconda (1730) e della terza (1744) “Scienza Nuova”: “Insomma, da tutto ciò, che si è in quest’Opera ragionato, è da finalmente conchiudersi; che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo Studio della Pietà; e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser Saggio”(12)?!

Il risultato a cui Vico perviene è acquisito proprio sulla base della saggia amministrazione razionale (già affinata dalla critica a Cartesio) della sua Ipotesi (venuta alla luce e formulata con chiarezza - come egli stesso scrive - sotto la spinta dalla lettura del “De civitate Dei”) e delle sue Premesse, unita alla formidabile lucidità metodologico-scientifica della sua “mente eroica”, strutturalmente connessa alla “scoperta fondamentale” del grande abbaglio di tutta la tradizione teologico-filosofica e politica - vale a dire, in questo caso (nel “Diritto Universale”), l’errore di Grozio: il “non aver avvertito quella processualità storica che si dispone tra lo jus naturale prius e lo jus naturale philosophicum” (13), nel confondere il “dopo” (posterius) con “il “prima” (prius) sul piano della realtà (storia) e il "prima" con il "dopo" sul piano del pensiero (della rivelazione teo-logica, storiografica) e nello stravolgere tutto.

IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS. Nicola Badaloni, benché sottovaluti il “vichiano recursus ad Deum” (14) e sorvoli filologicamente sulla vichiana prassi della carità (15), è stato uno dei pochi e saggi interpreti a rendersene conto e a muovere i suoi passi nella direzione indicata da Vico. Nella Introduzione al “Diritto Universale”, intitolata “Sul vichiano diritto naturale delle genti”, così scrive:

“Forse con questi chiarimenti è possibile intendere il senso di ciò che (con una certa forzatura polemica) è stato il il tentativo di riportare il pensiero di Vico entro il ‘700 ed entro l’illuminismo. Non di giusnaturalismo si tratta e neppure di quel tipo di giusnaturalismo che teorizza i termini del consenso a partire dal contratto. Si tratta invece dell’avvertimento di un processo che, prendendo le mosse da comportamenti che sembrano identificarsi con determinazioni naturali (necessitas, utilitas, ferinitas), conduce invece, attraverso la communitas dei linguaggi, delle religioni, delle leggi, ad un modo sociale di riferirsi a valori, che rinvia a un dispiegarsi di una comune razionalità. Vi è in ciò una forte presenza di temi cosmopolitici di matrice cattolica; tuttavia anche essi assumono valore in rapporto alle questioni di diritto internazione, ed in generale di razionalizzazione del diritto, poste da Grozio. (...) in Vico la religione è sì confermata dal progressivo affermarsi della communitas, e dei valori ed idee cui essa fa riferimento, ma anche profondamente trasformata in modo da creare una conformità tra modi di vita sociale ed idealità, che, essendo spontanea e quindi relativamente al di fuori della costrizione statale, influisce sul processo sociale che è in svolgimento e sullo stesso sviluppo delle forme politiche.
-  La razionalità vichiana è con ciò non il sovrapporsi di una dimensione artificiale a quella naturale, ma piuttosto l’esplicitarsi di questa, in quanto determina un’equazione tra lo sviluppo della razionalità e quello delle forme di convivenza sociale. (...) Costruendo una sua metafisica, difendendo entro di essa la funzione duplice della violenza (radice della storia ed in via di progressiva elisione), Vico tiene a ricordare che la genesi della società non è quella della razionalità del contratto. Lo sviluppo della storia mostra un elidersi violenza, ma anche una resistenza a tale riduzione. Di qui viene affacciandosi l’idea che il ritmo della ragione si svolga in concomitanza col modificarsi di quelle necessità ed utilità che si impongono agli uomini nelle loro relazioni sociali”.
-  E così conclude: “Dovunque si voglia individuare la fondazione teorica di questa idea per cui il modello del contratto è esso stesso un risultato storico, si tratta di un’idea feconda, una di quelle idee che sono andate anche al di là dell’illuminismo ed hanno aperto la strada alla moderna scienza della società” (16).

Detto diversamente, e a partire proprio dall’Orizzonte del “Diritto Universale” e oltre il pur prezioso lavoro storiografico già fatto, si tratta di rileggere Vico, ancora e di nuovo: dal suo lavoro ciò che emerge è una luminosissima costellazione, che modifica tutto il ‘panorama’ dell’intera cultura occidentale, e svela un inedito possibile orizzonte, al di là della contrapposizione della storia sacra e profana, rivelata e ragionata, e al di là dello “stato di minorità” - senza cadute in uno stato di super-io-rità! (Federico La Sala)


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

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-  VICO, LA TAVOLA DI CEBETE, CROCE E SFAFTESBURY. Due note su "la filosofia di G.B. Vico"


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