Messaggio finale
di Hrant Dink (il manifesto, 20.01.2007)
All’inizio il processo aperto contro di me dal procuratore capo di Sisli non mi aveva preoccupato. Non era il primo. Sono sotto processo a Urfa, dal 2002 per aver detto di non essere turco, ma armeno di Turchia. Mi hanno accusato di aver offeso l’identità turca. Quando sono andato a testimoniare a Sisli l’ho fatto senza troppa preoccupazione. Perché ero sicuro che ciò che avevo scritto non poteva essere male interpretato. Il procuratore, ho pensato, non crederà che io abbia voluto offendere l’identità turca.
Sono stato rinviato a giudizio. Non ho perso la speranza. A chi mi accusava di aver insultato il popolo turco, ho detto che non avrebbe potuto gioire: non mi avrebbero condannato. Se fossi stato condannato avrei lasciato il paese. Gli esperti chiamati a giudicare i miei scritti hanno detto che non c’erano in essi elementi di offesa. Ero tranquillo: il torto sarebbe stato riparato, tutto sarebbe finito in una bolla di sapone. Ma così non è stato. Mi hanno condannato a sei mesi di carcere. La speranza che mi aveva accompagnato e sostenuto durante tutto il processo è crollata. Ma mi ha anche dato nuova forza.
Prima della sentenza, al termine di ogni udienza venivano date in pasto all’opinione pubblica notizie false su di me. Dicevano che avevo dichiarato che il sangue dei turchi è avvelenato, mi dipingevano come nemico dei turchi. Queste cattiverie hanno cominciato a fare breccia nel cuore di tanti miei connazionali. Alle udienze adesso venivo aggredito dai nazionalisti, si inscenavano violente manifestazioni nei miei confronti. Ho cominciato a ricevere telefonate e mail di minaccia, a centinaia.
Ma io continuavo a dire, pazienza, la decisione finale renderà giustizia di tutto ciò e saranno loro a vergognarsi. L’unica mia arma era la mia onestà. Ma mi hanno condannato. Il giudice aveva deciso in nome del popolo turco che avevo offeso l’identità turca. Posso tollerare tutto, ma non questo.
Mi trovavo a un bivio: lasciare il paese oppure restare. Alla stampa ho detto che mi sarei consultato con i miei avvocati, che avrei fatto ricorso in appello e anche alla Corte europea per i diritti umani. Ho detto anche che se la condanna fosse stata confermata avrei lasciato il paese perché una persona condannata per aver discriminato suoi connazionali non ha diritto di continuare a vivere con loro.
E’ chiaro che le forze profonde che operano in questo paese vogliono darmi una lezione. Così per aver detto alla stampa queste cose è stato aperto contro di me un nuovo procedimento penale. Mi hanno accusato di aver cercato di influenzare la corte d’appello. Mi vogliono isolare, far diventare un facile obiettivo.
Mi processano perché, imputato, cerco di difendermi. Devo confessare che ho perso la mia fiducia nello stato turco e nella giustizia di questo paese. La magistratura non è indipendente, non difende i diritti del cittadino ma quelli dello stato. La condanna che mi è stata comminata non è stata pronunciata in nome del popolo turco, ma in nome dello stato turco. Abbiamo fatto ricorso. Il capo procuratore del processo di appello ha detto che non c’erano gli estremi per confermare la condanna. Ma il consiglio superiore ha deciso in maniera diversa. E anche in appello mi hanno condannato.
E’ chiaro che mi vogliono isolare, indebolire, lasciare privo di difese. Hanno ottenuto quello che volevano. Oggi sono in tanti a pensare che Hrant Dink sia uno che insulta i turchi. Ogni giorno mi arrivano sull’email e per posta centinaia di lettere di odio e minacce. Quanto sono reali queste minacce? Non si può sapere. La vera e insopportabile minaccia, però, è la tortura psicologica cui mi sottopongo. Mi tormenta pensare che cosa la gente pensa di me. Ora sono molto conosciuto: «Guarda, non è l’armeno nemico dei turchi?» Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito.
Che cosa diceva il ministro degli esteri Gul? E il ministro Cicek? «Suvvia, non esagerate con questo articolo 301. Quanta gente è finita in prigione?» Ma pagare è solo entrare in carcere? Signori ministri, sapete che cosa vuol dire imprigionare il corpo e la mente di un uomo nella paura di un colombo? In questo momento, così difficile anche per la mia famiglia, mi sento sospeso tra la morte e la vita. Ci sono giorni in cui penso di lasciare il mio paese, specie quando le minacce sono rivolte ai miei cari. Mi dicono che mi seguiranno se deciderò di andare, resteranno se deciderò di restare. Posso resistere, ma non posso mettere i miei cari a rischio. Ma se andiamo, dove andremo? In Armenia? Io che non tollero le ingiustizie, sarei forse più sicuro lì? L’Europa non fa per me. Tre giorni in occidente e il quarto voglio tornare a casa. Lasciare un inferno che brucia per un paradiso già confezionato?
Dobbiamo cercare di trasformare l’inferno in paradiso. Spero che non saremo mai costretti ad andarcene. Farò ricorso alla Corte di Strasburgo. Quanto durerà questo processo non lo so. Ma mi conforta un po’ il fatto che fino al termine del processo potrò continuare a vivere in Turchia. Il 2007 sarà un anno molto difficile. Vecchi processi continueranno, nuovi processi si apriranno. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Perché qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti, come me, ma come me liberi.
TURCHIA: IDENTIFICATO L’ASSASSINO DEL GIORNALISTA *
ISTANBUL - E’ stato identificato l’assassino del giornalista turco-armeno Hrant Dink. Si chiama, secondo quanto riferiscono i media turchi, Ogun Samas. Sarebbe stato identificato su denuncia del padre, che abita a Trabzon (Trebisonda). Il padre stesso è stato fermato per interrogatori, e oltre a lui, sono state fermate altre dieci persone di Trabzon, che saranno trasferite nelle prossime ora ad Istanbul per essere interrogate. Il giovane killer, la cui età dovrebbe essere intorno ai 25 anni, non è stato ancora rintracciato.
ERDOGAN: ERA UN FIGLIO DI QUESTA TERRA
Il premier turco Tayyip Erdogan ha ribadito oggi la volontà del suo governo di smascherare i "provocatori" responsabili dell’omicidio del giornalista di origine armena Hrant Dink. Dink, che si batteva per il riconoscimento del genocidio degli armeni, è stato ucciso ieri ad Istanbul. La polizia ha fermato otto persone sospette. "Come nazione stiamo subendo un’odiosa provocazione. Io dichiaro ancora una volta, come risposta ai provocatori che hanno le mani sporche di sangue, che i proiettili sparati contro Hrant Dink sono stati sparati contro tutti noi", ha affermato Erdogan. "Hrant Dink era figlio di questa terra", ha concluso il capo del governo turco.
* ANSA » 2007-01-20 20:33
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ERMETISMO ED ECUMENISMO RINASCIMENTALE, OGGI: INCONTRO DI PAPA FRANCESCO E BARTOLOMEO I A ISTANBUL.
RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO".
24 aprile 2015. A 100 anni dal genocidio armeno
di Miriam Rossi *
Oggi il mondo ricorda il genocidio armeno a un secolo esatto dal suo avvio, col rastrellamento di circa 200 intellettuali armeni nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 in quella che era ancora chiamata Costantinopoli. Nessuno sarebbe sopravvissuto alla deportazione verso l’interno della Penisola Anatolica, anzi la sorte di quegli uomini sarebbe stata condivisa da circa un milione e mezzo di armeni obbligati a incamminarsi tra la primavera del 1915 e il 1916 verso la Mesopotamia attraverso marce forzate definite “della morte”, in base a un progetto politico di “purificazione” etnica della popolazione dell’Impero Ottomano. La contestualità degli eventi bellici della prima guerra mondiale nonché la privazione delle guide spirituali e politiche della popolazione armena predisposta in quella prima strategica azione del 24 aprile di 100 anni fa dal ministro degli Interni ottomano Taalat Pasha, consentirono di fatto di trovare un popolo frastornato e allo sbando, privo di sostegno esterno o di forze proprie per opporsi a quel destino disumano.
Lo sterminio programmato degli armeni offrì infatti, suo malgrado, la fattispecie di riferimento con cui nei primi anni Trenta del ‘900 il giurista Raphael Lemkin coniò il termine “genocidio”, neologismo atto a indicare “un piano coordinato di diverse azioni miranti alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, con l’obiettivo di annientare i gruppi stessi attraverso la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali del gruppo”. Nonostante la piena coincidenza di questa definizione con gli avvenimenti ampiamente documentati e il riscontrato obiettivo dello sterminio su basi etniche e religiose, il genocidio degli armeni, “primo genocidio del XX secolo” come ha voluto ricordare Papa Francesco nell’omelia di domenica 12 aprile dinanzi a una delegazione delle massime autorità politiche e religiose armene, non è ovunque riconosciuto. Se dunque i crimini del nazismo e dello stalinismo, entrambi citati da Papa Bergoglio nel proseguo del suo intervento, così come altri crimini genocitari commessi più recentemente in Cambogia, Ruanda, Burundi e Bosnia, hanno scritto nelle pagine della storia i nomi delle vittime e dei carnefici, pur nella complessità delle dinamiche conflittuali, paradossalmente il primo caso riconosciuto di genocidio appare ancora aperto. La negazione del massacro da parte delle autorità della Turchia, eredi del passato ottomano, continua a suscitare tensioni diplomatiche che animano di tanto in tanto le cronache dei media internazionali. Proprio le recenti esternazioni del Pontefice a ridosso di un anniversario tanto importante ha sollevato un prevedibile vespaio da parte del governo di Ankara e la messa in moto delle diplomazie tra Vaticano e Turchia.
Eppure il Primo Ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, giusto nella medesima ricorrenza dello scorso anno aveva posto fine al negazionismo presentando le proprie “condoglianze” a nome della Repubblica Turca ai discendenti degli armeni sterminati nel 1915 sotto l’Impero Ottomano. Un’ammissione epocale perché per la prima volta un capo del governo turco aveva ammesso quanto accaduto, pur non spingendosi però a riconoscere nell’eccidio un atto di genocidio, un’azione che suscita una ben più alta riprovazione. La lotta contro il negazionismo dello Stato turco va dunque avanti e ampio seguito stanno ottenendo le attività promosse dall’Associazione “Remember 24 April 2015”, che ha organizzato per oggi una grande manifestazione a Istanbul per commemorare l’anniversario lanciando un appello all’unione tra i popoli, non solo per rendere giustizia agli armeni massacrati ma anche per dare un messaggio di garanzia delle libertà fondamentali e di piena democrazia. “Ricordo ed esigo” è lo slogan del centenario: ricordare ed esigere non solo per tener viva la memoria di ciò che è stato fatto, ma anche per condannare, giudicare ed esigere il riconoscimento del genocidio armeno nell’ottica che altri genocidi non possano accadere. Il negazionismo si configura infatti come una forma di prosecuzione del genocidio; da questa ragione deriva il forte impegno della società civile per convogliare in questo anniversario un’occasione per lenire il trauma del genocidio trasmesso da una generazione all’altra nelle comunità armene e, inoltre, per battersi contro il razzismo e l’odio che investe gli armeni e altre minoranze non musulmane.
Una ferita che a distanza di 100 anni non permette ancora alla Turchia di confrontarsi con il proprio passato e di riconoscere dunque il fatto storico nella sua pienezza. Le ragioni sono identificate dallo studioso turco Taner Akçam, tra i primi ad affrontare apertamente la questione del genocidio armeno in Turchia, nella coincidenza tra i padri fondatori del moderno stato turco e coloro che si sono macchiati di genocidio e che hanno generato la classe politica che si è poi mantenuta ininterrottamente al potere. Tuttavia fu lo stesso “padre” della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk, a definire l’eccidio armeno “un atto vergognoso” mettendo in piedi la macchina giudiziaria per processare i diretti responsabili del massacro. Un’esposizione che va contestualizzata nei complessi negoziati che la Turchia stava allora trattando da Paese sconfitto all’indomani del primo conflitto mondiale e dunque nel tentativo di dimostrare la propria serietà istituzionale, anche dando prova di democrazia e giustizia col caso armeno. Alla firma del Trattato di pace e in mancanza dell’accordo sul mantenimento dell’integrità territoriale della Turchia, la persecuzione degli autori del genocidio perse di significato. “Come potrebbero spiegare che per novant’anni hanno mentito? Se anche lo facessero non funzionerebbe” argomenta oggi Akçam. Sviluppare una nuova identità nazionale turca risulta allora indispensabile per il riconoscimento del genocidio, conosciuto in Turchia da appena il 10% della popolazione.
Miriam Rossi
Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale e autrice di diversi saggi scientifici e di una monografia in materia. Attualmente impegnata nel campo della cooperazione internazionale, è referente per l’associazione COOPI Trentino e collabora con altre realtà del Terzo Settore a livello di formazione, progettazione e comunicazione.
* UNIMONDO.ORG, Venerdì, 24 Aprile 2015 (ripresa parziale).
Turchia, l’assassino di Dink: ’’Aveva offeso i turchi’’. Ogun Samast, 17 anni: ’’Per questo ho deciso di ucciderlo e non provo alcun rimorso’’
Istanbul, 21 gen. (Adnkronos/Ign) - Ogun Samast, arrestato ieri sera per l’omicidio del giornalista turco d’origine armena Hrant Dink a Istanbul, ha confessato di aver sparato e ucciso lo scrittore davanti alla sede del settimanale ’Agos’ da lui diretto. Lo riferisce l’agenzia di stampa turca ’Anatolia’.
Secondo la ’Cnn’ turca Samast, 17 anni, ha detto alla polizia, durante l’interrogatorio, di aver assassinato Dink perché aveva offeso il popolo turco. ’’Ho letto in internet che aveva detto: ’sono turco ma il sangue turco e’ sporco’. Quindi ho deciso di ucciderlo’’, ha riferito agli inquirenti il giovane killer.
’’Non provo alcun rimorso’’, ha aggiunto il ragazzo, originario di Trabzon (Trebisonda), nel nordest della Turchia, che secondo i media turchi era un abituale frequentatori degli ambienti ultranazionalisti.
TURCHIA: GIORNALISTA UCCISO, DIFFUSO IDENTIKIT DEL KILLER
ISTANBUL - La polizia di Istanbul ha diffuso un identikit del giovane killer che ha ucciso ieri il giornalista turco-armeno Hrant Dink. Dall’identikit diffuso il killer sembra essere dell’apparente età di 20-30 anni con baffi e barba incolta. E’ vestito con una giacca jeans ed un cappellino bianco, secondo le indicazioni dei testimoni che hanno assistito ieri all’omicidio di Dink davanti al portone della rivista "Agos" di cui Dink era direttore e proprietario.
OTTO PERSONE FERMATE
Altre 5 persone sono state fermate questa mattina dalla polizia turca in relazione all’assassinio di ieri del giornalista turco-armeno Hrant Dink, portando così a 8 il numero delle persone in stato di fermo per l’omicidio, mentre gli investigatori cercano di dare un volto ed un nome al giovane assassino ed ai suoi complici.
Una telecamera vicina alla sede della rivista "Agos" (di cui Dink era direttore) ha ripreso la scena dell’omicidio, ma ancora non è stato possibile identificare il giovane killer dell’apparente età tra i 20 e i 30 anni, secondo le tv turche di questa mattina. I giornali turchi di stamani biasimano energicamente l’omicidio come "un tradimento della patria che colpisce la democrazia turca" (Hurryet e Sabah) e puntano il dito sugli ultranazionalisti (Radikal) e sulle "forze oscure" del cosiddetto "stato profondo" turco (Vatan).
Queste forze, secondo la stampa islamica turca, starebbero mettendo in atto una sorta di strategia della tensione per creare il caos nel paese (Zaman e Milli Gazete). Il giornale islamico Yeni Shafak scrive che quelle forze oscure "hanno sacrificato il nostro Hrant Dink". Tutti i giornali turchi riferiscono poi delle manifestazione svoltesi ieri in varie città con migliaia di persone a Istanbul e con centinaia di persone a Smirne ed a Bursa. (ANSA) - ISTANBUL, 20 GEN - "Abbiamo preparato un Cd con le immagini della persona responsabile dell’attacco, ingrandite con mezzi tecnici. che lo mostrano mentre corre e punta una pistola contro il giornalista", ha detto in televisione il governatore di Istanbul Muammer Guler. "Lanciamo un appello a chiunque abbia informazioni e a tutti i testimoni perché contattino la polizia", ha aggiunto Guler.
* ANSA » 2007-01-20 10:19
Turchia, ucciso giornalista armeno
Era stato processato per offesa alla patria. Per le strade di Istanbul è caccia all’assasino *
ISTANBUL. È caccia all’uomo per le strade di Istanbul. La polizia sta cercando l’assassino del giornalista turco di origine armena Hrant Dink, una delle voci più autorevoli del settore, direttore del settimanale bilingue turco-armeno Agos e più volte attaccato dagli ultranazionalisti e sotto processo per tradimento della patria per le sue dichiarazioni sul genocidio degli Armeni del 1915, in base al famigerato articolo 301 del codice penale turco, che l’Europa vorrebbe cancellato o quantomeno emendato. Per i colleghi giornalisti o per chi lo conosceva bene, la morte di Dink «è una perdita per la Turchia» e le pallottole che hanno colpito il suo corpo, hanno «colpito il Paese».
Sarebbe un ragazzo tra i 18 e i 19 anni, con un cappello bianco e una giacca di jeans, secondo le prime ricostruzioni, l’omocida dileguatosi dopo aver esploso quattro colpi di pistola, due dei quali hanno colpito alla testa il 53enne giornalista e lo hanno lasciato senza vita davanti all’entrata della sua redazione a Sisli, nella parte europea di Istanbul. La televisione Ntv riporta che la polizia turca è alla ricerca dell’assassino la cui identità rimane ancora sconosciuta. Per il quotidiano Hurriyet si potrebbe trattare di più di un uomo. Le forze dell’ordine hanno circondato la zona per precauzione. L’omicidio non è stato ancora rivendicato, ma secondo le prime ipotesi potrebbe essere stato commesso da un giovane estremista.
Un colpo al cuore per la Turchia, quella che vuole fortemente entrare in Europa e che adesso si trova con la patata bollente della libertà di espressione di nuovo sotto i riflettori europei. Dink, infatti, era stato preso di mira dagli ultranazionalisti, da quei lupi grigi che hanno pilotato la maggior parte dei processi per offesa all’identità turca secondo l’articolo 301. Dink, più volte alla sbarra, viveva con la spada di Damocle di quattro anni di prigione. L’accusa era in mano all’avvocato Kemal Kerencsiz, lo stesso che aveva trascinato in tribunale il premio Nobel Orhan Pamuk e la scrittrice Elif Shafak. L’udienza era stata aggiornata al prossimo 18 aprile, non senza imbarazzo da parte delle autorità turche, sotto pressione da parte di Bruxelles. Ma Dink, che aveva dichiarato di non volere vivere in un Paese che non lo vuole, non potrà difendersi.
* La Stampa, 20.01.2007