di Gianpasquale Santomassimo (il manifesto, 29.08.2009)
Non fu l’unghia bisulce del Diavolo, ma furono le poppe di Tinì Cansino ad annunciare la venuta dell’Anticristo nel Drive In dell’Italia gaudente e volgare degli anni Ottanta. Comunque si concluda questo ciclo lunghissimo della vita italiana, dovremo alla fine registrare il tentativo più massiccio e riuscito di scristianizzazione della società italiana mai avvenuto nella nostra storia.
Ma qui non si sta parlando solo dello stile di vita del premier, delle sue «scostumatezze» e del «gaio libertinaggio» (in realtà triste e compulsivo) a cui si abbandona: ed è significativo che solo gli scandali sessuali abbiano risvegliato sconcerto in una parte della Chiesa, incapace di vedere quello che è dietro l’apparenza vistosa, il commercio di corpi, di intelligenze, di volontà, femminili e maschili, che è parte integrante di un sistema di disvalori che opera e prevale da trent’anni.
Il fondo anticristiano del blocco sociale e culturale che domina l’Italia non può a lungo venire mascherato dall’ossequio untuoso e ipocrita, tipico di un clericalismo ateo, alla religione come fattore di ordine e stabilità, alle battaglie di contenimento e repressione che parte della Chiesa giudica «irrinunciabili» sul terreno della bioetica e dei diritti della persona.
Ma emerge da tempo qualcosa che chiama in causa i fondamenti stessi di una civiltà, che non dipende da decisioni «storiche» della Chiesa in quanto istituzione (quante battaglie «irrinunciabili» della Chiesa dell’Ottocento sono finite giustamente nel dimenticatoio assieme al Sillabo?) ma investe il deposito primario e realmente inalienabile del messaggio cristiano.
Su accoglienza ed emigrazione la maggioranza di governo ha espresso, nella sua cultura quotidiana ancor più che nelle leggi, quanto di più anticristiano fosse possibile e ipotizzabile. Le uscite estive della Lega hanno solo incrudelito qualcosa che era già diffuso e percepibile, ormai quasi consuetudinario in una società postcristiana ossessionata solo dai problemi delle tasse e della sicurezza.
Per la Lega l’identità cristiana è una tradizione locale come la polenta taragna o la corsa nei sacchi, che serve, quando serve, solo a marcare lontananza ed estraneità con quello che è oltre il piccolo orizzonte che presidia. Gli sfugge qualunque elemento che richiami alla misericordia, alla carità e all’amore del prossimo che è ciò che rende riconoscibile e credibile la sostanza stessa del cristianesimo.
È del tutto tipico che si tenti di risolvere il contrasto che sta aprendosi con contropartite di potere e vantaggi in favore del Vaticano, sul piano legislativo e normativo, un do ut des che fa della Chiesa un Mastella enormemente più grande da compensare e rabbonire. Non è detto che questo non possa funzionare nell’immediato: la polemica interna al mondo cattolico testimonia di uno scontro tra clericali e democratici ricorrente e abituale negli ultimi decenni. Dove i cattolici democratici si sono trovati in questi anni a difendere valori universali della democrazia italiana e della forma storica che essa ha assunto nell’esperienza repubblicana: mentre il grosso della sinistra tentava Bicamerali e Grandi Riforme, a uomini come Dossetti, Scoppola, Elia, Scalfaro è stata affidata la difesa della civiltà costituzionale italiana. Non da soli, ma in posizione predominante e con coraggiosa limpidezza.
Ma la partita che si è aperta adesso non riguarda la Chiesa in quanto istituzione, e neppure il solo mondo cattolico nel suo complesso, ma l’intera società italiana e la sua identità più profonda, che esce snaturata e irriconoscibile da trent’anni di dominio culturale e da quindici anni di egemonia politica di questa destra.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’ITALIA E L’ATTACCO DI COGLIONERIA. Una lettera del 2006
Un male senza banalità
di Gianpasquale Santomassimo (il manifesto, 27 gennaio 2012)
Per quanto strano possa sembrarci oggi, è relativamente recente la centralità della memoria dello sterminio del popolo ebraico nella coscienza occidentale. Non che non si sapesse cosa era accaduto: ne parlavano i nostri libri di scuola, ma era presentata solo come una grande tragedia fra gli innumerevoli lutti della seconda guerra mondiale. È stato necessario molto tempo perché si elaborassero in tutte le loro implicazioni l’enormità, la specificità e l’unicità del fenomeno: e anche da parte delle vittime è spesso dovuto passare il tempo necessario perché si potesse trovare la forza di raccontare ciò che appariva indicibile.
Commemorazione da un lato, istituzionalizzata nella giornata della memoria del 27 gennaio, e ricerca e riflessione dall’altro sembrano procedere spesso su binari paralleli che raramente si incontrano. Una felice eccezione è stata rappresentata quest’anno in Italia dal convegno fiorentino su Shoah, modernità e male politico che ha teso a fare il punto su acquisizioni e dibattiti più recenti della storiografia internazionale come della riflessione filosofica e sociologica sulla Shoah.
Le prime caratteristiche che emergono dal complesso dei lavori sono senza dubbio quelle dell’ampliamento e dell’approfondimento della tematica. Ampliamento geografico, in primo luogo: l’apertura degli archivi sovietici consente di includere in maniera documentata territori come quelli della Bielorussia e in parte dell’Ucraina, a pieno titolo inseriti nella fabbrica dello sterminio, come anche del collaborazionismo e delle complicità che ovunque accompagnarono il fenomeno. Viene confermata la partecipazione diretta allo sterminio della Wehrmacht e della polizia, a lungo negata o sottaciuta nell’autorappresentazione tedesca (Browning).
Cadono molti luoghi comuni, fortunati e tenaci, come quelli formulati da Hanna Arendt su Eichmann ne La banalità del male: il vertice dello sterminio non era costituito da grigi burocrati, che si limitavano ad eseguire ordini, ma era formato da personale molto qualificato e competente.
Non era la feccia della società, come ci piacerebbe credere, ma una élite di rango anche accademico: antropologi, giuristi, studiosi di scienze sociali, architetti, persone in ogni caso convinte di perseguire una missione che volevano portare fino in fondo (Collotti). Più che opportunismo, era adesione ideologica, che trovava il suo fondamento in un antisemitismo di massa che nel corso della guerra si poneva l’obiettivo di effettuare una trasfusione di sangue nel corpo dell’Europa, cambiando radicalmente la natura del continente.
Antigiudaismo di massa
Contestualizzare la Shoah è tema arduo ma inevitabile, per non farne celebrazione dai toni quasi religiosi e catartici, e include anche inevitabilmente un elemento di comparazione, largamente usata e forse anche abusata in maniera cervellotica negli ultimi vent’anni. Anche chi, fondatamente, teorizza l’unicità e al tempo stesso l’incomparabilità del fenomeno deve aver preliminarmente compiuto una comparazione che giustifichi il suo convincimento.
Le domande di fondo di una contestualizzazione sono quelle riassunte da Browning in questi termini: «Perché gli ebrei? Perché i tedeschi? Perché nel XX secolo?». Alla prima domanda forse è più facile rispondere oggi, perché sono stati ampiamente ripercorsi i sentieri di un antisemitismo e di un antigiudaismo profondamente radicati nell’Europa cristiana (Battini), di intensità diversa nelle singole fasi di questo percorso, e in grado di riaccendersi nei momenti di crisi, in cui la ricerca di un capro espiatorio dei mali della società ritrovava il suo archetipo ideale.
Meno banale e ricca di implicazioni nuove è la domanda: perché i tedeschi? Oggi può sembrarci una domanda scontata, avendo alle spalle una lunga elaborazione, che è stata anche in parte riflessione autocritica della parte migliore della società tedesca, sulla formazione storica del «carattere tedesco» (Burgio, anticipato in sintesi su questo giornale il 19 gennaio). Ma probabilmente un osservatore della fine dell’Ottocento, chiamato a pronosticare il paese che avrebbe avuto più problemi con la questione ebraica nel secolo successivo, avrebbe indicato nella Francia dell’affaire Dreyfus il luogo più critico, mentre in Germania l’integrazione ebraica appariva in via di definitivo compimento. L’intensità e la rapidità dell’affermazione di un antisemitismo di massa tra le due guerre sono tra i fenomeni più sconvolgenti dell’Europa fra le due guerre, premessa necessaria in Germania della costruzione sociale dello sterminio.
Quello che oggi appare indubbio è il coinvolgimento amplissimo e rapido della «società civile» tedesca e delle sue istituzioni portanti. Già nel 1935 sulle toghe nere dei giudici viene applicata un’aquila che regge fra gli artigli una svastica e una spada, e il ritratto di Hitler incombe nelle aule dei tribunali (Schminck-Gustavus). Una adesione così vasta da rendere problematica e sterile la «denazificazione» del secondo dopoguerra. Per la penuria dei giudici, fu istituito il principio per cui ogni giudice non iscritto al partito nazista doveva farsi affiancare da un magistrato compromesso. I risultati furono generalmente assolutori, e anche le condanne vennero in breve annullate da provvedimenti di grazia.
«Non possiamo buttare via l’acqua sporca, finché non abbiamo acqua pulita», è la frase molto significativa attribuita al cancelliere Adenauer: un problema che era indubbiamente serio (e non ignoto, peraltro, anche a noi italiani, ove si pensi che il primo presidente effettivo della Corte Costituzionale - dopo la presidenza onorifica e inaugurale di Enrico De Nicola - fu Gaetano Azzariti, che era stato anche l’ultimo presidente del Tribunale della Razza). Né le cose sembrano essere andate molto meglio nella Rdt, al di là della propaganda ufficiale, dove una rapida conversione al nuovo partito unico garantiva spesso assoluzione e continuità di carriera.
Il secolo della razza
Ma il problema tedesco ha molte altre dimensioni, e contribuisce a porre nuovi interrogativi proprio l’ultima domanda, quella relativa alla periodizzazione. Non mancano certamente i residui di una retorica sul «secolo assassino» e l’agitarsi del fantasma indistinto del «totalitarismo» onnicomprensivo, la più fortunata tra le molte approssimazioni banalizzanti di Hanna Arendt. È molto stimolante l’emergere di una periodizzazione che pone a cavallo tra Otto e Novecento il processo unificato di un racial century (1850-1945). Quel «secolo della razza» che si dipanò in strettissimo collegamento con imperialismo e colonialismo e che produsse rituali e abituali atrocità, e nel quale per la prima volta l’elemento razziale divenne non accessorio ma fondante di espansione e dominio. Da questo punto di vista, assumono un valore prima ignorato gli stermini coloniali a sfondo razziale compiuti nell’Africa Sud-occidentale tedesca, pratica nella quale, come sappiamo, i tedeschi non furono isolati nel novero delle potenze coloniali.
La logica coloniale, come quella imperialistica, è uno dei termini di inquadramento possibili, ma quello che emerge come il vero tratto comune e indispensabile di tutti gli stermini rimasti nella memoria di quello che potremmo definire «secolo lungo», è soprattutto l’elemento della guerra, incubatrice indispensabile per la costruzione sociale e culturale dei genocidi. Vale per turchi e armeni, come per giapponesi e cinesi, e per tutte le popolazioni decimate nelle guerre coloniali.
E da questo punto di vista, va ricordato che tutta l’espansione ad Est fu concepita dalla Germania come guerra di sterminio (Bartov), che i venti milioni di russi uccisi furono dal punto di vista quantitativo l’apice di questa pratica, e che l’estirpazione del popolo ebraico era parte di un progetto di ristrutturazione razziale dell’Europa, e soprattutto di quella orientale, sbocco prestabilito dello spazio vitale che la Germania riservava a sé.
Theodor Adorno, a caldo, paragonò il trauma di Auschwitz per l’umanità del XX secolo a quello che era stato il terremoto di Lisbona del 1755 per Voltaire e gli illuministi. Ma in realtà la portata dell’interrogazione prodotta dallo sterminio era molto più ampia di quella che aveva potuto coinvolgere credenti o deisti come i philosophes, perché andava oltre i termini della fede e investiva l’umanità nel suo complesso (Neuman). Da allora la coscienza occidentale non ha smesso di chiedersi come è stato possibile, e, anche, se può essere ancora possibile (Seppilli).
Colpisce che in molte relazioni, e soprattutto in quella di Zygmunt Bauman, venga richiamato l’episodio recente di Abu Ghraib nella guerra irachena degli Stati Uniti. Non certo per effettuare una comparazione impossibile o istituire un parallelismo privo di senso. Ma per osservare, come in un esperimento di laboratorio, che in clima di guerra dei tipici ordinary men, ragazze e ragazzi della porta accanto, possano trasformarsi - se dotati di potere illimitato e convinti di portare a termine una missione - in qualcosa che loro stessi avrebbero ritenuto impensabile nella loro vita normale.
Crisi sociale e manovre di palazzo
Cristiani di tutto il mondo unitevi e fate sentire la vostra voce.
di Giovanni Sarubbi *
Boffo dunque alla fine si è dimesso. Si è dimesso lo stesso giorno della pubblicazione su Avvenire di un elenco di ben 10 falsità che il direttore de “il giornale”, secondo Boffo, ha scagliato contro di lui. Tutto falso, dieci volte falso, ma si è dimesso lo stesso. Perché dimettersi se le accuse di Feltri sono tutte false? Io mi sarei aspettato una immediata citazione per danni nei confronti di Feltri. Invece no, ci sono le dimissioni che non hanno un senso logico.
Di li a poche ore c’è stato l’incontro fra il cardinale Bagnasco e la Lega Nord nelle persone di Bossi e Calderoli. Gli autori delle “leggi porcate”, i promotori della xenofobia e islamofobia, coloro che si sono sposati con riti celtici e che hanno promosso riti pagani sulle sponde del fiume Po, sono stati ricevuti come i più genuini difensori delle “radici cristiane dell’Italia e dell’Europa”, tanto che Bossi ha potuto dichiarare di “aver scoperto che la Chiesa cattolica non ce l’ha con la Lega”. Tutto nello stesso giorno, quasi a dimostrare come si tratta di fatti strettamente legati fra di loro.
Sia chiaro noi non ci stracceremo le vesti per le dimissioni di Boffo anche rispetto a quello che abbiamo scritto l’altro ieri. Egli non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Si è limitato a pubblicare parzialmente su Avvenire un articolo del giornalista Nicotri, con tanto di link al suo sito contenente attacchi durissimi contro Bertone e Benedetto XVI, dicendo così implicitamente di sapere bene da dove veniva l’attacco nei suoi confronti e quale ne era lo scopo.
L’omosessualità di Boffo, presunta o reale che sia, è il pretesto che è stato usato contro di lui per affermare il rigido allineamento che tutte le strutture della Chiesa Cattolica Romana devono avere con ciò che si pensa in Vaticano. Nessuno può sgarrare, come fra l’altro dimostra l’avvio da parte della “Congregazione per la dottrina della fede” di un processo inquisitorio contro i 41 preti che all’inizio del 2009 firmarono un appello “per la libertà sul fine-vita” promosso dalla rivista MicroMega dopo la morte di Eluana Englaro. La polizia segreta vaticana è all’opera e ha sguinzagliato i suoi agenti.
Siamo oramai al “Papa Re”, ad un nuovo e più devastante potere temporale del Vaticano nei confronti dell’Italia. Altro che “vicario di Cristo” o di Dio che dir si voglia. Quello che si intravede all’orizzonte fa venire la pelle d’oca.
Non sappiamo ovviamente se siano veri tutti gli scenari e le ipotesi che circolano in questi giorni sulla stampa ma, come si dice, la dove c’è fumo c’è pure un po’ di arrosto o per lo meno un fuoco che brucia. E comunque la si metta nulla di buono c’è all’orizzonte per i semplici cittadini dell’Italia, per quelli che non posseggono un patrimonio di svariati miliardi di euro e che vivono con la pensione o lo stipendio da operaio o impiegato, peggio se precari.
Bagnasco ed il duo Bossi-Calderoli avranno trovato l’intesa sulla questione degli immigrati? E su che cosa si sono messi d’accordo? Perché la CEI ha voluto dare una patente di credibilità e di cattolicità alla Lega Nord, un partito che da quando è nato ha fomentato gli odi per gli immigrati, per i meridionali, per gli islamici, per i rom? Che necessità ne aveva? Le tante comunità cristiane che in Italia si stanno opponendo concretamente all’obbrobrio del “pacchetto sicurezza”, accogliendo e proteggendo gli immigrati senza permesso di soggiorno, potranno continuare a farlo o saranno denunciate dagli stessi vescovi o direttamente dal Vaticano? Purtroppo non si tratta di una domanda tendenziosa: è già successo in America Centrale e in Sud America, nel periodo della lotta cruenta contro la “Teologia della liberazione” che ha prodotto migliaia di martiri, fra cui Oscar Romero. E cosa farà il Vaticano contro quelle chiese, come per esempio la Chiesa Valdese, che si sono espresse contro il “pacchetto sicurezza”? E sulle condizioni di vita e di lavoro degli operai, degli impiegati, dei tantissimi cassintegrati, dei precari della scuola o di quelli prodotti dalle leggi che hanno legalizzato il caporalato e il supersfruttamento, che posizioni assumerà la gerarchia cattolica? Penserà solo alle sue finanze e ai suoi tanti privilegi?
Oramai in tutta Italia ci sono centinaia di situazioni di crisi aziendali che stanno portando i lavoratori a praticare forme di lotta spettacolari: ci si incatena sui tetti, sui carri ponte, davanti ai provveditorati, o si fanno manifestazioni in mutande per dire che la situazione è drammatica e che chi non ha nulla da perdere è disposto a tutto per difendere il proprio diritto alla vita. Stanno praticando l’evangelico “se qualcuno ti vuole depredare del tuo mantello tu denudati completamente, denuncia platealmente la sua ingordigia”.
Ma lo scenario politico che si intravede nelle manovre in corso e di cui il “caso Boffo” fa parte, ci dicono che il Vaticano non ha in mente il bene del popolo italiano, non ha interesse a sostenere un blocco sociale imperniato su chi suda e lavora, su chi difende l’ambiente, su chi si oppone all’arricchimento di pochi individui ai danni dell’intera collettività nazionale. Il blocco sociale che si intravede nelle manovre in corso è sempre imperniato sul grande capitale industriale e finanziario, lo stesso che è responsabile della pesante crisi economica che stiamo vivendo. Quello a cui sta lavorando il Vaticano è un blocco sociale guidato magari da un premier più presentabile, meno screditato e pericoloso per gli stessi capitalisti nostrani come è Berlusconi. I giornali fanno il nome di Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente di Confindustria e Presidente della Fiat, e di Pierferdinando Casini, leader UDC. Cosa cambierebbe per la povera gente? Questo è il contributo che la gerarchia cattolica vuole dare al superamento della più grave crisi economica, politica, morale e sociale della nostra collettività nazionale? E sulla guerra, nella quale il nostro paese è impegnato in varie parti del monto con circa diecimila soldati italiani dislocati nei punti più caldi, cosa vuole fare il Vaticano? E sulla immane questione dei rifiuti che sta per distruggere definitivamente l’ambiente della regione Campania e su cui tanti cristiani si sono impegnati? E sul riscaldamento globale, la morte per fame di alcuni miliardi di esseri umani? Come si concilia il termine “cattolico”, cioè universale, con manovre di palazzo, con imboscate scandalistiche, con la mancanza di misericordia nei confronti di chi soffre, a fronte di una sporcizia, di cui lo stesso Ratzinger parlò prima della sua elezione, che permea gran parte della gerarchia cattolica?
Per la gerarchia della chiesa cattolica valgono le parole scritte dal profeta Ezechiele: «Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza.» (Ez 34,2-4 )
Cristiani di tutto il mondo unitevi e fate sentire la vostra voce.
* Il Dialogo, Sabato 05 Settembre,2009.
La partita con la Chiesa
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 04.09.2009)
No, non sono affari interni della Chiesa, come ha commentato chi ancora impugna la pistola fumante - e la impugna perché chi l’ha armato non gliel’ha mai tolta di mano. Singolare affermazione, del resto: ma non era questo il governo che si professava più vicino alla Chiesa, quello che aveva avuto fin dall’inizio il soddisfatto via libera delle gerarchie ecclesiastiche? Oggi invece quella destra cattolica obbediente e collaborativa così gradita a eminenti cardinali finge un laico e pudico disinteresse per i problemi della Chiesa.
D’altra parte, la domanda che tutti ci poniamo è: quale Chiesa? Ne abbiamo viste diverse nei giorni scorsi e non abbiamo mai avuto l’impressione di trovarci davanti alla antica istituzione sacrale che immaginavamo capace di rispondere severamente e dal suo più alto livello all’attacco che l’ha ferita. Una cosa almeno è certa: le dimissioni del direttore dell’Avvenire sono un fatto che di per sé esclude qualunque possibilità di chiudere l’episodio a un fatto interno di chicchessia, tanto meno a un fatto interno della Chiesa.
Ci fu all’inizio il tentativo di chiudere tra parentesi le tensioni tra un premier e una chiesa italiana in agitazione facendo ripartire l’antico ron-ron della diplomazia ovattata, dei contatti riservati, magari dei colloqui tra un premier discusso e il segretario di Stato vaticano intorno a un tavolo conviviale all’ombra di un antico rito solenne del perdono.
Ma qui il percorso si interruppe: quel premier aveva un giornale di famiglia e il suo direttore fece partire in quel preciso momento un attacco inqualificabile contro l’Avvenire, organo della Conferenza episcopale italiana. Uno scandalo: bisogna che gli scandali avvengano, dice la parola del Cristo dei Vangeli canonici. Non così hanno pensato le menti diplomaticamente esercitate del mondo vaticano, d’accordo col Grande Inquisitore di Dostoevskij nel ritenere che l’ordine del mondo è troppo prezioso per metterlo a rischio con un ritorno della parola di Cristo.
C’era stata una mossa per far rientrare lo scandalo: una proposta di tregua con scambio dei caduti. La Chiesa-Potere aveva calato molto tempestivamente la carta più alta nelle sue mani per dimostrare la sua buona volontà e far rientrare la vicenda «citra sanguinem», senza versare sangue, come dicevano le regole della tortura dell’Inquisizione. L’aveva calata nientemeno che il direttore dell’Osservatore Romano nell’intervista al Corriere della Sera: un bel rimbrotto a Boffo e un’offerta di continuare come nulla fosse. Meglio una sola vittima che uno scontro dagli esiti imprevedibili. Era un prezzo sostenibile per pagare la pace politica e la tranquilla gestione dei problemi etici in discussione nel prossimo autunno - testamento biologico, pillola abortiva e così via. Ma la logica dello scambio richiedeva un passo analogo dall’altra parte: la parallela rimozione di Feltri dalla direzione del Giornale o almeno una smentita adeguatamente sdegnata da parte del suo padrone. Abbiamo visto com’è andata a finire. È finita che Boffo si è dimesso. Perché?
Sul piano umano possiamo ben capirlo: ed è questo l’unico piano comprensibile e condivisibile. La vittima designata non ha accettato il suo destino, non ha aspettato di essere dolcemente rimossa da mani curiali in tempi più tranquilli: si è tolta di mezzo da sola. Diciamo vittima con la piena consapevolezza che qui la parola è quella giusta. L’aggressione contro Boffo ha teso a distruggerne strumentalmente il ruolo sociale e la vita privata, sfruttando cinicamente il clima di linciaggio che il semplice sospetto di scelta o tendenza omosessuale sta scatenando oggi in Italia, indizio questo sì della malattia morale e della regressione nazistoide del paese. Quanto alle dimissioni, era stato monsignor Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli affari giuridici, che ne aveva formulato per primo l’ipotesi. Mogavero sapeva che le dimissioni sarebbero state intese come ammissione di colpa.
Lo sappiamo tutti: in Italia, fin dai tempi di Dante Alighieri, la parte offesa e ferita diventa nel grido collettivo la parte colpevole. Ma quali saranno da oggi le sedi opportune per accertare i fatti? E quali fatti ancora si dovrebbero accertare? Una cosa sola è chiara: con le dimissioni di Boffo si apre un vuoto: non solo fra le voci autorizzate e autorevoli della Chiesa-Potere e il titolare del potere politico e monopolista dei media italiani, ma anche all’interno dell’arcipelago che si chiama Chiesa in Italia o Chiesa italiana.
Adesso forse qualcuno tenterà ancora di chiudere la partita con qualche paroletta di solidarietà. Si potrà sempre battere una pacca consolatoria sulla spalla del dimissionario, contando sul fatto che tanto in Italia chi si dimette ha sempre torto. Si potrà dire che il direttore di Avvenire è stato oggetto di un «inqualificabile attacco mediatico» - questo il commento, per esempio, del cardinale Angelo Bagnasco.
Bagnasco è il presidente della Conferenza episcopale italiana e in quanto tale è responsabile della condotta di Avvenire e del suo direttore quasi quanto Silvio Berlusconi è responsabile delle scelte del Giornale di famiglia. L’attacco è inqualificabile ma non viene da un killer ignoto. Viene dall’impero italiano dei media ed è ascrivibile al suo padrone. Il contenzioso opporrà la Chiesa nelle sue molte forme ed espressioni italiane al presidente del Consiglio tanto più direttamente e immediatamente quanto più lo spazio tra i due è rimasto sgombro e vuoto.
E c’è qualcosa di grottesco nella scena che si profila: il dialogo tra un’entità teoricamente monolitica e governata da un Papa infallibile e ostile al relativismo, oggi diventata una Babele di linguaggi, e il capo di un governo teoricamente democratico che parla la lingua di un potere intollerante di ogni critica e si immagina nei panni fumettistici di un Super Supeman.
Le due chiese e il principe
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 01.09.2009)
«Abbiamo dunque con la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo obligo: di essere diventati sanza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra: questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa». Il tempo muta tutte le cose e non lascia niente com’era. Ma la realtà odierna, pur nelle nebbie che coprono ai nostri occhi i movimenti e i moventi reali, sembra offrire materiale adeguato per una verifica della diagnosi di Machiavelli.
Assistiamo oggi a un conflitto aperto e pubblico tra la coscienza morale del popolo cattolico italiano coi suoi preti e i suoi vescovi e le necessità strategiche della Chiesa come potere (quella che Machiavelli chiamava la Corte di Roma). Dalla parte dei primi è affiorato con toni sofferti il disagio davanti allo spettacolo di un potere senza freni e senza pudore.
Annunciatosi in sordina, cresciuto col brontolio di un tuono lontano, quel disagio è esploso nello scandalo e nella protesta: i corpi utilizzati per i piaceri e quelli condannati a sparire nel Mediterraneo hanno scatenato un moto di ripulsa e il quotidiano dei vescovi e della Chiesa italiana ha dovuto dargli espressione, sia pure con i toni smorzati della retorica ecclesiastica. Ci si chiedeva che cosa corrispondesse a quel disagio nell’ovattato silenzio dei palazzi vaticani. E già le cene progettate e le perdonanze estorte all’ombra di quel papa Celestino morto prigioniero di un altro Papa facevano intuire che la diplomazia della Chiesa-Potere si stava adoperando per coprire e sedare.
Forse un giorno i movimenti segreti della diplomazia saranno resi noti dagli storici. Ma non c’è stato bisogno di un appuntamento segreto come quello che ci fu tra il 19 e il 20 gennaio 1923 tra il cardinal Gasparri e il cavalier Mussolini per orientare la politica della comunicazione pubblica di parte vaticana e portare all’uscita di ieri del direttore dell’Osservatore Romano sul Corriere della Sera. Da quella intervista ricaviamo un giudizio severo: ma non sull’aggressione del quotidiano berlusconiano al dottor Boffo che il cardinal Bagnasco ha definito «disgustoso», bensì sulle critiche che il quotidiano diretto da Boffo aveva avanzato nei confronti del berlusconismo immorale.
E allora ci si chiede fino a che punto la marcia della Chiesa-Potere può accordarsi al cammino delle coscienze italiane. Per sfuggire all’emozione e all’ira di un ignobile, disgustoso scenario di primi piani - ma la politica non è roba da stomaci delicati, com’è noto - ricorriamo al campo lungo della storia. Ci soccorre un libro importante che finalmente riprende in esame la questione dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia in tutta la sua complessità e nell’intrico dei movimenti reali: lo ha scritto un valente storico, Roberto Pertici, lo pubblica per i tipi del Mulino il Senato della Repubblica (Chiesa e Stato in Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984)).
La storia è scienza difficile, richiede che le passioni tacciano e che lo sguardo acquisti la lucidità di chi può e vuole solo capire. Secondo Pertici è dalla Grande Guerra che si deve partire per comprendere perché la formula cavouriana del «libera Chiesa in libero Stato» sia stata accantonata per avviarsi sulla strada del concordato. Fu allora che il papato di Benedetto XV sottrasse la Chiesa cattolica al condizionamento degli Stati e fece della scelta di neutralità e della parola di pace il cuore della nuova posizione nel mondo che l’immane carneficina le offriva. Non le servivano più dei portavoce laici autorizzati né delle forze politiche confessionali. Di conseguenza lo stesso rapporto col Partito Popolare di don Sturzo e più avanti con la Democrazia Cristiana di De Gasperi non cancellarono più la volontà della Chiesa di perseguire la sua politica con un rapporto diretto coi governi. Nacque così la politica dei concordati. E l’atto con cui Togliatti nella notte tra il 25 e il 26 marzo 1947 - un vero «luogo della memoria» nella storia dell’Italia repubblicana, come osserva Pertici - portò l’adesione non desiderata e non gradita del Partito Comunista all’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione nacque dalla coscienza della fragilità delle istituzioni del paese.
Togliatti ci tenne a dire pubblicamente a De Gasperi che aveva ben compreso un suo accenno al fatto che il nuovo regime italiano di tutto aveva bisogno fuorché di turbamenti alla pace religiosa. De Gasperi aveva letto pubblicamente la formula del giuramento concordatario col quale i vescovi si impegnavano a essere leali verso lo Stato italiano, a rispettare e a far rispettare dal clero il capo della repubblica e il governo costituzionale: e aveva concluso: «Amici, non siamo in Italia così solidificati, così cristallizzati nella forma del regime da poter rinunziare a simili impegni».
Questo lo scenario offerto dalla storia per affrontare la lettura del presente. Oggi niente è rimasto com’era nel paese Italia, un paese nei cui registri parrocchiali si leggeva allora molto spesso la qualifica di «miserabile», dove i mestieri più diffusi erano quelli di bracciante per gli uomini e di casalinga per le donne. Un abisso sociale divide oggi i nipoti dalla realtà di chi tornò allora vivo o morto dalla guerra. E tuttavia nemmeno oggi il regime è "cristallizzato", anzi. E la Chiesa fa la sua politica.
Nell’incontro segreto del 1923 maturò la politica che portò il governo Mussolini a reintrodurre la religione cattolica come materia da insegnare nelle scuole e a fare tutti i passi che portarono al Concordato. Oggi un partito che ieri vantava il suo paganesimo e adorava le acque del Po si offre come il vero partito cattolico: non ci stupiremo pensando all’ateo Mussolini che sfidava la folgore di Dio dal pulpito. Un altro «uomo della Provvidenza» tenta la strada del Vaticano. E forse oltre Tevere qualcuno starà valutando freddamente la sua credibilità come successore di un ormai imbarazzante - anche per loro - presidente del Consiglio.
Altrachiesa
La scandalosa “perdonanza” del do ut des. Lettera aperta di padre Silvano Nicoletto al card. Bertone
Pubblichiamo la lettera che il religioso stimmatino p. Silvano Nicoletto di Verona ha inviato al card. Tarcisio Bertone, sulle ultime vicende Stato-Chiesa. *
A Sua Eminenza
Card. Tarcisio Bertone
Segreteria di Stato
Città del Vaticano
Oggetto: Alla notizia dell’annullamento della cena Bertone - Berlusconi e della partecipazione alla festa della Perdonanza.
Ad ogni buon conto, Signor Cardinale, resta il fatto che l’appuntamento a cena con Berlusconi era concordato e programmato. All’ultimo momento, l’articolo apparso su “Il Giornale” ai danni di Dino Boffo, direttore di “Avvenire”, ha provocato quello che tutti conosciamo.
La cena e la partecipazione del premier alla celebrazione della “Perdonanza”, erano comunque nel vostro programma.
Sua Eminenza, conosce molto meglio del sottoscritto cosa si pensa negli ambienti della politica internazionale del nostro premier. I suoi comportamenti “privati”, gli attacchi alla democrazia perpetrati attraverso leggi ad personam promulgate a colpi di mozioni di fiducia, hanno fatto sì che un’istituzione importante come il Parlamento della Repubblica sia di fatto ridotta ad un’istituzione blindata a servizio degli interessi di famiglia del premier. Gli attacchi alle istituzioni che contrastano i suoi disegni e che mettono in luce i reati di varia natura di cui Berlusconi è imputato, i tentativi di imbavagliare la stampa e il pesante controllo sull’informazione televisiva sono sotto gli occhi di tutti. Gli spiriti più retti ed onesti sono seriamente preoccupati per la salute della democrazia nel nostro paese.
Il Vangelo (Mc. 6, 14-29) della liturgia del martirio di Giovanni Battista, brano proclamato nella celebrazione della “Perdonanza”, ci parla del “festino” dato da Erode per i grandi della sua corte e per i notabili della Galilea. Egli pensò bene di rendere “elegante” quella cena con la presenza di signore e signorine di bell’aspetto. Giovanni, che non aveva alcuna “ragione di stato” da difendere, non temeva di esprimersi con la schiettezza tipica dei profeti. Oltretutto, nonostante il tono graffiante, ad Erode la cosa non dispiaceva affatto. “Anche se nell’ascoltarlo rimaneva perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri”. In fondo perché non osare parlare con sincerità anche ai potenti dei nostri giorni?
Mi chiedo, cosa avrebbe detto il cardinale Segretario di Stato nell’omelia della festa della Perdonanza presente il Presidente del Consiglio?
Avrebbe parlato di “festino” o di “cena elegante” per non sottintendere certi convegni equivoci avvenuti nelle residenze del capo? Si sarebbe soffermato sulle qualità seducenti della figlia di Erodiade o avrebbe sorvolato per non alludere troppo? Avrebbe poi ricordato al Presidente del Consiglio che nel nostro mediterraneo si consuma una tragica danza, ben più macabra di quella del banchetto di Erode, nella quale una quantità considerevole di disperati hanno perso la vita, disperati considerati invece colpevoli dalle leggi del governo italiano?
Quelle famigerate norme sulla sicurezza, norme che stabiliscono il reato di clandestinità, come Lei ben sa, hanno ottenuto il consenso esplicito di Silvio Berlusconi per compiacere così alla Lega Nord che, come contropartita, gli garantisce il potere di governare.
Chiedo scusa a Sua Eminenza se persisto nel dubbio che la sua parola sarebbe stata molto diversa da quella coraggiosa di Giovanni Battista.
Le gerarchie che Lei rappresenta non hanno acconsentito a quell’evento nella prospettiva di rimetterci la testa. Non sono il solo a pensare che ...Pilato ed Erode quel giorno divennero amici per una ragione di convenienza... Voi potenti, a parole, nei vostri documenti, proclamate le ragioni della gratuità, ma nei fatti credete nella logica del do ut des, nella logica della ragion di stato. Anche voi, all’occasione, sapete far tacere la voce della coscienza i cui presupposti stanno al di là ciò che conviene. La coscienza non si interroga sul vantaggio che ne ricava ma su ciò che è bene e ciò che è male, e ne trae le conseguenze.
Cosa vi aspettavate come contraccambio da Berlusconi? A noi poveracci non è dato di saperlo.
Eppure una giustizia c’è! E se non ci pensano i nobili pastori di Santa Madre Chiesa ad attuarla, ci pensa il diavolo. Il buon diavolo appunto, come si suol dire, anche stavolta ha pensato bene di fare le pentole senza i coperchi. È bastato l’articolo di Feltri per rompere l’incantesimo di un idillio. Ma la responsabilità di questo vostro scandalo vi rimane attaccata addosso ugualmente, tutta intera!
Mi permetta una semplice domanda: era necessaria questa nefanda commedia all’italiana?
Se cerco di mettermi nei panni di Berlusconi, la risposta non può che essere affermativa.
Si, per recuperare il consenso colato a picco, dopo le sconcezze venute alla luce nei mesi scorsi e soprattutto dopo l’approvazione delle norme antiumane ed anti cristiane del pacchetto sicurezza, era necessario apparire accanto al cardinale Segretario di Stato.
Veniva così riconfermata la sua tesi di sempre e cioè che il suo governo è in ottimi rapporti con la Santa Sede. La preannunciata visita a S. Giovanni Rotondo avrebbe poi completato l’operazione di lifting spiritual politico.
Ha visto bene il Cavaliere! Come poi ha dichiarato, non poteva dimenticare che ai tempi dei DICO, sguinzagliando i fidi membri dei vostri movimenti cattolici, avevate fatto il diavolo a quattro per mettere in difficoltà il governo Prodi e ci siete riusciti.
Arriverà mai quel giorno in cui la finirete di prestarvi a questi meschini giochi di potere per dei miseri piatti di lenticchie? Non otterrete che il disprezzo del sale insipido, degno di essere calpestato. Tutto vi andrà per traverso. Arriverà dunque mai quel giorno?
La domanda è posta da un povero prete che da trent’anni a questa parte non fa che cercare di servire la causa del Vangelo nella Chiesa Cattolica. Da questo versante le cose assumono un’altra dimensione. Non era necessario questo squallido balletto! Era necessario il contrario: opporre un netto rifiuto. Lei non si sarebbe dovuto prestare ad alcuna strumentalizzazione.
Cosa può pensare la gente semplice che vede il Card. Bertone in compagnia del nostro dominante? Conclude logicamente che la Chiesa, anche nella sua espressione magisteriale, è schierata dalla sua parte.
Berlusconi avrebbe così raggiunto il suo scopo, mentre, a Sua Eminenza gli avrebbe riservato la figura dell’utile idiota. Anche se il “prestigio” dei sacri palazzi non mi interessa, devo tuttavia ammettere che mi disgusta assistere ad una simile caduta di stile.
Se invece, consapevole dell’elevato tributo da versare, in vista di qualche ritorno vantaggioso per la sua istituzione ha ceduto alle lusinghe del potente (ma è poi potente? Pugno di polvere! Vanitosa nullità), Sua Eminenza ha agito da disonesto sia verso ciò che rappresenta, che verso i fedeli che guardano a lui per ricevere esempio di rettitudine evangelica non di cinismo politico.
Io credo, Signor Cardinale, che Lei abbia mancato di rispetto verso se stesso. In pratica ha venduto la sua dignità di uomo e di Vescovo al mercante di passaggio.
Penso inoltre che il suo comportamento sia stato offensivo verso il Popolo di Dio. E’ stato chiamato al ministero episcopale per annunciare il Vangelo, non per fare politica di basso profilo.
Infine ha gettato disprezzo sul ministero di molti presbiteri che, come il sottoscritto, ogni giorno sostengono la fatica di annunciare il Vangelo (che è alto e altro dalle logiche dei potenti e della ragion di stato) in un mondo che s’è fatto adulto, critico ed esigente.
Atteggiamenti come il suo sono di grande ostacolo all’evangelizzazione!
Rientri in se stesso, Signor Cardinale. Veda da dove è caduto e ritorni all’amore di un tempo.
Un richiesta sincera di perdono al Popolo di Dio non guasterebbe affatto. A Lei restituirebbe dignità e ai fedeli chiarezza evangelica.
Faccia in modo che il Signore non rimuova il candelabro dal suo posto (Ap. 2,5).
Un fraterno saluto.
P. Silvano Nicoletto
Religioso Stimmatino
Sezano, Verona - 30 agosto 2009
l’appuntamento a cena con Berlusconi era concordato e programmato. erano comunque nel vostro programma. perché non osare parlare con sincerità anche ai potenti dei nostri giorni? Al banchetto di Erode, disperati hanno perso la vita, colpevoli dalle leggi del governo italiano? la sua parola sarebbe stata molto diversa da quella coraggiosa di Giovanni Battista. Eppure una giustizia c’è! ci pensa il diavolo. Con le sue...pentole senza i coperchi.
Ecco, perche’ giustamente L’Apostolo Giovanni dice: "Uscite da essa...( Popolo mio) se non volete partecipare con lei ai suoi peccati e ricevere parte delle sue piaghe e alla sua totale devastazione. Quindi, perche’ no’ tutti nella pentola...(Tutto fa’ brodo) Babbilonia la Grande, la meritrice-prostituta che ha’ sempre commesso fornicazione con la bestia selvaggia...di colore scarllatto; la politica... Con tanto sale insipido degno d’essere calpestato. Che’ schifo di minestra...Fra breve certi capi politici coscienziosi...istigheranno altri capi...organizzandosi in una nuova potenza mondiale...magari usando le Nazioni Unite che; al momento non ha’ denti ma! che l’avra’ fra breve, vi sara’ anche un ottavo Re che governera’ l’intero globbo Cosmos e tutta la politica "UNITA" Mettera’ nella pentola l’intero impero della falsa religione la; Babbilonia la Grande. Pero’ Ahime’ dopo anche la politica stessa trovra’ finire nella pentola.
Atteggiamenti come il suo sono di grande ostacolo all’evangelizzazione!
Io non ne’ sono daccordo...poiche’ e’ piu’ bello e tutto questo rende l’evangelizzazione del Regno di Dio avvenire, come ultima potenza mondiale di carattere Teocratico e non politico.... e quindi ringrazio il cardinale, incoraggiandolo di non scusarsi o cambiare posizione o chiedere perdono...continuando a fare quello che hanno sempre fatto...poiche’ da un lato della bocca dicono una cosa ma; dall’altro lato un’altra... altrimenti l’Armaghen di Dio non (verra mai) ma verra’ senza alcuna ombra del dubbio. In quanto a quel giorno , nessuno lo sa ne’ gli Angeli ne’ Cristo Gesu’ stesso.
“Poiché io sono YHWH-Geova; non sono cambiato...E voi certamente vedrete di nuovo [la distinzione] fra il giusto e il malvagio, fra chi serve Dio e chi non lo ha servito”.
Le chiese: Dove sono dirette? Cosa sta accadendo alle chiese? L’Europa volta le spalle alle chiese
Le persone che in Europa vanno ancora in chiesa di solito non ci vanno per scoprire cosa Dio richiede da loro. Un articolo dall’Italia dice: “Gli italiani si costruiscono una religione su misura che sia adatta al loro stile di vita”. E un sociologo italiano afferma: “Dal papa prendiamo qualunque cosa ci sia congeniale”.
Queste tendenze sono in netto contrasto con il cristianesimo insegnato e praticato da Cristo e dai suoi seguaci. Gesù non offrì una religione “self-service” o “a buffet”, in cui ognuno prende ciò che più gli aggrada e scarta quello che non è di suo gradimento. . Gesù insegnò che il modo di vivere cristiano richiedeva sacrificio e sforzo a livello personale.
“Le persone semplicemente ‘spizzicano’ dall’assortimento religioso che è disponibile. La religione, come molte altre cose, è diventata una questione di opinioni, stili di vita e gusti personali”.
Significa questo che il cristianesimo è in declino? L’acqua bolle....la minestra si fara’ Cordiali saluti, Con tutto il bene del mondo.
BOFFO, OSSERVATORE ROMANO: SU AVVENIRE EDITORIALI ESAGERATI
ROMA - "E’ vero, sulle vicende private di Silvio Berlusconi non abbiamo scritto una riga. Ed è una scelta che rivendico, perché ha ottime ragioni". Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano, prende le distanze da un giornalismo che "pare diventato - osserva in un colloquio pubblicato dal Corriere della sera - la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi. Segno che la politica, in tutti i suoi schieramenti, è piuttosto debole. Infatti da alcuni mesi la contesa tra partiti - spiega - sembra svolgersi soprattutto sui giornali, che hanno assunto un ruolo non soltanto informativo, come mostrano anche le vicende degli ultimi giorni".
Sulla solidarietà a Dino Boffo non si discute, ma Vian esprime qualche perplessità sulle scelte di Avvenire: "Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato - chiede - paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito un editorialista del quotidiano cattolico?". E "come dar torto al ministro degli Esteri italiano - insiste il direttore dell’Osservatore romano - quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso più immigrati, mentre altri, penso per esempio a quello spagnolo, proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura? Mi sembra davvero un caso clamoroso, nei media, di due pesi e di due misure".
Peraltro, assicura Vian, i rapporti tra Italia e Santa Sede "sono buoni. Berlusconi è stato il primo a chiarire che non sarebbe andato a Viterbo per la prossima visita del Papa quando ha capito che la sua presenza avrebbe causato strumentalizzazioni". E l’incontro all’Aquila "é saltato per non alimentare le polemiche", ma "si è trattato di un gesto concordato, di responsabilità istituzionale da entrambe le parti. Tanto più che i rapporti tra le due sponde del Tevere - insiste Vian - sono eccellenti, come più volte è stato confermato". Insomma, "nelle relazioni tra Repubblica italiana e Santa Sede non cambia nulla".
Il colpo di stato d’autunno
Nei prossimi mesi la maggioranza politica tenterà di attuare il più devastante disegno autoritario dal dopoguerra in poi
di Luigi De Magistris (l’Unità 30.8.2009)
Credo che il popolo italiano debba essere consapevole che la maggioranza politica di ispirazione piduista tenterà di utilizzare le Istituzioni per portare a compimento nei prossimi mesi il più devastante disegno autoritario mai concepito dal dopoguerra in poi. Un vero golpe d’autunno.
Da un punto di vista istituzionale si cercherà di rafforzare il progetto presidenzialista di tipo peronista disegnato su misura dell’attuale Premier. Poteri assoluti al Capo dello Stato eletto dal popolo. Elezioni supportate dalla propaganda di regime costruita attraverso il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione. Il Parlamento coerentemente ad un assetto autoritario e verticistico del potere ridotto ad organo di ratifica dei desiderata dell’esecutivo con le opposizioni democratiche messe in condizione di esercitare mera testimonianza. La distruzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura attraverso la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo con modifiche costituzionali realizzate illegittimamente con legge ordinaria (quale quella che subordina il Pm all’iniziativa della polizia giudiziaria e, quindi, del governo), nonché attraverso la mortificazione del suo ruolo attraverso leggi quale quella che elimina di fatto le intercettazioni (rafforzando quindi la cd. microcriminalità in modo, poi, da invocare poteri straordinari per combatterla).
La revisione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura - non però nella direzione di liberare tali fondamentali organi dalle influenze partitiche e di poteri che pure sono presenti - ma attraverso il rafforzamento della componente politica e partitocratica. La soppressione della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione formalizzando normativamente la scomparsa dei fatti. La disintegrazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca, in modo da favorire il consolidamento della sub-cultura di regime, quella per intenderci che ha realizzato il mito del «papi», ossia del padrone che dispensa posti e prebende.
Il prossimo Presidente della Repubblica - il desiderio dei nuovi peronisti è ovviamente quello che Berlusconi diventi il Capo, il Capo di tutto e di tutti dovrà avere ampi poteri e con questi anche il comando delle forze armate (dopo aver già ottenuto la gestione della sicurezza attraverso la sua privatizzazione con l’utilizzo delle ronde da lanciare magari a caccia di immigrati e omosessuali) in modo da poter governare anche eventuali conflitti sociali con la forza.
Sul piano economico e del lavoro la maggioranza prepara la repressione al dissenso ed al conflitto sociale causato da un disegno che punta a rafforzare le disuguaglianze attraverso una politica economica che consolida sempre più i poteri forti e squilibra fortemente il Paese come nei regimi (chi ha già tanto deve avere di più, mentre sempre di più saranno quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese), con l’assenza del contrasto all’evasione fiscale e l’approvazione di norme che rafforzano il riciclaggio del denaro sporco. Il furto delle risorse pubbliche che vanno a finire nelle tasche dei soliti comitati d’affari. Il mancato adeguamento dei salari al costo della vita. L’incapacità di favorire l’iniziativa economica privata fondata sulla libera concorrenza supportando, invece, la rapacità dei soliti prenditori. L’assenza di strategia che possa rilanciare il lavoro pubblico e privato fondandolo sulla meritocrazia e non sul privilegio e sull’occupazione della cosa pubblica (come, per fare un esempio, nella sanità). Assenza di politiche economiche fondate su sviluppo e lavoro, tutela delle risorse e rispetto della natura e della vita. Il saccheggio, in definitiva, della nostra «Storia».
Un progetto contro il nostro futuro. Il colpo di Stato apparentemente indolore ed a tratti invisibile reso possibile dall’istituzionalizzazione delle mafie, dalla loro penetrazione nelle articolazioni economiche e pubbliche del Paese, dal loro controllo del territorio, dalla capacità di neutralizzare la resistenza costituzionale. Un golpe senza armi ma intriso di violenza morale con l’utilizzo del diritto illegittimo,della creazione di norme in violazione della Costituzione. L’eversione attraverso l’uso di uno schermo legale. L’uccisione della democrazia dal suo interno. È necessario, quindi, che si realizzino subito le condizioni per una grande mobilitazione civile, sociale e politica che si opponga a questo disegno autoritario che stravolge gli equilibri costituzionali e l’assetto democratico del nostro Paese.
Videocracy: «Tutto iniziò dagli spogliarelli» *
In ’Videocracy’ la tesi è chiara: televisione e potere in Italia ormai coincidono perversamente. Per capirlo basta risalire a trenta anni fa con la nascita delle tv commerciali di Berlusconi. Quei tristi spogliarelli delle massaie in diretta trasmessi allora in alcuni programmi di quelle tv erano per Erik Gandini, regista del docu che andrà al Festival di Venezia (Giornate degli Autori), solo la prima delle lezioni per un pubblico destinato a diventare da lì a poco elettore tipo dell’attuale premier italiano. Una tesi non male ma neppure nuova per un filmato nato per il solo pubblico svedese curioso, a quanto dice lo stesso regista, di sapere qualcosa in più sulla presunta anomalia politica italiana.
Così in uno spirito dal sapore didattico ’Videocracy. Basta apparire’ (questo il titolo per esteso), inizia appunto mostrando quegli spogliarelli di un’Italia che fu. E poi tante immagini di repertorio con pochi commenti. Si va dai tanti provini di un’Italia disposta sempre più a tutto per diventare famosa, all’intervista di una sorta di Virgilio sfigato vissuto sempre ai margini di questo mondo. Ovvero Ricky ragazzo che ama (non troppo riamato) arti marziali e cantare. Ci sono poi interviste ai fan di Silvio Berlusconi in Costa Smeralda, immagini del ministro Carfagna (con tanto di segnalazione, per il pubblico svedese, di come provenga dal mondo dello spettacolo).
E poi ancora tutto il ricco mondo che vive in Costa Smeralda: la villa del premier con i suoi ospiti illustri (Tony Blair e Putin), il Billionaire. In Costa Smeralda si svolge poi una lunga intervista al press agent Lele Mora circondato dai suoi boy. Mora, come è un pò per tutte le interviste destinate inizialmente per il solo pubblico straniero, si lascia più che andare a dire quello che pensa, a far sentire orgoglioso la suoneria del suo cellulare con ’faccetta nerà come ad azzardare un parallelo tra Mussolini e Berlusconi. E così sarà per Fabrizio Corona, anche lui grande ammiratore del Cavaliere, intervistato nella sua casa a più riprese (tra le sequenze un suo nudo frontale sotto la doccia). Dal fotografo, che non si ricorda di aver dato la liberatoria se non svedese per Videocracy, frasi del tipo «quando io vedo una persona famosa, vedo i soldi non la persona». Infine, in Videocracy che sarà nelle sale italiane in 40 copie distribuite dalla Fandango di Domenico Procacci, tra le molte accuse esplicite e non al premier Berlusconi quella di essersi auto-concesso l’immunità. Mentre, nel segno dell’ironia - nel filmato di circa ottanta minuti che potrebbe incorrere in ulteriori polemiche dopo quelle sullo stop di Rai e Mediaset allo spot -, la visione quasi integrale di un video elettorale di Forza Italia con tanto di tormentone: «meno male che Silvio c’è».
* l’Unità, 29 agosto 2009
La coscienza orfana della legge
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 30/8/2009)
Stando a un sondaggio di SkyTg24, sono molti gli italiani convinti che i cinque eritrei sopravvissuti alla morte nel Mediterraneo vadano processati per reato di immigrazione clandestina: il 71 per cento. Su quel barcone sono periti 73 fuggiaschi, tra il 18 e il 20 agosto, eppure non sembra esserci emozione di fronte al naufragio ma solo famelica ansia di allontanare gli alieni dalle nostre terre, con ogni mezzo. Erano uomini di troppo i sommersi, e lo sono anche i salvati. I ministri di Berlusconi ne approfittano per ricordare che i respingimenti funzionano, che si fan rari gli intrepidi che tentano le traversate: nessuno porta il lutto per i sommersi né immagina quel che hanno vissuto i salvati. Se ci son colpe, è l’Europa a commetterle. La miseria del mondo non può addensarsi sul Sud del continente. Non siamo buoni al punto da esser fessi: questo fanno capire Maroni, Calderoli, e gli italiani sembrano sostenerli.
Ma forse l’opinione pubblica li sostiene perché scandalosamente male informata, non solo su quello che accade nel mondo ma su quello che succede in Italia, nell’anima d’ognuno di noi. Gli italiani non sono informati, e ancor meno formati, da guide morali alla testa del paese. Non conoscono l’insipienza di un’Unione europea incapace di darsi regolamenti vincolanti e rispettosi dei diritti, riguardo agli immigrati irregolari. Non sanno quel che prescrivono le convenzioni internazionali, la Costituzione, e le antiche leggi del mare che obbligano al salvataggio del naufrago anche in acque territoriali straniere (Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, cap 11 e 12; Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare, cap 98, 1 e 18,2).
Abbiamo parlato di emozione, ma non è l’unico istinto a far difetto. Quel che è profondamente incrinato, se non spezzato, è il rapporto che gli italiani - cominciando da chi oggi pretende di governarli - hanno con la legge. Quale che sia la legge, nazionale o internazionale, essa è vista come qualcosa di esterno al singolo, allontanata dalla nostra coscienza. È come se la coscienza nazionale e dell’individuo avesse preso le sembianze e il lessico di un’azienda. Nelle aziende si usa esternalizzare a imprese terze la gestione di alcune operazioni che non fanno parte del core business. Così la coscienza: dal suo core business, dalla sua principale attività, il senso della legge viene scacciato in terre aliene.
Questo allontanamento non è in verità nuovo. Piero Calamandrei lo smascherò, il 30 marzo 1956, quando pronunciò a Palermo la sua ultima arringa in tribunale, in difesa di Danilo Dolci e della sua protesta (sciopero della fame contro i pescherecci contrabbandieri tollerati dal governo; sterramento gratuito di una strada abbandonata presso Palermo, da parte di gruppi di disoccupati). Narrando la «maledizione secolare» dell’Italia disse: «Il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della legalità e della giustizia un’idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e soffocare sotto carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami».
Quel che è cambiato, dal ‘56, è che nel frattempo non sono solo i poveri a farsi un’idea soffocante della legalità, della giustizia, dello Stato di diritto. Se Berlusconi è tanto popolare, se a Nord la Lega è oggi il primo partito operaio, vuol dire che anche i ricchi si sentono gabbati e schiacciati da ogni sorta di regole: legali, costituzionali, internazionali. Che l’esteriorizzazione della legge è ormai una patologia diffusa, intensificata da una ostilità senza precedente alla stampa veramente libera. Se si esclude il dramma degli immigrati, la legalità e la battaglia alla corruzione non sono prioritarie neppure per alti esponenti della Chiesa, che pur di ottenere favori e pubblicità accettano di compromettersi. Di qui la sensazione che siamo male informati anche su quel che succede nei nostri animi. Una coscienza che delocalizza la legge è vuota, è pelle senza corpo. Neppure le riforme economiche riescono, in queste condizioni. Diceva ancora Calamandrei che democrazia è innanzitutto «fiducia del popolo nelle sue leggi»: leggi che il popolo sente «come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto. Affinché la legalità discenda dai codici nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro, non dal di fuori: le leggi che il popolo rispetta, perché esso stesso le ha volute così» (i corsivi sono miei).
La legge del mare violata più volte negli ultimi anni è una delle nostre leggi: plurisecolare, fu codificata fra il ‘700 e il ‘900. Lo stesso dicasi per le condotte private che l’uomo pubblico deve avere per divenire modello oltre che capo o dirigente. All’inizio, tutte queste erano leggi non scritte, ataviche. Una sorta di permanente stato di eccezione ha sospeso anche le leggi che Antigone difende contro i decreti d’emergenza di Creonte. «Antigone obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle “leggi non scritte” che preannunciano l’avvenire», dice Calamandrei. Oggi tali leggi sono scritte, proprio perché si è riconosciuto che oltre a portare ordine sono anche annunciatrici dell’avvenire.
La maledizione antica si è fatta più spavalda, nei 15 anni passati. Non solo manca la fierezza della legge. C’è una sorta di fierezza dell’illegalità, ci sono tabù di civiltà fatti cadere con spocchia. Il degrado non è avvenuto con lo sdoganamento di Alleanza Nazionale, come si credette nei primi anni ‘90, ma con lo sdoganamento delle idee, degli atti, delle parole della Lega. E di questo affrancamento non è responsabile solo Berlusconi. È responsabile anche la sinistra, incurante dei principi quando è in gioco il potere (D’Alema parlò dei leghisti come di una «costola della sinistra», negli anni ‘90). Lo è ancor più da quando il Nord leghista si è ulteriormente disinibito. In ben 17 comuni del Veneto, il Partito democratico governa oggi con la Lega, senza rimorsi.
È lunga ormai la lista delle devianze leghiste, e quasi ci meravigliamo che all’estero non ci si abitui come ci siamo abituati noi. Ma come abituarsi a quanto sentito in coincidenza con l’ecatombe di agosto! Una pagina Facebook di militanti della Lega Nord con sede a Mirano, cui sono legati da «amicizia» oltre 400 persone, ha esibito qualche giorno fa la scritta: «Immigrati clandestini: torturali! E’ legittima difesa». Tra gli amici citati: Bossi e il figlio Renzo, Cota capogruppo della Lega alla Camera, Boso ex parlamentare leghista. Lo stesso Renzo Bossi ha ideato un gioco di gran successo, sulla pagina di Facebook della Lega. S’intitola: «Rimbalza il clandestino». Più barche affondi, con un clic preciso e deciso, più punti vinci. Soprattutto se i barconi son grandi e i profughi molti.
Tuttavia c’è un’immensa ansia di redenzione in Italia - e in particolare di redenzione attraverso la Legge - che si esprime in vari modi e ha i suoi protagonisti solitari, cocciuti, impavidi. Il desiderio di redenzione è passione civile, non solo religiosa. Ne furono pervasi scrittori del ‘900 come Walter Benjamin e Hermann Broch, durante il nazismo. In Italia ne ebbero sete uomini come Borsellino, Falcone, Ambrosoli, Pasolini, e oggi Roberto Saviano. È strano come i loro vocabolari si somiglino. Borsellino sognava il «fresco profumo di libertà», contro «il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, della complicità».
E altri sognarono aria pulita e uno Stato riformato. Checché ne dicano i sondaggi non c’è italiano, credo, che non aneli a quell’aria pulita e a quel fresco profumo.
Berlusconi buonista sulla (sua) tv tunisina
di Francesco Costa *
Tutto si può dire di Silvio Berlusconi, meno che non sia coerente. Recita il ruolo di pilastro dell’alleanza atlantica quando si trova a colloquio con Bush e Obama, ma non rinuncia alle effusioni con Vladimir Putin quando va in visita in Russia. Discute affettuosamente con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy salvo poi siglare importanti accordi energetici con Turchia e Russia. Va a braccetto con Gheddafi prima di firmare contratti petroliferi e poi rivendica il ruolo di paladino dei diritti umani e della democrazia quando torna in patria. Non importa quante giravolte gli tocchi fare, la politica estera del presidente del consiglio sembra avere una sola infallibile bussola: il proprio interesse.
Non stupisce quindi che Silvio Berlusconi, capo di un governo che ha promosso alcune delle norme più rigide d’Europa sull’immigrazione, dal reato di immigrazione clandestina ai medici spia, fino al sistematico ricorso ai respingimenti al confine, si trasformi in un agnellino terzomondista quando si trova in visita nei paesi del Nordafrica.
E’ sfuggita ai media italiani - ma non alla rete - la performance del presidente del consiglio dello scorso 18 agosto, allorché si trovava in visita privata a Tunisi. Durante la visita, al termine di un incontro con il presidente tunisino Ben Alì, il presidente del consiglio ha partecipato a Ness Nessma, programma della televisione satellitare tunisina Nessma TV, acquisita lo scorso anno per il 50 per cento da Mediaset e dalla società di Tarak Ben Ammar Quinta Communications. Interpellato sui temi dell’immigrazione su una tv maghrebina di sua proprietà, guardata da centinaia di migliaia di nordafricani, poteva il premier ripetere il solito copione «cattivista» ormai noto in patria o vantarsi delle norme emanate dal suo governo? Certo che no: ricordatevi la storia della bussola.
Ecco un’altra giravolta, quindi: Berlusconi spalanca le porte dell’Italia ai cittadini del Maghreb. Il video è stato trovato, sottotitolato e reso disponibile dal blogger e collaboratore de l’Unità Daniele Sensi, che sostiene - e ne ha ogni ragione - che a questo punto “il pacchetto sicurezza in realtà non è mai esistito”. Nel corso della trasmissione, infatti, Berlusconi sostiene la necessità di "aumentare le possibilità di entrare legalmente in Italia" (altro che quote) e che il nostro paese ha “il dovere di guardare a quanti vogliono venire in Italia con totale apertura di cuore, e di dare a coloro che vengono in Italia la possibilità di un lavoro, di una casa, di una scuola per i figli e la possibilità di un benessere che significa anche la salute, l’apertura di tutti i nostri ospedali per le loro necessità, e questa è la politica del mio governo". Insomma, lavoro, case, scuole e ospedali per gli immigrati. Come programma di governo non è male. Chissà che ne pensano gli elettori della Lega...
Berlusconi alla Tv tunisina: «Casa e lavoro a chi viene in Italia...»
Il video trovato, sottotitolato e reso disponibile dal blogger Daniele Sensi. Berlusconi alla Tv tunisina: "Il nostro paese ha il dovere di guardare a quanti vogliono venire in Italia con totale apertura di cuore, e di dare a coloro che vengono in Italia la possibilità di un lavoro, di una casa, di una scuola per i figli e la possibilità di un benessere che significa anche la salute...".
LO SCONTRO COI GIORNALI
Berlusconi denuncia anche l’Unità
Richiesta di due milioni di euro per i servizi dedicati allo scandalo sessuale che ha coinvolto il premier *
ROMA. La direzione de "l’Unità" annuncia di aver ricevuto nella mattinata di oggi due citazioni per danni per un totale di due milioni di euro dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per il tramite del suo legale romano Fabio Lepri. Il capo del governo chiede inoltre la condanna a una pena pecuniaria di 200.000 euro ciascuna per il direttore responsabile Concita De Gregorio, per le giornalista Natalia Lombardo e Federica Fantozzi, per l’opinionista Maria Novella Oppo e per la scrittrice Silvia Ballestra.
La richiesta si riferisce a tutti i servizi dedicati allo scandalo sessuale che ha coinvolto il premier pubblicati sui numeri del 13 luglio e del 6 agosto del quotidiano: gli editoriali del direttore (intitolati «l’etica elastica» e «iniezioni di fiducia»), i servizi di cronaca e i commenti. I due atti di citazione, lunghi complessivamente 32 pagine, contestano le critiche rivolte al premier a proposito della sua mancata partecipazione a impegni internazionali per la contemporanea partecipazione a incontri con la escort Patrizia D’Addario.
Viene anche giudicata diffamatoria la ricostruzione dei rapporti tra gli ambienti vicini al premier e le gerarchie vaticane affinchè queste ultime assumessero un atteggiamento indulgente nei confronti del premier. «Diffamatoria», inoltre, la ricostruzione dei rapporti tra Rai e Mediaset in funzione anti-Murdoch. Viene indicata come lesiva dell’onorabilità del premier l’attribuzione del controllo dell’informazione in Italia e il suo abuso. Contestata pure la citazione di battute di Luciana Littizzetto a proposito dell’utilizzo, parte del premier, di speciali accorgimenti contro l’impotenza sessuale. «Affermazioni false e lesive dell’onore» del premier del quale, scrive il legale, «hanno leso anche la identità personale presentando l’on. Berlusconi come soggetto che di certo non è, ossia come una persona con problemi di erezione».