La bandiera della laicità
di MICHELE SERRA *
Se oggi potessi essere a Roma andrei al Gay Pride. E non per solidarietà "da esterno" a una categoria in lotta. Ci andrei perché, da cittadino italiano, riconosco nei diritti degli omosessuali i miei stessi diritti, e nell’isolamento politico degli omosessuali il mio stesso isolamento politico. Ci andrei perché la laicità dello Stato e delle sue leggi mi sta a cuore, in questo momento, più di ogni altra cosa, e ogni piazza che si batta per uno Stato laico è anche la mia piazza. Ci andrei, infine e soprattutto, perché, come tantissimi altri, sono preoccupato e oramai quasi angosciato dalle esitazioni, dalla pavidità, dalla confusione che paralizzano, quasi al completo, la classe dirigente della mia parte politica, la sinistra.
Una parte politica incapace di fare proprio, senza se e senza ma, il più fondante, basilare e perfino elementare dei princìpi repubblicani: quello dell’uguaglianza dei diritti. L’uguaglianza degli esseri umani indipendentemente dalle differenze di fede, di credo politico, di orientamento sessuale. Ci andrei perché ho il fondato timore che la nuova casa comune dei democratici, il Pd, nasca mettendo tra parentesi questo principio pur di non scontentare la sua componente clericale (non cattolica: clericale. I cattolici sono tutt’altra cosa).
Ci andrei perché gli elettori potenziali del Pd hanno il dovere di far sapere ai Padri Costituenti del partito, chiunque essi siano, che non sono disposti a votare per una classe dirigente che tentenni o peggio litighi già di fronte al primo mattone. Che è quello della laicità dello Stato. Una piazza San Giovanni popolata solamente da persone omosessuali e transessuali, oggi, sarebbe il segno di una sconfitta. Le varie campagne clericali in atto tendono a far passare l’intera questione delle convivenze, della riforma della legislazione familiare, dei Dico, come una questione di nicchia.
Problemi di una minoranza culturalmente difforme e sessualmente non ortodossa, che non riguardano il placido corso della vita civile di maggioranza, quella della "famiglia tradizionale". Ma è vero il contrario. L’intero assetto (culturale, civile, politico, legislativo) dei diritti individuali e dei diritti di relazione riguarda il complesso della nostra comunità nazionale. La sola pretesa di elevare a Modello una sola etica, una sola mentalità, una sola maniera di stringere vincoli tra persone e davanti alla comunità, basta e avanza a farci capire che in discussione non sono i costumi o il destino di una minoranza. Ma i costumi e il destino di tutti.
Ci andrei perché dover sopportare gli eccessi identitari, il surplus folkloristico e le volgarità imbarazzanti di alcuni dei manifestanti è un ben piccolo prezzo di fronte a quello che le stesse persone hanno dovuto pagare alla discriminazione e al silenzio. E i peccati di orgoglio sono comunque meno dannosi e dolorosi delle umiliazioni e dell’autonegazione. E se la piazza dovesse essere dominata soprattutto da questi siparietti, per la gioia di cameraman e cronisti, la colpa sarebbe soprattutto degli assenti, che non hanno capito che piazza San Giovanni, oggi, è di tutti i cittadini. Se ci sono pregiudizi da mettere da parte, e diffidenze "estetiche" da sopire, oggi è il giorno giusto. Ci andrei, infine, perché in quella piazza romana, oggi, nessuno chiederà di negare diritti altrui in favore dei propri. Nessuno vorrà promuovere un Modello penalizzando gli altri. Non sarà una piazza che lavora per sottrazione, come quella rispettabile ma sotto sotto minacciosa del Family Day. Sarà una piazza che vuole aggiungere qualcosa senza togliere nulla.
Nessuna "famiglia tradizionale" si è mai sentita censurata o impedita o sminuita dalle scelte differenti di altre persone. Nessun eterosessuale ha potuto misurare, nel suo intimo, la violenza di sentirsi definire "contro natura". Chi si sente minacciato dall’omosessualità non ha ben chiaro il concetto di libertà. Che è perfino qualcosa di più del concetto di laicità.
* la Repubblica, 16 giugno 2007
La giornata nazionale dell’orgoglio gay. Partenza alle 16 da piazzale Ostiense.
Almeno quaranta carri, uno dedicato alla Binetti. Gran finale in piazza S.Giovanni
Gay pride, centomila in arrivo
Unione divisa tra polemiche e manifesti
I contrasti della vigilia tra teodem e laici. Poi il compromesso del "patrocinio mignon".
Il saluto dei ministri Ferrero e Pecoraro Scanio.
L’adesione di Pollastrini, Bonino e Mussi. Ds e sinistra radicale in corteo
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - Un altro sabato. Un altro appuntamento con la piazza. E ancora una volta la maggioranza ci arriva litigando. L’appuntamento col Gay Pride a Roma lacera il centrosinistra.
La politica, ancora una volta divisa - Da una parte ci sono i teodem della Margherita- capofila i duri e puri Emanuela Baio, Paola Binetti e Luigi Bobba - che vedono nella manifestazione "un attacco alla famiglia" e ai principi fondanti della società, per non parlare dell’"imbarazzo" di una simile manifestazione che "mette in fuga i cattolici della maggioranza". Con loro anche l’Udeur di Mastella e Fabris e tutta l’opposizione.
Dall’altra il governo e la sinistra laica, anche se cattolica, che sponsorizza e - dopo 48 ore di polemiche, sotto la pressione dei teodem - conferma il patrocinio ma molto ridotto, mignon, "all’evento e al corteo" ma non alla piattaforma politica della manifestazione.
In mezzo ci sono loro, i glbt (gay, lesbian, bisexual, transgender), il popolo omosessuale che celebra la sua giornata di orgoglio con una piattaforma molto scandita: matrimonio gay e lesbiche e "parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali"; possibilità di avere "responsabilità genitoriali"; e poi basta con "il clima d’odio" nei confronti degli omosessuali e "la sovranità limitata imposta all’Italia da uno Stato straniero". Una manifestazione, si legge nel programma, "aperta a tutti con l’obiettivo di difendere la sovranità dello Stato ma che apre una stagione di riforme democratiche, civili e libertarie". Una manifestazione molto sentita, spiega Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay e esponente di Sinistra Democratica, "quest’anno la spinta è molto forte perchè abbiamo la sensazione che diritti acquisiti siano oggi rimessi in discussione".
La querelle sul patrocinio - Il Gay Pride nazionale, che torna a Roma dopo il 2000 (World pride) e dopo alcune tappe "storiche" per partecipazione come il Pride di Bari nel 2002, ha numerose sponsorizzazioni istituzionali tra cui la Regione Lazio, la Provincia e il Comune di Roma. C’è anche la presidenza del Consiglio dei ministri, tramite il ministero delle pari Opportunità. "Il patrocinio è agli eventi culturali e sportivi che fanno di contorno alla manifestazione" ha precisato giovedì mattina il ministro per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini, la "mamma" dei Dico. E’ qui si è scatenata la bagarre. Pollastrini doveva rispondere all’indignazione e agli aut aut di teodem e Udeur e alla rabbia degli organizzatori che si sono sentiti disconosciuti e a quel punto volevano "buttare" dai manifesti il logo della Presidenza del Consiglio. Alla fine, tra telefonate e ricuciture, l’ha spuntata un compromesso al ribasso, il "patrocinio mignon" come l’ha ribattezzato Grillini: sì alla manifestazione ma non alla piattaforma politica del corteo. E la rinuncia di Barbara Pollastrini ufficializzata oggi alla fine del Consiglio dei ministri. Non sarà fisicamente lì, ma, scrive in un messaggio-appello "ribadisco la mia adesione ideale e politica a tutte le battaglie di civiltà per il rispetto dei diritti delle persone e della loro dignità". Il ministro augura "la riuscita della manifestazione per raffozare laicità e tolleranza" e mette in guardia da "atteggiamenti omofobici".
Grida vittoria Paola Binetti: "Apprezzo molto il passo indietro del governo e di alcuni ministri. Non condivido affatto altre posizioni come quella di Emma Bonino". E di tutti i ministri che domani sfileranno in quel corteo. I Radicali hanno tutti dato l’adesione.
I manifesti - Polemiche politiche, quindi, e alta tensione in città: Forza Nuova l’altro giorno ha tapezzato via Merulana con manifesti con la scritta "No more gay- basta froci". Sono stati subito strappati ma insomma, ecco, per essere alla vigilia il clima non è dei migliori. "E’ necessario un pacchetto di misure anti omofobia" insiste Grillini.
La manifestazione - L’appuntamento è (ore 16) a piazzale Ostiense. Sono in arrivo pullman e treni speciali da tutta Italia, centomila persone è la stima per difetto che fanno gli organizzatori. "Parità dignità laicità" sarà la scritta sullo striscione d’apertura del corteo che - come sempre - saprà essere creativo, colorato e sonoro. "Almeno quaranta carri" annuncia il diessino Franco Grillini "facciamo anche per divertirci. Questa politica è così noiosa...". Un carnevale di maschere dove il popolo glbt volutamente esagera ed esaspera il suo essere omosessuale. Un’ esibizione che qualcuno nel governo ha giudicato "imbarazzante". Indiscrezioni parlano di un carro dedicato alla senatrice teodem Paola Binetti dove una sua controfigura sfilerebbe con cilicio e boa di struzzo rosso. Di sicuro saranno distribuiti 3000 preservativi e carte di identità con la scirtta "stato civile nessuno". Ci sarà un’enorme macchina per fare bolle di sapone "bolle d’aria come quelle che sparano i politici" . Vladimir Luxuria si è raccomandata: "Venite tutte, belle, colorate ma mi raccomando non in topless...".
I politici in corteo - Così, se Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi) sfilerà in corteo, Paolo Ferrero (Rifondazione) si limita a un saluto perchè poi ha un impegno in Calabria. "Ma la mia adesione è completa, difendete tutti e tutte". Emma Bonino e Fabio Mussi hanno garantito la loro adesione.
Folta la squadra dei parlamentari. "Noi partecipiamo per combattere l’omofobia" dice Gennaro Migliore, capogruppo di Rifondazione alla Camera. "Io sarò presente in nome dei diritti civili" spiega Manuela Palermi, capogruppo Pdci-Verdi al Senato. I Radicali saranno con il loro carro in coda al corteo. "Per protesta" spiega Marco Cappato "visto che non siamo stati invitati a parlare sul palco".
Il finale in piazza S.Giovanni - Il programma della giornata è ricco di concerti, happening e manifestazioni nel e fuori il corteo (www.romapride.it). Il gran finale è stato organizzato in piazza San Giovanni, la stessa piazza che il 12 maggio scorso consacrò un altro tipo di orgoglio, quelle delle famiglie e del Family day. Il palco è stato alzato nello stesso punto, davanti alla basilica. Grillini, uno che in genere non si imbrazza mai, confessa di essere un po’ agitato. "Non so cosa dirò, parlerò a braccio, come sempre". Prima di lui Titti De Simone. Dopo, Vladimir Luxuria: "Saremo in piazza con la forza delle idee portando soprattutto i bisogni di centinaia di migliaia di conviventi che vorrebbero avere cura del proprio compagno anche in casi purtroppo non felici, come la morte e la malattia". La colonna sonora è di Daniele Silvestri e del suo "Gino e l’Alfetta". Anzi, l’inventore della Paranza seguirà il corteo su Alfetta. Modello decapottabile.
* la Repubblica, 15 giugno 2007
Il Gay Pride ha invaso Roma
già più di centomila in corteo
MOSCA, SE IL POLITICO OMOFOBO E` GAY *
TORNATO IN RUSSIA DOPO ESSERE STATO OSPITE AL PRIDE DI ROMA, L`ATTIVISTA PER I DIRITTI UMANI NICOLAS ALEXEYEV HA RIVELATO IN DIRETTA TV L`OMOSESSUALITÀ DI UN POLITICO CONSERVATORE CHE DA SEMPRE SI BATTE PER UNA LEGGE CONTRO L’OMOSESSUALITÀ.
Mosca - Chissà magari avrà trovato il coraggio nel vedere un milione di persone sfilare per i diritti degli omosessuali ma l’attivista russo Alexeyev appena tornato in Russia ha rivelato in diretta tv l’omosessualità di un membro del Parlamento.Parlando al talk show K Baryeru, Alexeyev che è reduce dai pestaggi del gay pride e dalla relativa condanna per manifestazione non autorizzata, ha affermato che Alexander Chuev è gay. Il politico conservatore è uno dei più grandi oppositori dei diritti dei gay con proposte di legge per rendere un crimine l’omosessualità e vietarne la discussione nei luoghi pubblici. Alexeyev ha rivelato come le relazioni gay del politico siano note sin dagli ani 90 e lo ha definito un bugiardo e un codardo. Chuev ha fatto sapere che querelerà Alexeyev se non gli spaccherà la faccia prima (sic)
"Abbiamo dimostrato la cosa più importante in questo show tv e cioè tutta l’ipocrisia dei nostri rappresentanti in Parlamento. Hanno relazioni sessuali di tutti i tipi, comprese quelle omosessuali ma in pubblico fanno di tutto per accreditarsi come moralizzatori del paese, prendendo di mira gay e lesbiche. Sono pronto a dimostrare in ogni tribunale la veridicità di quello che affermo". Si tratta del primo outing di un politico in Russia.
La Repubblica: Preti pedofili, polemica per un convegno alla Camera *
La Rosa nel Pugno invita l’accusatore di Ratzinger e la Cdl protesta.
Bertinotti: non posso negare l’uso della sala
21/06/2007 ROMA - A pochi giorni dalle polemiche sollevate da Anno Zero di Michele Santoro sulla pedofilia clericale, è ora un convegno organizzato dalla Rnp in una sala della Camera a provocare una bufera politica sul tema dei preti pedofili. Venerdì prossimo, infatti, nella Sala Colonne di Palazzo Marino (che fa parte della Camera), si terrà un seminario sulla «repressione sessuale, una politica che genera violenza», organizzato dal deputato radicale Maurizio Turco al quale prenderanno parte alcune vittime di abusi da parte di preti e Daniel Shea, l’avvocato statunitense che ha denunciato il papa Ratzinger di aver confermato, quando era presidente della congregazione della fede, la linea di trattare la pedofilia con discrezione. Sarà trasmesso, inoltre, in anteprima per l’Italia, il film the “Hand of god” di Joe Cuntrera, italoamericano e fratello di una vittima. Il fatto, però, che questo argomento sia affrontato in un locale del parlamento ha scatenato una polemica all’interno della maggioranza e le proteste dell’opposizione. I teodem della Margherita, con i deputati di Fi e dell’Udc, hanno chiesto infatti a gran voce al presidente della Camera di non autorizzare lo svolgimento del convegno. Bertinotti ha risposto di non poterlo fare, non potendo «censurare» l’attività dei gruppi parlamentari.
Fonte: http://www.radicalimilano.it/public/Rassegna-Stampa/visua.asp?dati=ok&id=3553
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* Il Dialogo, Giovedì, 21 giugno 2007
GAY PRIDE. MANCUSO: IL PRIDE PIU FORTE DEL PARTITO DI RUINI
LA RAI HA OSCURATO CONTENUTI E SUCCESSO MANIFESTAZIONE IL PRESIDENTE DI ARCIGAY CHIEDE ORA "AL GOVERNO E PIÙ IN GENERALE ALLA MAGGIORANZA DI CENTRO SINISTRA, DI DARE UNA RISPOSA IMMEDIATA APPROVANDO VELOCEMENTE IL PACCHETTO ANTIVIOLENZA IN DISCUSSIONE IN QUESTI GIORNI IN COMMISSIONE GIUSTIZIA DELLA CAMERA".
Roma - "Dopo la manifestazione di ieri che ha visto la partecipazione in piazza San Giovanni di un milione di persone il movimento lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) italiano è di fatto un forte soggetto politico e sociale di questo paese". E’ quanto afferma Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay.
"Il popolo delle libertà ha saputo invadere Roma e dare finalmente voce all’Italia laica e libertaria conseguendo un’impresa straordinaria - sottolinea Mancuso -. Questo grazie e soprattutto al lavoro volontario dei militanti che non hanno certo potuto contare sui ’denari’ delle 26.000 parrocchie, trasformate in sezioni di partito e che funzionano con i soldi provenienti dal ’bottino’ fiscale dell’otto per mille. Come Arcigay sentiamo fortemente la responsabilità di costruire una risposta politica alle esigenze e alle aspettative dell’enorme popolo che ha riempito piazza San Giovanni".
Il presidente di Arcigay chiede ora "al governo e più in generale alla maggioranza di centro sinistra, di dare una risposa immediata approvando velocemente il pacchetto antiviolenza in discussione in questi giorni in commissione giustizia della Camera".
"Voglio anche criticare fortemente la Rai per non aver saputo svolgere appieno il suo ruolo di servizio pubblico oscurando la voce del movimento lgbt italiano che manifestava pacificamente con rabbia e orgoglio - prosegue Mancuso -. Tutti i mass media, i giornalisti presenti e la questura hanno dichiarato che la nostra manifestazione ha superato in numeri la ’parata’ del partito di Ruini del family day. Chiediamo conto al presidente della Rai Petruccioli e a tutto il consiglio di amministrazione come mai questa disparità di trattamento fra noi e loro?
Perchè nei telegiornali non si è voluto dare spazio ai contenuti della manifestazione ma solo ai suoi contorni polemici creati ad arte da una destra razzista ed omofoba".
"BRUCEREM IL VATICAN...."
di Angela Azzarro *
COME FAR ARRIVARE LA VOCE DEL GAY PRIDE AI MEDIA? COSA PENSA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI CIÒ CHE I SUOI ELETTORI, NON QUELLI DELLA DESTRA, GLI HANNO CHIESTO? FARÀ LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI E QUELLA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI OMOFOBICHE? DIRÀ CHE LE OFFESE DA PARTE DEL VATICANO CONTRO GAY, LESBICHE, TRANS NON SONO PIÙ ACCETTABILI IN UNO STATO LAICO? *
Ventiquattro ore dopo il Family day i più grandi giornali e telegiornali italiani non avevano avuto dubbi: il titolo di apertura era stato dedicato - nella stampa scritta, a caratteri cubitali - al presunto milione che aveva occupato piazza San Giovanni in difesa dei valori tradizionali. I giorni successivi la litania non era cambiata: tutto un susseguirsi di dichiarazioni e servizi per dire che quella manifestazione chiedeva, pretendeva una risposta da parte della politica.
Il giorno dopo il Pride, con un milione di donne e uomini in piazza per chiedere l’estensione dei diritti a tutte e tutti, la stampa e i tg non hanno avuto lo stesso riguardo. Portare tante persone, gay, lesbiche, trans, non è bastato per conquistare i titoli di apertura, né per sperare che il lunedì fosse dedicato alle reazioni della politica. Che cosa farà da oggi il governo Prodi? Cosa pensa il presidente del Consiglio di ciò che i suoi elettori, non quelli della destra, gli hanno chiesto? Farà la legge sulle unioni civili e quella contro le discriminazioni omofobiche? Dirà che le offese da parte del Vaticano contro gay, lesbiche, trans non sono più accettabili in uno Stato laico?
Silenzio. Un assordante silenzio, con Prodi che preferisce denunciare «la brutta aria» che c’è nel Paese, riferendosi alla destra che blocca le decisioni. Insomma, per parafrasare la sua dichiarazione: aria fritta. La distanza tra i cittadini, le cittadine e la politica, anche e soprattutto quella fatta dai media, non era mai stata così ampia. Drammatica. La crisi della politica e della rappresentanza così pesante e disarmante. Se il Papa parla e offende gay, lesbiche o trans accusandoli di essere pedofili e perversi le prime pagine sono assicurate, blindate. Si riempiono subito di titoli cubitali. Poche le proteste. Poche le voci di editorialisti che si sollevano per dire che così cresce l’odio, la violenza contro gli omosessuali. Poche voci si sollevano dal pulpito dei grandi quotidiani per dire che non approvare una legge sulle unioni civili è un fatto grave, che lede l’uguaglianza sancita dalla Costituzione.
A questo punto resta la domanda: che cosa fare per conquistare spazio, visibilità alle ragioni della civiltà e della laicità? Non è bastato, nel silenzio degli organi di informazione, portare un milione di persone in piazza. Non è bastato riempire piazza San Giovanni con una manifestazione rabbiosa, ma pacifica, dura ma anche orgogliosa. No, non è bastato. Bisogna forse arrivare a gesti eclatanti davanti al Vaticano o al Parlamento, bruciarsi come gesto disperato, come un ultimo tentativo di vedersi riconosciuto un diritto? Certo è che così non si può andare avanti. La totale impermeabilità tra media e politica da una parte e società civile dall’altra è talmente alta che non si può stare più indifferenti.
Fa bene Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay, a lanciare lo sciopero fiscale e a invitare lesbiche, gay, trans a restituire le tessere elettorali. In Italia le persone non eterosessuali sono considerate cittadine di serie B, non godono degli stessi diritti. Tanto vale allora non assumersi neanche i doveri oppure esasperare lo scollamento privandosi della possibilità di decidere chi votare e chi no. Forse così i politici capirebbero, forse così capirebbe anche la Chiesa che dei contributi Irpef vive. Lo capirebbero anche le cosiddette famiglie tradizionali al cui welfare contribuiscono quegli uomini e quelle donne che, oggi, non possono avere una relazione riconosciuta e tutelata, oppure come single non possono sperare in nessuna facilitazione.
Il Pride di sabato è riuscito perché ha parlato un linguaggio che coinvolge tutte e tutti. Non riguarda solo gay, lesbiche e trans. Lo ha dimostrato l’ampia partecipazione in maniera organizzata del movimento femminista e l’ampia presenza di eterosessuali. E’ importante che quel coinvolgimento continui e che le associazioni omosessuali non siamo lasciate sole in questo momento, forse il più delicato, quello più duro da digerire. Non si aspetti l’ennesima esternazione del Papa per risollevare la richiesta delle unioni civili. Deve essere un sentire comune, una richiesta continua, condivisa, in ogni sede, in ogni occasione. Ma prima di tutto bisogna affrontare il rapporto con l’informazione, metterlo al centro dell’azione politica. Oggi sicuramente i giornali daranno molto più spazio alle polemiche sullo spettacolo annullato a Bologna "La Madonna piange sperma", perché considerato blasfemo, che alle richieste di un milione di persone.
LA PIAZZA RICONQUISTATA
di Gianni Rossi Barilli *
EPPURE È ANDATA BENE LO STESSO. NIENTE MALE PER UNA MINORANZA COME QUELLA GLBT, CHE SECONDO I DETTAMI DEL CATECHISMO CATTOLICO NON POSSIEDE ALCUNA RILEVANZA SOCIALE.
Alla fine la piazza più classica degli eventi di massa è stata riempita dal popolo del pride. San Giovanni, che solo un mese fa grondava dei toni omofobici e livorosi del Family day, è stata conquistata da centinaia di migliaia di persone che hanno portato lì la loro gioia di esserci. Una gioia spontanea e irrefrenabile che non ha avuto nessun bisogno di imbeccate dall’alto, o di manuali di comportamento, semplicemente perché era vera. La manifestazione è quindi riuscita nel migliore dei modi, per quantità e qualità di partecipazione, senza i soldi dell’otto per mille, la propaganda parrocchiale o lunghe settimane di battage mediatico martellante.
Il Vaticano, che sette anni fa in occasione del Worldpride aveva di fatto contribuito al successo dell’esecrato evento con la richiesta di vietarlo, questa volta è stato zitto «per non creare polemiche» e (soprattutto) per evitare di fare pubblicità gratuita al nemico. Eppure è andata bene lo stesso. Niente male per una minoranza come quella glbt, che secondo i dettami del catechismo cattolico non possiede alcuna rilevanza sociale.
Certo sarebbe stato molto meglio se questo pride 2007 fosse stato una festa e basta. Magari per celebrare l’approvazione di quella legge «umana e ragionevole» che il governo Prodi aveva promesso e poi si è rimangiato, lanciando i più che modesti Dico prima e abbandonando in seguito pure quelli per evidenti ragioni di aritmetica parlamentare. Pensare che sono già passati sette anni dal Worldpride del 2000 e che nel frattempo non è cambiato niente lascia un po’ d’amaro in bocca. Ma il corteo di ieri è un motivo di allegria e di speranza, perché dimostra che le richieste di cambiamento sono sempre lì e si rafforzano con il tempo. E anche perché è servito a sancire un cambio di strategia, anziché un ridimensionamento degli obiettivi, di fronte alla mancanza di risultati politici. Non ci avete voluto dare i Pacs? Adesso vogliamo il matrimonio, ovvero la completa parità di diritti per gay, lesbiche e transessuali Questo è stato detto ieri dal palco di San Giovanni, rompendo quel patto di moderazione «a fin di bene» stipulato con il centrosinistra. Quella moderazione, del resto, non è servita. La questione dei diritti degli omosessuali è anzi diventata il simbolo di questa deprimente stagione di riformismo senza riforme.
La comunità glbt, in compagnia dei molti eterosessuali che ne sostengono le rivendicazioni, si è ripresa quindi la propria autonomia d’azione e ha deciso di alzare la posta. Nei fini come nei mezzi, visto che si sta parlando di organizzare scioperi fiscali e restituzioni in massa delle tessere elettorali come risposta alla sordità del sistema politico. Si alza la testa e la voce, pretendendo da tutti quel rispetto che finora è stato negato da tanti e proclamato in modo solo formale da troppi. Vedremo quali saranno le risposte, ma da ieri sappiamo già un po’ meglio che chi sa di aver ragione e lotta per la propria dignità non si fermerà di fronte a niente.
A Roma sfila l’orgoglio gay: «Siamo un milione»
di Luigina D’Emilio, Alessia Grossi, Gaia Rau *
Sono tanti, sono colorati, per lo più sono gay o glbt, come il politically correct suggerisce. Forse sono un milione come dicono gli organizzatori: le lesbiche impegnate, gli uomini gay, i trans chiassosi e colorati.
* Le lesbiche: «Né inosservate, né osservate solo per gli eccessi»
* Oltre l’orgoglio. Il trans-pride
* «Sfiliamo perché siamo senza diritti»
* Niente ostensorio, niente diretta tv di Rachele Gonnelli
* Ministri e deputati in piazza: «Adesso il Parlamento approvi i Dico
* Calderoli. «Gay pentitevi, Dio sacrificherà il vitello grasso»
Marciano in cinquecentomila in nome dell’orgoglio gay
di Luigina D’Emilio, Alessia Grossi, Gaia Rau *
Sono tanti, sono colorati, per lo più sono gay o glbt, come il politically correct suggerisce. Forse sono davvero un milione come dicono gli organizzatori: le lesbiche impegnate, gli uomini gay, i trans chiassosi e colorati. Con quasi un’ora di ritardo il serpentone del Gay Pride 2007 si muove da piazzale Ostiense, un luogo vastissimo e tuttavia pieno di gente.
Ad aprire il corteo i pullman a due piani con la scritta RomaPride sul fondo azzurro, seguito dal carro decisamente più fotografato di Muccassassina su cui giovani cubisti, agghindati di costumi color fucsia, verde, giallo, arancione e rosso, di varie fatture e arricchiti di boa di struzzo in tinta. Tutto attorno pendolano bandiere con il simbolo dell’Arcigay sullo sfondo dei colori della pace e mentre si attende la partenza un popolo diversissimo e dissacrante, vestito dei costumi più elaborati, che si incontra e si abbracciano sotto il caldo estivo di Roma.
È una festa. Una grande festa. Le istantanee scattate al Gay Pride, sono tante: innanzitutto migliaia e migliaia di persone. Il travestimento, in ogni caso, è la parola d’ordine e così via alla fantasia più sfrenata, ai lustrini, le paillettes, i caschi di banane legati alla vita. Insomma, un trionfo di seta rigorosamente rosa che si apre sapientemente per mostrare questo o quella parte del corpo. E poco importa se non si è più tanto giovani, qui al Gay Pride c’è posto per tutti. Ci sono due travestiti che trascinano incatenato un uomo, una sorta di rivincita tutta al femminile. Poi, naturalmente, ci sono tante, tantissime invettive e sberleffi, contro il Vaticano, i preti, i vescovi, i cardinali, il Papa. E tante bandiere con scritto «No Vat», nel senso di Vaticano.
C’è perfino un cartello che recita: «il triangolo no non l’avevo considerato con Prodi, Bush, il Papa. Dagli oltre 40 camion, riccamente addobbati esce musica da discoteca e pochi resistono all’impulso di ballare. Qualcuno grida: gay, lesbiche, travestiti, bisessuali, ma mai fascisti. C’è anche il trenino dei bambini che trasporta il "family pride", l’associazione dei genitori omosessuali. Qualcuno ha pensato bene di inventare quello che non c’era: un santo protettore dell’allegria, San Gaio. In piazza vengono distribuiti i suoi santini.
* l’Unità, Pubblicato il: 16.06.07 Modificato il: 17.06.07 alle ore 12.39
Il giorno dopo la grande manifestazione Cdl all’attacco: "Il ministro dice il falso"
Grillini: "Abbiamo battuto il Family Day, il pensiero unico familista non è maggioranza"
Gay Pride, polemiche e scontri
Pollastrini: "Cresce l’intolleranza"
L’affondo di Avvenire: "contro il Papa slogan intollerabili" *
ROMA - "Cresce l’intolleranza verso gli omosessuali, la derisione e la discriminazione nei luoghi di lavoro, negli ospedali dove vanno quando devono essere curati e nella scuola": a lanciare l’allarme è il ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini, il giorno dopo il Gay Pride, mentre Avvenire se la prende con la manifestazione romana, accusata di aver ospitato "slogan intollerabili" contro il Papa.
"Ho i dati. Sta crescendo un clima di intolleranza - dice il ministro Pollastrini - soprattutto di derisione e tutta la politica, di qualsiasi schieramento, ha il compito di determinare tolleranza, comprensione e rispetto per la dignità di ognuno". "Ieri - ha spiegato il ministro - sono andata a dire che non è interesse di una parte ma di tutto il Paese dare una legge equilibrata e saggia di diritti e doveri per i conviventi, omosessuali e non. E sono andata a dire che è interesse di tutti e non di una parte ricostruire un clima unitario di dialogo, tolleranza e rispetto".
Nessuna paura quindi che la questione dei Dico finisca nel dimenticatoio: "Per quanto mi riguarda - ha detto Pollastrini - svolgerò fino in fondo il compito che mi hanno assegnato". E per questo non può bastare una modifica del codice civile, come propone chi è contrario ai Dico. "Il punto è che ci sia un atto pubblico" ha concluso.
Il Gay Pride non va giù al quotidiano della Cei. "Slogan - non tantissimi, quanti basta - intollerabilmente osceni". Così si legge su Avvenire, in un boxino siglato "Av" pubblicato nella pagina di cronaca sulla manifestazione intitolato "Slogan intollerabili", alludendo a "parole false e vuote" usate "come pietre" e ai "cori scanditi contro il Papa da un ben identificato ’carro’". Quelle parole che avevano "una pesantezza terribile, forse inconsapevole, certo semiblasfema", le "hanno sentite in tanti", rimarca il quotidiano, "non, a quanto pare, i resocontisti di certi tg di prima serata che si sono impegnati a patinare di sola allegria la kermesse". "Non ci interessa neanche troppo - prosegue il quotidiano della Cei - se si sia trattato di un velo pietoso o di una imbarazzata bugia, ci interessano, ci feriscono e restano quegl’insulti urlati al cielo di Roma".
E le dichiarazioni del ministro Pollastrini fanno infuriare la Cdl. "Le dichiarazioni odierne, insensate e false, di ministri della Repubblica pro privilegi gay - dice il capogruppo dell’Udc Luca Volontè - dimostrano solo l’urgenza di una seria valutazione sulla loro sanità mentale. Pollastrini, sfortunata coi matrimoni, afferma il falso. Non ha fornito dati al Parlamento su discriminazioni, per il semplice fatto che non esistono. Pecoraro è in chiaro conflitto di interesse sul tema dei Dico. E Ferrero tutela solo le minoranze che chiedono privilegi". "I principi di non discriminazione e di uguaglianza sono sacri - sottolinea - è inaccettabile ogni privilegio di lobby. Rimane incredibile che Prodi, responsabile ultimo dell’esecutivo, non richiami e non vigili sui compiti istituzionali dei Ministri della Repubblica. Ci sono enormi discriminazioni verso i 22 milioni di famiglie con figli, dimostrati dall’Istat, e il Governo paga profumatamente i ’carnevali’ mensili dei gay? Matrimonio gay e poi adozioni ai trans, quando Luxuria vincerà Miss Italia? Si stravolge il vivere civile per modificare l’immodificabile natura umana,ma ciò è illegittimo. L’idea leninista,in salsa Zapatera, è a un passo dal successo. Fioroni e Mastella reagiscano non solo a parole; benissimo Pezzotta".
L’ex sindacalista aveva addirittura parlato di profanazione. "Mi ero commosso al Family Day vedendo la nostra gente - dice Pezzotta - gente che lavora. Manifestare è sempre sacrosanto, ma del Gay Pride mi feriscono l’offesa, l’attacco alla mia Chiesa, la parodia della sensibilità cattolica, la profanazione dei simboli religiosi e di quella piazza".
E al Family Day fa riferimento anche Franco Grillini. "Il confronto con il Family Day - dice il deputato di Sinistra democratica e presidente onorario dell’Arcigay - è sicuramente vinto dal Gay pride perché abbiamo superato la manifestazione vaticana nei numeri (avendo a disposizione infinitamente meno risorse finanziarie e organizzative) e sul piano politico abbiamo dimostrato che in Italia il ’pensiero unico familista’ è minoritario".
* la Repubblica, 17 giugno 2007
LA GRANDE RIVOLUZIONE GAIA
di Marco d’Eramo *
OGGI È NORMALE VEDERE DUE UOMINI CHE SI BACIANO PER STRADA A NEW YORK, MA FINO AGLI ANNI SESSANTA L’OMOSESSUALITÀ ERA TABÙ IN OCCIDENTE. EPPURE IL TEMA METTE ANCORA A DISAGIO I NOSTRI POLITICI. ECCO PERCHÉ SPERIAMO CHE DOMANI PER IL GAY PRIDE SCENDANO IN PIAZZA NON SOLO GLI OMOSESSUALI, MA ANCHE GLI ETEROSESSUALI, PERCHÉ LA LOTTA CONTRO L’IPOCRISIA CI RIGUARDA TUTTI. TUTTI CHI? TUTTI NOI CHE ESULTEREMMO SE IL PAPA LA SMETTESSE CON LE SUE SCARPETTE ROSSE PRADA DI SOMMERGERCI DI ANATEMI, SCOMUNICHE E CONDANNE, E CI LASCIASSE TRASCORRERE - PER TORNARE ALL’ETIMOLOGIA DEL TERMINE GAY - UNA GIORNATA GAIA, ALLEGRA, ALLA FACCIA DELLA RESTAURAZIONE BIGOTTA CHE INCOMBE SULL’ITALIA *
È stata la più grande rivoluzione dei costumi avvenuta nel secolo scorso. Una rivoluzione pacifica, avanzata a piccoli passi, senza che quasi ce ne accorgessimo nei paesi industrializzati occidentali, ma che ne ha trasformato in modo radicale comportamenti, cultura, immaginario. Solo 112 anni fa, nel 1895, Oscar Wilde veniva processato per omosessualità.
Nel 1916 la Gran Bretagna cercò d’infangare per sempre la memoria di uno dei martiri dell’indipendenza irlandese, Roger Casement, pubblicando suoi pretesi diari su pratiche omosessuali. Persino dopo la seconda guerra mondiale, per la sua omosessualità, un grande matematico come Alan Turing fu condannato a cure ormonali coatte che nel 1954 lo spinsero al suicidio. Una rivoluzione recentissima: oggi è normale vedere due uomini che si baciano per strada a New York o due donne che si carezzano in pubblico a Boston, mentre fino al 1962 la sodomia era punita con lunghe pene di prigione in tutti gli stati Usa, e fino al 2003 vi erano ancora quattro stati (Kansas, Missouri, Oklahoma e Texas) che punivano con severità la sodomia omosessuale. Nella repubblica irlandese l’omosessualità ha cessato di essere un reato solo nel 1993.
Una rivoluzione che riguarda solo una parte del mondo e che ancora esclude tutti i paesi musulmani, molti africani, molte repubbliche caraibiche (Barbados, Jamaica, Trinidad e Tobago). In Angola l’omosessualità è punita con la rieducazione in un campo di lavoro. In India invece, dove l’omosessualità resta iscritta nel codice come reato dal 1860, la legge non è più applicata e oggi se ne contesta la costituzionalità.
Per capire la portata della rivoluzione omosessuale, basti pensare che negli Stati uniti il partito repubblicano ha dovuto cambiare la sua politica nei confronti di gay e lesbiche proprio per il loro peso elettorale, malgrado la pesante omofobia dello zoccolo duro repubblicano costituito dai fondamentalisti cristiani. O ricordiamo il duro scontro - ancora nei primi anni ’90 - tra il Pentagono e il presidente Bill Clinton sulla sua decisione di riconoscere il diritto a un’omosessualità aperta nei ranghi militari.
La rivoluzione è avvenuta non tanto nella demografia omosessuale (le ricerche sul tema danno risultati contraddittori), quanto nella sua legittimazione. L’Inghilterra vittoriana aveva leggi virulente contro l’omosessualità che pure costituiva un rito di passaggio quasi obbligatorio nelle public schools (le scuole private d’élite). Pene draconiane (anche la morte) sono inflitte agli omosessuali (maschi e femmine) nei paesi dove vige la sharia, quando è una pratica dilagante tra giovani e adolescenti - non fosse altro che come Ersatz, visto il tabù cui sono sottoposte le relazioni maschio-femmina.
È stata quindi in primo luogo una rivoluzione contro l’ipocrisia. Questo spiega come il progressivo coming out degli omosessuali sia andato di pari passo con l’insofferenza crescente nei confronti della pedofilia ecclesiastica, anch’essa un segreto di Pulcinella in tutte le società cattoliche (storie sui chierichetti, sui fratacchioni ecc...), ma circondato per secoli da silenzio e omertà. La legislazione sulle coppie di fatto omo ed etero approvata in vari paesi altro non è che il sancire nel codice questa rivoluzione dei costumi, l’equivalente della legge sul divorzio rispetto ai matrimoni, in un paese dove centinaia di migliaia di coppie vivevano da anni in regime di separazione di fatto.
Non a caso le resistenze sono uguali e provengono dalle stesse forze: ancora negli anni ’60, in omelie vescovili la Chiesa additava, con nome e cognome, al ludibrio di «pubblici concubini» i coniugi che avevano celebrato solo il matrimonio civile. Allora l’ipocrisia fu battuta, ma non del tutto, perché ancora oggi, dopo 32 anni, un governo di centrosinistra continua a non emendare una legge che per il divorzio esige ben tre anni di separazione legale anche se gli ex coniugi sono separati di fatto da 20 anni. Non stupisce allora che il tema dell’omosessualità, su cui per millenni ha dominato il tartufismo, metta tanto a disagio i nostri politici che sono stati tutti cresciuti - senza eccezioni - a pane e ipocrisia, come si è visto nell’indecorosa vicenda sui Pacs, prima divenuti pudicamente Dico, poi scomparsi sotto il radar, e infine dati per dispersi grazie all’intemerato coraggio della nostra sinistra (tutta arruolata nel «settimo leprotti») e al servilismo dei baciapile.
Certo, agli eterosessuali della mia generazione fa un po’ curioso questo bramare una famigliola legale, un matrimonio benpensante, una sessualità di coppia tutta casa e chiesa, il reclamare il diritto alle nozze sull’altare, quando tante battaglie sono state combattute per affermare il diritto alla trasgressione. La mia generazione ha sempre considerato che la famiglia non è la soluzione, è il problema. Però è anche vero che gli ipocriti di tutti i campi possono venire a patti con un’omosessualità relegata a pura trasgressione, mentre vedono come il fumo negli occhi un’omosessualità promossa a normalità possibile e legittima delle nostre pulsioni.
Ecco perché speriamo che domani per il Gay Pride scendano in piazza non solo gli omosessuali, ma anche gli eterosessuali, perché la lotta contro l’ipocrisia ci riguarda tutti. Tutti chi? Tutti noi che esulteremmo se il papa la smettesse con le sue scarpette rosse Prada di sommergerci di anatemi, scomuniche e condanne, e ci lasciasse trascorrere - per tornare all’etimologia del termine gay - una giornata gaia, allegra, alla faccia della restaurazione bigotta che incombe sull’Italia.
Due lavori, di Xavier Lacroix e Joseph Nicolosi, ridiscutono quel pensiero unico mediatico sull’omosessualità che mette tra parentesi i fondamenti della convivenza
Constatare che il tema dell’omosessualità è diventato d’attualità, è forse poco. Ad uno sguardo più attento risulta piuttosto l’indice di una questione epocale che chiama in causa il destino del nostro «corpo biopolitico». Il trionfo dello scientismo e le promesse della bioingegneria inducono a credere che si possa sradicare e modificare il nostro dato biologico, la nostra natura, il nostro statuto sessuale: «Contrariamente a quanto afferma un pensiero affascinato dalla tecnica, l’essere umano non è malleabile a piacimento», afferma il filosofo e teologo francese Xavier Lacroix (docente a Lione). Nel suo libro In principio è la differenza. Omosessualità, matrimonio, adozione, propone un percorso di riflessione che attraversa nodi e termini concettuali (filosofici, giuridici, psicologici) che simbolicamente fondano la natura umana. Parole e concetti come famiglia, sessualità, genealogia vengono oggi segmentati e riformulati da nuovi termini quali «omoparentalità», «matrimonio omosessuale», «identità di genere».
«Dinanzi alle sfide attuali - nota Lacroix - le argomentazioni di tipo scientifico aprono un varco che la rivendicazione militante trasforma in opportunità». Il sempre più insistente appello all’uguaglianza, ai diritti, al riconoscimento dei desideri dell’individuo, interroga radicalmente il rapporto tra privato e pubblico, tra individuo e istituzioni. Non si tratta di negare affetti, bisogni o esigenze individuali, «bensì - precisa Lacroix - di riconoscere e istituire le strutture fondatrici dell’essere umano. Il diritto infatti non è solo uno strumento per la gestione dei desideri privati». Su un altro versante, ossia in merito all’odierna tendenza a minimizzare o addirittura incoraggiare l’omosessualità, il lavoro di Joseph Nicolosi "Oltre l’omosessualità. Ascolto terapeutico e trasformazione" apre un’altra prospettiva. Nicolosi, psichiatra statunitense di formazione psicanalitica, è il fondatore dell’Associazione nazionale di ricerca e terapia sull’omosessualità, che pratica la «terapia riparativa» e raccoglie studiosi, terapeuti e ricercatori che, in molti Paesi (Italia inclusa), cercano «di combattere la politicizzazione delle questioni scientifiche e terapeutiche». Nicolosi distingue nettamente il problema soggettivo dell’omosessualità dalle implicazioni sociali e culturali su cui si fondano i movimenti gay. Il libro racconta in modo accessibile un dato clinico: la possibilità di una trasformazione psichica che riporti un soggetto a ricostituire la propria identità maschile. «Ogni psicoterapia che tenti di sottoporre a trattamento l’omosessualità - ammette l’autore - rischia di suscitare scetticismo». In questo lavoro viene proposta la testimonianza di otto casi clinici: i loro racconti e le loro parole attraversano il lungo e faticoso percorso di guarigione. Mettono in evidenza (finalmente) omosessualità differenti. Notazione, quest’ultima, ben diversa da quella tesi, tanto insistente quanto mai dimostrata, che vuole ad ogni costo trovare un fondamento genetico dell’omosessualità; tesi caldeggiata dai sostenitori dell’omosessualità in quanto «variazione naturale» e «salutare» della sessualità. Il nodo centrale del lavoro terapeutico è la rielaborazione dell’amore paterno, di quell’antico bisogno di affetto e approvazione che nel processo di guarigione non ha più bisogno di essere soddisfatto attraverso l’erotizzazione: «L’esperienza terapeutica essenziale è la demistificazione degli uomini da oggetti sessuali a persone reali. È il passaggio da eros ad agape».
di Giancarlo Ricci, da Avvenire, 3 febbraio 2007
BENEDETTO XVI°- “L’OMOSESSUALITA’ E’ UN PECCATO CHE GRIDA VENDETTA AL COSPETTO DI DIO”
di Francesco Cossiga
SANTO PADRE LEI CHE HA PROMOSSO, NELLA PIENA RIAFFERMAZIONE DELLA DOTTRINA MORALE DELLA CHIESA, COMUNE ANCHE ALLE ALTRE GRANDI RELIGIONI MONOTEISTE CIRCA L’OGGETTIVO E INTRINSECO GRAVE DISORDINE DELLE RELAZIONI OMOSESSUALI, GIÀ DEFINITE DAI CATECHISMI CATTOLICI COME «PECCATI CHE GRIDANO VENDETTA AL COSPETTO DI DIO» *
Santo Padre, ho l’onore di conoscerla di persona e attraverso i suoi scritti da molti, molti anni. E so bene quali siano le Sue doti non solo d’intelligenza e di carità cristiana, ma di comprensione e di tolleranza...
Quando prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede Lei ha promosso, nella piena riaffermazione della dottrina morale della Chiesa, comune anche alle altre grandi religioni monoteiste circa l’oggettivo e intrinseco grave disordine delle relazioni omosessuali, già definite dai catechismi cattolici come «peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio», ha promosso documenti dei Vescovi e della stessa Congregazione che prescrivono il dovere di ogni cristiano di rispettare la dignità delle persone omosessuali.
Le scrivo questa lettera per chiederle scusa, oltre che a Lei come Vescovo di Roma, come a cittadino elettivo di questa città che La ospita da oltre venticinque anni. Le chiedo scusa per le offese che sono state recate alla Chiesa di Roma, ai suoi simboli e ai suoi principi, e direttamente alla Sua persona da parte dei partecipanti di una manifestazione priva di decoro e di dignità.
Io le chiedo scusa come semplice cittadino di questa città e come cattolico, cattolico liberale che crede fermamente nella libertà e nella civile tolleranza, ma «cattolico infante» che, anche se un giorno ricoprì quasi occasionalmente alcune cariche rappresentative dello Stato, nessuna influenza ha né alcun ruolo riveste ormai più nella vita politica e istituzionale del nostro Paese, ma che come cittadino di uno Stato democratico ha il diritto di rammaricarsi per l’offuscamento nella vita italiana per quelli che sono stati i valori storici fondanti della nostra comunità nazionale, il riconoscimento del cui carattere fondamentale fece scrivere a un grande filosofo laico e liberale un saggio dal titolo: Perché non possiamo non dirci cristiani.
Questa lettera aperta di scuse gliela avrebbe dovuta forse scrivere il Presidente del Consiglio dei ministri, cattolico e «cattolico adulto»: ma egli, e lo comprendo, non può perché ritiene che la politica e la religione debbano essere non solo distinte ma separate, e che ciò debba valere anche sul piano della buona educazione, perché il suo Governo ha dato il suo patronato a questa carnascialesca e volgare manifestazione e tre suoi ministri vi hanno partecipato insieme a leader di partiti della sua coalizione di governo, e infine perché coloro che vi hanno partecipato sono suoi elettori e suoi sostenitori. Credo vi abbia partecipato in nome della laicità anche un manipolo di «cattolici democratici».
Questa lettera aperta di scuse gliela avrebbe dovuta scrivere il Sindaco di Roma, non cattolico, ma molto ossequioso verso la Chiesa e soprattutto verso i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose che sono elettori nel Comune di Roma; ma non può perché anche suoi elettori e suoi sostenitori sono i partecipanti della sfilata dell’altro giorno. Ma anche se io non rappresento altri che me stesso, ed è assai poco - anche se penso che molti romani, cattolici o no, almeno in nome della buona educazione e dello spirito di ospitalità la pensino come me -, sono certo che vorrà accettare queste scuse da un tempo suo affezionatissimo amico (il teologo anche se cardinale era una cosa, per me «cattolico infante» il Papa è un’altra cosa!) e Suo devoto fedele.
* Il Giornale, 19/06/2007