El País, Madrid
La ribellione delle "veline" intorno a Berlusconi
Le denunce delle modelle contrastano con l’ ammaliamento della Chiesa cattolica e l’ammirazione di molti italiani per il primo ministro.
Miguel Mora - Roma - 21/06/2009 (traduzione dallo spagnolo di José F. Padova)
L’antico flirt fra Silvio Berlusconi e gli italiani naviga verso un finale imprevedibile. Il Noemigate ha aperto i tombini delle fogne un mese e mezzo fa, le foto proibite di Antonello Zappadu hanno illustrato l’ambiente e oggi il fango trabocca senza censura da tutte le parti, eccetto una sola: il silenzio delle televisioni controllate dal primo ministro, meglio conosciuto, dopo la sfortunata frase del suo avvocato, come l’ “utilizzatore finale”.
L’animato entourage del Cavaliere occupa Internet e giornali: Patrizia D’Addario, una prostituta barese sulla quarantina che giura di essere stata la fidanzata di David Copperfield e che lavora armata di registratore e videocamera, lascia il Paese dopo aver dichiarato ai giudici e al Corriere della Sera di aver percepito soldi per fare visita al capo del Governo nel palazzo Grazioli. Giampaolo Tarantini, un imprenditore di Bari che frequentava Berlusconi nelle estati di Sardegna affittando una tenuta vicina a Villa Certosa per 10.000 euro, è accusato dagli inquirenti di farsi strada nella sanità pubblica mediante mazzette e di reclutare meretrici per Papi. Barbara Montereale, una velina pentita, e come la sua amica Patrizia candidata alle elezioni comunali per la lista La Puglia Prima di Tutto, rivela di essere entrata in quella lista dopo essere stata alla Certosa e a palazzo Grazioli, ricevendo soldi ma senza [finire a] letto. Alessandro Manarini, autista di Tarantini e presunto spacciatore alle feste bene, assicura di essere stato nella villa sarda.
Dopo anni di silenzio sembra che qualcosa di molto profondo sia cambiato in Italia. All’improvviso la pioggia contro Berlusconi è continua. Alcuni giornali citano Caligola, altri Nerone, Fellini, Petronio. Berlusconi, paralizzato, non smette di ripeterlo: “È tutta spazzatura, ma io sono esperto in spazzatura. Ho ripulito quella di Napoli, ripulirò anche questa“.
Non sarà facile. La simpatia che soltanto fino a qualche giorno fa suscitavano le sue barzellette e bravate, la sua quasi miracolosa impunità giudiziaria, il suo disprezzo per ogni tipo di regole, sta lasciando il passo a un sospetto e a una disaffezione crescenti. Venerdì il primo ministro cercò di concedersi un bagno di folla durante un meeting vicino a Milano, a Cinisello Balsamo. Fu ricevuto con fischi e cartelli che dicevano: “Sono una donna, non una velina”. Furibondo, Berlusconi rispose alle proteste dicendo: “Sono soltanto alcuni poveri comunisti, analfabeti della libertà”.
Fra i seguaci del centro-destra cominciano a circolare opinioni che esigono più spiegazioni e meno insulti all’avversario. Sono pochi ormai quelli che credono nelle cospirazioni delle toghe rosse. Le argomentazioni suonano deteriorate davanti alla forza dei fatti. I vescovi, mediante un editoriale dell’Avvenire, hanno richiesto “pubblici chiarimenti” e hanno ricordato al loro alleato che “tutto ha un prezzo”, consigliandogli già che c’erano di fare a meno dell’avvocato che aveva coniato quella definizione di utilizzatore finale. Gianfranco Fini afferma gelido che “è in pericolo la fiducia del popolo nella politica e nelle istituzioni”. Il silenzioso numero due del Governo, Gianni Letta, ha scritto sull’Osservatore Romano un austero articolo su crisi e moralità pubblica. E giornali tanto conservatori come il Corriere o Il Foglio cominciano a spostarsi verso il compiacimento per la critica. Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio e fervente ammiratore del Cavaliere, gli ha suggerito “un cambiamento radicale, una rigenerazione del progetto”.
Berlusconi sa appena dove stanno i suoi amici. Libero, il quotidiano telediretto da un altro fedelissimo, Vittorio Feltri, si arrischia venerdì a titolare: “Silvio, occhio alla coca”. Mentre Il Giornale di suo fratello Paolo [Berlusconi] riportava ieri le foto di Villa Certosa già pubblicate da El País (nonostante siano proibite) e alcune altre, accusando i servizi di sicurezza di permettere a Zappadu di lavorare nella residenza.
Per la sinistra, L’Unità raccontava senza mezzi termini che le veline che sono passate [per le mani] dell’ “utilizzatore finale” hanno ricevuto in cambio una bazzecola, aggiungendo che è il momento buono per comperarle di seconda mano. Arrivati a questo punto che si direbbe di non ritorno, tutti aspettano il prossimo terremoto. I ministri cercano di appurare che cosa sarà il seguito, se permetterà loro di continuare a invocare il diritto alla privacy e ad accusare i nemici di essere dei moralisti. Nonostante Berlusconi si dica sicuro e determinato, il suo silenzio non infonde fiducia. E neppure i suoi più fanatici seguaci fantasticano che riesca a uscire indenne da questo che i vescovi, sempre poetici, definiscono come “tanto veleno, tanti sospetti”.
La speranza della maggioranza si limita a che l’esecutivo arrivi incolume al grande appuntamento politico dell’anno, al G8 (allargato a 20), che si celebrerà a L’Aquila fra il 6 e il 9 di luglio. La disgrazia del terremoto ha fatto sì che il vertice non si svolgesse in Sardegna, com’era previsto, e Berlusconi può essergliene grato. È meglio non immaginare che cosa sarebbero stati capaci di fare 4.000 giornalisti globali nei paraggi di Villa Certosa.
In ogni caso, Berlusconi dovrà vedersela con Barack Obama (che già lo ha ricevuto con notoria freddezza questa settimana a Washington), Nicolas Sarkozy, Angela Merkel, il suo amico Vladímir Putin e in più una quindicina di mandatari. Fra questi vi sarà Zapatero, accusato in questi giorni da Antonio Mantovano, sottosegretario agli interni, di istigare il complotto contro Il Cavaliere mediante El País. Grato per l’invito con poltrona al G8, Zapatero ha deciso di appoggiare Mario Mauro, il candidato di Berlusconi alla presidenza del Parlamento europeo.
Forse altri non saranno così magnanimi. Secondo fonti diplomatiche, Berlusconi ha cercato la solidarietà di svariate Cancellerie straniere. Tuttavia lo sconcerto è più grande della comprensione. Lo indica il rilievo dato al Sexgate in molti media statunitensi (“Clinton, perdonaci”, ha ironizzato John Steward) o l’aneddoto narrato da Jacques Chirac sulla sua visita chez Berlusconi, durante la quale questi fece supposizioni circa la qualità delle chiappe che si erano sedute sul suo bidè.
Quello che qualcuno giudicava come una trama gialla o rosa si va rivelando di un’evidente portata politica. Secondo quanto ha ricordato l’opposizione, Berlusconi è responsabile della sicurezza dello Stato italiano e della Difesa del Paese. Come membro della NATO può accedere a documenti segreti sull’armamento nucleare dell’Alleanza. Tanto in Villa Certosa, che è sottoposta al segreto di Stato, quanto in Grazioli, il primo ministro riceve collaboratori, si riunisce con ministri, incontra personalità nazionali e straniere. A sua richiesta, le misure di controllo che si applicano agli invitati privati sono minime. Patrizia D’Addario è uscita da palazzo Grazioli con le registrazioni audio e video nella sua borsetta. L’impressione, dentro e fuori d’Italia, è che Berlusconi è un politico con incrinature eccessive.
Come ha detto Feltri, in casa la cosa peggiorerà se appare la parola “coca”. Gli italiani sono vaccinati, ma questo lo sopporterebbero male. Vera Martini, una professoressa romana che vota Berlusconi, lo spiega così: “La morale vaticana sopporta maschilismo, corna e minorenni, può invidiare le feste con 25 veline, ammettere la corruzione e perfino i falsi in bilancio. Tuttavia gli italiani mai tollererebbero che il nome di un primo ministro venga associato a quello delle droghe”.
Il problema è che quella parola sta venendo fuori. E con profusione. Giampaolo Tarantini, l’imprenditore di 34 anni che portò la D’Addario e la Montereale alle case di Berlusconi, si muove in circoli VIP dove svolazza la polvere bianca. L’inchiesta giudiziaria di Bari, nata come un caso in più di corruzione nella sanità pubblica, viene seguita dal capo dell’Antimafia. I fratelli Tarantini vendevano protesi attraverso l’impresa, fallita, Tecno Hospital; in ragione dei suoi contatti col Potere arrivò a fatturare sei milioni all’anno. Il PM Giuseppe Scelsi indaga per possesso di stupefacenti contro Alessandro Mannarini. Il tipo ha dichiarato che è stato alla Certosa con Tarantini. Il suo avvocato lo nega con queste parole: “Tutto è spazzatura”.
Testo originale:
El País, Madrid
La rebelión de las ’velinas’ cerca a Berlusconi
Las denuncias de las modelos acaban con el encantamiento de la Iglesia católica y la admiración de muchos italianos hacia el primer ministro
MIGUEL MORA - Roma - 21/06/2009
El viejo romance entre Silvio Berlusconi y los italianos navega hacia un final impredecible. El Noemigate abrió las alcantarillas hace un mes y medio, las fotos prohibidas de Antonello Zappadu ilustraron el ambiente, y hoy el fango rebosa sin censura por todas partes menos por una: el expresivo silencio de las televisiones controladas por el primer ministro, más conocido tras la desafortunada frase de su abogado como el "usuario final".
El animado entourage del Cavaliere copa webs y periódicos: Patrizia D’Addario, una prostituta cuarentona de Bari que jura haber sido novia de David Copperfield y que trabaja armada de grabadora y vídeo, deja el país tras declarar a los jueces y al Corriere della Sera que cobró dinero por visitar al jefe de Gobierno en el palacio Grazioli. Giampaolo Tarantini, un empresario de Bari que frecuentaba a Berlusconi en los veranos de Cerdeña alquilando una mansión cercana a Villa Certosa por 100.000 euros, es acusado por los fiscales de trepar en la sanidad pública mediante sobornos y de reclutar meretrices para Papi. Barbara Montereale, una velina arrepentida, y como su amiga Patrizia candidata municipal por la lista La Puglia Prima di Tutto (Puglia Antes Que Nada), revela haber entrado en tales listas tras acudir a Certosa y Grazioli, cobrando pero sin cama. Alessandro Mannarini, chófer de Tarantini y supuesto camello de fiestas bien, asegura haber estado en la villa sarda.
Tras años de silencio, algo muy profundo parece haber cambiado en Italia. De repente, la lluvia contra Berlusconi es continua. Algunos periódicos citan a Calígula, otros a Nerón, a Fellini, a Petronio. Berlusconi, paralizado, no deja de repetirlo: "Es todo basura, pero yo soy experto en basura. Limpié la de Nápoles, limpiaré también ésta".
No será fácil. La simpatía que producían solo hace unos días sus chistes y sus bravatas, su casi milagrosa impunidad judicial, su desprecio por todo tipo de reglas está dando paso a un recelo y un descontento crecientes. El viernes, el primer ministro buscó darse un baño de masas en un mitin cerca de Milán, Cinisello Balsamo. Fue recibido con silbidos y pancartas que decían: "Soy una mujer, no una velina". Furioso, Berlusconi respondió a las protestas diciendo: "Sois solo unos pobres comunistas, unos analfabetos de la libertad".
En las huestes del centro derecha empiezan a surgir voces que exigen más explicaciones y menos insultos al adversario. Pocos creen ya en las conspiraciones de las togas rojas. El argumento suena gastado ante la fuerza de los hechos. Los obispos, a través de un editorial en Avvenire, han pedido "aclaraciones públicas" y han recordado a su sumiso aliado que "todo tiene un precio", aconsejándole de paso que prescinda del letrado que acuñó lo del utilizzatore finale. Gianfranco Fini afirma gélido que "está en peligro la confianza del pueblo en la política y las instituciones". El silencioso número dos del Gobierno, Gianni Letta, ha escrito un austero artículo en L’Osservatore Romano sobre crisis y moralidad pública. Y periódicos tan conservadores como el Corriere o Il Foglio empiezan a mudar la complacencia por la crítica. Giuliano Ferrara, director del Foglio y ferviente admirador del Cavaliere, le ha emplazado a "un cambio radical, a una regeneración del proyecto". Berlusconi apenas sabe dónde están sus amigos. Libero, el diario teledirigido por otro fidelísimo, Vittorio Feltri, se atrevía a titular el viernes: "Silvio: atento a la coca". Mientras, Il Giornale de su hermano Paolo reproducía ayer las fotos de Villa Certosa que publicó EL PAÍS (pese a estar prohibidas) y algunas más, acusando a los servicios de seguridad de permitir a Zappadu trabajar dentro de la mansión.
Por la izquierda, L’Unità contaba sin tapujos que las velinas que han pasado por el "usuario final" han recibido un mini a cambio, añadiendo que es buen momento para comprarlos de segunda mano. Llegados a este punto que se diría de no retorno, todos esperan el próximo terremoto. Los ministros tratan de averiguar qué será lo siguiente, si les permitirá seguir invocando el derecho a la privacidad y acusando de moralista al enemigo. Aunque Berlusconi se dice seguro y determinado, su silencio no infunde confianza. Ya ni sus más fanáticos seguidores fantasean con que logre salir indemne de eso que los obispos, siempre poéticos, definen como "tanto veneno, tantas sospechas".
La esperanza de la mayoría se limita a que el Ejecutivo llegue incólume a la gran cita política del año, el G-8 (alargado a 20) que se celebrará en L’Aquila entre el 6 y el 9 de julio. La desgracia del terremoto quiso que la cumbre no se celebrara en Cerdeña como estaba previsto, y Berlusconi puede dar gracias. Es mejor no imaginar qué habrían sido capaces de hacer 4.000 periodistas globales por los parajes de Villa Certosa.
En todo caso, Berlusconi deberá lidiar con Barack Obama (que ya lo recibió con frialdad notoria esta semana en Washington), Nicolas Sarkozy, Angela Merkel, su amigo Vladímir Putin y una quincena más de mandatarios. Entre ellos estará Zapatero, acusado estos días de instigar el complot contra Il Cavaliere a medias con EL PAÍS por Antonio Mantovano, secretario de Estado de Interior. Agradecido por la invitación con silla al G-8, Zapatero ha decidido apoyar a Mario Mauro, el candidato de Berlusconi a presidir el Parlamento europeo.
Otros no serán quizá tan magnánimos. Según fuentes diplomáticas, Berlusconi ha buscado la solidaridad de varias cancillerías extranjeras. Pero el desconcierto es mayor que la comprensión. Lo indica la relevancia dada al Sexgate en muchos medios estadounidenses ("Clinton, perdónanos", ironizó John Stewart), o la anécdota narrada por Jacques Chirac sobre su visita chez Berlusconi en la que éste presumió de la calidad de las nalgas que se habían sentado en su bidé.
Lo que algunos juzgaban como una trama amarilla o rosa va revelando un alcance político evidente. Según ha recordado la oposición, Berlusconi es responsable de la seguridad del Estado italiano y de la Defensa del país. Como miembro de la OTAN, puede acceder a documentos secretos del armamento nuclear de la alianza. Tanto en Villa Certosa, que está sometida al secreto de Estado, como en Grazioli, el primer ministro recibe a colaboradores, se reúne con ministros, alterna con personalidades nacionales y extranjeras. A petición suya, las medidas de control que se aplican a los invitados privados son mínimas. Patrizia D’Addario salió de Grazioli con las grabaciones de audio y vídeo en el bolso. La impresión, dentro y fuera de Italia, es que Berlusconi es un político con demasiadas fisuras.
Como ha dicho Feltri, en casa la cosa empeorará si aparece la palabra coca. Los italianos están curados de espanto, pero eso lo soportarían mal. Vera Martini, una profesora romana que vota a Berlusconi, lo explica así: "La moral vaticana soporta machismo, cuernos y menores de edad; puede envidiar las fiestas con 25 velinas, admitir la corrupción e incluso los ajustes de cuentas. Pero los italianos jamás tolerarían que el nombre de un primer ministro se asocie con las drogas".
El problema es que la palabra está apareciendo. Y con profusión. Giampaolo Tarantini, el empresario de 34 años que llevó a D’Addario y a Montereale a las casas de Berlusconi, se mueve en círculos VIP donde vuela el polvo blanco. La investigación judicial de Bari, nacida como un caso más de corrupción en la sanidad, está siendo seguida por el jefe de los jueces antimafia. Los hermanos Tarantini vendían prótesis a través de la decaída empresa Tecno Hospital; a raíz de sus contactos con el poder, pasó a facturar seis millones anuales. El fiscal Giuseppe Scelsi indaga por posesión de estupefacientes a Alessandro Mannarini. El tipo ha declarado que estuvo en Certosa con Tarantini. Su abogado lo niega con estas palabras: "Todo es basura".
Sul tema, nel sito, si cfr.:
AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.
Lo chef consiglia di Andrea Camilleri e Saverio Lodato (l’Unità, 23.06.2009)
Minzolini ai tempi di Prodi, è come dire che versi avrebbe scritto Dante se fosse stato Bondi
Camilleri, se Romano Prodi fosse stato il premier con la scorta e con la escort. Se fosse stato immortalato a feste di diciottenni, che frequentava da quando erano quindicenni. Se avesse regalato tartarughe e farfalline. Se fosse andato per mare, con il motoscafo zavorrato da bellezze al sole, accompagnato dalla pilotina dei carabinieri. O per cielo, con aerei di Stato e ballerine e menestrelli canterini. Se avesse chiesto il congelamento di 5mila foto. Se fosse stato chiamato papi da legioni di ragazze interessate a incarichi tv, politici o istituzionali. Se sua moglie si fosse rivolta ai giornali preoccupata per il suo stato di salute. Premessi i “se”, immagini Lei che fior di Tg1 avrebbe fatto l’Augusto Minzolini!
Ma che domande mi fa? Non sa che Storia e cronaca non si possono scrivere con i se? Non conosce il detto «se mia nonna avesse avuto il trolley, sarebbe stata un tram?». Se Prodi avesse fatto quello che fa Berlusconi, non sarebbe stato Prodi, ma Berlusconi. La natura umana non è intercambiabile. Sa immaginare i versi che avrebbe scritto Dante se si fosse chiamato Bondi? Ma ammettiamo, chiedendogli preventivamente scusa, che Prodi si fosse comportato come Berlusconi. Di conseguenza, Lei si domanda che fior di Tg1 avrebbe confezionato Minzolini, designato da Berlusconi il proprietario Mediaset e presidente del consiglio. Ma caro Lodato, se Prodi fosse stato speculare a Berlusconi, Minzolini si sarebbe comportato con lui proprio come ora si comporta con Berlusconi. Mannaggia! Mi ha infilato in un maledetto labirinto di se, mi sento dentro una commedia di Pirandello. Voglio uscirne. La cosa essenziale, per giornalisti come Minzolini, è avere un editore di riferimento, Bruno Vespa docet, dal quale dipendere passivamente. E lautamente.
La politica dell’intimità
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 23/6/2009)
Non son pochi, in Italia, gli esasperati di quel che sta avvenendo nel Paese: fuori casa l’attenzione delle democrazie si concentra sulla crisi economica, sui meno protetti che ne patiranno, su governi che per decenni hanno omesso di vigilare, sui rapporti di forza che mutano nel mondo, mentre da noi i giornali si riempiono di storie laide che hanno il premier come protagonista e i suoi patemi, i suoi impulsi, le sue libertine sregolatezze come trama. Si vorrebbe parlare d’altro, ma quest’altro è introvabile.
L’altro è il bene pubblico, è lo spazio dove il cittadino scopre il mondo esterno e vi si adatta, ma precisamente questo spazio si è liquefatto. Il casalingo soverchia ogni cosa, il privato inghiotte il pubblico, perfino il tempo è deformato. Si vorrebbe avere un’idea del nostro oggi, si vorrebbe pensare il domani, ma un solo presente e un solo futuro occupano la scena: il presente e il futuro del leader, il destino della sua personalità, della sua dimora privata, delle sue donne, del suo corpo, delle sue emozioni. È come se vivessimo in pantofole, senza mai infilare le scarpe per uscire all’aperto. Il leader politico è il primo a vivere nel chiuso, dando l’esempio: quel che conta è la sua vestaglia, la sua toilette, la sua camera da letto. È da quasi un ventennio che l’Italia è ammaliata da questo modello casalingo, edificato sulla negazione dello spazio pubblico e delle sue istituzioni. Chi ha forgiato tale modello è irritato, perché il golem che ha fabbricato si scaglia ora contro di lui: rivelando com’è avvenuta la messa a morte della cultura pubblica, denunciando un regime che ha strappato la tenda divisoria tra privato e pubblico.
Questa tenda, non sono i giornali che l’hanno strappata ma il presidente del Consiglio. Il mondo che per decenni ha voluto, trasformato in show, è un mondo dove scompare il corpo durevole della regalità - il corpo mistico che secondo Kantorowicz incarna le istituzioni che non muoiono - e non resta che il corpo del re deperibile, sublimato in un presente eterno. Nasce il tal modo la politica del corpo, il fotoromanzo che eroicizza il capo: Marco Belpoliti ha scritto su questo un libro importante, Il corpo del Capo (Guanda 2009). I giornali non possono ignorare la forma che il potere ha assunto in Italia, perché la forma s’è fatta sostanza. Se l’attore premia sull’azione, se la personalità è tutto, la sostanza della politica cambia. Berlusconi agisce, ma le emozioni messe in scena occultano l’agire oppure lo simulano se non c’è. Il consenso stesso non si forma attorno alle politiche, ma alla personalità. Tanto più essenziale è indagare la forma di simile dominio, svelandone le non più segrete pornografie.
È un potere che, mettendo il privato in cima a tutto, punta a saccheggiare e abolire la cultura pubblica. La strategia è moderna, se non rivoluzionaria. Più volte, negli ultimi due secoli, le avanguardie si sono ribellate alla separazione tra privato e pubblico, tra personalità e azione, in nome dell’anticonformismo e dell’originalità. Il romanticismo esaltò la soggettività radicale, in polemica con il primato che la cultura classica dava all’opera. Nella seconda metà del ’900 il modernismo architettonico progetta quartieri residenziali senza più piazze dove s’incontra il diverso, e uffici open space dove le pareti divisorie diventano trasparenti. La tirannide dell’intimità descritta da Richard Sennett nel 1974 comincia così: con la politica personalizzata, con la comunità casalinga o clanica opposta alla società, alla res publica. L’intimità è tirannica perché i muri trasparenti separano anziché unire: per sfuggire allo sguardo che ti spia, non resta che il silenzio. Nell’open space «siamo tutti visibili e isolati» (Sennett, Il declino dell’uomo pubblico, Bruno Mondadori 2006). Di questa cultura Berlusconi è artefice, utilizzatore finale, e infine vittima.
Si potrebbe anche parlare d’altro: di cose serie. Ma è difficile, quando il governo che oggi invoca la sacralità del bene pubblico è guidato da chi ha fatto saltare ogni barriera tra pubblico e privato. Berlusconi vorrebbe ora riagguantare il corpo mistico del re, ma non può farlo senza ricorrere al vocabolario con cui l’ha distrutto. Non può parlare di crisi economica, visto che s’ostina a annegarla nell’esaltazione ottimistica del carattere e a rifiutare ogni cifra veritiera. Nelle Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, Mario Draghi aveva parlato di 1,6 milioni di lavoratori che perdendo il lavoro resterebbero senza sostegno. Berlusconi ha replicato: «I dati sono falsi». Difficile parlare della sostanza, quando essa è nulla e l’illusionista tutto.
Quando scoppiano le crisi la tirannide dell’intimità vacilla, è inevitabile. È a questo punto che il leader torna al carisma che lo portò inizialmente al potere. Fu una sua forza, negli Anni 90, sedurre con lo spettacolo della personalità e lo svuotamento dello spazio pubblico: il suo carisma è sempre quello e non smette di apparire anticonformista, a molti. È il carisma del politico deciso a mimetizzarsi con il piccolo uomo che si fa da solo una carriera, che fatica a esser cittadino; che si sente minacciato da poteri forti, impersonali. Sennett dice che il leader carismatico di questo tipo, modernamente svincolato dalla religione, diventa un «impresario del risentimento» e dell’invidia sociale. La lettera che Deborah Bergamini - ex segretaria di Berlusconi, ex dirigente Rai, oggi deputata Pdl - ha scritto il 18 giugno sul Corriere della Sera è significativa. Il leader del Pdl è eguagliato a Catilina: un aureo parvenu, un piccolo uomo che sogna di esser grande ed è umiliato da magistrati e establishment: «Gli optimates che armarono le azioni di Cicerone erano i rappresentanti di una classe senatoriale gelosa custode di privilegi politici ed economici; gli optimates che violentano le regole di oggi sono potentati senza patria, politici mediocri e polverosi intellettuali. Il potere non accetta gli imprevisti e spesso i grandi riformatori si presentano all’appuntamento senza bussare. Questo li rende inaccettabili».
La politica del corpo è essenziale per i moderni Catilina, perché consente di rovesciare la favola di Andersen. Non è l’imperatore a trovarsi nudo, ma il cittadino che a forza di imitarlo perde il senso della società ed è gettato nella solitudine. Scrive Belpoliti: «Siamo noi ad apparire nudi, non l’imperatore \, il re è nudo, ma ci convince che siamo noi a non avere i vestiti. Un capolavoro di rovesciamento dello sguardo. Questo è il glamour».
In realtà Berlusconi è stato sempre l’imperatore nudo. Sulla nudità ha costruito la propria ascesa. È in continuo strip-tease psicologico, come scrive Sennett dell’uomo pubblico in declino. Il problema non è più lui, né il suo show: anche se imbalsamato nel presente, lo spettacolo per sua natura finisce. Il problema siamo noi, cittadini spogliati di cittadinanza. È la destra, che dovrà uscire un giorno dall’ubriacatura di molti anni. Le soubrette, le escort che ottengono seggi parlamentari o dicasteri. Un ministro, Michela Brambilla, che fa il saluto romano e resta ministro. La corruzione impunita. Tutto questo è forma che imprigiona l’Italia e che incide sulla sostanza. Il consenso basato sul risentimento e sulla preminenza del privato è uno dei più formidabili ostacoli alle riforme. Lo spazio pubblico cancellato rinvia l’ora delle responsabilità nell’animo dei cittadini. Un ricominciamento è necessario, a sinistra ma soprattutto a destra visto che è quest’ultima ad avere la maggioranza. Fini dice: «È a rischio la fiducia dei cittadini nelle istituzioni». In realtà non è a rischio. La sfiducia c’è già, il capo della destra non ha mai cessato di nutrirla e ancora se ne nutre.
L’ANALISI / Dalla Rai a Mediaset: così un caso diventa "fantasma"
Nelle edizioni di sabato una vera pietra tombale seppellisce l’inchiesta di Bari
Silenzi, omissioni, mezze notizie
il Patrizia-gate cancellato dai tg
Il Tg1 di Minzolini ha evitato di collegare Berlusconi alla D’Addario
Solo "feste a Palazzo Grazioli", aggiungendo: "Potrebbe trattarsi di millanterie"
di SEBASTIANO MESSINA *
È davvero possibile insabbiare uno scandalo che domina le prime pagine dei quotidiani nazionali, è al centro di un’inchiesta giudiziaria ed è finito immediatamente nei titoli della stampa internazionale? Sì, è possibile. In questa Italia dove il presidente del Consiglio ha anche l’ultima parola sulle nomine dei direttori di cinque dei sei maggiori telegiornali, ormai non c’è più bisogno di contestare i fatti, i sospetti e le accuse: basta nasconderli, e oplà, la notizia non c’è più.
Quei quindici milioni di italiani che ogni sera si affidano ai telegiornali per sapere quello che è successo in Italia e nel mondo, quell’80 per cento di telespettatori che non leggono i giornali - dunque non leggeranno neanche questo articolo - e hanno la tv come unica fonte d’informazione, non hanno la più pallida idea di quello che è successo la settimana scorsa.
Già, cos’è successo? Proviamo a mettere in ordine i fatti, e confrontiamoli con quello che il Tg1 e il Tg5 hanno riferito ai loro fiduciosi telespettatori. Mercoledì 17. Il "Corriere della Sera" pubblica in prima pagina un’intervista a una signora di Bari, Patrizia D’Addario, che racconta di essere stata pagata 2000 euro per partecipare a due feste a Palazzo Grazioli (residenza romana di Silvio Berlusconi), e dichiara di avere le prove di aver passato una notte in compagnia del presidente del Consiglio. E poiché chi l’ha pagata è un imprenditore della sanità, oggetto a Bari di un’inchiesta per presunte tangenti, il magistrato ipotizza un reato preciso: "induzione alla prostituzione". Su Berlusconi, dunque, aleggia il bruciante sospetto di essersi intrattenuto con una donna pagata per fare sesso con lui.
All’ora di pranzo, accendiamo il televisore. Il Tg5 delle 13, riferendo di "presunte irregolarità negli appalti della sanità privata", dà la notizia con queste parole: "Uno degli imprenditori si vantava di essere stato invitato a partecipare con delle ragazze a feste a Palazzo Grazioli". E vabbè, pensa il telespettatore, che male c’è a vantarsene? Dopodiché il cronista riferisce di "indagini per induzione alla prostituzione", ma evita accuratamente di dire chi avrebbe indotto chi, e soprattutto con chi la donna sarebbe stata indotta a prostituirsi. Mezz’ora dopo, il Tg1 entra in argomento con le parole di Berlusconi, che un conduttore compunto scandisce con tono severo: "Ancora una volta si riempiono i giornali di spazzatura e di falsità". E mentre uno si domanda di cosa stia parlando, il conduttore precisa: "Si parla di feste con la partecipazione di alcune ragazze". Tutto qui? Sì, tutto qui.
Il telespettatore non capisce come mai Berlusconi sia così infuriato, ma aspetta l’ora di cena per saperne di più. Attesa vana, perché i due telegiornali ripetono le formule criptiche dell’ora di pranzo: "Si parla di feste...". Il Tg1, preoccupato di aver detto già troppo, aggiunge premuroso: "Tutto da verificare: potrebbe trattarsi di millanterie o altro". Dopodiché entrambi i tg rivelano che la faccenda ha un risvolto politico. Che non riguarda però il premier, ma D’Alema: colpevole di aver ipotizzato "una scossa" capace di destabilizzare il governo. Invece di spiegarci il nuovo "caso Berlusconi", dunque, entrambi apparecchiano un inesistente "caso D’Alema" sul quale concentrano la dose quotidiana di dichiarazioni in politichese stretto.
Giovedì 18 i magistrati di Bari interrogano cinque ragazze, i giornali inglesi titolano sulle "donne pagate alle feste di Berlusconi", ma il Tg1 delle 20 riesce a confondere ancora di più le idee al suo pubblico, spiegando che si indaga "sul presunto ingaggio di ragazze per avvicinare i potenti". Quali ragazze, e soprattutto quali potenti, non si sa. Il Tg5 della sera, invece, fa finalmente il nome di Patrizia D’Addario, e anche quello dell’imprenditore coinvolto, Gianpaolo Tarantini, spiegando che quest’ultimo potrebbe aver "tentato di ingraziarsi persone influenti". Il telespettatore immagina che queste "persone influenti" siano gli stessi "potenti" evocati dal Tg1, ma non gli viene dato neanche un indizio per capire chi siano.
Venerdì 19 Gianpaolo Tarantini - l’imprenditore indagato per "induzione alla prostituzione" - dà all’Ansa la sua versione dei fatti, l’opposizione chiede al premier di riferire in Parlamento e il quotidiano dei vescovi, "Avvenire", lo invita apertamente a discolparsi: "Occorre un chiarimento con l’opinione pubblica". Le notizie non mancano, ma il Tg1 di Minzolini comincia con un Berlusconi furioso: "Le trame giudiziarie e gli attacchi mediatici non mi butteranno giù!". Il nostro telespettatore è sempre più curioso di capire cosa diavolo stia succedendo, ma deve accontentarsi di quello che gli passa il convento di Mimun, ovvero il Tg5 delle 20: "Il premier ha commentato così le voci che per vari rivoli sono emerse in questi giorni". Quali voci? E dove sono emerse? Certo non al Tg5 (e neppure al Tg1).
Sabato 20 una delle ragazze coinvolte, Barbara Montereale, racconta a "Repubblica" cosa accadeva nelle feste di Palazzo Grazioli ("Tutte lo chiamavano papi"), mentre si apprende che dalle registrazioni consegnate da Patrizia D’Addario ai magistrati si sentirebbe la voce di Berlusconi che dice: "Vai ad aspettarmi nel letto grande". Con questi tasselli il puzzle è quasi completo, e infatti l’indomani i giornali stranieri racconteranno la storia con dovizia di particolari. Per il Tg1 e il Tg5, invece, il caso è chiuso. Non un titolo, non un servizio, non una parola. Una pietra tombale ha seppellito l’inchiesta di Bari, i sospetti dei magistrati, l’imbarazzo del premier e le domande dell’opposizione.
Cosa sia successo nelle misteriosissime feste di Palazzo Grazioli, il telespettatore italiano non è riuscito a saperlo. E forse non lo saprà mai, se aspetterà che glielo rivelino i tg di Berlusconia.
* la Repubblica, 22 giugno 2009.