“COGLIONI”, DAVVERO !!!
LA PAROLA RUBATA
Una lettera aperta all’ ITALIA (e un omaggio agli intellettuali: Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Jacques Lacan, Elvio Fachinelli).
di Federico La Sala *
L’ITALIA GIA’ DA TEMPO IN-TRAPPOLA-TA.................e noi - alla deriva - continuiamo a ’dormire’ , alla grande! "IO STO MENTENDO": UNA LETTERA APERTA SULL’USO E ABUSO ISTITUZIONALE DELL’ "ANTINOMIA DEL MENTITORE".
Cara ITALIA
MI AUGURO CHE LE GIUNGA DA LONTANO IL MIO URLO: ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA! IL NOME ITALIA E’ STATO IN-GABBIA-TO NEL NOME DI UN SOLO PARTITO....E I CITTADINI E LE CITTADINE D’ITALIA ANCHE!!!
NON E’ LECITO CHE UN PARTITO FACCIA PROPRIO IL NOME DELLA CASA DI TUTTI I CITTADINI E DI TUTTE LE CITTADINE! FERMI IL GIOCO! APRA LA DISCUSSIONE SU QUESTO NODO ALLA GOLA DELLA NOSTRA VITA POLITICA E CULTURALE! NE VA DELLA NOSTRA STESSA IDENTITA’ E DIGNITA’ DI UOMINI E DONNE D’ITALIA!
Cosa sta succedendo in Italia? Cosa è successo all’Italia? Niente, non è successo niente?! Semplicemente, il nome Italia è stato ingabbiato dentro il nome di un solo PARTITO e noi, cittadini e cittadine d’ITALIA, siamo diventati tutti e tutte cret... ini e cret..ine. Epimenide il cretese dice: "Tutti i cretesi mentono". E, tutti i cretini e tutte le cretine di ’Creta’, sono caduti e cadute nella trappola del Mentitore.... e, imbambolati e imbambolate come sono, si divertono persino. Di chi la responsabilità maggiore?! Di noi stessi - tutti e tutte!
Le macchine da guerra mediatica funzionano a pieno regime. Altro che follia!: è logica di devastazione e presa del potere. La regola di funzionamento è l’antinomia politico-istituzionale del mentitore ("io mento"). Per posizione oggettiva e formale, non tanto e solo per coscienza personale, chi sta agendo attualmente da Presidente del Consiglio della nostra Repubblica non può non agire che così: dire e contraddire nello stesso tempo, confondere tutte le ’carte’ e ’giocare’ a tutti i livelli contemporaneamente da presidente della repubblica di (Forza) Italia e da presidente del consiglio di (Forza) Italia, sì da confondere tutto e tutti e tutte... e assicurare a se stesso consenso e potere incontrastato.
Se è vero - come ha detto qualcuno - che "considerare la politica come un’impresa pubblicitaria [trad.: un’impresa privata che mira a conquistare e occupare tutta l’opinione pubblica, fls] è un problema che riguarda tutto l’Occidente"(U. Eco), noi, in quanto cittadini e cittadine d’Italia, abbiamo il problema del problema, all’ennesima potenza e all’o.d.g.! E, per questo e su questo, sarebbe bene, utile e urgentissimo, che chi ha gli strumenti politici e giuridici (oltre che intellettuali, per togliere l’uso e l’abuso politico-istituzionale dell’antinomia del mentitore) decidesse quanto prima ... e non quando non c’è (o non ci sarà) più nulla da fare. Se abbiamo sbagliato - tutti e tutte, corriamo ai ripari. Prima che sia troppo tardi!!!
ITALIA! La questione del NOME racchiude tutti i problemi: appropriazione indebita, conflitto di interessi, abuso e presa di potere... in crescendo! Sonnambuli, ir-responsabili e conniventi, tutti e tutte (sia come persone sia come Istituzioni), ci siamo fatti rubare la parola-chiave della nostra identità e della nostra casa, e il ladro e il mentitore ora le sta contemporaneamente e allegramente negando e devastando e così, giocati tutti e tutte, ci sta portando dove voleva e vuole ... non solo alla guerra ma anche alla morte culturale, civile, economico-sociale e istituzionale! Il presidente di Forza Italia non è ...Ulisse e noi non siamo ... Troiani.
Non si può e non possiamo tollerare che il nome ITALIA sia di un solo partito... è la fine e la morte della stessa ITALIA!
La situazione politica ormai non è più riconducibile all’interno del ’gioco’ democratico e a un vivace e normale confronto fra i due poli, quello della maggioranza e quello della minoranza. Da tempo, purtroppo, siamo già fuori dall’orizzonte democratico! Il gioco è truccato! Cerchiamo di fermare il ’gioco’ e di ristabilire le regole della nostra Costituzione, della nostra Legge e della nostra Giustizia. Ristabiliamo e rifondiamo le regole della democrazia.
E siccome la cosa non riguarda solo l’Italia, ma tutto l’Occidente (e non solo), cerchiamo di non andare al macello e distruggerci a vicenda, ma di andare avanti .... e di venir fuori da questa devastante e catastrofica crisi. Io, da semplice cittadino di una ’vecchia’ Italia, penso che la logica della democrazia sia incompatibile con quella dei figli di "dio" e "mammasantissima" che si credono nello stesso tempo "dio, papa, e re" (non si sottovaluti la cosa: la questione è epocale e radicale, antropologica, teologica e politica - e riguarda anche le religioni e la stessa Chiesa cattolica) si danno da fare per occupare e devastare le Istituzioni! Non si può tornare indietro e dobbiamo andare avanti.... laici, cattolici, destra, sinistra, cittadini e cittadine - tutti e tutte, uomini e donne di buona volontà.
Allora facciamo che il gioco venga fermato e ... e che si apra il più ampio e diffuso dibattito politico e culturale - si ridia fiducia e coraggio all’ITALIA, e a tutti gli Italiani e a tutte le Italiane. E restituiamo il nome e la dignità all’ITALIA: a noi stessi e a noi stesse - in Italia e nel mondo...... cittadini e cittadine della Repubblica democratica d’Italia.
Un semplice cittadino della nostra bella ITALIA!
Federico La Sala
* IL DIALOGO, Mercoledì, 05 aprile 2006
Caso intercettazioni, il leader dell’Italia dei valori attacca a testa bassa il premier
Sarebbero 8.400 le telefonate trascritte e agli atti del processo a Saccà
Di Pietro: "Abbiamo un capo
del governo che fa il magnaccia"
Replica di Bonaiuti: "Linguaggio da osteria".
E Ghedini annucia querele
ROMA - Negli atti del processo napoletano ad Agostino Saccà ci sono 8.400 intercettazioni, i protagonisti sono non solo il premier ma anche altri politici e nomi che pesano e il contenuto è, si dice, ad alto contenuto erotico. Antonio Di Pietro attacca a testa bassa il premier. Tra una trebbiatura e l’altra in quel di Montenero di Bisaccia, ha fatto una conferenza stampa per dire, tra le altre cose: "Le intercettazioni che loro vogliono limitare ci fanno vedere un capo del governo che fa un lavoro più da magnaccia, impegnato a piazzare le veline che parlavano troppo". Replica di Paolo Bonaiuti: "Linguaggio da osteria". Mentre l’avvocato del Cavaliere, Nicolò Ghedini, annuncia querele.
Forse l’ex pm sa di più e meglio circa le indiscrezioni che girano a Montecitorio e dintorni sulle centinaia di telefonate a contenuto bollente. Di certo la questione preoccupa non poco "Libero", quotidiano notoriamente vicino al premier, che da due giorni titola su quello che ha ribattezzato "il caso gnocca" mettendo le mani avanti: questa roba deve stare lontana dalla politica e guai se sono usate per provocare cataclismi e crisi politiche.
Berlusconi questo lo sa e ingorgo parlamentare a parte - troppi decreti e provvedimenti già assegnati all’esame dell’aula prima della pausa estiva - farà di tutto per accellerare l’approvazione del ddl che limita il ricorso alle intercettazioni e ne vieta la pubblicazione. Lo sa bene Enrico La Loggia, n.2 del gruppo pdl alla Camera: "La pubblicazione indiscriminata di intercettazioni scandalistiche senza alcuna rilevanza penale che abbiamo tutti sotto gli occhi in questi giorni, dimostra che urge una legge che disciplini l’uso dell’intercettazione e che vieti tassativamente la loro pubblicazione. Qualunque ritardo nel disciplinare questa materia porta inevitabilmente ad un imbarbarimento della vita politica ed istituzionale del Paese". Se non ci sarà in fretta una legge chiara ed univoca - aggiunge La Loggia - "il pericolo è quello di cedere alla tentazione di certi giustizialisti di falsare il voto di aprile espresso liberamente dai cittadini".
La replica ufficiale del Cavaliere, invece, è affidata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti: "Il linguaggio rozzo e volgare di Di Pietro - dichiara - è al di fuori della politica, riguarda soltanto l’osteria. Ma come può un partito democratico che si definisce la nuova sinistra accettare e seguire questa degenerazione?". Ecco invece le parole di Nicolò Ghedini: "Del tutto evidente la portata portata diffamatoria, che trascende di gran lunga ogni critica politica e per la quale saranno espedite tutte le azioni giudiziarie conseguenti".
Contro Di Pietro e la "casta giudiziaria" si scaglia anche il portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone: "I magistrati, ormai perdenti sul piano del consenso dell’opinione pubblica, tentano un disperato e pericoloso colpo di coda finale". Per quello che riguarda poi le affermazioni dell’ex pm, Capezzone dichiara che "ha chiaramente passato il segno". Per il Dc Rotondi è "un insulto gratuito".
Anche il Pd è abbastanza critico sulla nuova ondata di intercettazioni. Veltroni e Minniti ieri si sono affrettati a dire che i brani delle telefonate senza rilievo penale devono stare fuori e lontani dai giornali. Però, riflette il prodiano Marco Monaco, "siamo al punto che abbiamo scrupoli nel dire che il contenuto delle intercettazioni fa schifo e vergogna". Tutto ciò è "abbastanza ipocrita".
* la Repubblica, 28 giugno 2008.
L’ANALISI
La menzogna come potere
di GIUSEPPE D’AVANZO *
Avanzare delle domande a un uomo politico nell’Italia meravigliosa di Silvio Berlusconi è già un’offesa che esige un castigo?
L’Egoarca ritiene che sollecitare delle risposte dinanzi alle incoerenze delle dichiarazioni pubbliche del capo del governo sia diffamatorio e vada punito e che quelle domande debbano essere cancellate d’imperio per mano di un giudice e debba essere interdetto al giornale di riproporle all’opinione pubblica. E’ interessante leggere, nell’atto di citazione firmato da Silvio Berlusconi, perché le dieci domande che Repubblica propone al presidente del Consiglio sono "retoriche, insinuanti, diffamatorie".
Sono retoriche, sostiene Berlusconi, perché "non mirano a ottenere una risposta dal destinatario, ma sono volte a insinuare l’idea che la persona "interrogata" si rifiuti di rispondere". Sono diffamatorie perché attribuiscono "comportamenti incresciosi, mai tenuti" e inducono il lettore "a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti". Peraltro, "è sufficiente porre mente alle dichiarazioni già rese in pubblico dalle persone interessate, per riconoscerne la falsità, l’offensività e il carattere diffamatorio di quelle domande che proprio "domande" non sono".
Come fin dal primo giorno di questo caso squisitamente politico, una volta di più, Berlusconi ci dimostra quanto, nel dispositivo del suo sistema politico, la menzogna abbia un primato assoluto e come già abbiamo avuto modo di dire, una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi non occulta i "duri fatti"; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di nemici e immaginari complotti politici.
Non c’è, infatti, nessuna delle dieci domande che non nasca dentro un fatto e non c’è nessun fatto che nasca al di fuori di testimonianze dirette, di circostanze accertate e mai smentite, dei racconti contraddittori di Berlusconi.
E’ utile ora mettersi sotto gli occhi queste benedette domande. Le prime due affiorano dai festeggiamenti di una ragazza di Napoli, Noemi, che diventa maggiorenne. E’ Veronica Lario ad accusare Berlusconi di "frequentare minorenni". E’ Berlusconi che decide di andare in tv a smentire di frequentare minorenni. Nel farlo, in pubblico, l’Egoarca giura di aver incontrato la minorenne "soltanto tre o quattro volte alla presenza dei genitori". Questi sono fatti. Come è un fatto che le parole di Berlusconi sono demolite da circostanze, svelate da Repubblica, che il capo del governo o non può smentire o deve ammettere: non conosceva i genitori della minorenne (le ha telefonato per la prima volta nell’autunno del 2008 guardandone un portfolio); l’ha incontrata da sola per lo meno in due occasioni (una cena offerta dal governo e nelle vacanze del Capodanno 2009).
La terza domanda chiede conto al presidente del Consiglio delle promesse di candidature offerte a ragazze che lo chiamano "papi". La circostanza è indiscutibile, riferita da più testimoni e direttamente dalla stessa minorenne di Napoli. La quarta, la quinta, la sesta e settima domanda ruotano intorno agli incontri del capo del governo con prostitute che potrebbero averlo reso vulnerabile fino a compromettere gli affari di Stato. La vita disordinata di Berlusconi è diventata ormai "storia nota", ammessa a collo torto dallo stesso capo del governo e in palese contraddizione con le sue politiche pubbliche (marcia nel Family day, vuole punire con il carcere i clienti delle prostitute). La sua ricattabilità - un fatto - è dimostrata dai documenti sonori e visivi che le ospiti retribuite di Palazzo Grazioli hanno raccolto finanche nella camera da letto del Presidente del Consiglio.
L’ottava domanda è politica: può un uomo con queste abitudini volere la presidenza della Repubblica? Chi non glielo chiederebbe? La nona nasce, ancora una volta, dalle parole di Berlusconi. E’ Berlusconi che annuncia in pubblico "un progetto eversivo" di questo giornale. E’ un fatto. E’ lecito che il giornale chieda al presidente del Consiglio se intenda muovere le burocrazie della sicurezza, spioni e tutte quelle pratiche che seguono (intercettazioni su tutto). Non è minacciato l’interesse nazionale, non si vuole scalzarlo dal governo e manipolare la "sovranità popolare"? In questo lucidissimo delirio paranoico, Berlusconi potrebbe aver deciso, forse ha deciso, di usare la mano forte contro giornalisti, magistrati e testimoni. Che ne dia conto. Grazie.
La decima domanda infine (e ancora una volta) non ha nulla di retorico né di insinuante. E’ Veronica Lario che svela di essersi rivolta agli amici più cari del marito per invocare un aiuto per chi, come Berlusconi, "non sta bene". E’ un fatto. Come è un fatto che, oggi, nel cerchio stretto del capo del governo, sono disposti ad ammettere che è la satiriasi, la sexual addiction a rendere instabile Berlusconi.
Questa la realtà dei fatti, questi i comportamenti tenuti, queste le domande che chiedono ancora oggi - anzi, oggi con maggiore urgenza di ieri - una risposta. Dieci risposte chiare, per favore. E’ un diritto chiederle per un giornale, è un dovere per un uomo di governo offrirle perché l’interesse pubblico dell’affare è evidente.
Si discute della qualità dello spazio democratico e la citazione di Berlusconi ne è una conferma. E dunque, anche a costo di ripetersi, tutta la faccenda gira intorno a un solo problema: fino a che punto il premier può ingannare l’opinione pubblica mentendo, in questo caso, sulle candidature delle "veline", sulla sua amicizia con una minorenne e tacendo lo stato delle sue condizioni psicofisiche? Non è sempre una minaccia per la res publica la menzogna? La menzogna di chi governa non va bandita incondizionatamente dal discorso pubblico se si vuole salvaguardare il vincolo tra governati e governanti? Con la sua richiesta all’ordine giudiziario di impedire la pubblicazione di domande alle quali non può rispondere, abbiamo una rumorosa conferma di un’opinione che già s’era affacciata in questi mesi: Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un’altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. La sua ultima mossa conferma un uso della menzogna come la funzione distruttiva di un potere che elimina l’irruzione del reale e nasconde i fatti, questa volta anche per decisione giudiziaria. La mordacchia (come chiamarla?) che Berlusconi chiede al magistrato di imporre mostra il nuovo volto, finora occultato dal sorriso, di un potere spietato. E’ il paradigma di una macchina politica che intimorisce. E’ la tecnica di una politica che rende flessibili le qualifiche "vero", "falso" nel virtuale politico e televisivo che Berlusconi domina. E’ una strategia che vuole ridurre i fatti a trascurabili opinioni lasciando campo libero a una menzogna deliberata che soffoca la realtà e quando c’è chi non è disposto ad accettare né ad abituarsi a quella menzogna invoca il potere punitivo dello Stato per impedire anche il dubbio, anche una domanda. Come è chiaro ormai da mesi, quest’affare ci interroga tutti. Siamo disposti a ridurre la complessità del reale a dato manipolabile, e quindi superfluo. Possiamo o è già vietato, chiederci quale funzione specifica e drammatica abbia la menzogna nell’epoca dell’immagine, della Finktionpolitik? Sono i "falsi indiscutibili" di Berlusconi a rendere rassegnata l’opinione pubblica italiana o il "carnevale permanente" l’ha già uccisa? Di questo discutiamo, di questo ancora discuteremo, quale che sia la decisione di un giudice, quale che sia il silenzio di un’informazione conformista. La questione è in fondo questa: l’opinione pubblica può fare delle domande al potere?
* la Repubblica, 28 agosto 2009
Messaggio del presidente del consiglio alla federazione italiana tabaccai
"Bisogna riformare una giustizia che delude le aspettative"
Berlusconi: "Polemiche strumentali
vado avanti, nell’interesse di tutti" *
ROMA - "Tante polemiche strumentali finiscono col mettere in secondo piano l’interesse collettivo". Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato al convegno della Federazione italiana tabaccai, torna sulle dure polemiche sollevate dalle sue iniziative in materie di giustizia. E lo fa riaffermando le scelte prese, assicurando "ogni sforzo perchè l’interesse di pochi non prevalga su quello di quasi tutti" e insistendo "nella direzione che era indicata nei programmi e si incarna nella nostra azione". Nessuna frenata, nessun passo indietro. Nonostante il clima politico rovente, nonostante gli inviti "alla cautela" di Bossi, il presidente del Consiglio va avanti. "Il governo ha scelto di mettere la sicurezza e l’ordine pubblico fra le priorità della propria azione, compresa la volontà di ridare efficienza e forza credibile ad una giustizia che, troppo spesso, delude le aspettative in essa legittimamente riposte" spiega Berlusconi.
Lontani i tempi del dialogo con l’opposizione. "Alcuni atteggiamenti e alcune posizioni sono volgari violenti e contro il dialogo" dice il ministro delle attività produttive Claudio Scajola. Mentre Walter Veltroni annuncia, in una lettera all’Unità, il via ad un viaggio attraverso l’Italia.
* la Repubblica, 30 giugno 2008.
Dopo il "magnaccia" rivolto ieri al Cavaliere, in riferimento alle intercettazioni
il leader dell’Idv non fa marcia indietro: "Obbliga il Parlamento a fare leggi per lui"
Di Pietro, niente scuse a Berlusconi
"Lui deve chiederle agli italiani"
ROMA - Il giorno dopo la bufera scatenata dalle sue dichiarazioni su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro non chiede scusa al premier, per averlo definito "un magnaccia". Anzi. Infatti il leader dell’Italia dei valori, ospite di Lucia Annunziata nel programma tv In mezz’ora, sostiene che è il Cavaliere a doversi "scusare con gli italiani, perché in campagna elettorale ha detto che si sarebbe attivato per farli stare bene. E invece sta obbligando il Parlamento a fare leggi che servono a lui per suo interesse".
"Il mio sarà pure un linguaggio crudo - aggiunge Di Pietro - ma il suo è un insulto agli italiani perché quando ha un processo in corso si fa una legge per farsi salvare". Quindi "è il premier che si deve scusare con gli italiani anche perché non può fare telefonate al direttore della rete pubblica per cui noi paghiamo il canone per dire piazza questo, piazza quello".
Ieri il presidente del Consiglio, dalla Sardegna, ha reagito a quel "magnaccia" di Di Pietro dicendo ai suoi amici presenti "è un mascalzone". Mentre il suo avvocato difensore nonché parlamentare del suo partito, Nicolò Ghedini, ha annunciato querele.
* la Repubblica, 29 giugno 2008.
Di Pietro: i cittadini devono sapere, il regime avanza
di Marcella Ciarnelli *
Attacco alle istituzioni. Interesse privato. Antonio Di Pietro non tradisce il suo stile e va all’attacco del governo di Silvio Berlusconi, che ieri ha provveduto all’approvazione del Lodo Alfano, sfoderando l’arma dei referendum abrogativi.
Onorevole Di Pietro, un’altra legge salva premier con l’iter blindato in Parlamento?
«Come giustamente è stato notato anche dal Partito democratico in riferimento al Dpef e alla legge finanziaria, si sta svuotando totalmente la funzione del Parlamento, che è diventato semplicemente un organo di passaggio e ratifica di decisioni che vengono prese in altri luoghi. Un metodo che non va. Ancor meno il merito. Questa è un’avvisaglia importante del regime che ci aspetta a cui voglio aggiungere anche il tentativo di zittire ogni forma di controllo, vedi la vicenda della Commissione di Vigilanza».
Come si contrasta?
«Credo proprio che sia necessario informare bene l’opinione pubblica sul futuro che ci aspetta. La manifestazione che terremo l’8 luglio è una prima risposta di quell’altra Italia che non ci sta a chiudere gli occhi e a farsi prendere in giro da un imbonitore che dice una cosa e ne fa un’altra, parla di sicurezza e fa leggi contro la sicurezza. Parla di libera informazione e fa leggi contro la libera informazione, parla di rilancio delle infrastrutture e dell’economia e propone norme punitive sia per lo sviluppo del Sud e che per il federalismo fiscale».
Berlusconi lavora per sé?
«Il presidente del Consiglio a fronte delle emergenze vere del Paese sta truffando letteralmente, non solo politicamente, i cittadini facendo credere che questi provvedimenti servano alla sicurezza, al rilancio dell’economia, alla governabilità, alla credibilità delle istituzioni. Invece se li valutiamo uno per uno, con la lente di ingrandimento, interessano solo lui».
È la P2 che ritorna?
«Berlusconi non sta ragionando da lupo braccato per l’esasperazione dei suoi guai giudiziari, ma è la longa manus di un progetto mai sopito, sempre presente nelle nostre istituzioni. Preoccupazione che peraltro, lo stesso presidente dell’Antitrust ha rilanciato l’altro giorno, quando ha detto che è neccessario fermare i cartelli. Il progetto di asservire le istituzioni e gestirle nell’interesse di pochi è più che ma attuale. La dimostrazione è nel fatto che se c’è qualcuno che gli mette il bastone tra le ruote lo si ferma, se bisogna cambiare una legge si cambia, se c’è bisogno di criminalizzare un’istituzione, si fa. Anche Benito faceva così».
I numeri in Parlamento sono quelli che sono...
«Abbiamo deciso di fare un’opposizione parlamentare ma anche d’informazione. Vogliamo parlare alla gente, non ai partiti. Attraverso il Parlamento e le nostre manifestazioni vogliamo far sapere agli italiani che in realtà hanno votato una truffa».
Parlamento e piazza?
«Certo. E anche rete».
E poi i referendum?
«Sette, che dovranno servire a formare ed informare. Vogliamo chiamare a raccolta i cittadini per dire no ad un grappolo di leggi che, messe tutte insieme sono, l’esemplificazione del regime che verrà. Vogliamo liberare l’informazione, liberare l’economia, liberare la giustizia».
C’è tempo per la raccolta?
«Abbiamo una procedura da rispettare. Ovviamente non si può depositare il quesito prima che il provvedimento sia diventato legge. Ma soprattutto non lo si può depositare nei sei mesi successivi all’indizione dei comizi elettorali. Quindi il 13 settembre. E non si possono depositare le firme dopo il 30 settembre se lo vuoi far valutare dalla Corte di Cassazione entro il 30 novembre. Altrimenti si va all’anno successivo. Per cui noi lanciamo da subito l’allarme firma, per poi andare rapidamente alla raccolta vera e propria, in modo di far sì che l’anno prossimo si voti per le europee ma anche per il referendum sulla legge elettorale, già previsto, e per quelli per i quali ci siamo impegnati».
Questo è un paese normale?
«Berlusconi e i suoi hanno detto che vogliono un Paese normale. In realtà ne vogliono uno normalizzato, in cui non si deve disturbare il manovratore ed in cui il popolo deve essere un po’ più suddito. Una volta c’era l’olio di ricino e adesso le veline di turno».
* l’Unità, Pubblicato il: 28.06.08, Modificato il: 28.06.08 alle ore 8.25
Il dolo Berlusconi
di Marco Travaglio *
Quando il Lodo Schifani-bis, anzi il Lodo Alfano, anzi il Dolo Berlusconi sarà sulla Gazzetta Ufficiale, l’Italia sarà l’unica democrazia al mondo in cui quattro cittadini sono «più uguali degli altri» di fronte alla legge. Un privilegio che George Orwell, nella «Fattoria degli animali», riservava non a caso ai maiali. E che, nell’Italia del 2008, diventa appannaggio dei presidenti della Repubblica, del Senato (lo stesso Schifani), della Camera e soprattutto del Consiglio. I massimi rappresentanti delle istituzioni, che nelle altre democrazie devono dare il buon esempio e dunque mostrarsi più trasparenti degli altri, in Italia diventano immuni da qualunque processo penale durante tutto il mandato, qualunque reato commettano dopo averlo assunto o abbiano commesso prima di assumerlo.
Compresi i reati comuni, "extrafunzionali", cioè svincolati dalla carica e persino dall’attività politica. Anche strangolare la moglie, anche arrotare con l’auto un pedone sulle strisce, anche stuprare la colf o molestare una segretaria. O magari corrompere un testimone perché menta sotto giuramento in tribunale facendo assolvere un colpevole. Che poi è proprio il caso nostro, anzi Suo. Come scrisse il grande Claudio Rinaldi sull’"Espresso" a proposito del primo Lodo, «un’autorizzazione a delinquere».
La suprema porcata cancella, con legge ordinaria - votata in un paio di minuti dal collegio difensivo allargato del premier imputato, che ha nome "Consiglio dei ministri" - l’articolo 3 della Costituzione repubblicana. Che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali...».
La questione è tutta qui. Le chiacchiere, come si dice a Roma, stanno a zero. Se tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, non ne possono esistere quattro che non rispondono in nessun caso alla legge per un certo numero di anni in base alle loro "condizioni personali e sociali", cioè alle cariche che occupano. Se la Costituzione dice una cosa e una legge ordinaria dice il contrario, la legge ordinaria è incostituzionale.
A meno, si capisce, di sostenere che è incostituzionale la Costituzione (magari prima o poi si arriverà anche a questo). Ora, quando in una democrazia governo e parlamento varano una legge incostituzionale, a parte farsi un’idea della qualità del governo e del parlamento che hanno eletto, i cittadini non si preoccupano. Sanno, infatti, che le leggi incostituzionali sono come le bugie: hanno le gambe corte. Il capo dello Stato non le firma, il governo e il parlamento le ritirano oppure, se non accade nessuna delle due cose, la Corte costituzionale le spazza via.
Ma purtroppo siamo in Italia, dove le leggi incostituzionali, come le bugie, hanno gambe lunghissime. Non è affatto scontato che il presidente della Repubblica o la Consulta se la sentano di bocciare il Lodo-bis. A furia di strappi, minacce, ricatti, vere e proprie estorsioni politiche, il terrore serpeggia nelle alte sfere (che preferiscono chiamarlo "dialogo"). E anche la Costituzione è divenuta flessibile, anzi trattabile. Un mese fa è passata con tutte le firme e le controfirme una legge razziale (per solennizzare il 60° anniversario di quelle mussoliniane) denominata "decreto sicurezza": quella che istituisce un’aggravante speciale per gli immigrati irregolari. Se fai una rapina e sei di razza ariana e di cittadinanza italiana, ti becchi X anni; se fai una rapina e sei extracomunitario, ti becchi X+Y anni. Vuoi mettere, infatti, la soddisfazione di essere rapinato da un italiano anziché da uno straniero.
E il principio di uguaglianza? Caduto in prescrizione. Stavolta è ancora peggio, perché non è in ballo il destino di qualche vuccumpra’, ma l’incolumità giudiziaria del noto tangentaro (vedi ultima sentenza della Cassazione sul caso Sme-Ariosto) che siede a Palazzo Chigi. Infatti è già tutto un distinguo, a destra come nella cosiddetta opposizione, sulle differenze che farebbero del Lodo-bis una versione "migliore" del Lodo primigenio.
Il ministro ad personam Angelino Jolie assicura che, bontà sua, «la sospensione dei processi non impedisce al giudice l’assunzione delle prove non rinviabili, la prescrizione è sospesa, l’imputato vi può rinunciare. La sospensione non è reiterabile e la parte civile può trasferire in sede civile la propria pretesa». Il che, ad avviso suo e di tutti i turiferari arcoriani sparsi nei palazzi, nelle tv e nei giornali, basterebbe a rendere costituzionale la porcata.
Noi, che non siamo costituzionalisti, preferiamo affidarci a chi lo è davvero (con tutto il rispetto per Angelino e il suo gemellino Ostellino), e cioè all’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida. Il quale, interpellato il 18 giugno da Liana Milella su "la Repubblica", ha spiegato come e qualmente chi cita la sentenza della Consulta che nel 2004 bocciò il primo Lodo e sostiene che questo secondo la recepisce, non ha capito nulla: «La prerogativa di rendere temporaneamente improcedibili i giudizi per i reati commessi al di fuori dalle funzioni istituzionali dai titolari delle più alte cariche potrebbe eventualmente essere introdotta solo con una legge costituzionale, proprio come quelle che riguardano parlamentari e ministri... La bocciatura del vecchio lodo nel 2004 da parte della Consulta è motivata dalla violazione del principio di uguaglianza dei cittadini quanto alla sottoposizione alla giurisdizione penale».
L’unica soluzione per derogare all’articolo 3 è modificare eventualmente la Costituzione (con doppia lettura alla Camera e doppia lettura al Senato, e referendum confermativo in mancanza di una maggioranza dei due terzi). E non con una legge che sospenda automaticamente i processi alle alte cariche: sarebbe troppo. Ma, al massimo, con una norma che spiega Onida - «introduca una forma di autorizzazione a procedere che consentirebbe di valutare la concretezza dei singoli casi. Ragiono su ipotesi, perché gli ‘scudi’ sono da guardare sempre con molta prudenza... La sospensione non dovrebbe essere automatica, ma conseguire al diniego di una autorizzazione a procedere. E comunque la legge costituzionale resta imprescindibile». Insomma, quando Angelino Jolie sbandiera la «piena coincidenza del Lodo con le indicazioni della Consulta», non sa quel che dice.
La rinunciabilità del Lodo non significa nulla (comunque Berlusconi, l’unico ad averne bisogno, non vi rinuncerà mai: altrimenti non l’avrebbe fatto). E la possibilità della vittima di ricorrere subito in sede civile contro l’alta carica che le ha causato il danno, se non fosse tragica, sarebbe ridicola: uno dei quattro presidenti si mette a violentare ragazze o a sparare all’impazzata, ma i giudici non lo possono arrestare (nemmeno in flagranza di reato), nè destituire dall’incarico fino al termine della legislatura; in compenso le vittime, se sopravvivono, possono andare dal giudice civile a chiedere qualche euro di risarcimento... Che cos’è: uno scherzo? L’unica differenza sostanziale tra il vecchio e il nuovo Lodo è che stavolta vale per una sola legislatura: non per un premier che viene rieletto, nè per un premier (uno a caso) che passa da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma ciò vale fino al termine di questa legislatura. Dopodiché Berlusconi, una volta rieletto o asceso al Colle, potrà agevolmente far emendare il Lodo, sempre per legge ordinaria, e concedersi un’altra proroga di 5 o di 7 anni.
A questo punto si spera che il capo dello Stato non voglia cacciarsi nell’imbarazzante situazione in cui si trovò nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi: il quale firmò (e secondo alcuni addirittura ispirò tramite l’amico Antonio Maccanico) il Lodo, e sei mesi dopo fu platealmente smentito dalla Corte costituzionale. Uno smacco che, se si dovesse ripetere, danneggerebbe la credibilità di una delle pochissime istituzioni ancora riconosciute dai cittadini: quella del Garante della Costituzione. Quando una legge è manifestamente, ictu oculi, illegittima, il capo dello Stato ha non solo la possibilità, ma il dovere di rinviarla al mittente prima che lo faccia la Consulta.
In ogni caso, oltre al doppio filtro del Quirinale e della Consulta, c’è anche quello dei cittadini. Che, tanto per cominciare, scenderanno in piazza a Roma l’8 luglio contro questa e le altre leggi-canaglia. Dopodiché potranno raderle al suolo con un referendum, già preannunciato da Grillo e Di Pietro. Si spera che anche il Pd se non gli eletti, almeno gli elettori vi aderirà. Secondo Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, «il Lodo deve valere dalla prossima legislatura». Forse non ha pensato che così il Caimano si porterebbe dietro lo scudo spaziale anche al Quirinale.
* l’Unità, Pubblicato il: 28.06.08, Modificato il: 28.06.08 alle ore 8.28
LA POLEMICA
Il libretto bianco di Silvio Ceausescu
di FRANCESCO MERLO *
CERTO, alla prima occhiata anche io, come tutti, ho pensato al catechismo populista dei sudamericani, alla Bulgaria, al kitsch di Ceausescu che giocava al golf o indossava gli sci, al libro verde di Gheddafi, alla parodia italiana di Stalin «piccolo padre dei popoli», a quei mondi che sono destinati o al dominio dei generali o a quello degli imbonitori, o la tromba o il trombone.
Ma poi, quando ho cominciato a leggere e, sbalordito, mi sono inoltrato in questa melassa di pittura, in questo abuso di sentimento rancido, insozzato e soffocato in una pozzanghera di falsa caramella, ebbene è a Sanremo che ho pensato, a una certa idea dell’Italia credulona e caprona.
E più leggevo e più mi sembrava di sentire Berlusconi cantare: "da un male deve nascere un bene grande, grande grande". In un paese dove la corruzione di Stato è l’esibizione corale, la violenza di un’orchestra forte, Berlusconi gorgheggia: "siamo l’Italia che sa amare", "siamo tosti, orgogliosi e concreti", "se non sai amare non puoi costruire niente di buono, per te e per gli altri", "anche lo Stato è tornato a fare lo Stato", "non sarò più un leone in gabbia". E più andavo avanti nella lettura e più pensavo a quanto è diventato inutile contrapporre alle voci di petto e di stomaco dell’Italia di Tartaglia e di Berlusconi la voce di testa, misurata e guidata, il timbro cupo, velato e grave del Diritto, della politica, della normalità perduta.
Insomma Berlusconi apre il suo libro più agiografico e più sepolcrale con motivetti e ritornelli che contrappone ai toni acuti e alle distorsioni, alla malattia del povero ma violento Tartaglia che quest’opera ha appunto ispirato, ed è infatti a lui che è indirettamente dedicata: "Il dolore, non solo fisico, è stato grande. Il rischio che ho corso anche... E come segno di riconoscenza, ho deciso di raccogliere una selezione dei tanti messaggi di incoraggiamento che mi sono giunti. Tutte queste manifestazioni di simpatia (dal greco ’syn pàthos’, saper patire assieme) mi hanno risarcito di tutte le calunnie, le offese, le false accuse".
Da un lato dunque c’è il tanfo del berlusconismo al tramonto e dall’altro l’atto inconsulto di piazza Duomo, a Milano. Insieme Tartaglia e Berlusconi, la musa e il suo poeta, compongono un’Italia al ribasso, un’Italia che ricorre al ventre e alle parti basse appunto, dove i due se la cavano benissimo, l’uno predisponendo l’altro in un rapporto inscindibile tra il lanciatore di statuetta e l’uomo che vuole diventare statuetta.
E’ tutto qui il libro. Tra i "grazie", i "ti vogliamo bene", "non mollare", "sei il nostro nonno", "anche mio figlio di tre anni ha pianto per te", che sono le solite banalità del ’popolo dei fax’, quel pezzo di mondo che spesso è disturbato, tanto a destra come a sinistra, c’è il tentativo patetico di fare del colpo di statuetta la festa di consacrazione letteraria a uomo del destino, lo svelamento finale perché il mito del leader si nutre di attentati al tempo stesso riusciti e mancati, ha bisogno di ordigni inesplosi, di un corpo contundente che si intrufola nello sventolio dei tricolori, di una ferita che si rimargina in mezzo allo sbigottimento attivo della folla.
La sola, vera differenza fra Tartaglia e Berlusconi è che il primo non ce l’ha fatta a saltare dentro la storia mentre l’altro comincia ad uscirne con questa crepuscolare brodaglia, edita nientemeno dalla Mondadori, che non merita di essere recensita né tanto meno sbranata, non riesce ad essere offensiva, non funziona neppure come provocazione e non avrà reazioni indignate perché con convince e non vince. Sa appunto di fondo di caffé, di barile raschiato, e non soltanto perché il leader non fa più sorridere neppure gli uomini che gli stanno vicini e molto più sfacciatamente del passato lo servono nelle istituzioni, nell’informazione e alla Rai: sono ancelle innamorate in pubblico che, però, in privato si abbandonano al dileggio e alla congiura (ed è una storia che in Italia si ripete sempre perché come diceva Valery: "quando qualcuno ti lecca le scarpe, mettigli il piede addosso prima che cominci a morderti") .
La verità è che solo al gesto inconsulto di Tartaglia il libro fa malinconicamente pensare senza più la forza spiazzante delle altre invenzioni di Berlusconi, dalla nave elettorale alla bandana, dal lifting come evoluzione finale del trasformismo alla barzelletta strumento di governo, e poi il contratto con gli italiani, lo slogan "meno tasse per tutti"... Anche la foto di copertina che ovviamente lo ringiovanisce non rimanda più alla cura di sé e al trucco seduttivo ma propone lucentezze oleose ed emana un forte odore di Prep, cattiva colonia e pensiero stantio, sembra il cartellone di una barberia meridionale, di quelle che stavano sotto l’invitante scritta "taglio italiano". Anche il ricorso alla foto-patacca è insomma così smodato da rivelare Berlusconi nella sua verità più crudele.
Alla fine ci rimane solo l’amarezza per la scelta della Mondadori. Il libro, infatti, non è pubblicato dal "Partito delle Libertà" ma dalla casa editrice che, con l’Einaudi, fu la più autorevole, la più amata, la più coraggiosa e la più geniale, un tempio e un’istituzione paragonabili, che so?, alla Gallimard francese, alla Collins e alla Phaidon inglesi, alla Random House americana, alla Suhrkamp Verlage tedesca. E bisogna dirlo forte che questo libro nella parte centrale diventa, in carta patinata, un volantino elettorale, pura propaganda che sarebbe anche legittima, certamente più della stanca agiografia senile, se non portasse appunto il marchio Mondadori.
Ebbene, da questo punto di vista il volume è peggio di una statuetta sul viso della Mondadori. E’ un attentato riuscito alla nostra memoria, una bestemmia contro la fonte battesimale di chiunque in Italia abbia creduto di potere capire il mondo attraverso i libri. In un Paese meno corrotto e più civile sarebbe uno scandalo. Perché nessun voto in più o, chissà, magari - involontariamente - in meno a Berlusconi, vale la reputazione (perduta) della Mondadori.
© la Repubblica, 12 marzo 2010