Per tutelare il ’copyright’ anche i contrassegni di Ds, Dl, Forza Italia e An
Dai grilli ai giovani poeti, al Viminale depositati 93 simboli per le europee
Di tutto di più sul cartellone al primo piano del ministero dell’Interno per le elezioni del 6 e 7 giugno. Nell’intrico di gabbiani, falci e martello e garofani, i loghi più bizzarri sono quelli presentati dal dottor Cirillo: ’Italia nei Malori’, ’Donne insoddisfatte e incomprese’, ’Preservativi gratis’. E un nuovo contrassegno raccoglie La Destra, l’Mpa di Lombardo, i Pensionati di Fatuzzo e l’Adc di Pionati. (FOTO)
Roma, 20 apr. - (Adnkronos/Ign) - Sono 93 in tutto i simboli per le europee depositati al Viminale entro la ’dead line’ delle 16 di oggi. Al piano terra del ministero dell’Interno, davanti all’ufficio in cui si depositano i contrassegni per le elezioni del 6 e 7 giugno, Mirella Cece fa un po’ gli onori di casa. Sono trent’anni che, senza saltare un appuntamento elettorale, lei puntamente presenta il simbolo del ’Sacro romano impero liberale cattolico’. Una veterana, insomma, che indirizza i neofiti alla loro prima volta al ministero dell’Interno per il deposito dei simboli in mezzo all’intrico di grilli, gabbiani, falci e martello, garofani, quercie, ed anche preservativi gratis del dottor Cirillo.
Di tutto di più, insomma, sul cartellone su cui vengono affissi i simboli man mano che vengono presentati. Ci sono quelli noti, dei partiti che siedono in Parlamento, e quelli che lo erano. Infatti, se c’è il simbolo del Partito democratico, ci sono anche quelli dei partiti fondatori ovvero la quercia dei Ds e la Margherita dei Dl ed anche il simbolo dell’Asinello, quello dei Democratici fondati da Arturo Parisi.
C’è, ovviamente, il neonato Popolo delle Libertà e ci sono anche i contrassegni di Forza Italia e Alleanza nazionale. Non è ’pubblicita’ ingannevole’ ma un modo per tutelare il ’copyright’, evitare insomma atti di pirateria. Prontamente interviene la ’veterana’ Cece: "I simboli vanno presentati per proteggerli".
Al di là di Pd e Pdl, c’è poi un’orda di richiami a Lega, sinistra e centro. I simboli che si rieccheggiano il Carroccio sono numerosi: c’è la Lega per l’autonomia lombarda, la Lega alleanza lombarda, la Lega Nord-Bossi, la Liga veneta, Indipendenza veneta ed anche una lista dei Grilli parlanti-Lega nord-No euro. Geograficamente più circoscritto rispetto alla Lega, e’ il Partito del Nord Est nato nel 2004 e presente con il suo simbolo per la prima volta alle europee. Il suo fondatore, l’imprenditore Giorgio Panto, è scomparso tragicamente nel 2006 in un incidente mentre guidava il suo elicottero sulla Laguna di Venezia.
La sinistra è richiamata in numerosi simboli: ci sono Sinistra e Libertà, Sinistra critica, il Partito comunista dei lavoratori e quindi Rifondazione comunista, Sinistra democratica e così via. Anche i socialisti e il garofano sono presenti in tre simboli.
Non mancano poi i contrassegni legati ai centristi (uno ha anche il nome di Pier Ferdinando Casini sul logo) e alla Democrazia Cristiana. Colpisce uno in particolare: il Terzo Polo di centro con uno scudo crociato. Bisogna vedere se sarà ammesso perché l’unico detentore dello storico simbolo è Giuseppe Pizza, attuale sottosegretario all’Università e ricerca.
Questa mattina al Viminale è stato poi depositato un nuovo simbolo che raccoglie La Destra di Storace, l’Mpa di Lombardo, i Pensionati di Fatuzzo e l’Alleanza di centro di Pionati. Si tratta di un contrassegno con sfondo arancione, con la scritta ’L’autonomia’ e contenente i quattro simboli di Destra, Mpa, Pensionati e Alleanza di centro. Scopo del cartello elettorale è superare lo sbarramento del 4%.
Il caso di Mpa, La Destra, Adc e Pensionati non è l’unico. Per raggiungere la soglia, infatti, si sono formate altre due aggregazioni. Con lo stesso simbolo si presentano infatti Prc-Pdci-Socialismo 2000-Consumatori uniti.
Mentre Ps, Verdi, Sd, Mps di Vendola si sono uniti sotto le insegne di Sinistra e Libertà. Altri piccoli partiti hanno invece scelto di presentarsi soli come Udeur, Azione sociale con Alessandra Mussolini, Nuovo Psi, Italiani nel mondo De Gregorio e Pri: ma tutti questi partiti sono comunque nell’area del Pdl e il leader dell’Udeur, Clemente Mastella, sarà candidato con il Cavaliere.
Quindi, c’è la schiera di simboli bizzarri. Alcuni perfino osè. E su questo versante il dottor Cirillo la fa da padrone con cinque simboli che saltano all’occhio: Italia dei Malori, Italiani poca cosa...?, Donne insoddisfatte e incomprese, Preservativi gratis, Partito impotenti esistenziali. Il promotore si chiama Giuseppe Cirillo, salernitano di 45 anni, già assurto agli onori delle cronache.
Con il simbolo Preservativi gratis si è già presentato infatti a quattro elezioni, poi alle scorse politiche depositò anche il contrassegno degli Impotenti esistenziali. Il nome delle lista ha avuto fortuna: è diventato il titolo di un film, in cui Cirillo interpreta uno psicologo specializzato in sessuologia e recita con il regista Tinto Brass.
Più sobriamente si erge a difesa dell’arte la lista del Movimento dei giovani poeti d’azione, fondato nel 1994 da Alessandro D’Agostini. "Noi siamo un’avanguardia - spiega D’Agostini - come i dadaisti e siamo impegnati a portare l’attenazione sui temi dell’arte, della cultura e dello spettacolo che sono totalemente assenti dai programmi sia dalla maggioranza che dell’opposizione".
La lista dei simboli curiosi è lunga: c’è uno che riprende il motto della Rivoluzione francese ed è a metà tra il richiamo storico e le pulsioni anti-casta. Nel simbolo è riportata la frase ’Libertè egalitè’ fratenitè’ e quindi l’immagine di un salvadanaio con la frase ’Recupero del maltolto- chiudiamo le province, acqua bene comune, no amnistie’.
Sullo stesso genere c’è il contrassegno di ’Giustizia sociale-Mani pulite’. Inossidabile, infine, il Fronte dell’Uomo qualunque con l’immagione di un cittadino schiacciato da una pressa fedele a quello di movimento fondato da Guglielmo Giannini.
Un’ultima curiosità: nella corsa al deposito del simbolo, a tagliare per primi il nastro sono stati ieri mattina presto Liberaldemocratici riformisti di Daniele Melchiorre. In seconda posizione si è piazzato il logo del ’Sacro romano impero liberale cattolico’, mentre l’argento va alla Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....
Può saltare lo sbarramento alle europee
Legge elettorale. L’attesa sentenza della Corte costituzionale: può riaprire i giochi a sinistra e scatenare le tentazioni del governo gialloverde. Che davanti alla Consulta ha preso per buoni gli argomenti sollevati dall’esecutivo precedente
di Andrea Fabozzi (il manifesto, 23.10.2018)
Oggi per la quarta volta in otto anni arriva davanti alla Corte costituzionale la soglia di sbarramento che esclude dalla rappresentanza nel parlamento europeo le liste italiane che non raggiungono il 4% dei voti validi. Una soglia introdotta nel 2009 (accordo Veltroni-Berlusconi a tre mesi dal voto) e subito messa in discussione, perché considerata un inutile sacrificio della rappresentatività - inutile perché non c’è un vincolo fiduciario tra il parlamento europeo e la commissione europea. Non vale, cioè, per le istituzioni europee quel richiamo alla «governabilità» che in Italia è considerato un obiettivo da tutelare anche dalla Corte costituzionale, che infatti ha giudicato legittimo il «sacrificio» della rappresentatività nel sistema di voto nazionale. Né lo sbarramento può servire per limitare la frammentazione a Strasburgo e Bruxelles, perché a far questo ci pensa il regolamento delle assemblee: i gruppi sono solo otto per 751 europarlamentari.
Nel 2010 la Corte costituzionale giudicò inammissibile un ricorso che però riguardava non lo sbarramento direttamente ma il diritto delle liste rimaste sotto la soglia a partecipare all’assegnazione dei seggi con i resti. Nel 2015 la Corte ha respinto invece un ricorso del tribunale ordinario di Venezia (e l’anno successivo, con ordinanza, quelle dei tribunali di Cagliari e Trieste) senza però entrare nel merito, Disse allora che solo chi ha un interesse diretto - perché candidato non eletto a causa dello sbarramento - può far valere i suoi diritti, in prima istanza davanti al Tar.
E così oggi, a quasi quattro anni di distanza dai fatti, arriva alla Consulta, attraverso un’ordinanza del Consiglio di stato, il ricorso della lista Fratelli d’Italia, che nel 2014 fu esclusa dal parlamento europeo per appena 90mila voti. Gli interessati al ripescaggio sarebbero Giorgia Meloni, Gianni Alemanno e Sandro Pappalardo (ai danni di due eurodeputati Pd e un 5 Stelle). Ma a questo punto, quando ormai la euro legislatura sta per concludersi, nel caso prima la Consulta e poi il Consiglio di stato (nel merito) dovessero dar loro ragione, potrebbero solo chiedere un risarcimento.
L’aspetto più interessante è quello di principio. «Chiederò l’annullamento della soglia o quanto meno il rinvio alla Corte di giustizia Ue», dice l’avvocato Besostri, che oggi interverrà in udienza oltre agli avvocati di Fd’I. «La soglia è incompatibile con il trattato di Lisbona» che ha stabilito che il parlamento rappresenta «i cittadini della Ue» e non più «i popoli degli stati». I ricorrenti (nel 2014 ci avevano provato anche i Verdi, ma si sono fermati dopo una prima sconfitta al Tar) citano due sentenze della Corte costituzionale tedesca che tra il 2011 e il 2014 ha prima cancellato la soglia di sbarramento al 5% e poi anche quella al 3%.
In replica, l’avvocatura dello stato ha confermato per conto del governo 5 Stelle-Lega gli stessi argomenti in difesa dello sbarramento già presentati nell’originario atto di costituzione, firmato nel luglio 2017 da Maria Elena Boschi per conto del governo Gentiloni. Solo aggiungendo un tocco di «sovranismo», citando a suo favore e contro le due sentenze dei giudici costituzionali tedeschi, la decisione della corte costituzionale di Praga che nel 2015 ha salvato la locale soglia del 5%.
A luglio di quest’anno, il parlamento europeo ha invece approvato una raccomandazione agli stati per cercare di uniformare le leggi elettorali. Suggerisce una soglia di sbarramento dal 2% al 5% per i paesi o le circoscrizioni che eleggono almeno 35 deputati (da applicare nel 2024). In Italia l’anno prossimo gli eletti saranno 76, tre in più del 2014 per effetto della Brexit.
La cancellazione della soglia potrebbe consentire l’approdo nell’eurocamera di una rappresentanza della sinistra, ma d’altro canto potrebbe risolversi in un incentivo alle divisioni. La conferma della soglia invece riaprirebbe la tentazione di Lega e 5 Stelle di alzarla in extremis al 5%, così da provare a tenere fuori, ancora una volta, proprio Fratelli d’Italia. Ma le soglie in un periodo di astensionismo elevato non fanno che mortificare ulteriormente la rappresentanza.
Nel 2009 votarono alle europee 65 elettori su 100 e non parteciparono al riparto dei seggi oltre 4 milioni di voti. Nel 2014 i votanti scesero a 57 su 100 e lo sbarramento cancellò due milioni di voti
È l’alternativa fra civiltà e barbarie.
La vera battaglia è per l’Europa
di Roberta de Monticelli (Il Fatto, 28.08. 2018)
“L’Europa è sull’orlo di una drammatica disgregazione, alla quale l’Italia sta dando un pesante contributo, contrario ai suoi stessi interessi”. Anche solo per questa frase, l’appello lanciato da Massimo Cacciari e altre autorevoli figure della cultura italiana dovrebbe essere ascoltato. Ciascuno dovrebbe meditare la sua drammaticità. Ed è quello che Cacciari stesso ci invita a fare in un intervento successivo, invitandoci a comprendere “che l’indifferenza è ormai equivalente a irresponsabilità”, e ad assumere “le iniziative che ritiene più utili per contrastare la deriva in atto”.
Alla politica - cioè all’opposizione - l’appello chiede una “netta ed evidente discontinuità”, che ponga al centro “una nuova strategia per l’Europa”. Perché tutti coloro che vogliono resistere alla deriva sovranista abbiano la possibilità di non perdere le prossime elezioni europee (23-26 maggio 2019), preparando così il suicidio dell’Unione. Credo e spero di andare nel senso di questo appello se mi chiedo: la discontinuità riguarda anche lo spirito con cui si guarda a queste elezioni?
Non ci fu niente di più insensibile al vero senso delle elezioni europee che la miope sicumera con cui Matteo Renzi attribuì a se stesso, al suo partito e alla sua politica nazionale l’inusuale consenso del 40% per il Pd nel 2014, come se appunto le elezioni del Parlamento europeo fossero un mezzo per rafforzare il partito e la sua politica nazionale, e non un mezzo per contribuire al compimento di una democrazia e di una politica sovranazionale.
Eppure sono state quelle le prime elezioni in cui la coalizione o il partito sovranazionale vincente (il Ppe) ha espresso il presidente della Commissione (Juncker). In cui cioè ha cominciato a incarnarsi nell’istituzione il principio del trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali allo Stato federale, che sarebbe compiuto quando la Commissione fosse veramente divenuta l’esecutivo della Federazione, avocando a sé alcuni cruciali poteri ora caratteristici degli Stati e dei governi, e del loro Consiglio.
Altiero Spinelli nel suo Diario europeo 1948-1969 definisce il federalismo “un canone di interpretazione della politica”. Non soltanto un criterio d’azione, ma anche di conoscenza. “Tutta l’opera di Spinelli è espressione dell’esigenza di abbandonare il paradigma nazionale, con il quale la cultura dominante interpreta la realtà politica” (L. Levi, Introduzione a A. Spinelli, La crisi degli Stati nazionali).
Come si giustifica questa esigenza? Ognuno dovrebbe ricordare l’incipit del Manifesto di Ventotene: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero”. Ecco come ragiona Spinelli. In termini di interna coerenza del principio universalistico di civiltà definito in tutta la sua radicalità dall’Illuminismo europeo.
C’è un momento, pensa Spinelli, in cui questo principio di civiltà urta contro l’organizzazione delle società umane in Stati nazionali: perché tutti, anche quelli democratici, sono minati dalla polarizzazione della società in interessi organizzati “che si precipitano sullo Stato e lo paralizzano quando sono in equilibrio, e ne rafforzano sempre più il carattere dispotico, quando un gruppo o una coalizione di gruppi ha potuto sopraffare l’avversario e prendere il potere”.
Questa polarizzazione degli interessi organizzati, che Spinelli, sulla scorta dell’economista Lionel Robbins, chiama “sezionalismo”, è la forza che corrode le democrazie: “Oggi lottare per la democrazia significa rendersi anzitutto conto che occorre arrestare questa insensata corsa, non solo italiana, ma europea, verso una società polarizzata in interessi organizzati che si precipitano sullo Stato e lo paralizzano quando sono in equilibrio, e ne rafforzano sempre più il carattere dispotico, quando un gruppo o una coalizione di gruppi ha potuto sopraffare l’avversario e prendere il potere”.
Questo pensiero sembra attraversare la stagione dei partiti di massa - e da noi della Prima Repubblica - poi volare alto sulla “liquidità” post-ideologica - e da noi sopra il liquame immobile della Seconda Repubblica - fino a fotografare non solo il perdurante ingranaggio delle “macchine d’affari” partitiche di oggi, ma il dato nuovo e antico: le “forze primordiali” che la norma etica, giuridica, politica è chiamata a controllare. “L’uomo civile è un prodotto complicato e fragile. I più grandiosi frutti della civiltà sono dovuti alla ferrea disciplina che questa impone al selvaggio animo umano... quella disciplina si può spezzare e lasciar emergere le forze primordiali”. È questo pericolo che dobbiamo leggere nello sciagurato linguaggio dei demagoghi che stanno picconando l’Europa civile. È l’alternativa fra civiltà e barbarie.
Quell’umorismo che sfida le fake news
di Valentina Pisanty (il manifesto, 30.08.2018)
L’anticipazione. Un brano dallo spettacolo dedicato al grande semiologo scomparso due anni fa che andrà in scena a Camogli il 6 settembre nell’ambito della V edizione del Festival della Comunicazione. Per l’intellettuale bolognese ogni strategia illuministica di disvelamento del potere passava per il riso
Umberto Eco ride della rigidità dei luoghi comuni, degli automatismi del linguaggio, della prevedibilità dei generi narrativi, delle trappole della logica e, in generale, di tutte le strutture inflessibili che conferiscono una parvenza di ordine alla vita sociale. Così funziona l’umorismo: si prende una matrice logica familiare, un sistema di regole, un frammento di senso comune; si finge di trovarsi a proprio agio al suo interno, dicendo cose del tutto coerenti con i suoi assunti, di modo che l’interprete si illuda di avere capito dove il discorso andrà a parare; e poi, zac!, quando l’altro meno se lo aspetta si introduce di soppiatto un piano logico incompatibile che fa esplodere le attese sin lì create. Si vedano, per esempio, le Istruzioni per scrivere bene in cui, fingendosi precettore, Eco confuta ciascuna regola stilistica nell’atto stesso di formularla: «evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi»; «evita le frasi fatte: è minestra riscaldata»; «non generalizzare mai»; «sii sempre più o meno specifico»; «non usare metafore incongruenti anche se ti paiono ‘cantare’: sono come un cigno che deraglia»; e - la mia preferita - «solo gli stronzi usano parole volgari».
LE PARODIE FUNZIONANO in modo analogo, salvo che l’incongruenza si rivela attraverso l’accumulo iperbolico di dettagli tra loro coerenti che tuttavia fanno a pugni con il comune buonsenso. In un capolavoro di satira accademica Eco narra la parabola di Swami Brachamutanda (Bora Bora 1818 - Baden Baden 1919), «fondatore della scuola tautologica i cui principi fondamentali sono delineati nell’opera Dico quello che dico: l’Essere è l’Essere, la Vita è la Vita, L’amore è l’amore, Quello che piace piace, Chi la fa la fa e il Nulla Nulleggia».
I GUAI DI BRACHAMUTANDA hanno inizio quando, dopo aver sostenuto che «gli affari sono affari» e «i soldi sono soldi», il fedele discepolo Guru Guru fugge con la cassa della comunità e, fermato dalla polizia di frontiera, si lascia scappare un «chi la fa l’aspetti»: frase che, «come è evidente, contraddice i principi essenziali della sua logica». Di lì è tutto un precipizio: i tautologi sconvolti si spaccano, l’eretico Schwarzenweiss fonda la scuola eterologica secondo cui «L’Essere è il Nulla, il Divenire sta, lo Spirito è Materia, la Coscienza è Inconscia», rivendicando la sua ascendenza sui massimi capolavori della letteratura occidentale - Guerra e Pace, il Rosso e il Nero... - mentre accusa i tautologi di essersi limitati a ispirare opere di scarso rilievo come Tora Tora, New York New York e Que sera sera... Al che Brachamutanda obietta che, di questo passo, tanto vale che lo Schwarzenweiss accampi diritti sulle vendite del whisky Black and White.
PERCHÉ FA RIDERE? In un saggio sul Comico e la regola (Alfabeta 1980) Eco teorizzava che l’effetto comico scaturisce dalla violazione di una regola sociale compiuta da un personaggio inferiore nei confronti del quale chi ride prova un aristotelico senso di superiorità. Ma non è mai chiaro se lo zimbello sia la regola violata, o colui che la trasgredisce, oppure entrambe le cose insieme: è questo il bello dell’umorismo, che mentre si fa gioco delle contraddizioni altrui è a sua volta irriducibilmente contraddittorio. Non si salva nessuno.
CON ECO SI RIDE in modo allegro e tutto sommato benevolo nei confronti di ciò verso cui ci si sente sì superiori, ma anche compartecipi: una parte ride dell’altra, e viceversa, senza sintesi possibile, e guai se ci fosse. La stupidità umana - bersaglio della risata - è l’altra faccia dell’intelligenza, come d’altronde chiarisce Jacopo Belbo in un famoso dialogo del Pendolo di Foucault: «l’intelligenza è il prodotto di infinite stupidità».
Solo se gli stupidi sono anche arroganti, desiderosi di far prevalere la propria sull’altrui stupidità, la risata diventa beffarda. Ancora Belbo: «Ma gavte la nata, levati il tappo. Si dice a chi sia enfiato di sé. Si suppone si regga in questa condizione posturalmente abnorme per la pressione di un tappo che porta infitto nel sedere. Se se lo toglie, pffffiiisch, ritorna a condizione umana». Ridicolizzare i prepotenti per afflosciarne le ambizioni di dominio è una strategia illuministica fondata sulla fiducia nella fondamentale ragionevolezza umana. Gli altri, i complici, capiranno e non si faranno abbindolare.
Ma cosa succede quando la Regola che si supponeva ovvia e condivisa viene diffusamente violata senza senso del ridicolo? Quando la carnevalizzazione totale della vita priva l’umorismo del suo lampo, del suo scandalo, della sua spinta sovversiva? Quando, di fronte alla «travolgente rivelazione che sono tutti dei coglioni», non ci si può più consolare con la solita battuta: «d’altronde se fossero intelligenti sarebbero tutti professori di semiotica»? La risata si strozza in gola.
NEGLI ANNI DEL BERLUSCONISMO Eco scrive A passo di gambero, dove i discorsi sull’Ur-fascismo, sul populismo mediatico e sulle reviviscenze razziste al «crepuscolo d’inizio millennio» assumono toni insolitamente foschi e nauseati: «Andate un poco al diavolo tutti quanti, perché è anche colpa vostra», conclude, e a questo punto ci sarebbe poco da ridere. Per farlo bisognerebbe conservare almeno un barlume di complicità, ed è per questo che né Berlusconi, né Trump, né Salvini fanno ridere. Se non che Eco sa essere spiritoso anche quando manda la gente a quel paese.
COSÌ, IN UN’EMAIL DEL 1999 che merita di essere condivisa, suggeriva alcune varianti del messaggio-base, a seconda della nazionalità degli ipotetici mittenti: «wa’ ffa n’kul da arabi, waakkaagaare da finlandesi, strnz da cecoslovacchi, fk yup da turchi, maa mukkela da africani, tel lì el pirlon da spagnoli, nicht rumper Katz oppure roth im kuhle da tedeschi, o filho da minhota da brasiliani, fak ja De Meerd da fiamminghi, throw yeah put an A da americani, van Moona da olandesi, mavamori amatzatu da giapponesi, Pi Ciu da cinesi, tglt dll pll da ebrei non masoretici, Masta Citu da incas, massipuo e ser kosi pistoola da hawaiani, manoru ‘n pemei Bali da balinesi. To be continued». Così finiva il messaggio.
«Visioni» al Festival della Comunicazione di Camogli
«Musica e parole. Un ricordo di Umberto Eco» è il titolo dello spettacolo con Valentina Pisanty e altri amici e colleghi di Eco, Furio Colombo, Gianni Coscia, Roberto Cotroneo, Paolo Fabbri, Riccardo Fedriga, Maurizio Ferraris e Marco Santambrogio, che si terrà giovedì 6 settembre nell’ambito del Festival della Comunicazione di Camogli.
Filo conduttore della V edizione della kermesse, in programma fino al 9 settembre, aperta dalla lectio magistralis di Renzo Piano, saranno le «Visioni». Oltre un centinaio di protagonisti dell’informazione, della cultura, dell’innovazione, dell’economia, della scienza e dello spettacolo si confronteranno in 78 incontri.
Tra i relatori: Alessandro Barbero; Giovanni Allevi; Piero Angela; Mario Calabresi; Evgeny Morozov; Oscar Farinetti; Gad Lerner; Stefano Massini; Davide Oldani; Massimo Montanari; Massimo Recalcati; Gherardo Colombo con Marco Travaglio; Andrea Riccardi; Marco Aime con Guido Barbujani e Telmo Pievani.
Berlusconi: “Mi candiderò alle Europee”
Il Pd insorge: non può, è un condannato
Il dem Pittella, presidente vicario del Parlamento Ue: la legge Severino lo vieta
FI: «Il leader deve rivolgersi agli elettori». Ma la partita si gioca il 10 aprile.
davide lessi (nexta)
La Stampa, 14/03/2014
«Sarò felice di essere in campo nelle cinque circoscrizioni che sempre mi hanno dato tra i 600 ed i 700 mila voti ciascuna. Spero di poter avere velocemente una risposta dalla Corte europea». Silvio Berlusconi rompe gli indugi e conferma la provocazione anticipata dall’intervista a Giovanni Toti pubblicata oggi su La Stampa. Il consigliere politico del Cavaliere aveva ribadito la determinazione del suo “consigliato” per le elezioni europee di fine maggio. La campagna elettorale può cominciare. «Servono dodicimila club “Forza Silvio» perché, spiega Berlusconi in un collegamento telefonico con una iniziativa di Forza Italia a Montecatini Terme, «bisogna convincere almeno il 50% degli italiani delusi dalla politica». L’ex premier ammette che i messaggi televisivi non bastano più. «Ci sono 24-25 milioni di persone che non sono raggiungibili con la tv e che non leggono i giornali», ha aggiunto spiegando la necessità di un rapporto diretto con i cittadini attraverso internet. Grillo docet.
IL PD: «È INCANDIDABILE»
«N-o-n s-i p-u-ò». Scandisce bene le lettere Gianni Pittella, già candidato alle primarie per la segreteria Pd. «Sì che si può, è una questione di democrazia», ribatte Deborah Bergamini, responsabile della comunicazione degli azzurri. Ma netta è l’alzata di scudi dei democratici. Pittella spiega: «Capisco che gli amici di Forza Italia abbiano problemi nell’accettare la legge e rispettare le sentenze. Berlusconi e Toti si rassegnino. Esiste una legge dello Stato italiano - art.4 della legge Severino - che prescrive chiaramente che i condannati in via definitiva non possono essere candidati né al Parlamento italiano né tantomeno a quello europeo». Dal Pd si fa riferimento ad altri esempi “virtuosi”. «In Germania il presidente della squadra di calcio del Bayern Monaco Hoeness è stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere per frode fiscale e ha anche rinunciato all’appello», commenta il senatore del Partito Democratico Vannino Chiti.
IL CENTRODESTRA AGITA LO SPAURACCHIO
Ma nel centrodestra si continua ad agitare lo “spauracchio” di un Berlusconi nelle liste . «Un leader che si rivolge agli elettori per chiedere se vogliono che sia lui a rappresentarli. Nonostante le polemiche del Pd, a quanto ci risulta questa si chiama democrazia», afferma la responsabile comunicazione di Forza Italia Deborah Bergamini . «Valuteremo, ci sono una serie di problemi giudiziari ma anche legali dopo le ingiuste persecuzioni a Berlusconi. Limitare Berlusconi significa penalizzare un intero Paese a livello politico, violare i principi di democrazia. C’è stata una persecuzione ingiusta, che noi vogliamo denunciare anche con questa eventuale candidatura. Sarà un momento di raccolto di consensi intorno a Berlusconi, contro le ingiustizie che lui sta subendo», afferma Maurizio Gasparri, vice presidente del Senato in un’intervista radiofonica a Qlub Radio.
IL 10 APRILE SI DECIDE SU SERVIZI SOCIALI O ARRESTI DOMICILIARI
La strategia di Silvio Berlusconi sarà più chiara quando i giudici di Milano decideranno sul suo futuro: servizi sociali o arresti domiciliari? «Attendo la decisione», ha detto questo sera il premier, spiegando che quella dei servizi sociali è la soluzione «più ridicola per una persona della mia età, una persona di stato, di sport e di impresa: è ridicolo riabilitarla attraverso l’assistenza sociale». La data da cerchiare in agenda è il 10 aprile. Ma il messaggio lanciato oggi deve essere chiaro sia all’esterno di Forza Italia che all’interno del litigioso centrodestra: Berlusconi non ha nessuna intenzione di farsi da parte. E annuncia: «Tra poco più di un anno si andrà al voto». Non per Bruxelles, ma per Roma.
Spinelli con Tsipras
“Una rivoluzione che parla al M5S”
Presentata ieri a roma la lista per le Europee promossa dalla giornalista e da altri intellettuali
Non solo un tentativo di riunire la sinistra, ma qualcosa di più
di Salvatore Cannavò (Il Fatto, 05.02.2014)
"L’Europa ha bisogno di un cambiamento rivoluzionario”. La frase non è pronunciata da un militante dei centri sociali, ma da un autorevole esponente del pensiero progressista come Barbara Spinelli, editorialista di Repubblica, promotrice, insieme ad Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Re-velli, Guido Viale dell’ipotesi di una “lista Tsipras” alle prossime elezioni europee. Lista che non vuole riunire solo “le braci accese delle ceneri della sinistra” ma guardare avanti. Anche verso l’elettorato Cinque Stelle o i delusi del Pd.
Il progetto è stato presentato ieri a Roma dai promotori che, finora, hanno evitato una trattativa di vertice tra le forze politiche e quindi di correre il rischio che ha contribuito ad affossare Rivoluzione civile di Antonio Ingroia.
Nella presentazione di ieri, questo aspetto è stato ben sottolineato. Ma a occupare lo spazio centrale è stata la proposta politica espressa con molta convinzione da Barbara Spinelli: “Abbiamo scelto di ispirarci ad Alexis Tsipras anche perché il Der Spiegel lo ha indicato come nemico numero 1 dell’Europa dell’austerity”. “Tsipras invece - spiega la figlia di Altiero Spinelli - è l’emblema del No a questa Europa, il simbolo di un’altra Europa”.
Il suo programma in dieci punti, letto da Guido Viale, si muove all’insegna di un “New Deal europeo”, della “ristrutturazione del debito pubblico”, dell’ecologia e del no all’austerity e al Fiscal compact. Il simbolo di “un cambiamento rivoluzionario” che, con familiarità, Spinelli riconduce al “Manifesto di Ventotene”, costruito in mezzo alla guerra e con un “linguaggio rivoluzionario”. Lo stesso che serve oggi. In fondo, spiega la giornalista, “la crisi è una guerra, come quella esige un comportamento rivoluzionario”.
DI RIVOLUZIONARIO, la proposta di lista ha il metodo. Come illustrato da Marco Revelli, e come verrà spiegato in una lettera inviata ai 16 mila aderenti, le regole della lista stavolta saranno rigide. I partiti fanno un passo a lato e si costituirà un “forum” nazionale sull’esempio dei comitati per il Referendum sull’acqua. Le candidature saranno avanzate dai comitati appositamente costituiti o da tutti gli organismi che “superano i 50 iscritti”.
Il comitato operativo nazionale “cercherà di rispecchiare” tutte le posizioni. “Non potranno essere candidati consiglieri regionali e parlamentari nazionali o europei dal 2004 a oggi e chi ha avuto incarichi di governo nazionale e regionale”. Questa la principale norma “anti-casta” che salva, invece, i sindaci e gli assessori o i consiglieri comunali. Il tutto, infine, garantito dai sei promotori che dicono di non essere disponibili a candidarsi (per quanto siano molte le pressioni soprattutto sui nomi di Andrea Camilleri e Luciano Gallino, ma in particolare su Barbara Spinelli).
La fretta, dicevamo, è imposta dal metodo scelto per presentare la lista. “Nessuna scorciatoia rispetto alla raccolta delle firme” che però sono quasi proibitive: 150 mila in tutta Italia, 30 mila a circoscrizione di cui almeno 3000 in ciascuna regione. Quindi anche in Val d’Aosta. Per poter andare in giro con i banchetti le candidature dovranno essere pronte entro il 20 febbraio.
Tempi ultra-rapidi che giustificano i contatti già presi con i partiti, Sel e Prc, nei confronti dei quali aiuta la decisione di permettere la candidatura di sindaci o di amministratori comunali. Sel, ad esempio, sta pensando di chiedere un impegno al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, o a quello di Rieti, Simone Petrangeli. Difficile che possa impegnarsi quello di Genova, Marco Doria, impossibile la scesa in pista di Giuliano Pisapia.
LA QUESTIONE della collocazione nel gruppo europeo della sinistra europea (il Gue), ribadito ieri da Viale, non dovrebbe provocare fratture. La questione dirimente sarà, invece, quella delle candidature, visto che il nome di Tsipras in Italia è sconosciuto. Lui sarà a Roma venerdì prossimo con un’iniziativa pubblica al Teatro Valle occupato e poi con incontri separati sia con Paolo Ferrero, segretario del Prc, che con Nichi Vendola. Il leader greco, comunque, dovrebbe figurare sul simbolo: “Con Tsipras per un cambio in Europa” è il nome più gettonato ma si deciderà con una consultazione online.
Ma la politica non si ridurrà solo a quanto resta della sinistra radicale. “Nel metodo, diceva ieri Spinelli, Syriza ricorda il Movimento 5 Stelle, nella sua capacità di riunire gruppi molto diversi. E la nostra iniziativa è molto ampia, si rivolge a tutti, a partire dagli elettori del M5S”. In sala, presente anche Adriano Zaccagnini, uno dei primi deputati “grillini” ad aver abbandonato Grillo e che oggi dice di sperare molto in questa iniziativa. “E non sono il solo di quel mondo”.
Elezioni, Beppe Grillo: “Se logo del M5S è confondibile, non parteciperemo”
di Redazione *
Chiunque abbia gestito l’Italia nei secoli, dai Romani a i Goti, dai Longobardi agli Spagnoli, dai Borboni ai Savoia, si vergognerebbe di fronte a un simile spettacolo”. E’ l’amara riflessione a cui si lascia andare Beppe Grillo sul suo sito nel raccontare le peripezie che nuovi partiti e movimenti devono affrontare per presentare i propri simboli alle elezioni e che non li mette al riparo dalle ‘clonazioni’ delle cosiddette “liste civetta“. Ed è proprio contro questa che il Movimento 5 Stelle è stato costretto a ricorrere. Così “dovremo aspettare il 15 gennaio pomeriggio - afferma Grillo - per sapere se il M5S parteciperà alle elezioni. In caso della presenza di un simbolo confondibile non parteciperemo. Questa è l’Italia che non c’è più, che non ci appartiene, che va cambiata dalle fondamenta”.
“Per depositare la scheda elettorale e i documenti correlati - racconta Grillo sul web - è necessario recarsi al Viminale. E’ esentato chi è già presente in Parlamento, ma non chi ha già partecipato con il simbolo a cinque elezioni regionali e qualche centinaio di elezioni comunali, come il MoVimento 5 Stelle. Ma questo è un dettaglio. Dopo verifiche di legge, consultazioni con studi legali, firme dai notai, ordini, contrordini, gazzette ufficiali e interpretazioni e contro interpretazioni, giunge il giorno fatidico del deposito“. “Il deposito - prosegue - è aperto a tutti, anche a chi non ha raccolto una sola firma con il suo simbolo. I moduli con le firme vanno depositati la settimana successiva nei vari tribunali delle circoscrizioni, quindi chiunque può partecipare alla farsa. Il giorno fatidico arriva quando arriva, a sua discrezione, è come la sorpresa dell’uovo di Pasqua. All’improvviso, nella settimana del deposito, vengono poste le transenne davanti al ministero degli Interni: è il segnale che è scoccato il momento della coda. Se stai mangiando un maritozzo nel bar davanti o ti sei appostato nell’appartamento con vista sul Viminale o hai ricevuto una soffiata, allora hai un’alta probabilità di occupare il primo posto della fila. Una volta piazzato lì, in piedi, come uno stoccafisso, nessun pubblico ufficiale ti lascia un riscontro della tua posizione: un bigliettino, un pezzo di carta di formaggio, un numero della tombola. Devi difendere il posto come in trincea“.
“Davanti al M5S - prosegue il racconto di Grillo - ci sono ben tre gruppi con il loro simbolo che però tengono gelosamente segreto. L’11 gennaio due avvocati e un tecnico di supporto del M5S si presentano all’ufficio elettorale. I documenti vengono letti e il deposito accettato. Nel caso ci siano delle richieste o delle contestazioni da parte dell’ufficio saranno comunicate da domenica pomeriggio. Da allora avremo due giorni per presentare ricorsi o integrazioni. Salutati i funzionari, i nostri vedono nel tabellone elettorale due simboli quasi identici. Chi era in fila prima di noi ha consegnato all’ufficio il simbolo del M5S senza l’indirizzo del sito. Assolutamente confondibile dall’elettore. Abbiamo fatto ricorso. Dovremo aspettare il 15 gennaio per sapere se il M5S parteciperà alle elezioni. In caso della presenza di un simbolo confondibile non parteciperemo. Questa è l’Italia che non c’è più, che non ci appartiene, che va cambiata dalle fondamenta. Se entreremo in Parlamento lo apriremo come una scatola di tonno. Se non ci lasceranno partecipare si prenderanno la responsabilità della delegittimazione dello Stato e delle inevitabili conseguenze”, conclude Grillo.
Liste, presentati i simboli: ci sono anche 5 Stelle
e Monti per l’Europa, ma non sono quelle "vere"
ROMA - Alle 8 in punto più di un centinaio di persone erano disposte in fila davanti al palazzo del Viminale, dietro le transenne. Con il proprio numero in mano per seguire un ordine di entrata negli uffici, erano in attesa da giorni per depositare i simboli delle liste elettorali in vista del voto del 24 e 25 febbraio. Beppe Grillo, leader del Movimento Cinque Stelle, è arrivato al ministero dell’interno in anticipo rispetto al programma, intorno alle 8,30. "Sono due mesi che sto in silenzio. Ce n’è per tutti - ha detto - a casa non mi sopportano più".
Il Movimento associativo italiano all’estero (Maie) è arrivato ai cancelli lunedì scorso alle 8,30, i sostenitori si sono alternati giorno e notte per mantenere la posizione. Sono stati i più veloci ed è loro il primo dei sette simboli esposti in bacheca al Viminale.
Al secondo posto risulta un Movimento 5 stelle ma non è quello fondato e guidato da Beppe Grillo, anche se ne riprende quasi esattamente la scritta con la V in rosso e le 5 stelle di un giallo leggermente più scuro. L’autentico simbolo del Movimento 5 stelle con la scritta Beppe Grillo.it risulta al sesto posto. "Il primo in alto a sinistra è il simbolo farlocco del m5s che qualcuno ha presentato prima di noi. Come è possibile? chi c’è dietro?", si chiede sul suo blog Grillo postando un’immagine dei simboli presentati al viminale, in cui si vede chiaramente un simbolo identico a quello del m5s. "Qualcuno ha fatto il furbo, ma non sappiamo chi siano", ha detto un esponente del Movimento di Grillo. "Non sappiamo cosa sia successo - ha concluso - ma si tratta di una vera truffa che vuole danneggiare il nostro partito". "La tenevano nascosta, non ne sapevamo nulla ma ce lo aspettavamo", ha aggiunto il candidato al Senato in Lombardia del Movimento, Vito Crimi, annunciando un ricorso.
In realtà Grillo è tranquillo perché la legge elettorale (art. 14) stabilisce il divieto di presentare contrassegni "identici o confondibili" con quelli usati tradizionalmente da altri partiti. Il Movimento 5 Stelle si è presentato più volte alle elezioni, non così Ingroia e Monti che sono alla loro prima corsa.
Analoga questione di ’copyright’ si ripropone con il simbolo al terzo posto che riporta la scritta Rivoluzione civile e riproduce stilizzato il quadro del Quarto Stato, simile in tutto al Movimento arancione guidato dall’ex pm di Palermo Antonio Ingroia, salvo per il fatto che il nome del magistrato non compare nel simbolo, mentre è presente in quello ’autentico’, al ventiduesimo posto nella bacheca affissa al Viminale.
Al quarto posto figura il Partito pirata con il classico teschio e due spade incrociate e al quinto la fiamma verde, bianca e rossa del Msi, Movimento sociale italiano destra nazionale. I Pirati hanno assaltato il Viminale. Sono ben tre, infatti, i simboli presentati con questa dicitura e affissi nella bacheca. Il Movimento Pirata ha come simbolo una vela nera, lo stesso che compare nel simbolo del Partito Pirata però in piccolo su fondo arancione e sormontato da un teschio con due spade incrociate. C’è poi un Partito Pirata con la vela del simbolo su fondo arancio. Molto meno aggressivo, poi, il simbolo scelto dalla lista PPL ovvero Pane Pace Lavoro: una zattera con cinque tronchi verdi e una vela rossa.
Occupa il settimo posto e si chiama Per l’Europa Monti presidente, ma il presidente in questione si chiama Samuele Monti e vive a Venaria, è consigliere comunale di una lista civica a Frabosa Soprana, in provincia di Cuneo. E’ la lista non originale che candida un Monti presidente. Al nono posto, invece, figura quella del premier Mario Monti alla Camera, Scelta civica con Monti per l’Italia.
Il simbolo del partito di La Russa, Meloni e Crosetto, Fratelli d’Italia centrodestra nazionale, si è aggiudicato il decimo posto in bacheca tra i contrassegni che per tre giorni saranno esposti al Viminale. Gli altri simboli depositati finora sono: all’11esimo posto Liberal democratico, al 12esimo Fermiamo le banche e le tasse, al 13esimo il Movimento europeu rinascida sarda, al 14esimo il simbolo del partito di Mirella Cece, il Sacro Romano Impero, che si presenta dal ’92 per una monarchia costituzionale, al 15esimo Movimento pirata, e infine al 16esimo Liga Veneta Repubblica. Maroni presidente occupa il posto 40. A depositarlo è venuto Calderoli in persona sostenendo che Maroni "è contento". Questo simbolo riguarda solo alcune Regioni. Un altro - ha annunciato lo stesso Calderoli - sarà depositato domenica. Il Pd, Democratici di sinistra - Partito del socialismo europeo, con tanto di Quercia e Rosa il 43esimo
Fra i contrassegni depositati questa mattina ce n’è anche uno che si chiama Io non voto, piazzatosi al 26esimo posto e guidato dal palermitano Carlo Gustavo Giugliana. La sua lista è preceduta, al 25esimo posto, da quella di Francesco Rutelli, API Alleanza per l’Italia. In fila questa mattina c’erano anche i rappresentanti del Movimento poeti d’azione, che vorrebbero la fantasia al potere, il Movimento italiano per i disabili e i meno abbienti. Tra le coalizioni maggiori finora ha presentato le proprie carte solo quella di Mario Monti. La lista ’Fratelli d’Italia’ ha presentato il proprio simbolo ma non c’è per ora la dichiarazione di coalizione. Nessuna coalizione anche per Api, Pli, Liga Veneta, Msi, Liberal Democratici e Pensionati.
* la Repubblica, 11 gennaio 2013
IL CASO
Fascio littorio sul simbolo elettorale per l’aspirante sindaco di Santeramo
Giuseppe Lassandro, venti anni, in corsa nel Barese per il movimento Fascismo e libertà. Un nome che l’ufficio elettorale provinciale giudica incostituzionale: diventa una sigla, ma il resto non cambia. E la vicenda finisce in Parlamento con un’interrogazione alla Cancellieri
di LELLO PARISE *
Non ci fanno, ci sono. Un manipolo di dodici candidati sostiene come un solo uomo la nomination a sindaco di Santeramo, di Giuseppe Lassandro. Un giovane, giovanissimo aspirante primo cittadino: Lassandro ha vent’anni. Crede e combatte sotto una bandiera che sembrava sepolta dal tempo, e dal buon senso: Fascismo e libertà. Il simbolo di questa squadra che predica "fedeltà e coerenza" alla "ideologia incorrotta del duce Benito Mussolini", è inequivocabile: un fascio littorio. Le canne usate per fustigare i delinquenti, l’ascia utilizzata nell’amministrazione delle pene capitali che nell’antica Roma erano inflitte agli stessi delinquenti. I militanti avvertono: "Non abbiamo raccolto la triste e disonorevole eredità del neofascismo della prima Repubblica". Ma a loro volta sono avvertiti dall’ufficio elettorale provinciale: cambiate quel marchio.
Così accanto al fascio, sparisce la scritta "Fascismo e libertà" e prende forma una sigla apparentemente anonima: "Mfl", movimento fascismo e libertà. Non tutti sanno che cosa significa, ma in questo modo i camerati guidati da Lassandro evitano l’accusa di incostituzionalità. Ci aveva provato il competitore di sinistra e Udc, Michele D’Ambrosio, a fare sì che "il giovanotto disorientato" facesse "un passo indietro": "Caro Giuseppe, evita di evocare violenza e prepotenza". Battaglia persa. Il "caro Giuseppe" risponde per le rime: "Gentile professore, le mie idee non sono affatto confuse". Ritorna alla mente una vecchia battuta di Leo Longanesi: "Suo figlio studia?". "No, ora fa il fascista".
Ma il caso non passa inosservato, e la lista Fascismo e libertà con tanto di simbolo finisce in Parlamento. Il deputato del Pd Dario Ginefra interpella il ministro dell’Interno per chiedere "quali iniziative il governo intenda assumere rispetto a questa vicenda incresciosa". Ginefra cita la cosiddetta legge Mancino, che dal 1993 "condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista". La stessa legge, precisa il deputato, "punisce anche l’utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici". Si tratta del "principale strumento legislativo che l’ordinamento italiano offre per la repressione dei crimini d’odio. L’articolo 4, in particolare, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni e con una multa chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni".
C’è poi la dodicesima disposizione transitoria della Costituzione che al primo comma stabilisce: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". E c’è la convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, recepita dall’ordinamento italiano nel 1975. "Tale convenzione - spiega l’onorevole Ginefra - dichiara fra l’altro che ’gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s’ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale’".
Il governo censura la campagna pubblicitaria dell’Ue
di Simone Collini *
C’è una campagna pubblicitaria fatta dall’Unione europea per invitare i cittadini a votare che gli italiani non vedranno. Negli altri paesi sì, sui muri delle principali città d’Europa verranno affissi manifesti come quello raffigurante un massiccio castello da una parte e una verde siepe dall’altra, con la scritta: «Quanto devono essere aperte le nostre frontiere?».
Il Pd ha ora presentato un’interrogazione parlamentare al ministro delle Politiche comunitarie per chiedere al governo il perchè di questa censura. Il sospetto è infatti che alla base della decisione di non dare il via libera a questa campagna ci sia il fatto che non è in linea con i messaggi veicolati dal governo. «Gli italiani hanno il diritto di sapere per quale motivo il governo italiano ha rifiutato di diffondere nel nostro paese i manifesti della campagna», si legge nell’interrogazione presentata al ministro Andrea Ronchi dai deputati Pd Walter Verini, Alberto Losacco, Sandro Gozi e Jean Leonard Touad. E il dito viene puntato proprio sul manifesto dedicato al tema dell’immigrazione, così poco in sintonia con la linea dei respingimenti. Ma ce ne sono anche altri che veicolano messaggi decisamente distanti dalle politiche del governo Berlusconi.
Il Parlamento europeo ha approvato la campagna nelle scorse settimane, con il voto favorevole di tutti i gruppi, compreso il Ppe (quello di riferimento, a Strasburgo, del Popolo delle libertà). Poi i creativi si sono messi all’opera consegnando sei diversi manifesti, con messaggi tematici tradotti in 23 diverse lingue. Ma quelli con le scritte in italiano rimarranno negli armadi.
«Sembra che il ministro Ronchi, interrogato in merito, abbia definito tale campagna "inadeguata", dicendosi disposto a predisporne una propria», fa sapere Verini. «Corrisopndesse al vero», dice il deputato del Pd, «credo sia necessario ed urgente conoscere le reali motivazioni alla base di una decisione che sarebbe grave ed arbitraria. Una scelta che, alla luce anche delle posizioni di aperto contrasto assunte dal nostro esecutivo perfino con organismi sovranazionali, come avvenuto sul tema dell’immigrazione, rappresenterebbe una nuova conferma della scarsa sintonia del governo italiano con il comune sentire dell’Europa comunitaria».
* l’Unità, 22 maggio 2009
Ansa» 2009-06-08 07:24
EUROPEE: FRENA PDL E CALA PD; VOLANO LEGA E IDV, BENE UDC
ROMA - Sull’Europa che conosce il suo record di diserzione del voto, con meno di un elettore su due alle urne, soffia vento da destra, ma si rivedono anche i Verdi. E in Italia, quando lo scrutinio per le elezioni europee ha superato ormai i due terzi la nuova geografia dei partiti in corsa prende forma: il Pdl frena e sfiora il 35%, il Pd arretra al 26,5% sulle politiche (dove aveva il 33%) ma non crolla. Soprattutto crescono la Lega che sfonda e supera quota 10%, arrivando a quasi l’11% e diventando così una forza a due cifre percentuali, e l’Idv di Antonio Di Pietro che vola a oltre il 7,5%. Premiata anche l’Udc che si attesta quasi al 6,5%.
PDL MANCA L’OBIETTIVO 40% E IL PD PERDE 6 PUNTI - Il Pdl, che sperava di raggiungere e superare la quota-simbolo del 40%, cala di due punti e mezzo rispetto alle politiche di un anno fa, mentre sono circa sei i punti persi dal Pd rispetto alle politiche. Sempre nel campo del centrosinistra, l’Italia dei Valori per poco non raddoppia il 4,4% conquistato un anno fa.
FUORI DA STRASBURGO SINISTRA, RADICALI E MPA - La tagliola della quota di sbarramento del 4% fa strage dei partiti più piccoli: restano fuori dal Parlamento europeo sia la lista promossa da Prc e Pdci, sia Sinistra e Libertà, poiché entrambe si fermano a qualche decimale nei dintorni del 3%. Supera appena il 2% l’Mpa insieme alla Destra e ai Pensionati e ai radicali non basta il 2,5%.
PPE PRIMO GRUPPO, VINCONO VERDI E DESTRA, PSE IN CALO - Nel complesso, guardando ai risultati nei singoli Paesi europei, il Ppe si conferma come gruppo più consistente, mentre segna un netto arretramento il partito socialista con risultati deludenti in Francia, Spagna e Gran Bretagna. Forte, invece, l’affermazione della destra estrema e, a sorpresa, decisa affermazione dei Verdi e delle liste ambientaliste.
AFFLUENZA IN PICCHIATA, ALL’AQUILA VOTA UNO SU 4 - I dati europei fermano la percentuale dei votanti al 43,09: un record per l’astensionismo, fenomeno che in Italia inchioda al 66,5% l’affluenza alle urne (nel 2004 era del 72,9%). All’Aquila, dove ad urne aperte c’é stata una nuova scossa di terremoto, ha votato il 27,9%, contro il 73,1 del 2004. In Italia però la percentuale di votanti è stata più alta rispetto a tutti gli altri paesi europei, ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, aggiungendo che "le operazioni di voto si sono svolte regolarmente, senza incidenti rilevanti di nessun tipo".
AL SEGGIO ANCHE NOEMI, TRA LE POLEMICHE - Tra gli episodi e le curiosità il voto a Portici di Noemi Letizia, la ragazza al centro del caso scoppiato per l’amicizia con il premier. E’ stata polemica sulle procedure: le porte sono state chiuse per il tempo del voto e ci sono stati momenti di tensione perché è stata accolta la richiesta della giovane di farsi accompagnare fino all’urna dal padre. In provincia di Latina, a Santi Cosma e Damiano, invece, un’elettrice ha sbagliato a votare, ha chiesto di poter ripetere il voto e di fronte al no del presidente lo ha aggredito. A Potenza e a Tarsia (Cosenza) due elettori sono stati sorpresi a fotografare la scheda col cellulare: il rumore del telefonino li ha traditi e sono stati denunciati.
Verdini: ’’Nelle nostre liste è rappresentato il 40% di donne. Su 72 candidati 33 hanno tra i 25 e i 50 anni’’
Voto, Matera e Comi con Mastella in corsa per il Pdl. Querelle in famiglia tra il Cavaliere e Veronica
Al Sud in pista anche Giuseppe Gargani ed Erminia Mazzoni. Al Nord Ignazio La Russa è l’unico ministro in lista: ’’Puntiamo a ottenere 35 eurodeputati’’. La first lady: "Ciarpame senza pudore". La replica di Berlusconi: "Sei stata manipolata dalla sinistra". Franceschini: "Il premier non conosce la fatica delle donne italiane". E su Facebook impazza il fenomeno Lario, da santa subito a leader del Partito democratico
ultimo aggiornamento: 29 aprile, ore 22:22
Roma, 29 apr. - (Adnkronos) - Chiusa la partita sui nomi del Pdl che correranno per un seggio a Strasburgo. L’ex annunciatrice Rai Barbara Matera (nella foto) è candidata alle elezioni del 6 e 7 giugno al Sud (è all’ottavo posto della lista). Nella stessa circoscrizione ci sarà anche il leader dell’Udeur Clemente Mastella (che occupa la settima posizione).
Subito dopo il capolista Silvio Berlusconi c’è anche l’eurodeputato Salvatore Tatarella (in quota An). Seguiti da Raffaele Baldassarre, Giuseppe Gargani e Franco Malvano.
Subito dopo la Matera c’è Erminia Mazzoni, ex parlamentare dell’Udc ora entrata nella direzione del Popolo della Libertà. Al 12esimo posto figura l’imprenditrice Paola Pelino.
Scende in campo anche Giacomo Mancini, classe ’72. L’ex deputato dei Socialisti di Enrico Boselli ora milita nelle file del centrodestra e correrà nella circoscrizione Sud. Mancini, calabrese doc, porta il nome del nonno, ex ministro e segretario nazionale del Psi della prima Repubblica.
Nella circoscrizione elettorale nord-occidentale, dopo il Cavaliere capolista è Ignazio La Russa l’unico ministro del Pdl in corsa per le europee. In tutto sono 19 nomi. Subito dopo il coordinatore del Pdl, al terzo posto c’è l’attuale vicepresidente del Parlamento Ue Mario Walter Mauro.
In testa di lista anche Cristiana Muscardini (quota An) e l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini. Seguono Valentina Aprea, Fabrizio Bertot, Vito Bonsignore, Elena Centemero.
Al decimo posto c’è Maristella Cipriani, poi la giovanissima Lara Comi classe ’83, Roberta Della Vecchia, Isabella De Martini, Carlo Fidanza (An), Giuseppe Menardi, Nicola Orsi. Al 17esimo posto figura Laura Ravetto, responsabile del settore nazionale del Pdl propaganda-immagine-comunicazione, Licia Ronzulli e Iva Zanicchi.
"La Matera ha fatto la presentatrice in Rai, non mi pare un titolo per l’esclusione dalle liste elettorali. Certo, non è bella come Sassoli, non è un velino come lui", dice Ignazio La Russa non risparmiando una ’stoccata’ al Pd, che ha candidato per le europee il celebre mezzobusto del Tg1, a proposito della polemica sulle candidate del Pdl.
Il coordinatore del Pdl, nel corso della presentazione delle liste, ha elencato i curricula delle donne in corsa per l’europarlamento soffermandosi anche sui nomi finiti al centro delle cronache: "Laura Comi si è diplomata con il massimo dei voti ed ha una laurea con lode. E qualcuno si è azzardato a dire che è una velina", ha spiegato La Russa. "Mi scuso se non abbiamo potuto dare materiale per il gossip, lo dico ai giornali scandalistici - ha detto La Russa - Ai giornali che si occupano di politica chiedo di mettere la parola fine sul gossip di questi giorni".
’’Il Popolo della libertà punta a ottenere 35 eurodeputati’’, sottolinea ancora La Russa spiegato anche che non ci sono liste bloccate visto che ’’su 72 candidati, quelli incompatibili sono 16. Ci sarà competizione’’.
"Nelle nostre liste è rappresentato il 40% di donne. Su 72 candidati, 33 hanno tra i 25 e i 50 anni. Abbiamo dovuto dire tantissimi no ma abbiamo lavorato bene"., ha sottolineato il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini ."Abbiamo esaminato oltre 400 richieste di candidatura - spiega Verdini - perciò non riusciamo a capire lo svilimento di queste ore che ci fa soffrire. Abbiamo lavorato con attenzione".
La Corte d’Appello ha respinto l’istanza. La mancata presentazione lascia la candidata senza un importante sostegno
Storace: "La magistratura usi il buon senso". Bonino: "La legge valga per tutti"
Regionali, Pdl senza lista in provincia di Roma Polverini: "Napolitano garantisca gli elettori"
Rotondi: "Stufo di questa banda d’incapaci". Il centrodestra annuncia che presenterà ricorso
Zingaretti: "Stupefacente che ci si appelli al presidente della Repubblica per coprire un abuso" *
ROMA - E’ stata respinta l’istanza presentata dal Pdl per l’accoglimento della lista provinciale di Roma dei candidati del centrodestra alle elezioni regionali del Lazio. "Per ora faremo un nuovo ricorso all’ufficio centrale regionale della Corte d’appello", ha annunciato Ignazio Abrignani, responsabile elettorale del Pdl.
"Sono convinta che si tratti solo di un fatto burocratico. Non credo che al Pdl, il maggior partito del Lazio e di Roma, possa essere impedito l’accesso alla competizione elettorale. La burocrazia non uccida la democrazia. Lancio un appello al capo dello Stato: garantisca a tutti i cittadini, anche quelli del Pdl di esprimere il proprio voto", ha detto Renata Polverini candidata alla presidenza della regione Lazio nella conferenza stampa convocata al comitato elettorale di via Imbriani dopo l’esclusione della lista Pdl per ritardo dalla competizione elettorale. E anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si appella al capo dello Stato e ai magistrati "che devono decidere sugli esiti di questa vicenda, affinché venga garantito il diritto dei romani a esprimersi democraticamente".
Intanto è scontro sulla mancata presentazione della lista. Mentre nel Popolo della Libertà si oscilla tra le accuse di incapacità (Rotondi) a chi ha organizzato la presentazione e la difesa di Storace: "Sarebbe un golpe", il centrosinistra chiede garanzie che non si usano pesi e misure diverse per salvare la lista Pdl. Il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti invita a non coinvolgere il Quirinale: "Renata Polverini è candidata e con molte liste a suo sostegno. Quindi il confronto democratico è pienamente libero e rispettato. Trovo, invece, stupefacente che ci si appelli al presidente della Repubblica e ai magistrati non per difendere un diritto, ma per cercare di coprire un abuso", dice Zingaretti. "Se un povero cristo compie degli atti in ritardo rispetto a quanto previsto dalla legge - prosegue l’esponente del Pd- ne paga tutte le conseguenze. Non si capisce perché lo stesso non debba valere per chi, colpevolmente, presenta in ritardo una lista elettorale".
"Non vorrei che dopo le leggi ad personam, assistessimo a provvedimenti ad ’listam’. Una innovazione degna di qualche altro regime" dice Emma Bonino "Noi - rimarca la candidata del centrosinistra - non ci lamentiamo, ma nessuno abbia memoria corta. Questa lista semplicemente non c’è. Si parla di verbale aperto o chiuso. No, non c’è proprio. Questo è un punto di legalità da tenere ben fermo. Io credo che la legge debba valere per tutti".
Dalle diverse ricostruzioni dei fatti emerge che, comunque, alle 12 di ieri (scadenza legale della presentazione), le liste del Pdl non c’erano ancora. Francesco Storace, leader della destra, si appella al buon senso dei giudici: "La magistratura usi buonsenso. L’esclusione del Pdl dalle Regionali avrebbe il sapore di un colpo di Stato. La sinistra, comunque, non si illuda: nel Lazio non molla nessuno".
Ma anche nel centrodestra piovono critiche sull’organizzazione deficitaria del partito. Gianfranco Rotondi, ministro per l’attuazione del Programma è inferocito: "L’onorevole De Luca da solo in Piemonte ha presentato in tre giorni una lista della Dc per Cota letteralmente pensata e realizzata in una settimana. I maestri del PdL hanno fatto perdere la Polverini a tavolino. Io ne ho piene le tasche di fare il parente povero in questa banda di incapaci. Nemmeno la campagna elettorale mi induce a misericordia".
E il centrosinistra insiste: "Per molto meno in passato altre liste sono state escluse dalla competizione elettorale. Non si capisce pertanto su quali basi sia stato impostato il ricorso del Pdl, che, se accolto, capovolgerebbe all’istante, ed in modo davvero clamoroso, tutta la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato". E’ quanto afferma l’avvocato Alessandro Gerardi, membro della leadership radicale. "La normativa sulla presentazione delle liste - spiega il legale - è chiarissima e prescrive che la lista regionale dei candidati e i relativi allegati debbono essere presentati prima delle ore 12 e che di questo atto, di natura istantanea, si dia conto nel verbale di ricevuta; in altre parole il solo ingresso dei delegati presentatori, seppur tempestivo, nella cancelleria della corte di appello è elemento di per sè irrilevante se non accompagnato dalla materiale ed altrettanto tempestiva consegna della documentazione, completa e perfettamente in ordine, al cancelliere".
Invece, ricorda Gerardi: "I rappresentanti del Pdl non hanno fatto nulla di tutto questo, trattenendosi all’esterno degli edifici della corte d’appello ben oltre lo scadere del termine perentorio per la presentazione della lista in quanto, come riferito da numerosi testimoni, non disponevano di tutti i documenti necessari; tanto è vero che al loro rientro non gli è stato consegnato il verbale di ricevuta da parte del cancelliere, al quale non è mai stata consegnata la documentazione".
* la Repubblica, 28 febbraio 2010
Il gelo del Quirinale: è impossibile per noi interveniresul rischio esclusione
I finiani: questo incidente rivela che il partito è ancora tutto da costruire
Lazio, pressing del Cavaliere sulle liste
poi scatta l’ira contro An: "Dilettanti"
di CARMELO LOPAPA *
ROMA - "Che dilettanti". Il pasticcio della lista romana del Pdl lascia il premier Berlusconi basito ancor più che "sconcertato", come pure ha detto parlando da Arcore con la candidata Renata Polverini. Ce l’ha con l’entourage finiano della squadra, con gli uomini di Alemanno che guidano il Pdl nel Lazio (espressione del sindaco, il coordinatore Vincenzo Piso) e con chi ha gestito la partita delle liste. "Si credono professionisti della politica, ma sono solo dei dilettanti, avevo chiesto di migliorare la lista, non di boicottarla" sarebbe sbottato il Cavaliere nella giornata di relax, poi conclusa con la cena con intellettuali a Villa Gernetto.
Il fatto è che il presidente del Consiglio sa bene di non essere del tutto esente da responsabilità in questa faccenda che, nei suoi incubi, rischia di compromettere l’intero pallottoliere delle regionali. Raccontano che sabato mattina Berlusconi abbia indossato i panni del leader Pdl per prendere in mano la situazione nel Lazio, per nulla rassicurato dai numeri della Polverini, riscontrati nell’ultimo sondaggio della fidatissima Alessandra Ghisleri. Pochi i 2 punti di vantaggio assegnati da Euromedia Research (anche sull’ultimo Panorama) alla loro candidata rispetto alla Bonino (49 a 47). E se il berlusconiano Alfredo Milioni si è allontanato per poi rientrare nel tribunale di Roma a ridosso della dead line per le liste, è stato proprio per raccogliere le correzioni dell’ultimora, provenienti proprio dal premier. Di più, sembra che in quelle ore sia balenata nella mente di Berlusconi anche l’idea di guidare in prima persona la lista Pdl nel Lazio. Idea poi accantonata. Ma nel tira e molla concitato delle battute finali si è consumato il pastrocchio, con ritardo letale.
La situazione viene presa sul serio e ritenuta preoccupante. Da qui l’appello partito ieri all’indirizzo del Quirinale. Dalla Polverini, da Alemanno, ma anche dal forzista Cicchitto, quasi fosse l’ultima carta giocabile, comunque un tentativo per mettere alle strette il capo dello Stato. In realtà, al Colle l’appello è stato accolto per quello che è: una generica invocazione che tuttavia no trova appiglio in alcuna competenza del presidente della Repubblica. Nessun potere di intervento specifico in materia, hanno constatato al Quirinale. A meno che l’invito non si concretizzi in qualcosa di più circostanziato nelle prossime ore. Difficile immaginare in che modo e in che termini.
Ma quel che più preoccupa il premier Berlusconi, nell’immediato, è il "danno in termini di comunicazione" che tutto questo sta producendo. "Che figura facciamo, che immagine diamo del nuovo partito?". Un leit motiv che per la verità accomuna berlusconiani ed ex An del Pdl. Con i finiani in prima fila a sbuffare in anonimato: "Quanto accaduto è la dimostrazione che il partito è ancora tutto da costruire". Quel che è certo, è che tra gli stessi ex An l’incidente sta provocando uno sconquasso. Con tanto di rimpallo di responsabilità che, dietro le quinte, avrebbe portato a uno scontro tra il ministro Ignazio La Russa e Gianni Alemanno. "C’è stata una grande leggerezza, dovremo andare a fondo", lamenta il primo, con implicito riferimento al secondo. Il sindaco invece attribuisce lo scivolone a "forzature e rigorismi burocratici". Tutti comunque promettono ripulisti interno quando l’affare sarà risolto.
La partita non è chiusa, ma come uscire dal vicolo cieco? "La via di un decreto è impraticabile, in materia elettorale - ragiona il ministro Gianfranco Rotondi - una leggina correttiva bipartisan sarebbe ipotizzabile, forse". "Sì, ma poi tutti i partiti dovrebbero essere disposti e già è chiaro che in Parlamento non tira aria" chiude il vicecapogruppo Pdl alla Camera, Osvaldo Napoli. Sì, gli ex An lanciano la no-stop in piazza da oggi, il ministro Giorgia Meloni in testa. ("Siamo disposti a mobilitare la nostra gente ogni giorno"). La verità è che le sorti del Pdl e della sua lista, almeno nel Lazio, passeranno per ironia della sorte dalle mani dei magistrati. In ultimo quelli del Tar. Loro l’ultima parola, forse mercoledì.
* © la Repubblica, 01 marzo 2010
La vicenda assume anche tratti farseschi. Il
presentatore elettorale Alfredo Milioni minacciato?
La Corte d’Appello di Milano esclude la lista
"Per la Lombardia" di Roberto Formigoni
Liste nel Lazio, Quirinale: "Decidono i giudici"
Il Pdl denuncia i Radicali per violenza privata
Manifesti: "Non vogliono farti votare". Oggi maratona
oratoria aperta ai cittadini con la Polverini
Presentato il ricorso in Corte d’Appello. Ma si tenta
anche la strada del Tar e del Consiglio di Stato
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ROMA - Il Quirinale respinge al mittente gli appelli in extremis rivolti dai vertici del centrodestra e dalla candidata alla presidenza della Regione Lazio Renata Polverini affinché fosse il capo dello Stato in persona a sciogliere il pasticcio provocato dal ritardo nella presentazione delle liste del Pdl al Tribunale di Roma con l’esclusione della lista Pdl per Roma e provincia dalle prossime elezioni regionali. Intanto oggi il Pdl ha presentato una denuncia-querela contro alcuni militanti dei Radicali per violenza privata e contro i componenti dell’Ufficio Centrale per abuso d’ufficio. E in Lombardia la lista ’Per la Lombardia’ di Roberto Formigoni non è stata ammessa alle elezioni regionali per invalidità di 514 firme. Lo ha deciso la Corte di Appello di Milano, accogliendo il ricorso presentato dalla lista Bonino-Pannella.
La denuncia. E’ stato presentato stamani all’Ufficio centrale presso la Corte d’Appello il ricorso della Pdl contro l’esclusione della lista per Roma e provincia dalle prossime elezioni regionali. "Entro domani - spiega il responsabile elettorale nazionale del Pdl Ignazio Abrignani - ci aspettiamo una risposta, perché hanno 48 ore per darcela. Spero che prevalga il buonsenso e soprattutto che i cittadini romani possano esercitare un diritto che la Costituzione gli consente".
"Al ricorso è allegata una denuncia-querela che l’avvocato Grazia Volo ha presentato presso la Procura della Repubblica", ha spiegato Abrignani. "Nella denuncia querela - ha detto - si denunciano i militanti del partito Radicale, anche se non sono stati fatti nomi e i componenti dell’ufficio centrale per abuso d’ufficio, per avere impedito il legittimo esercizio del diritto politico di voto".
Il Quirinale. Con un comunicato emesso stamattina, il Quirinale specifica: "La preoccupazione di una piena rappresentanza, nella competizione elettorale regionale in Lazio come dovunque, delle forze politiche che intendono concorrervi, non può che essere compresa e condivisa dal Presidente della Repubblica". Ma, conclude il Colle, "spetta solo alle competenti sedi giudiziarie la verifica del rispetto delle condizioni e procedure previste dalla legge".
Lo scontro nel Pdl. Tramontata dunque l’ipotesi di un intervento "super-partes", nel Pdl sembra destinato ad inasprirsi lo scontro interno. Intanto si cerca di capire la natura esatta del "pasticcio". Minacciato o solo affamato? O forse impegnato a modifiche di lista dell’ultimo minuto? La vicenda oscilla ormai tra la farsa e il dramma politico. Al centro c’è Alfredo Milioni, presidente Pdl del XIX municipio della capitale: l’uomo che ha lasciato l’edificio del Tribunale forse per andare a mangiare un panino o, forse, per cancellare qualche nome dalle liste che stava per presentare su indicazioni, pare, venute molto dall’alto. Quanto alle notizie su presunte minacce, compaiono qua e là soprattutto nelle dichiarazioni dei leader Pdl, ma pochi credono che un uomo esperto di presentazioni elettorali come Milioni si sia lasciato davvero intimidire.
Il "redde rationem". Nel Popolo delle Libertà c’è grande fermento: da una parte ci si prepara al "redde rationem" interno, dall’altra si cercano soluzioni. L’idea, la prima venuta in mente al sindaco Alemanno e alla stessa Polverini, di chiamare in causa il presidente Napolitano chiedendogli di garantire la presenza del "maggiore partito del Lazio", era stata già bocciata dagli alleati dell’Udc. "Lasciamo in pace il capo dello Stato" ha sentenziato ieri Casini e il segretario regionale dei centristi, Luciano Ciocchetti aggiunge oggi: "Che può fare il presidente della Repubblica? Non può far niente. Credo che l’unica partita sia al Tar e al Consiglio di Stato". Anche Di Pietro si è fatto sentire sul tema: "Almeno Napolitano la legge la faccia rispettare. Credo che il capo dello Stato non possa e non debba intervenire, perché si renderebbe correo di una violazione della legge".
Gli esperti. Ma anche i ricorsi alle autorità competenti dal punto di vista amministrativo rischiano di lasciare il tempo che trovano. Esperti giuristi fanno sapere che la lista non è stata presentata e, quindi, non c’è margine per contestazioni e ripensamenti. L’unica strada sarebbe quella di dimostrare che il presentatore è stato minacciato. In questo caso scatterebbero anche denunce penali che potrebbero portare addirittura al rinvio del voto.
La maratona oratoria. E, mentre il ministro Gianfranco Rotondi, tenta la difficile strada dell’accordo bipartisan attraverso una leggina ad hoc, il Pdl si affida alla piazza. Oggi, in San Lorenzo in Lucina, è in programma una "maratona oratoria" con Renata Polverini aperta ai cittadini. Si parlerà a sostegno delle ragioni della lista Pdl. E stamani, a tempo di record , sono apparsi in molti quartieri di Roma due manifesti Pdl e della lista Polverini che denunciano l’esclusione e si rivolgono direttamente agli elettori esortandoli a reagire. "Non vogliono farti votare, fatti sentire" recita un manifesto che ha praticamente tappezzato la zona dell’Ostiense. Sull’altro è stato scritto: "Vogliono cancellare la democrazia. Fatti sentire". A quanto si è appreso da fonti Pdl sono state stampate diecimila copie di ognuno dei manifesti.
L’appello di Alemanno. Il sindaco della capitale Gianni Alemanno ha indirizzato una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle elezioni regionali manifestandogli la sua "profonda preoccupazione per la situazione che si sta determinando nella città di Roma".
L’esclusione della lista Formigoni in Lombardia. La Corte d’Appello di Milano ha escluso dalle elezioni la lista ’Per la Lombardia’ di Roberto Formigoni per l’invalidità di 514 firme, accogliendo il ricorso presentato dalla lista Bonino-Pannella. La legge impone che le firme siano non meno di 3.500 e non più di 5 mila. In particolare le irregolarità riguardano la "mancanza di timbri sui moduli", mancanza di data dell’autenticazione e "mancanza del luogo dell’autenticazione.