Un’azienda utilizza il brano per pubblicizzare calze e collant
Il viceministro al Lavoro: "Piuttosto bisognerebbe fare pubblicità all’Inno"
L’Inno di Mameli usato in uno spot
E’ polemica: "E’ una vergogna" *
ROMA - L’Inno di Mameli utilizzato come colonna sonora di uno spot pubblicitario. Di una nota azienda che produce calze e collant. Cantato da una voce femminile, che sottolinea lo spirito da "sorelle d’Italia" sotteso alla pubblicità. Ed è subito polemica. Il sottosegretario al Lavoro, Pasquale Viespoli, dice che piuttosto sarebbe meglio "fare pubblicità all’Inno". Più duro il presidente della Provincia di Savona, Angelo Vaccarezza (noto patriottico): "E’ una vergogna".
La colonna sonora dello spot. Si chiama "Sorelle d’Italia" la colonna sonora del nuovo spot 2009 del noto marchio di abbigliamento intimo. Una citazione neanche troppo implicita, che declina al femminile il testo dell’inno nazionale.
Le reazioni. "Più che usare l’inno nazionale distorto’ per fare pubblicità, "bisognerebbe fare pubblicità all’inno nazionale". Pasquale Viespoli commenta così la pubblicità di ’Calzedonia’ che con ’Sorelle d’Italia’ usa l’inno di Mameli declinato al femminile. "Credo che sia meglio lasciare l’inno nazionale agli ambiti istituzionali e non usarlo per fini pubblicitari", sottolinea il sottosegretario al Lavoro.
"Con il canto degli italiani non si gioca. E non si può nemmeno metterlo sotto i piedi": il presidente della Provincia di Savona, Angelo Vaccarezza, noto per varie sue iniziative patriottiche, protesta contro lo spot pubblicitario di una nota marca di calze, ’Calzedonia’, in onda sulle principali emittenti televisive.
Vaccarezza è affezionato protagonista di tanti raduni degli alpini (domenica scorsa a Mestre ha preso parte alla cerimonia per il dono dell’olio votivo alla Madonna del Don), ha messo a mezz’asta le bandiere di Palazzo Nervi, sede della Provincia, poche ore dopo l’attentato di Kabul prima ancora che venisse proclamato il lutto nazionale ed ha dipinto con il tricolore il palazzo comunale. "L’inno di Mameli non è uno scherzo. E’ una cosa seria - dice - sentirlo in un spot per pubblicizzare delle calze da donna è una vergogna".
E allo stesso modo, secondo il presidente della Provincia di Savona, dovrebbero vergognarsi i dirigenti dell’azienda veronese di Malcesine "che hanno consentito a coloro che hanno realizzato la pubblicità di poterla mettere in onda". "Chiedo espressamente all’azienda di eliminare dallo spot le note di Mameli, l’inno non deve essere violato in nessun modo. Lo chiedo a nome non solo dei savonesi, ma di tutti gli italiani che hanno a cuore il ’canto degli italiani’ che rappresenta la nostra nazione", conclude Vaccarezza
* la Repubblica, 13 ottobre 2009
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL PRIMATO DELL’ITALIA NEL MONDO: LA PRIMA REPUBBLICA A LUCI ROSSE DEL PIANETA.
La Stamopa, 13/10/2009 (14:43)
IL CASO
Polemiche per l’Inno di Mameli utilizzato in uno spot pubblicitario
Alcuni politici chiedono la sospensione della messa in onda di "Sorelle d’Italia» realizzato per il marchio Calzedonia
L’inno di Mameli nello spot tv delle calze. VIDEO (La Stampa)
ROMA «Sorelle d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa...» inizia così lo spot pubblicitario che in questi giorni è in onda sulle principali televisioni italiane per promuovere il marchio «Calzedonia». Il concetto che sta alla base del video pubblicitario viene poi spiegato al termine dello stesso con il claim «Il futuro è rosa». Ma le reazioni di alcuni personaggi politici non sono state affatto positive.
Più che usare l’inno nazionale "distorto" per fare pubblicità, «bisognerebbe fare pubblicità all’inno nazionale». Pasquale Viespoli commenta così all’Adnkronos la propria posizione: «Credo che sia meglio lasciare l’inno nazionale agli ambiti istituzionali e non usarlo per fini pubblicitari», sottolinea il sottosegretario al Lavoro.
Ancora più dura la reazione di Romano La Russa, coordinatore provinciale milanese del Pdl: «Calzedonia sospenda immediatamente la messa in onda di quella pubblicità infame, altrimenti inviteremo i cittadini a denunciare l’autore dello spot e il responsabile dell’Authority per mancata vigilanza. Non si può svilire l’inno di Mameli per vendere delle volgarissime calze - continua La Russa - è uno scempio assistere all’inno di Mameli utilizzato in una pubblicità per la vendita di calzamaglia da donna».
«Dopo l’attentato di ieri a Milano - continua La Russa - tornare a casa ancora scossi e preoccupati per quanto è successo e vedere in televisione quello spot è come essere umiliati e offesi una seconda volta. Oggi più che mai è necessario ritrovare l’orgoglio e il rispetto dell’essere italiani, di appartenere ad una nazione e ad una cultura che vanno difese. L’inno nazionale è un simbolo di questa unità, dell’italianità, rappresenta il sacrificio di tanti italiani, uomini e donne che si sono immolati per la Patria. Lo si canta con gioia in occasione di eventi sportivi e con profonda tristezza quando accompagna i nostri militari caduti per la pace».
«Invito l’Authority delle Telecomunicazioni - conclude La Russa - a far rispettare la legge e ritirare lo spot che insulta l’inno, che insieme alla nostra Costituzione e alla bandiera è un emblema dello Stato».
Neuro
Codificazione facciale, misurazioni di onde cerebrali e battiti cardiaci scannerizzazione del cervello.
Dal Messico alla Polonia, i politici in campagna elettorale ora investono in tecnologie che ci “leggono dentro”.
Ci studiano per prevedere le nostre scelte dentro l’urna. E più ci conoscono più c’è il rischio che ci manipolino.
Pioniere della scienza è considerato Frans de Waal che scrisse un saggio nel 1982.
Oggi ci si avvale di Big Data e nanotecnologie per confezionare messaggi suadenti
di Federico Rampini (la Repubblica, 09.11.2015)
NEW YORK QUALI MECCANISMI del subconscio collettivo deve attivare Hillary Clinton, quali resistenze psichiche deve attutire e neutralizzare, per sfondare l’invisibile “soffitto di vetro”, cioè la barriera che fin qui ha impedito a una donna di diventare presidente degli Stati Uniti? Una risposta potrebbe venire da un nuovo ramo della scienza politica. Neuropolitics. È una dottrina che si sta raffinando rapidamente: lo studio del cervello umano per prevedere le nostre scelte politiche.
I test preliminari sono avvenuti già da tempo in settori paralleli al marketing elettorale: nel marketing tout court. Da molto tempo la Silicon Valley investe in tecnologie che “ci leggono dentro”. Per esempio l’Intelligenza Artificiale che opera nel campo della ricognizione facciale, la lettura delle nostre pupille e delle onde sonore della nostra voce, la catalogazione e interpretazioni delle nostre smorfie, sguardi, inflessioni di parlata.
Una volta imparato a decifrare l’animo umano, si analizzano le sue reazioni: dentro i reparti di un supermercato, o davanti alla vetrina di uno stilista, nell’atto di guardare una pubblicità. Il marketing incassa il “feedback” - l’informazione di ritorno, sulle nostre reazioni - e poi si adegua. Più ci conosce in profondità, meglio ci manipola. Se funziona per vendere uno smartphone, un’app digitale, un’automobile o un paio di jeans, forse vale anche per vendere un candidato.
La neuropolitica è meno nuova di quanto si creda. L’enciclopedia Wikipedia la definisce come la scienza che «indaga l’interazione tra il cervello e la politica, combinando i lavori delle neuroscienze, della psicologia comportamentale, della genetica, e delle scienze politiche». Ne fa risalire le prime intuizioni nientemeno che a Platone e John Locke, filosofi che s’interrogarono sulla natura del pensiero umano come fondamento per le scelte politiche. Nell’accezione contemporanea, un pioniere della neuropolitica è considerato Frans de Waal col suo saggio del 1982 sulla Chimpanzee Politics, sottotitolo Sesso e Potere tra i Primati.
Sissignori, gli etologi hanno molto da insegnarci sul comportamento della specie umana, meno “superiore” di quel che crediamo: gorilla, oranghi e scimpanzé padroneggiano varie tecniche di “manipolazione psicologica degli altri”. Dopo de Wallas i luminari più rispettati in questi campi arrivano al passaggio del millennio: Drew Westen, James Fowler, Darren Schreiber, William Connolly, con varie ricerche che stabiliscono collegamenti sistematici fra la biologia, i “neuroni del ragionamento”, e i comportamenti degli elettori alle urne. Connolly scrive Neuropolitics (sottotitolo Pensiero, Cultura, Velocità) nel 2002 per la University of Minnesota Press.
Il best-seller di Drew Westen, del 2008, è tradotto anche in italiano: La mente politica, Il Saggiatore. E tuttavia all’epoca della sua uscita - il 2008 è la prima campagna presidenziale di Barack Obama - la neuropolitica era ancora una curiosità, una sfida intellettuale, che molti consideravano fantascienza. Non risulta che gli strateghi di Obama abbiano fatto un uso significativo di questi metodi di analisi della mente degli elettori, e poi di convincimento. Ma l’innovazione avanza a ritmi sostenuti.
La neuropolitica oggi si avvale di due parole chiave maturate nella Silicon Valley: Big Data e nanotecnologie. Micro-sensori e webcamere diventano pervasive, spiarci mentre osserviamo una vetrina o un’immagine pubblicitaria è sempre più facile e meno costoso. Big Data significa la moltiplicazione esponenziale nella potenza dei computer per dige-politics rire e analizzare informazioni nuove: quindi allargando i test neuropolitici ad una vastissima platea di elettori, situazioni, reazioni individuali.
Fino a stabilire dei trend, delle regole. Per poi confezionare messaggi politici sempre più sottili, personalizzati, suadenti, irresistibili. Può diventare realtà l’intuizione dello scrittore Philip Dick nel racconto Minority Report da cui fu tratto un film con Tom Cruise: in cui il protagonista sale sul metrò e le immagini pubblicitarie parlano a lui personalmente, interpellandolo per nome. In Minority Report è la pubblicità commerciale che si adatta all’individuo per catturarne l’attenzione e il portafoglio. Il salto alla pubblicità politica non è difficile immaginarlo. E di fatto sta già avvenendo, non solo negli Stati Uniti ma in molte parti del mondo. Anzi, secondo il New York Times gli esperimenti più audaci avvengono “alla periferia dell’impero”.
Dal Messico alla Polonia.
Un reporter del New York Times, Kevin Randall, è andato a Città del Messico per osservare e raccontare uno degli esperimenti più avanzati di neuropolitica. Con cartelloni pubblicitari elettronici che esortano a votare per i candidati alle elezioni parlamentari, ma al tempo stesso osservano, studiano, riprendono e analizzano l’espressione facciale di chi osserva quei manifesti. L’insieme dei dati raccolti viene elaborato da un algoritmo, che ne ricava indicazioni su come i candidati devono adeguare i propri messaggi. “Codificazione facciale, bio-feedback, scannerizzazione del cervello” sono alcune tecniche elencate.
In Messico secondo il reportage del New York Times il partito del presidente Enrique Peña Nieto fece un uso sistematico delle tecnologie neuropolitiche alle elezioni del 2012, con tanto di «misurazioni di onde cerebrali, battiti cardiaci, espressioni facciali ed alterazioni epidermiche». Sempre secondo la stessa inchiesta la neuropolitica è stata usata in Spagna, Polonia, Russia, Turchia, Argentina, Brasile, Colombia. Le maggiori società di indagini di mercato - Ipsos, Nielsen e Kantar - ammettono di padroneggiare da tempo il neuromarketing a fini commerciali ma negano di farne un uso estensivo nelle elezioni. Lo ammettono invece una società spagnola, Emotion Research Lab, ed una polacca, la Neurohm: quest’ultima ha lavorato anche per dei candidati presidenziali americani.
Il che ci riporta al quesito iniziale... ce la farà Hillary? Che la neuropolitica sia importante per un candidato donna, lo ricorda la columnist Gail Collins del New York Times. La Collins cita due studi sull’handicap femminile in politica. Il primo, individuato dall’esperta in demoscopea Celinda Lake: «Una donna deve passare agli occhi degli elettori degli esami di competenza molto più esigenti; del candidato maschio si dà per scontato che debba avere una certa competenza se è arrivato fin lì». Il secondo ostacolo, da uno studio della Barabara Lee Family Foundation: «La donna in politica deve anche essere piacevole; gli elettori non voteranno una donna antipatica mentre voterebbero un uomo sgradevole se pensano che sia all’altezza del compito».
La neuropolitica c’entra davvero, con tutto il suo apparato hi-tech. Perché certe resistenze psicologiche non uscirebbero allo scoperto usando i metodi tradizionali. Per esempio in un focus group i partecipanti ad una sessione sulle elezioni, possono auto-censurarsi per non rivelare (magari neppure a se stessi) i propri pregiudizi sessisti. Che invece l’Intelligenza Artificiale può smascherare, osservandoli a loro insaputa: movimenti delle pupille, alterazioni della pelle, battito cardiaco, di fronte alla candidata che deve frantumare il “soffitto di vetro” invisibile.
"Neuropolitica": anche in Italia
Ricevo e pubblico questa lettera:
"Scrivo a proposito dell’articolo di oggi di Federico Rampini su Neuropolitica. Ci sono vari studi italiani su questo argomento.
A parte la settimana mondiale del cervello su questo tema organizzata qui a Sapienza nel 2008 abbiamo pubblicato vari studi sull’influenza che i leader politici italiani (in primo luogo Berlusconi) esercitano sui loro elettori. Salvatore M Aglioti
1) http://agliotilab.org/ a questo sito potrete ottenere gli articoli scientifici riguardanti Berlusconi e vari altri leader italiani
2) http://www.fondazionetelecomitalia.it/eventi/neuroscienze-della-politica-di-destra-o-di-sinistra-si-nasce-o-si-diventa/52077/dettaglio
3) http://www.baw2008.altervista.org/programma.html
Social and Cognitive Neuroscience Laboratory
Department of Psychology
School of Medicine and Psychology
Sapienza University of Rome
Via dei Marsi 78, 00185, Roma, Italy
Voice and Facsimile: 0039-06-49917601;
e-mail: salvatoremaria.aglioti@uniroma1.it
http://agliotilab.org/
Inno, è obbligatorio impararlo a scuola
Senato dà ok: 17 marzo giornata Unità d’Italia
ROMA - D’ora in poi sarà più difficile notare sportivi che rimangono in silenzio o persone che inseriscono parole a caso mentre suona l’inno di Mameli: impararlo a scuola è obbligatorio. Il Senato, infatti, tra le accese proteste della Lega, ha dato il via libera definitivo al ddl che prevede l’insegnamento dell’inno tra i banchi. La norma, che è passata con 208 voti a favore, 14 contrari e 2 astenuti, istituisce inoltre il 17 marzo giornata nazionale dell’Unità d’Italia, della Costituzione, dell’inno nazionale e della bandiera.
In base al testo approvato oggi, a partire dal prossimo anno scolastico, nelle scuole di ogni ordine e grado saranno organizzati "percorsi didattici, iniziative e incontri celebrativi finalizzati ad informare e a suscitare riflessione sugli eventi e sul significato del risorgimento nonché sulle vicende che hanno condotto all’unità nazionale, alla scelta dell’inno di Mameli, alla bandiera nazionale e all’approvazione della Costituzione, anche alla luce dell’evoluzione della storia europea".
Lo scopo che si prefigge la legge con l’istituzione di questa nuova festività (che non avrà comunque effetti civili, non sarà insomma un giorno di vacanza o di ferie) è quello di "ricordare e promuovere" nella giornata del 17 marzo, data della proclamazione nel 1861 a Torino dell’unità d’Italia, "i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e consolidare l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica".
Le reazioni. Accese le proteste della Lega prima dell’approvazione del testo. Alcuni senatori hanno lasciato l’Aula prima del voto. "Senatori del Parlamento italiano, magari ex ministri, non possono affermare di non sentirsi italiani. È vergognoso", ha detto il senatore Udc Achille Serra intervenendo in Aula. Attribuisce ’grande valore storico’ alla decisione presa dal Senato il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: "Da oggi - ha detto - il 17 marzo diventa il giorno di tutti gli italiani che, attraverso una memoria finalmente condivisa, avranno la possibilità di riaffermare i valori dell’identità nazionale". Per il coordinatore nazionale del Pdl, Ignazio La Russa, l’inno è parte integrante della nostra storia: "È importante che proprio a scuola, culla dell’insegnamento e della cultura, i giovani possano imparare non solo il testo, ma ciò che esso rappresenta per tutti gli italiani". "Con questo ddl - ha detto il senatore del Pd Antonio Rusconi - alle scuole è affidato un compito importante: recuperare e rinnovare le radici di una Nazione, dei sacrifici compiuti e di quelli che si è ancora disposti a compiere insieme’’.