Un Nobel per il nostro Caro Leader
di Bruno Gambardella *
Ho sempre pensato che il pericolo più grande che corrono gli uomini potenti è quello di cadere nel ridicolo a causa dei loro stessi adulatori. Un fan sfegatato e privo di freni inibitori può essere fatale più di un critico severo e martellante.
Prendete Silvio Berlusconi. Il premier ha sempre sostenuto che non può farci niente se Emilio Fede lo ama e lo presenta quotidianamente come una specie di dio in terra: un editore veramente liberale può mai licenziare il direttore di un suo telegiornale solo perché gli attira qualche grattacapo per il suo eccesso d’affetto? Suvvia, un po’ di tolleranza...
E il cavaliere è sempre stato “tollerante” verso i suoi adulatori. Due esempi su tutti: la presidentessa del comitato napoletano “Silvio ci manchi” è stata candidata ed eletta alle elezioni provinciali; il cantante-autore dell’inno “Meno male che Silvio c’è” ora collabora attivamente con le reti Mediaset, con reciproca soddisfazione.
Non so come il nostro grande leader abbia preso la notizia della costituzione del comitato per l’assegnazione del premio Nobel per la pace 2010 allo stesso Berlusconi. Persino il mondadoriano Panorama non ha potuto fare a meno di ironizzare (e forse sghignazzare) sul video che promuove l’iniziativa. Ci sono le immagini di Silvio con Obama tra le macerie de L’Aquila mentre una commovente colonna sonora ci ricorda che l’Abruzzo, ancora incredulo per tanto attivismo e abnegazione, commosso ringrazia il presidente del consiglio italiano. Fonti vicine al premier hanno chiarito che non si tratta di un’iniziativa ufficiale del Popolo delle libertà, ma di un‘iniziativa della società civile.
Ma vediamo quali sono le motivazioni a sostegno della richiesta.
1) Berlusconi ha rinsaldato i legami con gli Stati Uniti (la strategie è stata straordinaria: ha finto di essere lo zerbino di Bush per poterlo meglio condizionare).
2) Ha mediato risolutamente nella crisi in Georgia (un intervento deciso ma discreto, tanto che in Georgia nessuno se n’è accorto.
3) Ha avuto un ruolo riconosciuto (da parte di Capezzone e Bonaiuti) per una duratura pace tra Israeliani e Palestinesi (per piacere, qualcuno avvisi Hamas e il governo di Gerusalemme).
4) Ha ricreato tra Stati Uniti e Federazione Russa lo stesso clima di dialogo e di amicizia che era sfociato nel vertice di Pratica di Mare del 2003 e che pose definitivamente fine alla Guerra Fredda (ma il muro di Berlino non era già caduto? Da quando Russia e Stati Uniti sono diventati amici per la pelle?
5) Ha sempre sostenuto missioni di pace (anche quelle non autorizzate dall’ONU e che hanno causato centinaia di migliaia di morti tra i civili).
6) Ha riconosciuto, primo al mondo, le proprie responsabilità nei confronti di una ex-colonia, la Libia, al punto che di lui Gheddafi (noto epigono di Gandhi) ha detto: “Berlusconi è un uomo di ferro che ha preso una decisione storica”.
7) Ha fatto sì che Rasmussen fosse nominato segretario generale della Nato (quando Rasmussen l’ha saputo è andato ad ubriacarsi e ha presentato le dimissioni).
A questa già corposa lista stilata dal comitato io aggiungerei che Berlusconi si è adoperato per migliorare i rapporti con le comunità mussulmane (meriti da dividere con la Santanché, con Borghezio e Gentilini); ha operato con giustizia e umanità nell’affrontare il problema dell’immigrazione clandestina; ha reso l’Italia completamente dipendente dal punto di vista energetico da quel campione della democrazia e della libertà (soprattutto di stampa) che è il presidente-amico russo Vladimir Putin.
Cosa dire di più? Sono sicuro che di fronte ad un’iniziativa del genere che farà ridere a crepapelle il mondo intero (non che non lo facciano già, ma una cosa sono le gaffes e la storia delle escort, un’altra una proposta di premio Nobel per la pace) il Padre della Patria nordcoreano Kim Il-Sung si sarebbe scandalizzato e che il Caro Leader suo figlio non avrebbe esitato un attimo ad epurare i suoi "sostenitori". Ma noi siamo in Italia e, diciamo con orgoglio, uno come Emilio Fede in Corea del Nord se lo sognano...
* Il Dialogo, Martedì 29 Settembre,2009 Ore: 00:18
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Cordoglio del Presidente Mattarella per la scomparsa di Silvio Berlusconi
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione: *
«Apprendo con profonda tristezza la notizia della morte di Silvio Berlusconi, fondatore e leader di Forza Italia, protagonista di lunghe stagioni della politica italiana e delle istituzioni repubblicane.
Berlusconi è stato un grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica, incidendo su paradigmi, usi e linguaggi. In una stagione di profondi rivolgimenti, la sua “discesa in campo”, con un partito di nuova fondazione, ottenne consensi così larghi da poter comporre subito una maggioranza e un governo.
La leadership di Berlusconi ha contribuito a plasmare una nuova geografia della politica italiana, consentendogli di assumere per quattro volte la carica di presidente del Consiglio. In queste vesti ha affrontato eventi di portata globale, come la crisi aperta dall’attentato alle Torri Gemelle, la lotta al terrorismo internazionale e gli sconvolgimenti finanziari alla fine del primo decennio del nuovo secolo.
Ha progressivamente integrato il movimento politico da lui fondato nella famiglia popolare europea favorendo continuità nell’indirizzo atlantico ed europeista della nostra Repubblica.
E’ stato una persona dotata di grande umanità e un imprenditore di successo, un innovatore nel suo campo. Ha conquistato posizioni di assoluto rilievo nell’industria televisiva e nel settore dei media, ben prima del proprio impegno diretto nelle istituzioni.
E’ stato artefice di importanti successi nel mondo dello sport italiano.
Desidero esprimere il mio cordoglio e la mia solidarietà ai figli, a tutti i familiari, al suo partito, a coloro che più gli sono stati vicini nella vita e nell’ultima battaglia contro la malattia, combattuta con coraggio ed esemplare ottimismo».
Fonte: Sito della PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
La bustina di minerva
Il Cavaliere, il mugnaio, l’Italia
"C’è un giudice a Berlino" è un vecchio modo di dire nato dalla vicenda di un poveraccio, in Germania, rimasto senza mulino ma che alla fine ebbe giustizia. Ora possiamo dire, con orgoglio, che c’è un giudice anche a Roma di Umberto Eco * ’Ci deve pur essere un giudice a Berlino’ è espressione che, anche quando se ne ignora l’origine, molti usano per dire che ci deve essere una giustizia da qualche parte. Il detto è così diffuso che l’aveva citato anche Berlusconi (noto estimatore delle magistrature), quando nel gennaio 2011 aveva visitato la signora Merkel con la curiosa idea di interessarla ai suoi guai giudiziari. La signora Merkel (con un tratto di humour che una volta avremmo definito all’inglese - ma anche i popoli si evolvono) gli aveva fatto osservare che i giudici ai quali lui pensava non erano a Berlino ma a Karlsruhe, nella Corte Costituzionale, e a Lipsia nella Corte di Giustizia. Non potendo girare per tutte le città tedesche a cercare soddisfazione, Berlusconi se n’era tornato a casa coi pifferi di Hamelin nel sacco, ma aveva continuato a ignorare che, senza fare dispendiosi viaggi all’estero, si sarebbero potuti trovare giudici corretti (e non corruttibili) anche a Roma.
Come nasca e come si diffonda la storia del giudice a Berlino è faccenda complessa. Se andate su Internet vedrete che tutti i siti attribuiscono la frase a Brecht, ma nessuno dice da quale opera. Comunque la cosa è irrilevante perché in tal caso Brecht avrebbe semplicemente citato una vecchia vicenda. I bambini tedeschi hanno sempre trovato l’aneddoto nei loro libri di lettura, della faccenda si erano occupati vari scrittori sin dal Settecento e nel 1958 Peter Hacks aveva scritto un dramma ("Der Müller von Sanssouci"), di ispirazione marxista, dicendo che era stato ispirato da Brecht, ma senza precisare in qual modo.
Se proprio volete avere un resoconto di quel celebre processo, che non è per nulla leggenda, come molti siti di Internet, mendaci per natura, dicono, dovreste ricuperare un vetusto libro di Emilio Broglio, "Il Regno di Federico di Prussia, detto il Grande", Roma, 1880, con tutti i gradi di giudizio seguiti per filo e per segno. Riassumendo, non lontano dal celebre castello di Sanssouci a Potsdam, il mugnaio Arnold non può più pagare le tasse al conte di Schmettau perché il barone von Gersdof aveva deviato certe acque per interessi suoi e il mulino di Arnold non poteva più funzionare. Schmettau trascina Arnold davanti a un giudice locale, che condanna il mugnaio a perdere il mulino.
Ma Arnold non si rassegna e riesce a portare la sua questione sino al tribunale di Berlino. Qui all’inizio alcuni giudici si pronunciano ancora contro di lui ma alla fine Federico il Grande, esaminando gli atti e vedendo che il poveretto era vittima di una palese ingiustizia, non solo lo reintegra nei suoi diritti ma manda in fortezza per un anno i giudici felloni. Non è proprio un apologo sulla separazione dei poteri, diventa una leggenda sul senso di equità di un despota illuminato, ma il "ci sarà pure un giudice a Berlino" è rimasto da allora come espressione di speranza nell’imparzialità della giustizia.
Che cosa è successo in Italia? Dei giudici di Cassazione, che nessuno riusciva ad ascrivere a un gruppo politico e di cui si diceva che molti fossero addirittura simpatizzanti per un’area Pdl, sapevano che qualsiasi cosa avessero deciso sarebbero stati crocifissi o come incalliti comunisti o come berlusconiani corrotti, in un momento in cui (si badi) persino la metà del Pd auspicava una soluzione assolutoria per non mettere in crisi il governo. Ma, lavorando solo su elementi di diritto e giurisprudenza, indipendentemente dai loro desideri o passioni, e ignorando ogni pressione politica, i giudici hanno scelto di attenersi alla legge, riconoscendo che la sentenza della corte d’appello di Milano non poteva essere annullata (e i particolari sulla durata dell’interdizione erano solo un contentino). Il mugnaio avrebbe detto "Ci sono dunque ancora dei giudici a Berlino". E che ci siano anche a Roma dovrebbe accenderci d’orgoglio. Eppure la cosa ci sconvolge a tal punto che parliamo di tutto meno che di questo. Tra i tanti sciacallaggi politici non riusciamo ad accettare l’idea che al mondo ci siano ancora delle persone per bene.
* Fonte: L’Espresso, 12 agosto 2013
Sul "caso del mugnaio Arnold",, si cfr. anche: Alessandro Barbero, Federico il Grande, Sellerio, Palermo 2007, pp. 119-121.
FLS
Il prof Gambardella presenta il suo libro
di Redazione *
E’ un libro che, all’apparenza, può sembrare ostico. E distaccato dalla realtà. Ed invece, proprio la lettura e la rilettura del pensiero di Vilfredo Pareto, ci fornisce un’utile cartina di tornasole per approfondire, con maggiore cognizione di causa, quello che sta accadendo oggi. Il saggio “Libertà, Socialismo, Democrazia. Il ‘cinismo sociale’ di Vilfredo Pareto” (Link Comunicazione di Silvio Sarno editore) è un utile punto di partenza per analisi più approfondite. In fondo, è proprio quello che vuole il suo autore, l’eclettico Bruno Gambardella, laureato in filosofia con il massimo dei voti, impegnato in politica e nel sociale, docente di Italiano e Storia presso il Liceo Artistico di Avellino.
“In questo saggio - scrive l’autore - si analizzano, a partire da “I sistemi socialisti” e “La trasformazione della democrazia”, le due grandi opere politiche di Pareto, alcuni grandi temi del Novecento, ancora oggi straordinariamente attuali”. E come dare torto a Gambardella? Anche la nostra intervista è un lungo viaggio, un percorso concreto ed incisivo nell’attualità. Che prende le mosse, però, dal 1990.
“Il libro è, in effetti, la mia tesi di laurea, è lo smontaggio e la ricostruzione di questo mio lavoro universitario che ormai avevo chiuso nel cassetto. Per la tesi scelsi Pareto per non omologarmi ai pensieri “unici” dell’Università di Napoli: il pensiero comunista e quello ciellino-democristiano. Da socialista-liberale alla Rossetti, ho subito cercato una terza via e l’ho trovata in Pareto. Era, inoltre, un intellettuale, un pensatore italiano ed avevo scoperto da poco che veniva considerato anche uno dei primi autori di sociologia. Personalmente, la lettura della società data dai sociologi mi ha sempre appassionato”.
Il cassetto nel quale la tesi era finita, è stato riaperto anni dopo. Innanzitutto, grazie alla passione di Gambardella anche per la storia economica. E poi, per le “cattive” amicizie (si scherza, s’intende) che lo hanno motivato ulteriormente a scrivere il saggio: il docente universitario Gianpaolo Basile e l’imprenditore Silvio Sarno.
“Ho provato a capire anche quello che sta avvenendo oggi, partendo proprio dal pensiero di Pareto. Logicamente, non abbiamo delle risposte, ci lasciamo con diversi quesiti. Che sia questo il numero zero?”. Si parla, ovviamente, di Karl Mark e di quello che ha rappresentato. “La straordinaria intuizione di Pareto è l’aver capito che il marxismo era una religione. La forza di Mark non erano le ricette economiche che suggeriva, tra l’altro tutte sbagliate, ma il fatto di infondere speranza. Ecco, oggi è quello che manca sia alla destra che alla sinistra. Non infondono più speranza. Ci è riuscito per 20 anni Berlusconi ma, in fondo, le sue ricette erano un bluff. Renzi, oggi, sta cercando di restituire dei sogni. Non so se ci riuscirà”.
“Il vero problema - prosegue Gambardella - è che si naviga in mare aperto e si allarga sempre di più la forbice tra più ricchi e i più poveri, con il ceto medio che ormai si è incattivito”. “La sinistra - aggiunge - deve darsi da fare, deve ripensare al suo modo di fare politica e alle strategie necessarie a garantire libertà, socialismo e democrazia. Innanzitutto la libertà, e per libertà intendo anche strategie che garantiscano la libertà d’impresa, sciogliendo le aziende da lacci e lacciuoli burocratici ormai insopportabili”.
A Gambardella, non va molto giù il fatto che l’Italia sia, in prevalenza, formata da piccole e medie imprese. “Credo che non sia sempre una fatto positivo, soprattutto quando poi queste piccole imprese non fanno sistema tra di loro, cosa che accade troppo spesso. E mi convince ancora di meno il capitalismo familiare, altro grave problema italiano. Non bisogna essere necessariamente figli di geni per essere dei geni. Ho conosciuto, nei miei tanti anni di insegnamento, tanti figli di geni che erano degli emeriti coglioni. Il compito della sinistra, oggi, è la giustizia sociale al momento della partenza”.
Dunque, nella lettura di oggi, Gambardella diventa anch’egli paretiano, con quel cinismo sociale che caratterizzava il grande pensatore. “Pareto leggeva la realtà e la descriveva in modo sprezzante, urticante, strappando il velo dell’ipocrisia e del buonismo. Non possiamo esimerci dal farlo anche noi, non possiamo esimerci dal dire delle grandi verità, si riferiscano esse a Berlinguer o a Renzi oppure ad altri. Berlinguer, che tutti santificano, purtroppo ha contribuito a mettere la sinistra nell’angolo. Renzi mi auguro non sia un grande bluff come Berlusconi”.
In attesa della presentazione ufficiale del libro, che sarà lanciato in tutta la Campania, Gambardella riflette, in conclusione, sul ruolo degli imprenditori. “Chi oggi fa impresa - dice - è un eroe civile e come tale deve essere considerato. Ma, nello stesso tempo, credo che il dovere dell’imprenditore sia anche quello di calarsi maggiormente nella società civile e di creare reti virtuose. Un grande limite degli imprenditori italiani, a cominciare dalla Confindustria e dalla Confcommercio, è di non aver mai investito nella formazione della cultura d’impresa. Troppo spesso gli imprenditori sono isolati dai contesti nei quali vivono”.
POLITICA
“Che gioia, è come vincere i Mondiali”
E dentro FI è sfida a chi esulta più forte
Dopo l’assoluzione di Berlusconi si sprecano i comunicati di vicinanza al leader
Gasparri: “Nella buona e nella cattiva sorte”. Squeri: ora una class action
di MARCO BRESOLIN (La Stampa, 18/07/2014)
«Respiriamo l’aria profumata della giustizia». «È stato come vincere i Mondiali». «Con te nella buona e nella cattiva sorte». Dopo l’assoluzione di Silvio Berlusconi, dentro Forza Italia è scattata la rincorsa al comunicato di solidarietà, al tweet di gioia, alla dichiarazione d’esultanza. A volte, forse, con toni fin troppo entusiastici.
Lettera dei senatori di Forza Italia: “Questa è anche la nostra vittoria, noi che ti abbiamo sempre conosciuto come l’uomo grande e generoso quale sei, l’opposto di quello disegnato da certe inchieste e da certi giornali”
Lettera dei deputati di Forza Italia: “Siamo orgogliosi di averTi per leader, ancora per cento anni! Ora respiriamo con Te l’aria profumata della giustizia”
Vincenzo Gibiino e altri 21 parlamentari: “Gli italiani liberi e onesti, che sin dal ’94 hanno sempre creduto in Silvio Berlusconi e in un futuro migliore, dopo 20 anni di persecuzioni oggi esultano vittoriosi come se l’Italia avesse vinto i mondiali. L’entusiasmo invade i loro cuori fino a stamane cupi e preoccupati, la speranza prende vigore sospinta da una gioia immensa”
Mariastella Gelmini, coordinatore lombardo di Forza Italia: “È una emozione fortissima. Quasi non ci speravo più”.
Simone Furlan, esponente di Forza Italia: “Come noi dell’Esercito di Silvio abbiamo sempre sostenuto, la vicenda Ruby era semplicemente assurda”.
Mario Mantovani, esponente di Forza Italia: “Una notizia che ci riempie di gioia e che non sorprende chi conosce il Presidente. Ma chi ripagherà lui ed il Paese per le violenze subite?”
Osvaldo Napoli, esponente di Forza Italia: “Berlusconi si vede restituito, anche in sede processuale, il diritto a parlare agli italiani con il vigore e la limpidezza di sempre”
Jole Santelli, deputata di Forza Italia: “Oggi c’è sollievo e affetto per Silvio Berlusconi come persona, un uomo umanamente straordinario”
Manuela Repetti, senatrice di Forza Italia: “Provo felicità per l’affetto nei confronti di una persona che finalmente viene sollevata da una sofferenza ancor più pesante per l’ingiusta condanna in un processo assurdo”.
Michaela Biancofiore, esponente di Forza Italia: “Emozione e soddisfazione sono i sentimenti che caratterizzano questi minuti tutti passati dalla notizia di assoluzione nel processo Ruby di Silvio Berlusconi . Sentimenti condivisi da tutto il popolo azzurro dal quale piovono messaggi di amore e felicità per Berlusconi”
Emilio Fede, ex direttore del Tg4: “Gli ho mandato subito un sms con scritto “Sono pazzo di gioia””.
Elena Centemero, deputata di Forza Italia: “Non cancella ciò che è stato fatto al nostro leader ma restituisce a lui e a tutti coloro che da anni lo sostengono la gioia della verità”
Paolo Romani, senatore di Forza Italia: “Voglio fare solo tre commenti: assolto, assolto, assolto”
Gianfranco Micciché, esponente di Forza Italia: “Berlusconi assolto per il caso Ruby. In confronto a lui i gatti sono uno scherzo: lui ne ha trenta di vite, non sette. Sono felice per lui”
Mara Carfagna, deputato di Forza Italia: “Ancora una volta i giudici che hanno sbagliato resteranno impuniti mentre per il cittadino lapidato mediaticamente la pena è stata scontata in anticipo”
Licia Ronzulli, esponente di Forza Italia: “La sentenza non cancellerà l’amarezza di tutti questi anni in cui il nostro leader è stato infangato ingiustamente, ma oggi è il momento di festeggiare”
Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia: “Sono lieto di essere tra coloro che sono rimasti accanto a Berlusconi nella buona e nella cattiva sorte, nei giorni delle condanne e delle dovute e tardive assoluzioni”
Francesca Pascale, compagna di Berlusconi: “È il giorno più bello della mia vita, ho pianto come una bambina. Giustizia è fatta”
Massimo Parisi, deputato di Forza Italia: “Solo la sua piena riabilitazione sanerà quel vulnus alla democrazia inferto non in nome della giustizia ma dell’odio politico”
Luca Squeri, deputato di Forza Italia: “Ci sarebbe da promuovere una class action dei moderati italiani per avere indietro ciò che gli è stato tolto in tutti questi anni di ingiustizie nei confronti del loro leader”
Mariano Apicella, cantante: “Assa fà a’ Maronna”.
Non infierirò su Silvio Berlusconi. Perché non sono una fascista
di Lucia Annunziata *
So che molti di voi, forse la maggior parte, non sarà d’accordo con quello che sto per scrivere, ma tant’è .
In ognuno di noi esiste un fascistello. È quello che ci fa godere se siamo più belli e più forti di chi ci sta davanti. È sempre lui quello che ci induce a sfoggiare i muscoli, a esercitarci contro quelli più deboli di noi - i vecchi, gli stupidi, i brutti, i poveri, i neri, le donne, i gay... la lista è infinita.
Ma il fascista più fascista di tutti è a mio parere quella pulsione interiore che ci fa infierire sui nemici vinti.
Io sono esposta continuamente alla tentazione di tutti loro, non so voi. Raggiungere una serenità di giudizio, un equanimità di parola è sempre stato per me un grande sforzo, lo ammetto.
In compenso, Vito Crimi, senatore M5s è riuscito a dare voce in un solo post e in un solo pomeriggio a tutti i fascistelli che si annidano in noi. È riuscito a evocare la vecchiaia (che arriverà anche per lui) nella sua sordida corruzione della carne, è riuscito a rendere grottesca la figura degli anziani malati che per molti di noi sono semplicemente I nostri padri e le nostre madri, è riuscito a rendere un godimento l’età giovanile che è invece solo un divario temporale, non certo di destini. Tutto questo confezionato in una sede istituzionale, dove lui rappresenta la Repubblica, e mentre era in corso il più drammatico voto degli ultimi venti anni contro un leader politico.
Non credo che il post con cui Crimi ha deciso di comunicare al mondo la sua partecipazione alla Storia abbia inficiato i lavori della Giunta. Non credo dunque che su quel post, come ha chiesto il senatore Schifani, fosse doveroso fermarne i lavori.
Ma è importante che di quel post si parli perché ci può far riflettere - almeno, questo è quel che penso - su come uscire dalla Seconda Repubblica.
Credo di non avere bisogno di patenti per dimostrare da che parte sono stata in questi venti anni, ma davanti alla conclusione giudiziaria e politica di questo periodo non mi metterò fra chi affonda la lama dell’insulto, della soddisfazione, e ancor meno della volgarità, contro Silvio Berlusconi.
Non trarrò piacere dalla condanna di nessuno, e non mi sento nemmeno gratificata dal fatto che un leader politico che ho sempre considerato nemico della nostra democrazia - per i suoi conflitti di interesse e per il modo con cui ha trasformato la politica immettendovi il peso del denaro - abbia fatto questa fine politica in un modo così infamante. La giustizia ha trionfato ma quando un leader politico fa questo tipo di fine non sta bene l’intero paese.
E non parlo da moderata. Anzi. Il moderatismo che viene riscoperto in questo momento in un paese che per venti anni è stato avvelenatissimo, è solo un pannicello caldo che si applica su una ferita sanguinante; è una sorta di invenzione "verbale" più che sostanziale, per cambiare il discorso pubblico nel tentativo di cambiarne iI percorso. La riscoperta oggi del moderatismo è il modo con cui ci si vuole illudere che tutto ora va bene.
Non infierirò sul destino di Berlusconi invece proprio perché non sono per nulla ottimista. Perché - ripeto - un paese i cui leader politici fanno questa fine (condannati per frode ed espulsi dai ranghi del senato) non è un paese che sta bene, comunque. Perché penso che il potere avuto da Silvio Berlusconi è un sintomo di qualcosa di sbagliato di cui tutti, cittadini e non solo politici, abbiamo una corresponsabilità - ed è guardare davvero dentro di noi e dentro questo periodo la via per uscire davvero da venti anni di Guerra civile fredda.
Ma soprattutto non infierirò su Silvio Berlusconi, perché non sono un maramaldo, non amo i bulli, non mi piacciono le feste sul corpo degli altri. Non sono una fascista, insomma.
Ecco l’amnistia di Napolitano, svuota le celle e salva B.
Il Colle scopre che l’Italia verrà condannata dalla Ue per le carceri affollate (anche per le leggi firmate da lui) e chiede clemenza
Sono già pronti tre ddl salva-Silvio
di Antonella Mascali (il Fatto, 09.10.2013)
La ministra dell’Interno Annamaria Cancellieri, che per prima, a giugno, lanciò la proposta di amnistia e indulto, respinge l’opinione di chi pensa che in questo modo Silvio Berlusconi si potrebbe salvare dalla condanna per frode fiscale al processo Mediaset. “È una falsa idea, è il Parlamento che decide per quali reati prevedere l’amnistia e non è mai successo che si occupasse di reati finanziari”. Ma se non sarà così, a Berlusconi verrebbe cancellata totalmente la pena per frode fiscale, compresa l’interdizione dai pubblici uffici: l’amnistia, secondo il codice, “estingue il reato e fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie”.
Ovviamente per il leader del Pdl resterebbero in piedi gli altri procedimenti in corso, a cominciare da Ruby, per tipo di reato ed entità della pena. Per quanto riguarda il processo Mediaset, Berlusconi potrebbe cavarsela anche in caso di indulto, nonostante solitamente cancelli la pena principale ma non quella accessoria.
In Parlamento, infatti, ci sono disegni di legge, due al Senato e uno alla Camera, che prevedono proprio il salvataggio del leader del Pdl: in caso di indulto scatta la cancellazione delle pene accessorie temporanee. Un progetto è stato presentato dai senatori democratici Luigi Manconi, Paolo Corsini e Mario Tronti nonché da Luigi Compagna, senatore del gruppo misto. Già nella precedente legislatura, Compagna, come senatore del Pdl, provò a inserire un emendamento “salva Silvio” alla controversa modifica del reato di concussione contenuta nella legge Severino.
Il disegno di legge su amnistia e indulto, presentato al Senato il 15 marzo scorso, prevede l’amnistia per tutti “i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni”. Per quanto riguarda l’indulto “è concesso nella misura di tre anni in linea generale e di cinque per i soli detenuti in gravi condizioni di salute”.
Ed ecco la postilla fatta a misura di Berlusconi, per la condanna Mediaset: “È concesso indulto, per intero, per le pene accessorie temporanee, conseguenti a condanne per le quali è applicato anche solo in parte l’indulto”. Un altro ddl fotocopia è a sola firma Manconi-Compagna. Anche alla Camera c’è un progetto di legge che prevede le pene accessorie temporanee indultabili, l’ha firmato il deputato del Pd, Sandro Gozi.
Dunque, se dovesse esserci l’indulto, così come previsto da questi testi, per Berlusconi la pena per frode fiscale sfumerebbe. Non solo quella principale, già ridotta all’osso dal-l’indulto del 2006 (dei 4 anni inflitti ne dovrà scontare solo 9 mesi) ma anche la pena accessoria dell’interdizione ai pubblici uffici, inizialmente stabilita a 5 anni, ma che, dopo la sentenza della Cassazione, dovrà essere ricalcolata dalla Corte d’Appello di Milano il prossimo 19 ottobre: potrà infliggere da un minimo di un anno a un massimo di tre anni, sulla base della normativa tributaria. L’interdizione sarà definitiva probabilmente entro l’anno, amnistia e indulto permettendo. Berlusconi, già nel 1990 ha beneficiato di un’amnistia che ha azzerato un procedimento per falsa testimonianza sulla sua iscrizione alla P2 di Licio Gelli.
***
Dizionario
L’amnistia estingue il reato. L’indulto condona la pena
L’AMINSTIA estingue il reato (129, 531, 578 Codice Procedura Penale) e, se vi è stata condanna (648 cpp) fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie (672 e succ. cpp).
L’INDULTO condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita della legge (672 e succ. Codice Procedura Penale). Non estingue le pene accessorie (19 cpp) salvo che il decreto disponga diversamente, neppure gli altri effetti penali della condanna. Sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge (articolo 79 della Costituzione).
La Provincia celebra Berlusconi
"Statista di rara capacità"
Il premio Grande Milano per i 150 anni di Palazzo Isimbardi verrà consegnato stasera anche a Don Verzè
di DAVIDE CARLUCCI *
Il più sobrio degli aggettivi è "statista di rara capacità". Segue poi una sfilza di qualità superlative: dalla "straordinaria lungimiranza" alle sue "eccezionali qualità". Le motivazioni con cui il presidente della Provincia conferisce oggi a Silvio Berlusconi il premio Grande Milano creano un mare di polemiche.
Per Filippo Penati quello del suo successore è un clamoroso caso di adulazione istituzionale nei confronti del suo sponsor politico. Il premio per i 150 anni di palazzo Isimbardi - conferito anche a don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele - "sembra il riconoscimento di un dipendente al proprio capo", dice Penati, alludendo agli esordi lavorativi di Podestà nelle aziende del Cavaliere. Matteo Mauri, capogruppo del Pd in Provincia, ritiene il premio "una messa pagana in onore di Berlusconi celebrata in un luogo sacro alla Cristianità". E conferma: l’opposizione non ci sarà.
IL VIDEO Berlusconi Aznavour ironia su YouTube
La replica di Podestà: "In tutta la sinistra italiana non possono, anche sforzandosi, individuare una personalità di tale levatura da meritare il premio". Anche per il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini è solo "invidia": "Nessun altro politico in Italia merita il premio Milano più di Berlusconi, che incarna l’operosità e la generosità milanese". Ma a far storcere il naso è il tono degli elogi. La chiusa delle motivazioni ricorda il finale della poesia per i 70 anni di Stalin: se il dittatore sovietico avrebbe reso "l’umanità eternamente felice nella fraternità dell’amore", Berlusconi "conduce il Paese verso un futuro di donne e di uomini liberi, che compongano una società solidale, fondata sull’amore".
Il premio è un momento dell’evento organizzato dalla Fabbrica del Duomo per restaurare le guglie della cattedrale. Ci sarà anche il concerto del cantante francese Charles Aznavour e un parterre di politici interamente di centrodestra - vista la decisione dell’opposizione di disertare, mettendo a disposizione gli inviti per le vendite - dal governatore Roberto Formigoni al sindaco Letizia Moratti, da Rosy Mauro a Fedele Confalonieri. "Uno spot pacchiano", secondo Roberto Caputo, del Pd, che chiede trasparenza sui costi.
* la Repubblica, 18 luglio 2010
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
ABUSO ISTITUZIONALE DEL NOME "ITALIA" DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: DIMISSIONI SUBITO.
di Franco Cordero (la Repubblica, 23.01.2010)
Nelle classifiche dei paesi evoluti l’Italia naviga male e detiene un primato poco invidiabile, lo stile criminofilo. "Stilus" significa anche procedura. In penale, quando ho dato l’esame sessant’anni fa, era materia risibile, imparata su libercoli: fino al 1938 addirittura assente dal programma accademico; stava relegata nell’ultimo, trascurabile capitolo del corso penalistico. Carnelutti la chiamava Cenerentola.
Tra i penalisti eminenti era quasi punto d’onore schivarla, mirando diritto alla discussione nel merito: se quel fatto sia avvenuto; chi l’abbia commesso; come qualificarlo e via seguitando. Adesso rende servizi loschi. Il codice nato ventun anni fa doveva chiudere l’epoca postinquisitoria ma i legislatori non sapevano cosa significhi "processo accusatorio": significa forme sobrie, garanzie serie, agonismo leale, rigorosa economia del contraddittorio; in mano loro diventa cavillo micromaniaco, invadente, esoso, comodo nelle furberie ostruzionistiche; e la XIII legislatura completa la perversione codificando teoremi filati dalla Bicamerale (sui quali Licio Gelli vanta un diritto d’autore); sotto insegna centrosinistra spirava aria berlusconoide. La prassi attua una metamorfosi. Chiamiamola arte del sur place: difese con poche chances nel merito giocano partite dilatorie; sparisce l’autentica questione, se l’asserito reato esista e chi l’abbia commesso; futili schermaglie sfruttano i torpori dell’apparato sovraccarico, finché il tempo inghiotta i reati. Fanno storia le campagne giudiziarie dell’Unto: dopo tanto rumore resta un delitto estinto; altrove tagliava corto abolendo la norma incriminante, vedi falso in bilancio.
Dopo sette anni e mezzo al vertice dell’esecutivo, avendo sconvolto l’ordinamento nel suo privatissimo interesse, corre ancora rischi penali: persa l’immunità fornitagli dai due lodi, invalidi come la legge con cui aveva sotterrato l’appello del pubblico ministero, gioca grosso macchinando un istituto senza eguali nel museo dei mostri giudiziari. I processi italiani sono patologicamente lunghi (abbiamo appena visto perché): in proposito l’Italia figura male; cresce l’esborso alle vittime d’una giustizia tardiva; e il dl n. 1880, su cui Palazzo Madama ha votato mercoledì 20 gennaio, quadra i circoli riprendendo l’idea d’una sinistra toccata dal virus bicamerale. Eccola: imporre dei termini, scaduti i quali ogni processo ancora pendente vada in fumo; colpevoli o innocenti, tutti fuori, sotto lo scudo del ne bis in idem; allegramente liquidati i carichi pendenti, la giostra riparte. Figure da commedia dell’arte, divertenti ma non attecchiranno, finché il diritto sia ancora cosa seria. Sarà il quarto capolavoro berlusconiano abortito davanti alla Consulta.
Vari i motivi. Consideriamone alcuni. Esiste l’articolo 112 della Costituzione: l’azione penale è obbligatoria; se non agisce, il pubblico ministero, deve chiedere un provvedimento che lo sciolga dall’obbligo, perché rebus sic stantibus l’accusa sarebbe insostenibile; e rimane aperta la via d’ulteriori apporti. Azione obbligatoria, quindi irretrattabile: ciascuno dei due caratteri implica l’altro; mosse dall’attore pubblico, le ruote girano da sole, mentre nei sistemi anglosassoni può desistere (allora drops the prosecution); quando cambia idea, chieda l’assoluzione; il giudice dirà se vi sia o no un colpevole. Questo sistema esclude processi evanescenti allo scadere dei termini: equivarrebbero all’accusa lasciata cadere; ogni procedimento bene aperto, dove non ricorrano fatti estintivi del reato, esige la decisione nel merito (salvo un singolo caso, il non liquet previsto dall’articolo 202, comma 3, qualora il segreto di Stato interdica la prova sine qua non). L’articolo 112 della Costituzione è tra i più aborriti nel bestiario nero del monarca; e sappiamo cosa covi quando elucubra revisioni costituzionali: procure agli ordini del ministro affinché i possibili affari penali passino nel filtro delle convenienze. Sedici anni fa chi voleva insediare in via Arenula? Cesare Previti, uomo sicuro.
Secondo profilo d’invalidità: l’occupante scatena un terremoto pro domo sua; il mostro deve valere nei giudizi pendenti; così stabilisce l’articolo 2, escludendo appello e Cassazione (irragionevolmente: articolo 3 della Costituzione). Anche in tali limiti la novità affossa procedimenti a migliaia: è amnistia sotto nome diverso, anzi l’effetto risulta più grave, perché l’amnistia estingue i reati, mentre qui, svanendo il processo, non consta niente, e magari esistono prove più chiare del sole; ma le amnistie richiedono leggi votate in ogni articolo da due terzi delle Camere (articolo 79 della Costituzione).
Terzo profilo (stiamo enumerando i macroscopicamente rilevabili). I processi lunghi non dipendono da operatori poltroni, hanno cause organiche: ipertrofia legislativa, apparato povero, gli pseudogarantismi sotto la cui ala l’augusta persona guadagnava tempo; né questa politica criminofila vuol rimuoverle. Supponiamo che un processo su sette sconfini dai termini estinguendosi. La giustizia penale diventa lotteria: essere o no quel fortunato dipende da imponderabili, fuori d’ogni criterio legale, nella sfera del caso (tanto peggio se fosse manovrato sotto banco); Bridoye, racconta Rabelais, emetteva sentenze tirando i dadi. Valutato secondo l’articolo 3 della Costituzione, l’intero meccanismo appare perverso. La ventesima legge ad personam salva l’ipotetico corruttore nel caso Mills, perché il procedimento pende davanti al Tribunale da oltre due anni, id est un quarto della pena massima. Supponiamo una notitia criminis precoce, indagini rapidissime, udienza preliminare trascinata ad defatigandum e altrettanto il dibattimento: scaduti due anni, scatta il praestigium; il processo era fuoco fatuo; Monsieur ridiventa innocente, anche se le prove lo inchiodano, quando l’ipotetico reato sarebbe prescritto solo in otto anni (articolo 157 codice penale), anzi dieci, contando gl’incrementi da fatti interruttivi. I numeri misurano l’assurdo dell’avere un padrone senza barlumi d’etica.
PARADOSSO DEL MENTITORE (Wikipedia) E MEZZI DI INFORMAZIONE:
LA "PROFEZIA" DI MARSHALL MCLUHAN: NARCISO E LA MORTE DELL’ITALIA. Il "rimorso di incoscienza" di Marshall McLuhan
L’OCCUPAZIONE (1994-2009) DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA
Nessun leader coinvolto in scandali sessuali avrebbe mai osato fare la comica affermazione di avere «portato moralità» nella politica. Che Berlusconi l’abbia potuto dire senza essere travolto dalle risate rivela il suo terrificante potere mediatico. The Times, 29 settembre (L’Unità /Strioscia rossa - 30.09.2009).
Il 3 ottobre grande manifestazione
«Tutti coloro si sentono «indignati dalla situazione in cui grava l’informazione scendano in piazza il 3 ottobre»: è questo l’invito di Sergio Lepri, storico ex direttore dell’Ansa, 90 anni compiuti il 24 settembre, intervistato dal sito di Articolo21. «Chi più sa più è libero» aggiunge Lepri che riflette sulla società e sul giornalismo, il cui ruolo, afferma, deve essere ora e sempre quello di «contribuire alla crescita civile della società». «Per me si deve scendere in piazza per contestare l’indifferenza e l’accettazione passiva da parte della società italiana di fronte a quello che sta accadendo nell’informazione e nella giustizia - dice Lepri a proposito della manifestazione del 3 ottobre -. E per richiamare tutti alla difesa e al rispetto di quei bellissimi principi contenuti nell’articolo 21 della Costituzione. Non può essere una manifestazione dei (per i) giornalisti ma deve porsi l’obiettivo di coinvolgere la società intera».
Ma prima di andare in piazza c’è ancora un modo per esprimersi a favore della libertà di informazione: adottare come simbolo la «striscia rossa» de l’Unità. Mandateci la vostra riflessione, il vostro messaggio di sostegno, un motto per la libertà o un semplice «io non ci sto». Da qui a sabato li selezioneremo e li pubblicheremo sulla home page del sito. SCRIVETE A UNITAONLINE@UNITA.IT (OGGETTO «LA MIA STRISCIA ROSSA») OPPURE CLICCATE QUI
* l’Unità, 29 settembre 2009
BERLUSCONI HA TUTTI E TUTTO IN PUGNO - ANZI AL GUINZAGLIO, ISTITUZIONI E PARTITI: "MI AVETE CONSEGNATO L’ITALIA, E ORA LASCIATEMI LAVORARE"!!! AVANTI TUTTA: "FORZA ITALIA", VIVA IL "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
IL PARTITO TRASVERSALE DEL "CAVALLO DI TROIA"
Berlusconi: "La manifestazione sulla libertà di stampa? E’ una farsa" *
La manifestazione di sabato prossimo per la libertà di stampa è «una farsa», parola di Silvio Berlusconi. Intervistato da Sky tg 24 il cavaliere ha ripetuto il suo ritornello: «In Italia c’è più libertà di stampa che in qualsiasi altro paese». E a riprova ha esibito indifferenza sull’istruttoria Santoro. «Non me ne sono interessato e non me ne interesso perchè sarebbe facile cadere in qualche tranello». Il premier però non ha mancato di ricordare il suo editto bulgaro di qualche anno fa di Rai durante una sua visita in Bulgaria, quando disse che «i vari Santoro e Biagi possono stare in tv finchè non se ne fa un uso criminogeno, finchè non si commettono reati come la diffamazione...». Il che - anche senza le precisazioni del premier - è già previsto dalla legge, visto che il reato di diffamazione è pres-esistente all’ascesa del Cav. Che si è concesso una battuta, che malcela il livore: «Lunga vita alla Dandini e a Santoro che non fanno altro che portare voti al centrodestra...».
Al di là delle dichiarazioni di Berlusconi, il caso Annozero resta sul tavolo. Oggi è convocata la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, fissata alle 14,30 a palazzo San Macuto, su richiesta del presidente Sergio Zavoli dovrebbe essere presente anche Paolo Romani, sottosegretario alle comunicazioni. L’audizione serve a fare chiarezza sulle polemiche seguite alla prima puntata di Aannozero e per verificare quali modifiche il governo ha intenzione di apportare al cosiddetto «contratto di servizio» che stabilisce le finalità della Rai come servizio pubblico. Ieri Romani ha avuto un primo incontro con Zavoli ed ha ribadito che il governo è deciso a non rinunciare all’idea di «aprire una istruttoria su Annozero».
L’8 ottobre ci sarà un incontro tra Claudio Scajola, ministro per lo sviluppo economico, il sottosegretario Paolo Romani, Mauro Masi e Paolo Garimberti, direttore e presidente della Rai. «Nell’incontro acquisiremo ai massimi livelli informazioni su annozero ed eventuali altri programmi rispetto alla verifica che intendiamo fare sull’adeguato rispetto del contratto di servizio in materia di libertà, obiettività e pluralismo», ha detto Romani. Garimberti getta acqua sul fuoro: «La convocazione del governo è diventata un colloquio ... naturalmente andremo e sentiremo le motivazioni del governo. ma intanto si è sdrammatizzata la situazione di confronto duro tra il governo e i vertici della Rai. Se la politica ingerisse meno e ci lasciasse lavorare in pace, ci farebbe un grande favore. d’altra parte certi conduttori dovrebbero avere più senso di responsabilità e ricordare che il microfono non appartiene a loro, ma è di proprietà dell’editore e dei cittadini che pagano il canone. bisogna calmare le acque da tutte e due le parti».
Secondo Romani il governo potrebbe addirittura chiedere all’Agcom (l’authority per le garanzie nelle comunicazioni) di intervenire con una sanzione nei confronti della rai che può arrivare addirittura al 3% del fatturato dell’azienda. Nel mirino anche Parla con me, la trasmissione condotta da Serena Dandini: un programma del quale il sottosegretario non sembra aver capito la natura satirica. «Mi risulta che la Dandini mandi in onda tre minuti di recita dai bagni ricostruiti di palazzo Grazioli (la residenza del premier), con ragazze non meglio identificate. L’ho appreso dai giornali. vorrei capire cosa c’entri tutto questo con il servizio pubblico».
* l’Unità, 30 settembre 2009