Messaggio originale -----
Inviato: domenica 27 gennaio 2002 0.09
A: posta@magistraturaassociata.it
Oggetto: Per la nostra sana e robusta Costituzione...
Stimatissimi cittadini-magistrati
"Nella democrazia - come già scriveva Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).
Tempo fa una ragazza, a cui da poco era morta la madre e altrettanto da poco cominciava ad affermarsi il partito denominato "Forza Italia", discutendo con le sue amiche e i suoi amici, disse: "Prima potevo gridare "forza Italia" e ne ero felice. Ora non più, e non solo perché è morta mia madre e sono spesso triste. Non posso gridarlo più, perché quando sto per farlo la gola mi si stringe - la mia coscienza subito la blocca e ricaccia indietro tutto. Sono stata derubata: il mio grido per tutti gli italiani e per tutte le italiane è diventato il grido per un solo uomo e per un solo partito. No, non è possibile, non può essere. E’ una tragedia!".
Un signore poco distante, che aveva ascoltato le parole della ragazza, si fece più vicino al gruppo e disse alla ragazza: "Eh, sì, purtroppo siamo alla fine, hanno rubato l’anima, il nome della Nazionale e della Patria. E noi, cittadini e cittadine, abbiamo lasciato fare: non solo un vilipendio, ma un furto - il furto dell’anima di tutti e di tutte. Nessuno ha parlato, nessuno. Nemmeno la Magistratura!".
Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la coscienza di essere tutti e tutte - non più figli e figlie della preistorica alleanza della lupa (o della vecchia alleanza del solo ’Abramo’ o della sola ’Maria’) - figli e figlie della nuova alleanza di uomini liberi (’Giuseppe’) e donne libere (’Maria’), re e regine, cittadine-sovrane e cittadini-sovrani di una repubblica democratica.
Bene avete fatto, con la Vs. Lettera aperta ai cittadini, a rendere pubbliche le vostre preoccupazioni e a dire e a ridire che la giustizia non è materia esclusiva dei magistrati e degli addetti ai lavori, ma un bene di tutti e di tutte, e che tutti i cittadini e tutte le cittadine sono uguali davanti alla legge.
E altrettanto bene, e meglio (se permettete), ha fatto il Procuratore Generale di Milano Borrelli, già all’inizio (e non solo alla fine) del suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha detto: "porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, alle loro maestà i cittadini, come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata"; e, poco oltre, riferendosi specificamente alle "difficoltà che la giustizia minorile incontra", ha denunciato che "il denominatore comune - generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti - è rappresentato dalle carenze di un’autentica cultura dell’infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall’incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall’ideologia di un’identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell’avere piuttosto che nell’essere".
Da cittadino-magistrato non ha fatto altro che dire e fare la stessa cosa che don Lorenzo Milani, il cittadino-prete mandato in esilio a Barbiana, in tempi di sonnambulismo già diffuso (1965): suonare la campana a martello, svegliare - praticare la tecnica dell’amore costruttivo per la legge e, ricondandoci di chi siamo e della parte di corona che ancora abbiamo in testa, avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani....
Cordiali saluti
Federico La Sala
MA COME RAGIONANO GLI ITALIANI E LE ITALIANE?!
L’Italia e’ diventata la ’casa’ della menzogna... e della vergogna?!
di Federico La Sala *
Elementare!, Watson: Se, nel tempo della massima diffusione mediatica della propaganda loggika, l’ITALIA è ancora definita una repubblica democratica e "Forza Italia" (NB: ’coincidenza’ e sovrapposizione indebita con il Nome di tutti i cittadini e di tutte le cittadine d’ITALIA) è il nome di un partito della repubblica, e il presidente del partito "Forza Italia" è nello stesso tempo il presidente del consiglio dello Stato chiamato ITALIA (conflitto d’interesse), per FORZA (abuso di potere, logico e politico!) il presidente del partito, il presidente del consiglio, e il presidente dello Stato devono diventare la stessa persona. E’ elementare: queste non sono ’le regole del gioco’ di una sana e viva democrazia, ma di un vero e proprio colpo di Stato! (Shemi EK O’KHOLMES).
IL DIALOGO, Sabato, 31 gennaio 2004
LA PAROLA RUBATA
Una lettera aperta all’ ITALIA (e un omaggio agli intellettuali: Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Jacques Lacan, Elvio Fachinelli).
di Federico La Sala *
L’ITALIA GIA’ DA TEMPO IN-TRAPPOLA-TA.................e noi - alla deriva - continuiamo a ’dormire’ , alla grande! "IO STO MENTENDO": UNA LETTERA APERTA SULL’USO E ABUSO ISTITUZIONALE DELL’ "ANTINOMIA DEL MENTITORE".
Cara ITALIA
MI AUGURO CHE LE GIUNGA DA LONTANO IL MIO URLO: ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA! IL NOME ITALIA E’ STATO IN-GABBIA-TO NEL NOME DI UN SOLO PARTITO....E I CITTADINI E LE CITTADINE D’ITALIA ANCHE!!!
NON E’ LECITO CHE UN PARTITO FACCIA PROPRIO IL NOME DELLA CASA DI TUTTI I CITTADINI E DI TUTTE LE CITTADINE! FERMI IL GIOCO! APRA LA DISCUSSIONE SU QUESTO NODO ALLA GOLA DELLA NOSTRA VITA POLITICA E CULTURALE! NE VA DELLA NOSTRA STESSA IDENTITA’ E DIGNITA’ DI UOMINI E DONNE D’ITALIA!
Cosa sta succedendo in Italia? Cosa è successo all’Italia? Niente, non è successo niente?! Semplicemente, il nome Italia è stato ingabbiato dentro il nome di un solo PARTITO e noi, cittadini e cittadine d’ITALIA, siamo diventati tutti e tutte cret... ini e cret..ine. Epimenide il cretese dice: "Tutti i cretesi mentono". E, tutti i cretini e tutte le cretine di ’Creta’, sono caduti e cadute nella trappola del Mentitore.... e, imbambolati e imbambolate come sono, si divertono persino. Di chi la responsabilità maggiore?! Di noi stessi - tutti e tutte!
Le macchine da guerra mediatica funzionano a pieno regime. Altro che follia!: è logica di devastazione e presa del potere. La regola di funzionamento è l’antinomia politico-istituzionale del mentitore ("io mento"). Per posizione oggettiva e formale, non tanto e solo per coscienza personale, chi sta agendo attualmente da Presidente del Consiglio della nostra Repubblica non può non agire che così: dire e contraddire nello stesso tempo, confondere tutte le ’carte’ e ’giocare’ a tutti i livelli contemporaneamente da presidente della repubblica di (Forza) Italia e da presidente del consiglio di (Forza) Italia, sì da confondere tutto e tutti e tutte... e assicurare a se stesso consenso e potere incontrastato.
Se è vero - come ha detto qualcuno - che "considerare la politica come un’impresa pubblicitaria [trad.: un’impresa privata che mira a conquistare e occupare tutta l’opinione pubblica, fls] è un problema che riguarda tutto l’Occidente"(U. Eco), noi, in quanto cittadini e cittadine d’Italia, abbiamo il problema del problema, all’ennesima potenza e all’o.d.g.! E, per questo e su questo, sarebbe bene, utile e urgentissimo, che chi ha gli strumenti politici e giuridici (oltre che intellettuali, per togliere l’uso e l’abuso politico-istituzionale dell’antinomia del mentitore) decidesse quanto prima ... e non quando non c’è (o non ci sarà) più nulla da fare. Se abbiamo sbagliato - tutti e tutte, corriamo ai ripari. Prima che sia troppo tardi!!!
ITALIA! La questione del NOME racchiude tutti i problemi: appropriazione indebita, conflitto di interessi, abuso e presa di potere... in crescendo! Sonnambuli, ir-responsabili e conniventi, tutti e tutte (sia come persone sia come Istituzioni), ci siamo fatti rubare la parola-chiave della nostra identità e della nostra casa, e il ladro e il mentitore ora le sta contemporaneamente e allegramente negando e devastando e così, giocati tutti e tutte, ci sta portando dove voleva e vuole ... non solo alla guerra ma anche alla morte culturale, civile, economico-sociale e istituzionale! Il presidente di Forza Italia non è ...Ulisse e noi non siamo ... Troiani.
Non si può e non possiamo tollerare che il nome ITALIA sia di un solo partito... è la fine e la morte della stessa ITALIA!
La situazione politica ormai non è più riconducibile all’interno del ’gioco’ democratico e a un vivace e normale confronto fra i due poli, quello della maggioranza e quello della minoranza. Da tempo, purtroppo, siamo già fuori dall’orizzonte democratico! Il gioco è truccato! Cerchiamo di fermare il ’gioco’ e di ristabilire le regole della nostra Costituzione, della nostra Legge e della nostra Giustizia. Ristabiliamo e rifondiamo le regole della democrazia.
E siccome la cosa non riguarda solo l’Italia, ma tutto l’Occidente (e non solo), cerchiamo di non andare al macello e distruggerci a vicenda, ma di andare avanti .... e di venir fuori da questa devastante e catastrofica crisi.
Io, da semplice cittadino di una ’vecchia’ Italia, penso che la logica della democrazia sia incompatibile con quella dei figli di "dio" e "mammasantissima" che si credono nello stesso tempo "dio, papa, e re" (non si sottovaluti la cosa: la questione è epocale e radicale, antropologica, teologica e politica - e riguarda anche le religioni e la stessa Chiesa cattolica) si danno da fare per occupare e devastare le Istituzioni! Non si può tornare indietro e dobbiamo andare avanti.... laici, cattolici, destra, sinistra, cittadini e cittadine - tutti e tutte, uomini e donne di buona volontà.
Allora facciamo che il gioco venga fermato e ... e che si apra il più ampio e diffuso dibattito politico e culturale - si ridia fiducia e coraggio all’ITALIA, e a tutti gli Italiani e a tutte le Italiane. E restituiamo il nome e la dignità all’ITALIA: a noi stessi e a noi stesse - in Italia e nel mondo...... cittadini e cittadine della Repubblica democratica d’Italia.
Un semplice cittadino della nostra bella
ITALIA!
Federico La Sala
* IL DIALOGO, Mercoledì, 05 aprile 2006
Sul tema, nel sito, si cfr.:
MONDIALE 2018
Italia-Thailandia. Una "partita" di lunga durata e la palla-fiducia che bisogna saper passare **
Sul cavaliere della I-THAILANDIA....
di Federico La Sala *
Caro Direttore,
A mio parere, in tutte le discussioni e le analisi che sono portate avanti sulla situazione italiana è proprio l’analisi del berlusconismo che va approfondita e chiarita. Io non posso concepire, nemmeno in THAILANDIA (cfr. Piero Ottone, IL CAVALIERE DELLA THAILANDIA, La Repubblica del 26.04.2002: "Thaksin ha fondato un partito, Thai Rak Thai, il cui nome significa, a quanto sembra: I thailandesi amano i thailandesi") che in una nazione che si chiama ITALIA, ci possa essere un PARTITO che si chiama "Forza ITALIA"...
Il trucco del NOME ("Forza ITALIA") è da manualetto del... piccolo ipnotizzatore e da gioco da baraccone ...politico! E penso che aver lasciato fare questa operazione, io ritengo, sia stata la cosa più incredibile e pazzesca che mai un popolo (e soprattutto le sue Istituzioni e partiti) abbia potuto fare con se stesso e con i propri cittadini e le proprie cittadine: è vero che stiamo diventando tutti vecchi e vecchie, ma questa è roba da suicidio collettivo!
Questa la mia opinione, se si vuole, da semplice e analfabeta vecchio cittadino italiano e non da "sovietico" comunista della "fattoria degli animali" orwelliana. Mi trovo a condividere e sono più vicino alle opinioni e alla posizione della "mosca bianca" Franco Cordero, che non a quella di molti altri.
LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI: si tratta solo e sopratutto di non de-ragliare e, umanamente e politicamente, mantenerci (e possibilmente avanzare) sul filo e nel campo della democrazia. Non c’è nessuna demonizzazione da fare: si tratta solo di capire, e, anzi, io trovo la situazione - pur nella sua grande ambiguità e pericolosità - incredibilmente sollecitante nel senso di svegliarsi e reagire creativamente (come sembra che stia avvenendo) alla situazione determinatasi.
Il cavaliere ha lanciato la sua operazione e la sua sfida: possiamo leggere la cosa come una cartina di tornasole per tutta la nostra società. Vogliamo vivere o vogliamo morire: una cosa del genere più o meno, con altre parole, ci sta dicendo il Presidente CIAMPI da tempo.
Se ci facciamo togliere da sotto i piedi il fondamento costituzionale e si rompe la bilancia dei poteri della democrazia non ci sono più cittadini e cittadine ma pecore e lupi e riprende il gioco mai interrotto, come dice il vecchio saggio della giungla, del "chi pecora si fa il lupo se la mangia". Dentro questo clima, chiedere da anonimo stupido ingenuo e illuso e ’idealistico’ cittadino italiano di fare chiarezza e fermare il gioco (truccato, e pericolosamente surriscaldato e non lontano da clima di scontro civile) è solo un invito a tutte e due le parti e non a una sola a riconoscersi come parte della UNA e STESSA Italia.... e a ripristinare le regole del gioco!!!
M. cordiali saluti
Federico La Sala
*Il dialogo, Venerdì, 30 maggio 2003.
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Tito, Héctor e la palla-fiducia che bisogna saper passare
di Mauro Berruto ( Avvenire, mercoledì 11 luglio 2018)
«Tuya, Héctor!». Se vi trovate in Uruguay e qualcuno vi dice così, beh significa che siete degni di stima e fiducia. Colui che sta all’origine di questo modo di dire, è un calciatore, Héctor Pedro Scarone, soprannominato El Mago, primo destinatario di quella frase («Tua, Héctor!»), rivoltagli in un istante destinato a passare alla storia da un suo collega. Era il 13 giugno 1928, giorno della finale del torneo di calcio ai Giochi Olimpici di Amsterdam: Uruguay e Argentina, le finaliste, sono sull’1-1. In campo una parata di stelle fra le quali due, particolarmente brillanti, con la maglia celeste dell’Uruguay.
Si chiamano Héctor Scarone e Tito Borjas. Ragazzi che non conoscono ancora i loro destini: Scarone giocherà anche in Italia e, Giuseppe Meazza, suo compagno di squadra all’Inter dirà di lui che faceva cose che «noi potevamo solo immaginare». Borjas è un giocatore pazzesco, ma la sua carriera e la sua vita finiranno presto, solo tre anni dopo, quando disubbidendo ai medici che gli avevano imposto riposo assoluto dopo un forte dolore al petto sentito mentre giocava una partita, lasciò la propria abitazione per andare sugli spalti a vedere il match decisivo per il titolo dei suoi Wanderers Montevideo e al gol del vantaggio dei compagni di squadra venne stroncato da un infarto.
In quel giugno del 1928, ignari del loro futuro, Héctor e Tito stanno giocando, insieme, la finale olimpica. Tuttavia fra i due non scorre buon sangue, sono troppo forti per stare nella stessa metà campo. In realtà, Héctor e Tito non si parlano proprio, da tantissimo tempo, ma al 28° del secondo tempo, Tito ha la palla fra i piedi, vede Héctor arrivare con un razzo e decide di rompere quel silenzio. Passa la parla e gli urla: «Tua, Hectòr!», come a dire: "Vedi di farcela, voglio fidarmi di te". Héctor segna un gol straordinario da 40 metri.
L’Uruguay diventa campione olimpico ai danni degli odiati rivali argentini e da quel giorno, nel Paese, c’è un nuovo modo di dire quando si vuol trasmettere il senso di una fiducia incondizionata, che va oltre ogni divisione. Parole che vengono alla mente pensando alla incredibile vicenda dei 12 giovani calciatori thailandesi rimasti intrappolati in una caverna insieme ad Aek, il loro 25enne allenatore e liberati definitivamente ieri dopo 17 giorni passati all’inferno.
Si è mobilitato il mondo intero per questa vicenda e il risultato è stato raggiunto grazie a un’enorme capacità di condividere fiducia, anche quando le cose sembravano impossibili. Affidarsi a qualcuno, ci insegna questa storia di cui certamente qualche produttore hollywoodiano si approprierà, può portare alla perdizione e alla salvezza. Aek, l’allenatore orfano che ha passato la sua gioventù in un monastero buddhista aveva preso la decisione di portare i suoi ragazzi in quella grotta per meditare.
Stravolto dai sensi di colpa ha chiesto ripetutamente perdono per quell’idea che le piogge monsoniche stavano per trasformare in tragedia. I genitori di tutti i ragazzi lo hanno perdonato in tempi assolutamente non sospetti, ben prima del lieto fine della vicenda. Anzi, gli hanno ricordato che i loro ragazzi contavano su di lui, laggiù sottoterra come sul campo di calcio. Forse anche per questa iniezione di fiducia Aek è stato decisivo per tenere in vita i suoi ragazzi rinunciando per loro al suo stesso cibo, mantenendoli calmi e gestendo le loro emozioni e paure. E lasciando la grotta per ultimo, da vero coach.
«Sembra impossibile, finché non viene fatto», diceva Nelson Mandela e mentre, in superficie, squadre di calcio di fama planetaria lottano al Mondiale per non tornare a casa, la squadra per cui tutti si augurano il ritorno, finalmente, ce l’ha fatta grazie a una collaborazione di persone provenienti, letteralmente, da ogni parte del mondo. «Tuya, Héctor» anche in memoria di Saman Kunan, il soccorritore unica vittima di questa vicenda. Nel suo ultimo video lo si sente dire: «Porteremo i ragazzi a casa». Aveva ragione.
Chi scalpella il Quirinale
di MICHELE AINIS (LA Stampa, 6/10/2008)
Serve ancora alla Repubblica italiana un presidente della Repubblica italiana? Domanda impertinente, se non fosse che la politica ci sta recando in pasto un ultimo frutto avvelenato; e il veleno goccia a goccia intossica la nostra più alta istituzione. Perché scalfisce i suoi poteri, ne diminuisce il peso. Senza attacchi frontali, senza una lapidazione in piazza come sperimentarono Scalfaro e Cossiga. No, l’avvelenamento piuttosto si consuma svuotando il ruolo che ricoprì per primo Enrico De Nicola, sottoponendolo a un processo d’erosione, di neutralizzazione progressiva.
In questo, la vicenda del quindicesimo giudice costituzionale suona quantomai eloquente. Manca da un anno e mezzo, ma in Parlamento non si trovano mai i numeri per eleggere il successore del dimissionario Vaccarella. Uno scandalo istituzionale, che ha indotto Napolitano a un pubblico richiamo, dopo lo sciopero della sete inaugurato da Marco Pannella. Tuttavia lo scandalo dipende dal fatto che maggioranza e opposizione vogliono saziarsi entrambe, e allora temporeggiano in attesa che il menù raddoppi. Succederà a febbraio, con la scadenza del giudice Flick.
A quel punto uno a te, uno a me. Da qui il gioco delle coppie, perché il successo di ciascun candidato si lega al profilo del candidato proposto dallo schieramento avverso: un tecnico tira la volata a un tecnico, un uomo di partito s’accompagna giocoforza a un uomo di partito.
Niente di nuovo, la politica ci ha ormai resi avvezzi a questi mercatini. Peccato tuttavia che il successore di Flick non lo designi il Parlamento, bensì il Capo dello Stato. Se i partiti ne contrattano la nomina, se i vari candidati fanno capriole e giravolte per ottenere la benedizione dei partiti, con ciò stesso oltraggiano le prerogative del nostro Presidente. Ma c’è qualcuno che ancora si rammenti del galateo istituzionale? Nessuno, né a destra né a sinistra. Almeno in questo caso, l’oltraggio non chiama in causa un unico imputato.
Non è un oltraggio viceversa la proposta del governo - anticipata da Ghedini - di dividere il Csm in due, sottraendone la presidenza al Quirinale. Non un oltraggio, ma un errore di grammatica (costituzionale). Perché il Presidente ha un ruolo di cerniera fra i diversi poteri dello Stato. Perché presiedendo il Csm evita di conseguenza che la magistratura divenga un corpo separato. Perché infine nel 1947 i costituenti gli assegnarono il compito di moderare le tensioni fra politica e giustizia, e chissà come potrebbe mai provarci rimanendo fuori della porta. Dice Ghedini: ma con la nostra riforma Napolitano nominerà un terzo dei futuri componenti. E allora? Pure il Consiglio supremo di difesa viene presieduto dal Capo dello Stato, che però volta per volta ne decide altresì la composizione, invitando altri ministri in aggiunta a quanti vi fanno parte di diritto. Dovremmo perciò togliergli anche tale presidenza? Senza dire che la pressione dei partiti impedisce nomine serene. Ma forse il disegno sotterraneo è proprio questo: regaliamo pure al Presidente un’altra nomina, purché per interposto partito.
C’è poi il capitolo dei decreti legge, dove l’abuso si è ormai trasformato in un sopruso. Dall’avvio della legislatura le Camere hanno approvato la miseria di due leggi: il rinnovo dell’Antimafia e il lodo Alfano. Il resto del tempo è andato via per convertire 12 decreti del governo, senza contare quelli che s’aggiungono al paniere (5 nel solo mese di settembre). Una prepotenza contro il Parlamento, come è stato denunziato da più voci. Ma anche contro il Presidente, cui vengono confiscati i poteri di controllo in sede di promulgazione. Infatti i decreti scadono dopo 60 giorni, le assemblee legislative li convertono sempre all’ultimo minuto, e dunque se il Presidente rinviasse la legge di conversione al Parlamento provocherebbe la decadenza dei decreti, finendo alla berlina come traditore della Patria.
E la moral suasion? Napolitano ha già alzato la voce contro la pioggia di decreti, contro lo stallo alla vigilanza Rai, contro la rissa quotidiana fra i partiti. Semplicemente non gli danno retta. D’altronde sono caduti nel vuoto anche gli appelli su una riforma costituzionale condivisa. C’è forse chi abbia visto un testo, un’ipotesi, un progetto? L’aria che tira è questa: ossequio formale, irriverenza sostanziale. Il Quirinale resta l’istituzione più popolare fra la gente, ma nel Palazzo è come il cavaliere inesistente di Calvino.
michele.ainis@uniroma3.it
Decreti, vigilerò con rigore
di GIORGIO NAPOLITANO (La Stampa, 7/10/2008)
Gentile Direttore,
ho vivamente apprezzato il senso delle istituzioni cui era ispirato l’articolo di Michele Ainis (pubblicato su La Stampa di ieri), e la sua preoccupazione per ogni erosione delle prerogative e degli equilibri costituzionali.
In Italia si governa - come in tutte le democrazie parlamentari - con leggi discusse e approvate dalle Camere nei modi e nei tempi previsti dai rispettivi Regolamenti, e solo «in casi straordinari di necessità e di urgenza» con decreti (cioè «provvedimenti provvisori con forza di legge») che al Parlamento spetta decidere entro sessanta giorni se convertire in legge. Continuerò a esercitare a questo proposito - nessuno ne dubiti - con rigore e trasparenza le prerogative attribuitemi dalla Costituzione.
In quanto alla mancata elezione, da parte del Parlamento, del giudice costituzionale chiamato a sostituire il prof. Vaccarella dimessosi dalla carica nell’aprile 2007, il professor Ainis ricorda di certo come nella storia della Repubblica accadde più di una volta che si ritardasse a lungo nel colmare simili vacatio per l’assenza di un accordo tra maggioranza e opposizione. Ma non accadde mai che la soluzione venisse trovata attraverso la contestuale «contrattazione» della nomina di un giudice costituzionale che debba succedere ad uno dei cinque nominati dal Presidente della Repubblica. Non accadrà neppure questa volta: stia certo il professor Ainis che considero semplicemente ingiuriosa l’ipotesi che il Presidente possa piegarsi ad una simile, impropria e prevaricatoria, contrattazione tra partiti.
Il segretario dei democratici replica a Berlusconi che ha definito il Pd "sfascista"
Chiuso invece l’incidente nato con le parole del presidente del Senato Schifani
Autoritarismo, nuovo allarme di Veltroni
"Premier infastidito da opposizione"
ROMA - La polemica con Renato Schifani è "uno spiacevole incidente" che "considero chiuso". Non è invece" chiusa la polemica con il premier che parla di "opposizione sfascista". Il segretario del Pd Walter Veltroni, ospite della trasmissione di Radio3 "Faccia a faccia" condotta dal direttore dell’Unità, Concita De Gregorio, rilancia il suo allarme sull’autoritarismo e avverte: "Vedo segnali di perdita di democrazia. Si vuole il pensiero unico. Sui decreti non conosce la Costituzione". E rilancia sul razzismo: "Governo strizza l’occhio al clima di intolleranza".
"Sono stato informato e poi raggiunto da una telefonata dal presidente del Senato" ha detto Veltroni intervenendo nella polemica che ieri lo ha contrapposto a Renato Schifani, "che mi ha detto che il suo pensiero era quello che tante volte mi aveva manifestato e che quindi le parole che aveva pronunciato non erano rivolte nei confronti dell’opposizione. Io gli ho solo detto che lo consideravo uno spiacevole incidente che considero chiuso".
"Non altrettanto considero chiuso il fatto che il premier dica che l’opposizione sia sfascista" ha proseguito il segretario del Pd. "Il tema che si pone è questo: il governo ammette che esista l’opposizione in questo clima soffocante che travolge tutti? O, come si è visto ieri, possono passare in tv e parlare solo i ministri quando fa comodo al premier? Da parte della destra si fa avanti l’idea che l’opposizione non ci dev’essere e invece non è così; c’è e ci sarà sempre più forte. Non faremo l’errore di essere in contraddizione con quello che siamo: siamo una forza d’innovazione".
Veltroni ha denunciato un "clima da pensiero unico" e ha sottolineato nelle dichiarazioni di ieri del premier contro l’opposizione sfascista un segnale per una "opposizione che non deve esserci". Berlusconi, ha osservato, "ha fastidio per l’esistenza dell’opposizione, dei sindacati, del parlamento e ha fastidio perché esistono dei giornalisti che dicono cose che a lui non piacciono". Il segretario del Pd ha confermato le sue preoccupazioni per "i tanti segnali di un possibile slittamento verso una perdita della democrazia".
Il leader del Pd ha poi denunciato "un’ondata di razzismo e di xenofobia che viene tollerata dalla destra.". "Io sono per temperamento un moderato e se arrivo a dire che c’è un clima molto pesante è perché il governo si sente come se avesse preso il potere e non come se governasse pro tempore" ha detto Veltroni. "Sentiamo che c’è un clima molto pesante. L’esecutivo ha assunto un comportamento in queste ore che nega questa sequenza di fatti violenti, di intolleranza e razzismo di cui hanno parlato anche il Papa e il Capo dello Stato. Questo governo - ha aggiunto - strizza l’occhio a questo clima per ragioni di consenso, ma chi governa non deve essere preoccupato solamente del consenso, deve essere preoccupato di fare il bene del proprio Paese, specie in momento drammatico come quello che stiamo vivendo".
A proposito delle affermazioni di ieri sera del presidente del Consiglio sulla volontà di governare utilizzando i decreti legge e il voto di fiducia per superare le lungaggini del lavoro parlamentare, Veltroni ha commentato: "Berlusconi non conosce la Costituzione che prevede che si possa ricorrere ai decreti solo quando ci sono determinati requisiti di necessità e urgenza". "Noi - ha spiegato Veltroni - non faremo l’errore di essere una forza in contraddizione con ciò che siamo, siamo una forza di innovazione e quando Berlusconi dice che bisogna decidere, ci sono due modi per farlo: una democrazia che decida o un sistema semplificato che decide. Noi siamo per una democrazia che decide. Io non difendo il Parlamento con le sue lentezze, ma difendo il potere di controllo che il Parlamento ha".
* la Repubblica, 6 ottobre 2008
Schifani accusa Veltroni in tv
Bufera sul presidente del Senato
«Avvelena il clima».
Poi si corregge
Prima lo accusa in diretta tv davanti a milioni di spettatori (era a Domenica In, su Rai Uno). Poi fa marcia indietro con una telefonata ed un comunicato del suo ufficio stampa. Ma intanto, il messaggio contro il capo dell’opposizione da parte del Presidente del Senato è arrivato dove i registi dell’operazione volevano arrivasse. Così Renato Schifani (lo stesso a cui Berlusconi ha dedicato una parte della sua residenza in Sardegna battezzandola "villa Schifani") contribuisce dal suo scranno di seconda carica dello stato all’operazione di delegittimazione delle opposizioni che la destra ormai persegue apertamente.
Durante la trasmissione Schifani ha segnalato un «avvelenamento dei rapporti politici», con «toni eccessivamente accesi» anche in seguito ad alcune dichiarazioni del leader del Pd Walter Veltroni. «Ero molto contento - spiega il presidente del Senato a ’Domenica in’ - per come era iniziata la legislatura. Avevo riconosciuto e continuo a riconoscere a Veltroni un grande merito: quello di aver iniziato un periodo di reciproca legittimazione, avviato con l’incontro tra lui e il presidente del Consiglio nel confronto sulla legge elettorale. Con quell’incontro si era data una svolta. Finalmente - spiega - le due parti contrapposte si erano riconosciute e si erano legittimate». «Poi - prosegue Schifani - vi è stato un avvelenamento dei rapporti politici. In questo avvelenamento registro le dichiarazioni di Veltroni che fanno parte, sì, dello scontro ideologico-politico, ma che vanno osservate».
Poi, la parziale rettifica. «Nel corso di una telefonata con il leader del Pd, on. Walter Veltroni, il Presidente del Senato, Renato Schifani, ha ribadito la sua totale assenza di volontà polemica nei suoi confronti, ricordandogli, tra l’altro, di avergli sempre riconosciuto di aver avviato per primo il processo di semplificazione della politica del Paese con la nascita del Partito Democratico» si legge in una nota diffusa dall’ufficio stampa di Palazzo Madama. Da chi occupa un ruolo di garanzia e istituzionale come il presidente del Senato, Renato Schifani, ci si aspetta che ci pensi non una ma cento volte prima di attaccare il capo dell’opposizione, anche perché a questo provvedono ogni giorno - ha reagito Dario Franceschini, del Pd, parlando a Sky Tg24 - il Presidente del Consiglio e tanti ministri, che più che lavorare dedicano gran parte del loro tempo ad attaccare il Partito democratico».
Durissima la presa di posizione di Arturo Parisi, uno dei più forti critici della gestione Veltroni del Pd. «Capisco che Schifani rimpianga il Veltroni dei mesi scorsi. Ma accusarlo di avvelenamento del clima politico solo perchè ha ora deciso di svolgere la funzione di opposizione che il voto di aprile ci ha attribuito è certo troppo». «Forse Schifani - rileva Parisi - si è dimenticato di come svolgeva lui la funzione di opposizione. Noi ce lo ricordiamo. E se lo ricordano gli italiani che si erano ormai fatta una ragione delle sue quotidiane apparizioni televisive. Così come ci ricordiamo che, prima che Alfano, si chiamò Schifani il privilegio che Berlusconi ha imposto al Paese nel suo personale interesse abusando di una forza parlamentare a lui attribuita dalla regola maggioritaria per governare il paese nel rispetto delle regole, non per travolgerle. Veda Schifani che con tanta determinazione svolse il ruolo di opposizione di ricordarsi che come presidente del Senato e seconda carica dello Stato è caricato di una funzione di garanzia dei diritti di tutti, nell’aula parlamentare, e negli studi televisivi».
* l’Unità, Pubblicato il: 05.10.08, Modificato il: 05.10.08 alle ore 19.22
SCHIFANI A VELTRONI: NON AVVELENIAMO IL CLIMA, SERVE DIALOGO
di Francesco Bongarrà (Ansa» 2008-10-05 20:32)
ROMA - Alla fine tutto si è risolto come uno "spiacevole incidente" chiuso da una telefonata chiarificatrice; ma tra Renato Schifani e Walter Veltroni si è rischiato lo scontro per una affermazione del presidente del Senato, secondo cui attacchi sui rischi di autoritarismo come quelli avanzati dal leader del Pd "avvelenano i rapporti politici".
A ’Domenica in’, il presidente del Senato ripete di credere che "il dialogo tra Berlusconi e Veltroni si possa riannodare"; anche se, nota, c’é "un avvelenamento dei rapporti politici", con "toni eccessivamente accesi". "Avevo riconosciuto e continuo a riconoscere a Veltroni - sono le parole di Schifani - un grande merito: quello di aver iniziato un periodo di reciproca legittimazione, avviato con l’incontro tra lui e Berlusconi sulla legge elettorale. Lì si era data una svolta. Finalmente le parti si erano riconosciute e legittimate".
"Poi però - dice - vi è stato un avvelenamento dei rapporti politici. In questo avvelenamento registro le dichiarazioni di Veltroni che fanno parte, sì, dello scontro ideologico-politico, ma che vanno osservate. Ho già detto che non vedo affatto pericoli di autoritarismo; se mai, intravedo dei toni eccessivamente accesi. Mi auguro invece si torni al clima di confronto precedente e che si parli dei problemi del Paese, coniugando le reciproche posizioni". Parole che alcuni leggono come un attacco frontale al leader del Pd, che però Schifani provvede subito a stemperare. Una nota del suo Ufficio stampa precisa, "al fine di evitare fraintendimenti di qualsiasi genere, che il presidente del Senato non ha addebitato al leader del Pd l’esclusiva responsabilità dell’avvelenamento del clima politico auspicando invece fortemente una ripresa del confronto".
Ma evidentemente non basta. Con Schifani si schierano Capezzone (FI) e Rotondi (Dc), mentre si lancia all’attacco Franceschini: "da chi occupa un ruolo di garanzia e istituzionale come Schifani - sbotta il numero due del Pd - ci si aspetta che ci pensi non una ma cento volte prima di attaccare il capo dell’opposizione". Durissimo anche Arturo Parisi: ’Capisco che Schifani rimpianga il Veltroni dei mesi scorsi. Ma accusarlo di avvelenamento del clima politico - sostiene - solo perche’ ha ora deciso di svolgere la funzione di opposizione che il voto di aprile ci ha attribuito è certo troppo".
Nel frattempo, tra Schifani e Veltroni ci sono contatti telefonici, confermati da una seconda nota di Palazzo Madama, in cui il presidente del Senato ha ribadito al leader del Pd "la sua totale assenza di volontà polemica nei suoi confronti, ricordandogli, tra l’altro, di avergli sempre riconosciuto di aver avviato per primo il processo di semplificazione della politica del paese con la nascita del Partito Democraticò". La sua era solo una "valutazione generale e complessiva sull’andamento del clima politico", per il quale Schifani auspica "il ritorno al dialogo". Telefonata e nota che soddisfano il Pd. Lo "spiacevole incidente", a sera, è chiuso.