[1]In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. [2]Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. [3]Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. [4]Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, [5]per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. [6]Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. [7]Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.
[8]C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. [9]Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, [10]ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: [11]oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. [12]Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». [13]E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva:
[14]«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
[15]Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». [16]Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. [17]E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. [18]Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. [19]Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
[20]I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Circoncisione di Gesù
[21]Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.
Presentazione di Gesù al tempio
[22]Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, [23]come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; [24]e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
* LUCA, 2, 1-24 (TESTO CEI).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
“DUE COLOMBI”, “DUE SOLI”. A KAROL J. WOJTYLA - GIOVANNI PAOLO II, in memoriam (03.04.2005)
“Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!
FARE COME GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II: RESTITUIRE L’ANELLO A GIUSEPPE!!!
fls
Betlemme dimenticata, è ormai un Natale senza Gesù?
di Marina Corradi (Avvenire, domenica 17 novembre 2024)
Cercavo, sapete, uno di quei calendari d’Avvento con le caselle, da aprire una al giorno, per ultima la capanna di Betlemme. Lo prendevo sempre, ai bambini. Ma i figli sono diventati grandi. Ora che il maggiore dei nipoti ha 4 anni volevo per lui un calendario d’Avvento. Nelle cartolerie in cui sono entrata ne avevano esclusivamente però con Babbi, renne e slitte. «E con Betlemme, niente?» ho chiesto. «Non ci arrivano più», mi hanno risposto. Cocciuta, vado sul web. Di calendari d’Avvento, mille, ma tutti nella nuova versione: Babbi, gnomi, e in ogni casella una caramella, un cioccolatino, veri. Tutte le marche di cioccolato hanno il loro calendario.
Però io mi ostinavo con quello con Betlemme. Ne ho trovato due, infine, nel Vermont, Usa: faranno un bel viaggio, fino a qui. Dopo averli ordinati ho pensato che gli editori cattolici di certo fanno ancora i calendari con Gesù Bambino. Infatti: ma li si trova quasi solo nelle librerie cattoliche, che non sono molte. E, i libri? Ho girato il centro di Milano. A un mese dal Natale, in una lussuosa libreria di piazza Duomo, di volumi natalizi per bambini ce n’erano tanti: ma Babbi, Babbi, e renne ed elfi.
La Natività, quasi scomparsa dall’immaginario natalizio commerciale. Certo la Natività c’è nelle chiese, nelle case di molti, e in non tutte le scuole. Raramente oltre questi confini. Il Presepe in un recinto: roba cristiana, fanno intendere, gentili, le commesse di Milano. In vetrina fila di libri sul Natale, ma non uno con Maria e Giuseppe, la capanna, i Magi. Infine in un negozio di quartiere, gente gentile, una commessa dice con un po’ di imbarazzo: «Ce ne deve essere qualcuno lassù, in quella cassa in bagno». Infatti qualcosa, non fresco di stampa, c’era ancora, e me lo sono portato a casa.
Cose da poco? Invece Betlemme censurata mi ha turbato. I credenti in Italia ancora non sono così pochi, e al Giubileo a Roma sono attese milioni di persone. Dunque, commercialmente parlando, la “domanda” di libri sulla Natività per bambini dovrebbe persistere. La risolvono solo le librerie cattoliche?
Confesso, mi brucia questa sensazione di apartheid. Roba per “noi” soltanto. È la cultura woke, mi sono chiesta? La rimozione di tutto ciò che non è culturalmente corretto, di quanto non è universalmente condivisibile con i non credenti, o credenti di altre fedi?
Di modo che la Natività sta in un angolo, per non dare fastidio. La storia dei due pellegrini stanchi che non trovavano un tetto, lei presa dalle doglie, e finalmente accolti in una stalla, fino a vent’anni ancora era tramandata ai figli. Ora è messa da parte, come un’ingenua fiaba. Invece così terribilmente attuale, quella coppia di migranti soli nella notte e nel freddo, che nessuno accoglie. E fino a qui, forse, ci starebbero anche quei due, nella nuova cultura “corretta”.
Lo scandalo è quel bambino, nato da donna che non conosceva uomo; è la pretesa che quel bambino fosse il figlio di Dio. Come si fa a raccontare certe cose, ai bambini d’oggi? Eppure vanno matti per renne, Babbi e gnomi. Quelli, non danno fastidio a nessuno. La piccola ricerca fra vetrine mi ha colpito: la fede comincia da piccoli, milioni e milioni di volte è ricominciata davanti a un presepe. Milioni di bambini, crescendo, poi l’hanno rinnegata. Ma rimaneva nel fondo della coscienza, silenziosa, Betlemme - quell’incredibile salvifico dono. A volte Betlemme riemerge, carsica, negli ospedali in cui vecchi soli pronunciano, sessant’anni dopo, una preghiera. In chi spereranno i nipoti, in Babbo Natale, in un giorno lontano? La tradizione cristiana allontanata dai bambini sa di decadenza di un mondo. Natale, è dire ai figli che Cristo è nato. Altrimenti renne, e slitte colme di regali, ma niente che resti - niente che duri per sempre.
NASCERE E RINASCERE: "NATO DA DONNA, SOTTO LA LEGGE", MA DI QUALE LEGGE?!
Ancora quella della tradizione tragica e del paolinismo?
ANTROPOLOGIA FILOLOGIA PREISTORIA, E PSICOANALISI: USCIRE DAL LETARGO E DALL’INFERNO (Dante, Par. XXXIII, 94).
COME NASCONO I BAMBINI, COME NASCONO I GENITORI - OGGI?! Una nota a margine dell’anno dell’Incarnazione del Natale 2023 - e del Presepe di Greccio di Francesco di #Assisi dell’anno 1223.
TRAGEDIA. La difficoltà di "aprire gli occhi" (Freud) sul #fatto antropologico (#Kant) e sociologico (#Marx) che ogni essere umano nasce ed è nato da un essere umano donna ("nato da donna, sotto la Legge"), dice solo della profondità "oceanica" della follia planetaria e della più che millenaria caduta "cosmologica" nell’orizzonte tragico della ragione e religione della cosmoteandria atea (platonico-aristotelica) e devota (paolina)!
COMMEDIA. Non è il caso di rimeditare il significato dell’art. 3 della sana e robusta Costituzione della Repubblica italiana e riprendere il cammino alla luce del Sole e dei "due Soli" (Dante Alighieri)?
COME NASCONO I BAMBINI. AL DI LÀ DELLA NATIVITÀ EDIPICO PLATONICA... *
IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS ("CHARITAS"): E IL LOGOS SI FECE CARNE:
ECCE HOMO.
***
IN NOME DEL LOGOS ("charitas"). «Egli (Cristo), ha detto: “Io sono la verità” (Gv 14,6); del diavolo invece ha detto: “Non rimase nella verità, poiché in lui non c’è verità” (Gv 8,44). Ora, Cristo è talmente la verità che tutto in Lui è vero: Egli è il vero Verbo, Dio uguale al Padre, vera anima (vera anima), vera carne (vera caro), vero uomo (verus homo), vero Dio; vera è la sua nascita (vera nativitas), vera la sua passione ( vera passio), vera la sua morte (vera mors), vera la sua risurrezione (vera resurrectio). Se neghi una sola di queste verità, entra il marcio nella tua anima, il veleno del diavolo genera i vermi della menzogna e nulla rimarrà integro in te» (Agostino, Joh. Ev. tr. 8, 5-7);
IL FIGLIO. «Quegli che con le sue mani tocca il Verbo può farlo unicamente perché “il Verbo s’è fatto carne e abitò fra noi” (Gv 1,14). Questo Verbo fatto carne sino a potersi toccare con le mani cominciò a essere carne nel seno della Vergine Maria (Hoc autem Ver bum quod caro factum est ut manibus tractaretur coepit esse caro ex Virgine Maria)» (Agostino, In Joh. Ep. 1,1);
MARIA E GIUSEPPE, SPOSI NELLO SPIRITO DEL LOGOS ("CHARITAS"). «L’utero della Vergine fu la stanza (del Verbo), poiché è là che si sono uniti lo sposo e la sposa, il Verbo e la carne (et illius sponsì thalamus fuit uterus Virginis, quia in ilio utero virginali coniuncti sunt duo, sponsus et sponsa, sponsus Verbum et sponsa caro). Poiché sta scritto (Gn 2,24): “E saranno i due una sola carne” (et erunt duo in carne una). E anche il Signore dice nel Vangelo (Mt 19,6): “Dunque non sono due, ma una sola carne” (igitur iam non duo, sed una caro)» (Agostino, In Joh. Ep. 1, 2).
PAROLA DEL "VULCANICO" PLATONE. PARLA EFESTO: "NON PIU’ DUE, MA UN’ANIMA SOLA"!
"ARISTOFANE: [...] queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza. Se, mentre sono insieme, EFESTO si presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse: "Che cosa volete l’uno dall’altro?", e se, vedendoli in imbarazzo, domandasse ancora: "Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù nell’Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che desiderate? è questo che può rendervi felici?" A queste parole nessuno di loro - noi lo sappiamo - dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos’altro. Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l’altra anima. Non più due, ma un’anima sola.
La ragione è questa, che la nostra natura originaria è come l`ho descritta. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto e la sua ricerca ha il nome di amore. Allora, come ho detto, eravamo una persona sola; ma adesso, per la nostra colpa, il dio ci ha separati in due persone, come gli Arcadi lo sono stati dagli Spartani. Dobbiamo dunque temere, se non rispettiamo i nostri doveri verso gli dèi, di essere ancora una volta dimezzati, e costretti poi a camminare come i personaggi che si vedono raffigurati nei bassorilievi delle steli, tagliati in due lungo la linea del naso, ridotti come dadi a metà.
Ecco perché dobbiamo sempre esortare gli uomini al rispetto degli dèi: non solo per fuggire quest’ultimo male, ma anche per ottenere le gioie dell’amore che ci promette EROS, nostra guida e nostro capo. A lui nessuno resista - perché chi resiste all’amore è inviso agli dèi. Se diverremo amici di questo dio, se saremo in pace con lui, allora riusciremo a incontrare e a scoprire l’anima nostra metà, cosa che adesso capita a ben pochi." (Platone, Simposio).
*
NEL 2022, ANCORA NELL’OFFICINA DI PLATONE: "ECCE HOMO" (NIETSCHE, 1888)! Chi parla e promette di fare di due un’anima sola, nel racconto di Aristofane, è Efesto (Vulcano), il dio dei fabbri, ed Eros, è il dio dell’amore/desiderio cieco e avido: questi colpisce con le sue frecce e l’altro costruisce le catene per rimettere insieme le due metà! "Disagio della civiltà" (S. Freud, 1929): non è meglio cambiare registro e rileggersi insieme Dante ("Divina Commedia") e Nietzsche ("Crepuscolo degli idoli")?!
FLS
LA TERRA, LA BUONA NOVELLA, E LA COSTITUZIONE - LA LEGGE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI... *
Pregare a occhi aperti
Il presepio di Dio
di José Tolentino Mendonça (Avvenire, giovedì 17 dicembre 2020)
Ci guadagneremmo molto a capire perché le letture bibliche del tempo di Avvento e del Natale insistono sulla dimensione visiva. Noi vediamo Dio stesso, il Dio trascendente, farsi prossimo, e il motivo della gioia è questo. Come dirà il prologo del Vangelo di Giovanni: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria» (Gv 1,14). In effetti il Natale è l’anti-astrazione, è l’opposto delle vaghe generalizzazioni.
Ognuno di noi, con le domande che sono le sue, con la serenità o il subbuglio che si porta dentro, con la situazione concreta di vita che sperimenta, è chiamato a vedere Dio. È sfidato a contemplarlo in quel Dio con noi, in quel nascituro in carne e ossa, in quel Figlio che ci è stato dato. In Gesù di Nazaret, Dio non viene in un modo indefinito: egli viene incontro a me, a te, a ogni essere umano, dandoci nella fede la possibilità di diventare figli di Dio (Gv 1,12).
A donne e uomini fragili, imperfetti e tormentati come noi, Dio offre la possibilità di essere figli suoi. Di vivere, cioè, una vita che non sia unicamente l’espressione della nostra carne e del nostro sangue, ma che si riveli come conseguenza dell’impatto della vita divina. In questo senso, non siamo noi a fare il presepio perché Dio vi nasca: è Dio che prepara le condizioni di una nascita per ognuno di noi.
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
MEMORIA DI FRANCESCO D’ASSISI. "VA’, RIPARA LA MIA CASA"!!!
FLS
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.
Contemplando con fede la casa di Nazareth ogni credente può scorgervi un modello
di Matteo Liut (Avvenire, domenica 29 dicembre 2019)
La vita nasce da una relazione che si apre all’infinito, perché ogni essere umano che viene al mondo è segno dell’amore sconfinato di Dio. La famiglia è scrigno prezioso che ha la responsabilità di dare forma a questa continua promessa di futuro.
Oggi il rito romano pone la festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, icona universale di un’intimità domestica portatrice di un messaggio rivoluzionario: Dio abita in mezzo a noi. Contemplando la casa di Nazareth ogni credente non può non scorgervi un’ispirazione e un modello: i piccoli gesti di cura e attenzione vissuti tra quelle mura testimoniano lo stile dell’agire di Dio nella storia. Ecco perché per i cristiani farsi compagni di strada degli ultimi significa prima di tutto essere luce di speranza e di amore per le persone più vicine: tutti abbiamo bisogno di aprirci continuamente alla vita attraverso relazioni d’amore.
Altri santi. San Davide, re (X sec. a.C.); san Tommaso Becket, martire (1118-1170).
Letture. Sir 3,3-7.14-17; Sal 127; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23.
Ambrosiano. Pr 8,22-31; Sal 2; Col 1,13b.15-20; Gv 1,1-14.
"Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere" (M. Serres, Distacco, 1986)!!!
La scomunica del papa contro guerra e trafficanti d’armi
Vaticano. Francesco denuncia il traffico di armi: «Siete delinquenti»
di Adriana Pollice (il manifesto, 20.11.2015)
Dopo gli attentati di Parigi l’Europa si avvia allo scontro armato e papa Francesco ieri ha pronunciato una vera e propria scomunica: siano «maledetti» ha esclamato, durante la messa a Santa Marta, quanti per arricchirsi fanno la guerra, che provoca vittime innocenti e riempiono le tasche dei trafficanti. «La guerra - ha denunciato - è proprio la scelta per le ricchezze: ’Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse’. C’è una parola brutta del Signore: ’Maledetti!’. Perché Lui ha detto: ’Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti».
E poi ha sollevato il velo sulla retorica che sta accompagnando gli attacchi in Medio Oriente, Terzo conflitto mondiale non dichiarato ufficialmente: «Una guerra si può giustificare, fra virgolette, con tante, tante ragioni. Ma quando tutto il mondo, come è oggi, è in guerra, tutto il mondo!, è una guerra mondiale a pezzi: qui, là, là, dappertutto, non c’è giustificazione».
Il papa torna a chiedere un nuovo cammino sulla «strada della pace», a partire dalla lezione del Vangelo: «Anche oggi Gesù piange - ha sottolineato Bergoglio - perché noi abbiamo preferito la strada delle guerre, la strada dell’odio, la strada delle inimicizie. Siamo vicini al Natale: ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi, tutto truccato: il mondo continua a fare la guerra. Il mondo non ha compreso la strada della pace». Anche le commemorazioni recenti sulla Seconda guerra mondiale sembrano adesso vuote: «Stragi inutili - ha ripetuto il pontefice -, dappertutto c’è la guerra, oggi, c’è l’odio. Cosa rimane di una guerra, di questa, che noi stiamo vivendo adesso? Rovine, migliaia di bambini senza educazione, tanti morti innocenti: tanti! e tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi.
E mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro e intascano tanti soldi - ha continuato papa Francesco - ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, danno la vita, morendo per aiutare la gente». Uno j’accuse che chiama in causa anche l’Italia: nella costituzione è scritto che la repubblica ripudia la guerra ma basta - però - farla senza dichiararla. «Questo mondo non riconosce la strada della pace - ha rimarcato il papa - Vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla. Chiediamo la conversione del cuore. Proprio alla porta di questo Giubileo della Misericordia, che il nostro giubilo, la nostra gioia sia la grazia che il mondo ritrovi la capacità di piangere per i suoi crimini, per quello che fa con le guerre». Il Giubileo si farà nonostante tutto, anche se ieri il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha ammesso: «Non si può negare che ci siano dei timori, purtroppo nessuno può escludere a priori di essere sotto l’attenzione di queste brutalità».
Durante la conferenza internazionale del Pontificio consiglio degli operatori sanitari, ieri, Bergoglio si è scagliato anche contro il rifiuto della cultura dell’accoglienza. Ricordando gli «atteggiamenti abituali di Gesù nei confronti di malati, pubblici peccatori, indemoniati, emarginati, poveri, stranieri», ha proseguito: «Curiosamente questi nella nostra attuale cultura dello scarto sono respinti, sono lasciati da parte, non contano. E’ curioso questo, questo vuol dire che la cultura dello scarto non è di Gesù, non è cristiana».
Nel suo discorso dedicato ai venti anni della enciclica di Giovanni Paolo II “Evangelium vitae”, Bergoglio ha ricordato: «Questa vicinanza all’altro, fino a sentirlo come qualcuno che mi appartiene, supera ogni barriera di nazionalità, di estrazione sociale, di religione. Supera anche quella cultura in senso negativo secondo la quale, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri, gli esseri umani vengono accettati o rifiutati secondo criteri utilitaristici, in particolare di utilità sociale o economica».
Superare ogni barriera di nazionalità, di estrazione sociale, di religione, conclude il papa: «Vicinanza all’altro, fino a sentirlo come qualcuno che mi appartiene, fino ad amare il nostro nemico». Dal 25 al 30 novembre il Papa sarà in Kenya, Uganda e Repubblica centrafricana «per la pace e la riconciliazione».
Vaticano
Papa: sono le donne che trasmettono la fede
E’ "la strada scelta da Gesù", che ha voluto avere una madre. "Tutti noi abbiamo ricevuto il dono della fede. Dobbiamo custodirlo". Contrastano la "fede viva" due cose: "lo spirito di timidezza e la vergogna". . "Chiediamo al Signore la grazia di avere una fede schietta, una fede che non si negozia secondo le opportunità che vengono.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Sono principalmente le donne a trasmettere la fede. "perché quella che ci ha portato Gesù è una donna. E’ la strada scelta da Gesù". L’ha detto papa Francesco nell’omelia della messa celebrata oggi a Casa santa Marta, commentando la seconda Lettera di San Paolo a Timoteo, nella quale l’Apostolo ricorda a Timoteo da dove viene la sua "schietta fede": l’ha ricevuta dallo Spirito Santo "tramite la mamma e la nonna". Sta a noi, poi, custodirla e ravvivarla.
"Sono le mamme, le nonne" - ha sottolineato il Papa - che trasmettono la fede. "Una cosa - ha aggiunto - è trasmettere la fede e altra cosa è insegnare le cose della fede. La fede è un dono. La fede non si può studiare. Si studiano le cose della fede, sì, per capirla meglio, ma con lo studio mai tu arrivi alla fede. La fede è un dono dello Spirito Santo, è un regalo, che va oltre ogni preparazione". Ed è un regalo che passa attraverso il "bel lavoro delle mamme e delle nonne, il bel lavoro di quelle donne" in una famiglia, "può essere anche una domestica, può essere una zia", che trasmettono la fede:
"Mi viene in mente: ma perché sono principalmente le donne a trasmettere la fede? Semplicemente perché quella che ci ha portato Gesù è una donna. E’ la strada scelta da Gesù. Lui ha voluto avere una madre: anche il dono della fede passa per le donne, come Gesù per Maria". "E dobbiamo pensare oggi se le donne ... hanno questa coscienza del dovere di trasmettere la fede".
Paolo invita poi Timoteo a custodire la fede, il deposito, evitando "le vuote chiacchiere pagane, le vuote chiacchiere mondane". "Tutti noi abbiamo ricevuto il dono della fede. Dobbiamo custodirlo, perché almeno non si annacqui, perché continui a essere forte con la potenza dello Spirito Santo che ce lo ha regalato". E la fede si custodisce ravvivando questo dono di Dio:
"Se noi non abbiamo questa cura, ogni giorno, di ravvivare questo regalo di Dio che è la fede, ma la fede si indebolisce, si annacqua, finisce per essere una cultura: ’Sì, ma, sì, sì, sono cristiano, sì, sì...’, una cultura, soltanto. O una gnosi, una conoscenza: ’Sì, io conosco bene tutte le cose della fede, conosco bene il catechismo’. Ma come tu vivi la tua fede? E questa è l’importanza di ravvivare ogni giorno questo dono, questo regalo: di farlo vivo".
Contrastano "questa fede viva" - dice San Paolo - due cose: "lo spirito di timidezza e la vergogna". "Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza. Lo spirito di timidezza va contro il dono della fede, non lascia che cresca, che vada avanti, che sia grande. E la vergogna è quel peccato: ’Sì, ho la fede, ma la copro, che non si veda tanto...’. E’ un po’ di qua, un po’ di là: quella fede, come dicono i nostri antenati, all’acqua di rose, così. Perché mi vergogno di viverla fortemente. No. Questa non è la fede: né timidezza, né vergogna. Ma cosa è? E’ uno spirito di forza, di carità e di prudenza. Questa è la fede".
Lo spirito di prudenza è "sapere che noi non possiamo fare tutto quello che vogliamo", significa cercare "le strade, il cammino, le maniere" per portare avanti la fede, ma con prudenza. "Chiediamo al Signore la grazia - ha concluso il Papa - di avere una fede schietta, una fede che non si negozia secondo le opportunità che vengono. Una fede che ogni giorno cerco di ravvivarla o almeno chiedo allo Spirito Santo che la ravvivi e così dia un frutto grande".
Il dono e il rifiuto del mercato *
La buona volontà è importante. Il desiderio di aiutare e sostenersi reciprocamente sono pietre fondanti della solidarietà sociale. Ma la confusione su ciò contro cui stiamo combattendo è probabilmente uno dei nostri maggiori problemi. Non saremo in grado di creare affari per spodestare il business!
Una economia del dono degna di questo nome implica una trasformazione massiccia di dimensioni alle quali, francamente, la maggior parte di noi ha paura di pensare. Apprezzo i miei amici con cui ho soprattutto goduto una generosità e una reciprocità incommensurabili.
Credo che la nostra speranza sia che quello spirito simile ai primi anni di vita nelle braccia delle nostre madri e dei nostri padri, dove tutto veniva offerto gratuitamente e con amore, possa essere la base di una trasformazione a livello sociale.
Forse è possibile. Ma se così è, dovremo comprendere il dibattito politico le dinamiche istituzionali ultime che faciliteranno una tale trasformazione. Non accadrà solo perché lo desideriamo, o perché proviamo molto amore per coloro che ci circondano. Se ci riuniamo per discutere di queste idee ma dobbiamo sempre tornare a una vita dove la logica predominante è far soldi per pagare i conti, continueremo a pedalare a vuoto per un lungo tempo a venire.
*
Cfr. Chris Carlsson, Il dono e il rifiuto del mercato (Comune-info, 12 febbraio 2014)
Natale mistico
La notte di luce che rivela noi a noi stessi
Il senso della festa non è nel mito, ma in un evento reale che ha diretta incidenza sull’animo umano
di Marco Vannini (la Repubblica, 24.12.2013)
La nascita di Gesù fu posta dalla Chiesa latina al solstizio di inverno perché in quella data i romani festeggiavano il sol invictus, ovvero il sole che, giunto al punto più basso del suo corso nel cielo, non scompare, ma sembra fermarsi in attesa, e riprende da allora in poi vigore. Come molte altre, questa festività cristiana prese così il posto di una pagana: Cristo, sole di giustizia, sostituì la precedente divinità astrale.
In questi giorni del solstizio tutti provano comunque una sensazione di pace, che invita al raccoglimento, alla meditazione, e non v’è dubbio che la stagione astronomica e meteorologica sia per questo determinante: il tempo sembra fermarsi, la natura sembra silenziosa, in ascolto, la vegetazione in attesa di rinascita.
Oltre alla natura però contribuisce potentemente a questa sensazione la cultura, ovvero il passato cristiano, la cui influenza continua a farsi sentire nella nostra società post-cristiana: anche molti secoli dopo che Buddha era morto, come ricorda Nietzsche, la sua ombra continuò ad essere presente.E non meraviglia che sia così: quel passato era infatti ricco, forte, tanto - ad esempio - da dare a un oscuro maestro elementare e a un povero parroco di villaggio l’ispirazione per quella Stille Nacht, la cui struggente melodia, colma di nostalgia, muove tutti gli animi alla pace, all’amore, indipendentemente da ogni religione.
Si capisce allora come la Chiesa cerchi di far leva su questo sentimento per cercare di ravvivare la fede che una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia della salvezza” che da Adamo procede verso Cristo. Oggi, però, dal momento che quella storia appare per ciò che è, una mera costruzione mitico-teologica, la fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più fantasia: una cosa da bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un Bambino, ma soprattutto per bambini.
La fede è infatti in questo caso una credenza, che si difende con una sorta di infantile testardaggine, ignorando la realtà, tanto storica quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa guarda in faccia la realtà, scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente debole e incerto e che perciò cerca “salvezza” nel rimando ad altro fuori di sé, restando così sempre nell’attesa, nell’anelito. La fede allora non produce affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte, smascherando come menzogna anche l’immaginazione teologica.
La fede - scrive san Giovanni della Croce - «non solo non produce nozione e scienza, ma anzi accieca e priva l’anima di qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per l’anima e, quanto più la ottenebra, tanto maggiore è la luce che le comunica». Fede come notte, dunque, ma una notte che mentre libera da ogni presunto sapere di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di altro ma di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la verastille nacht, heilige nacht, notte silenziosa, notte santa.
La notte in cui Dio nasce nell’umanità è la notte prodotta dalla fede, ovvero il silenzio, il vuoto che l’intelligenza ha fatto nell’anima. Il Natale, riferimento a una nascita del divino nel tempo, ha dunque il senso di ri-cordare, nel suo senso etimologico di riportare all’interiorità, risvegliare nell’anima nostra ciò che le è proprio ed essenziale: il divino che è nel suo fondo più intimo. Questo è il passaggioaus historie ins wesen, dalla storia all’essenza, come dicevano i mistici tedeschi, ovvero da una verità esteriore, che non ha alcun effetto, a una verità interiore, che salva davvero.
La salvezza non è infatti dal peccato di un altro, Adamo, da cui un altro, Cristo,ti deve liberare, ma da quel peccato davvero “originale” che è l’amore di sé. In te è Adamo, in te è Cristo, ovvero tanto l’amore di te stesso quanto l’amore del Bene, e la salvezza ti appare nella sua realtà, non futura ma presente, non sperata ma reale, quando il bene degli altri ti è caro quanto il tuo, assolutamente, in nulla di meno. Niente può turbare allora la pace dell’anima: non a caso i mistici ripetono la cosiddetta supposizione impossibile: se anche Dio mi destinasse all’inferno, sarei comunque “salvo”.
Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione teologica, ma nel vuoto, nel distacco. Questo è anche il senso profondo della storia che precede e rende possibile la nascita del Figlio, come del resto ogni nascita umana, ovvero la storia della Madre: Maria fu capace di generare il divino per la sua umiltà, per la sua verginità, che non significa una condizione fisica, ma il vuoto fatto in se stessa. Il Logos nasce infatti nell’anima di ciascuno di noi quando essa è come Maria: distaccata, ovvero libera, spoglia di ogni preteso valore e preteso sapere. Il mistico poeta Angelus Silesius perciò recita: «Davvero ancor oggi è generato il Logos eterno! Dove? Qui, se in te hai dimenticato te stesso».
Il mistero del Natale si svela infatti quando si comprende il significato non blasfemo, ma al contrario profondamente spirituale -anzi,essosolocristiano, senza il quale la religione restasuperstizione, la fede credenza infantile - del principio che innerva la mistica: tutto quello che la Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino.
Purtroppo tale principio fu condannato come eretico da uno di quei papi avignonesi che Dante definisce “lupi rapaci”, separando così divino da umano, sacro da profano, avocando alla chiesa il monopolio del sacro e con questo ribadendo la divisione ragione-fede, scienza-religione che perdura ancora oggi e che costringe i “credenti” in quella condizione di minorità da cui l’illuminismo, secondo le celebri parole kantiane, ha inteso togliere l’uomo occidentale.
Accanto a un Natale storico, nel quale una sola volta, in un solo luogo e in una sola persona, il divino è nato sulla terra, c’è dunque un Natale eterno, per cui, secondo le parole di Origene, il divino si genera nell’anima non una volta soltanto, ma in ogni istante, in ogni luogo e in ogni uomo, in ogni pensiero che egli rivolge a Dio con purezza, in ogni gesto di amore che compie.
Anche se non legata al solstizio d’inverno, la nascita di Gesù è comunque un evento reale, non un mito. In quanto ha a che fare con realtà profonde ed universali dell’anima umana, il mito riguarda ciò che non è mai avvenuto ma in eterno avviene, come diceva un filosofo pagano, mentre per il Natale noi dobbiamo dire: ciò che è avvenuto una volta e in eterno avviene.
Attenzione però: avviene solo se avviene. Perciò lo stesso poeta mistico che abbiamo prima citato lancia al suo lettore un avvertimento davvero terribile: «Nascesse mille volte Cristo in Betlemme, se in te non nasce, sei perduto in eterno».
L’ARCA DELL’ALLEANZA, IL MESSAGGIO EVANGELICO, E L’APOCALISSE (= RIVELAZIONE). Due soli in Terra e il Sole del Giusto Amore (“Karitas seu recta dilectio”) in cielo...
Studi su Maria nell era del post-patriarcato
di Annarosa Buttarelli (il manifesto, 23.10.2010)
In un delizioso libriccino da tenere in tasca come quelli destinati alla meditazione quotidiana, Luce
Irigaray scrive una delle tappe più significative della sua ricerca intorno al divino di segno
femminile. Il testo, un’intensa riflessione su Maria di Nazaret e madre di Gesù, scritto con la
semplicità accurata di chi vuole arrivare al cuore di molti e di molte, si muove per soccorrere
un’umanità che ha fatto a pezzi sé e il pianeta dove vive, che non ha quasi più la capacità di
alimentare lo spirito e di conservarsi un accesso alla trascendenza, prima ancora di una qualche
confessione religiosa.
Con Il mistero di Maria, la filosofa incoraggia l’accelerazione di un processo
di rispiritualizzazione dell’umano, proponendo un cambiamento generale della forma mentis
occidentale verso una «cultura della saggezza».
Si può provare la tentazione di attribuire questa mossa alle sue personali ricerche in ambito buddista e induista, ma rimane lo stupore per la finezza con cui queste ricerche mirino a collocare Maria di Nazaret al centro della nostra vita politica e spirituale. Riprendendo il suo fondamentale Sessi e genealogie, Irigaray ci chiede di mettere al cuore del cambio di civiltà in corso la Madonna cristiana cattolica, in modo da avvalerci della sua opera di «co-redentrice del mondo», insieme a suo figlio Gesù.
Se il senso profondo di questa proposta fosse già stato recepito, potremmo tirare un respiro di sollievo: significherebbe che l’intelligenza generale ha registrato che ci troviamo in pieno postpatriarcato, un tempo che non ha più punti di orientamento, che ha bisogno di un nuovo ordine simbolico da condividere, per il quale occorre trovare immagini, metafore vive, creatività, nuove dimensioni narrative, e perfino mitologiche.
Qui da noi, il cristianesimo popolare e femminile ha seguitato a coltivare il culto di Maria come virgo potens e come figura storica che merita e sostiene tutte le meravigliose attribuzioni contenute nelle Litanie lauretane. La dottrina istituzionale della Chiesa invece, scrive Irigaray, ha scelto di coltivarne la memoria come archetipo di maternità esemplare al servizio di Dio-padre e del suo progetto. La cosa non è rimasta senza conseguenze, né per la nostra cultura, né per la politica, tanto è vero che, in pieno cristianesimo realizzato (?), «di Maria non sappiamo quasi nulla», scrive Irigaray, che è da leggersi anche come un «delle donne non sappiamo e non vogliamo sapere quasi nulla».
La pretesa di Irigaray è alta: mostrare l’evidenza di una correzione teologica improcrastinabile. Colei che è cara a chi «ha fame e sete di giustizia» può essere la figura di una nuova era, di un pensiero incarnato, così come lo è stata per l’inizio dell’era cristiana con il suo consenso a concepire il messaggio d’amore incarnato in suo figlio Gesù. Dice Irigaray che Maria è protagonista consapevole di una novità: il concepimento di una nuova umanità non può essere solo emotivo o fisico (Maria non è mai solo corpo materno), ma accade se si trovano parole nuove, se si parla con l’angelo.
Ci viene ricordato che ogni concepimento è simultaneamente nel corpo, spirito, pensiero e parole e che ogni nuovo inizio ha bisogno di parole vere incarnate e sessuate. Correggendo l’incauto errore di Eva, Maria insegna che non si può pretendere di diventare divini prima di avere portato a compimento la propria umanità, prima di assumerla avendola accettata.
L’autorità simbolica di Maria viene dalla sua misteriosa verginità, fraintesa dalla Chiesa al punto che Luce Irigaray la accusa di minare «i fondamenti stessi del cristianesimo» - ma forse le è sfuggito che già uno dei nomi della Madonna sia «Spirito Santo».
Tuttavia la filosofa respinge la teologia della mediazione dello Spirito Santo (nel mettere incinta Maria, n.d.r) che rappresenta l’amore tra il Padre e il Figlio della Trinità cristiana. «Maria avrebbe concepito senza partecipare!».
La cifra della verginità di Maria (non la castità) starebbe invece a significare che, alle radici stesse del cristianesimo, il legame diretto delle donne con Dio, non è mediato da alcun uomo, né da alcunché di maschile.
Maria appare così anche l’affrancamento, fin dall’origine, dall’identificazione con lo stato di natura in cui la cultura filosofica occidentale ha invitato le donne a rincantucciarsi. Il suo «gesto etico» non consiste solo «nel rispettare, ma anche nel dare» la vita, a un altro differente da lei, mostrando la capacità femminile di «rispettare la trascendenza dell’altro, di cui pochi uomini sono effettivamente capaci». In continuità con la sua ricerca sui «trascendentali sensibili» nella vita di relazione (Etica della differenza sessuale), Irigaray presenta Maria come «la prima figura divina del tempo dell’incarnazione».
Fatta eccezione per la mistica, l’autrice polemizza con l’esito di una cultura cristiana anestetizzata, che considera trascendente solo ciò che «sfugge alle nostre percezioni sensibili, solo ciò che è disincarnato». Maria, concependo e crescendo nel suo corpo l’invisibile divino, mostra la realtà del divino dentro l’umano e testimonia la necessità di coltivare le percezioni sensibili interiori ed esteriori, una «cultura del toccare» sensibile e carnale versus le politiche dell’immunizzazione, dell’astrazione e dell’indifferenza.
Luce Irigaray, Il mistero di Maria, Paoline, pp. 58, Euro 11,50
La violenza rituale del «melting pot» romano
Un nuovo volume della Fondazione Valla presenta i testi che celebrano la nascita di Roma e le sue mitologie, a cominciare dal ratto delle Sabine
DI ROSITA COPIOLI (Avvenire, 08.05.2010)
Violenza e rapimento, trasgressione e violazione, sono i primi atti compiuti per mutare un ordine e stabilirne uno nuovo.
Dopo la fondazione di Roma, Romolo, ispirato dal padre Marte, decide di prendere con la forza le donne che i popoli del Lazio gli negano, perché disprezzano il suo popolo di pastori.
Organizza giochi in onore di Posidone, ai quali invita gli abitanti delle città vicine. Il ratto delle donne sabine avviene con l’inganno durante il rito.
La violenza ha uno scopo matrimoniale. I Romani vogliono che sia sancito il loro diritto al connubio e alla fusione dei popoli. Alla guerra che segue, al tradimento di Tarpeia in favore dei Sabini, punito con la morte, subentra la riconciliazione tra i popoli: la vogliono le stesse donne rapite.
Dietro lo schema del ratto rituale (affine ai riti di passaggio), diffuso in tutto il mondo, benché più raro in forma collettiva, si celano concezioni del mondo estremamente complesse.
I Romani assimilano Greci, Etruschi, Italici, Orientali, sacralizzano ogni atto e concetto con la stessa concreta mania distintiva degli antichi Vedici.
Nei luoghi consacrati della fondazione della «Roma quadrata» a partire dalla metà del IX secolo a.C. e della sua estensione territoriale, ogni costruzione, distruzione, ricostruzione, prevedeva sacrifici, uccisioni rituali, la città dei vivi si sosteneva sui morti, passati violentemente nell’aldilà.
Questo rapporto ctonio, e celeste, per l’osservazione degli astri e del Tempo nel calendario (lunare e di dieci mesi fino ad età regia), indica la struttura che regola uomini e donne sulla terra.
Quando Augusto si instaurò come nuovo Romolo, nella sua domus inglobò la «Roma quadrata» del fondatore, vi restaurò il Lupercale, il «presepe» di Romolo e Remo nel proprio santuario, definì il calendario solare riformato da Cesare.
Singolarmente, la cappella palatina di Santa Anastasia di età costantiniana, che si affiancò alla domus , iniziò a celebrare lì il Natale cristiano, il presepe nuovo rispetto all’antico.
E le donne? Le donne sono la terra. Che viene presa e posseduta. Le donne diedero allora i nomi alle curie. Una consolazione, rispetto al principio del ratto? No. L’interpretazione simbolica rispetta la violenza reale. Nemmeno sant’Agostino è immune dall’idea del possesso - legittimo, attraverso la violenza: «il vincitore avrebbe conquistato per diritto di guerra le donne che gli erano state negate ingiustamente; invece le rapì contro ogni diritto di pace e fece una guerra ingiusta contro i loro genitori giustamente sdegnati» ( La città di Dio, II, 17).
Si crede che Roma sia conosciuta. Eppure le infinite denominazioni di Giove, Giunone, Venere, di figure come Conso, Pico, Bona Dea, Acca Larentia, Tacita Muta, Anna Perenna, riti come i Matralia, sono ancora nascosti nelle viscere della città. Penso al ritrovamento straordinario (1999) del deposito di Anna Perenna, che presiedeva all’anno, al cibo, alla magia. Questo libro dimostra fino a che punto sia possibile rivedere la realtà antica di Roma, attraverso l’analisi comparata di fonti mitiche, etnografiche, letterarie, artistiche, epigrafiche, giuridiche, di tutti gli studi storici nel loro complesso, alla luce delle più recenti indagini archeologiche stratigrafiche: condotte fino a raggiungere la terra vergine.
*
A cura di Andrea Carandini
LA LEGGENDA DI ROMA
Dal ratto delle donne al regno di Romolo e Tito Tazio
Fondazione Valla/ Mondadori Pagine 452. Euro 30
Niente Re Magi in presepe
Cattedrale Agrigento: ’Respinti alla frontiera’
Palermo, 5 gen. - (Adnkronos) - Un cartello posto dal direttore della Caritas diocesana Valerio Landri, avverte: ’’Quest’anno Gesu’ Bambino restera’ senza regali: i Magi non arriveranno perche’ sono stati respinti alla frontiera insieme agli altri immigrati". L’obiettivo della provocatoria iniziativa è far riflettere sul tema dell’immigrazione ed è stata concordata con l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro.
Palermo, 5 gen. - (Adnkronos) - Niente Re Magi nel presepe allestito nella Cattedrale di Agrigento. Un cartello posto dal direttore della Caritas diocesana Valerio Landri, avverte: ’’Quest’anno Gesu’ Bambino restera’ senza regali: i Magi non arriveranno perche’ sono stati respinti alla frontiera insieme agli altri immigrati".
L’obiettivo della provocatoria iniziativa e’ far riflettere sul tema dell’immigrazione ed e’ stata concordata con l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro. ’’Una legge in tema di immigrazione e’ necessaria - spiega Landri - ma bisogna anche comprendere che si tratta di gente disperata. Forse se Gesu’ Bambino volesse venire da noi oggi, sarebbe respinto alla frontiera, come accade a tanti nostri poveri fratelli’’.
NATALE CLANDESTINO
di don Aldo Antonelli
Un groviglio di filo spinato, a forma di globo, con dentro un bambino.
Senza paglia, né padre, né Madre.
E senza angeli.
Nudo, indifeso, orfano e clandestino.
E’ il presepe che ho realizzato in una delle due chiese che mi ritrovo.
Nasce clandestino.
Un dato di fatto, ma non di diritto.
E quindi ci ho messo una stella, per significare che tutti ne abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno di una stella che ci liberi dalle prigioni e dal ruolo di prigionieri.
Abbiamo bisogno di una stella che ci cacci fuori dal groviglio di interessi e di paure.
Abbiamo bisogno di una stella che ci restituisca alla nostra umanità.
Se Dio, perfino, si è fatto uomo, perché noi non esserlo?
In un cestino ho riportato questa bellissima preghiera che vi allego e che ho ricevuto dagli amici della Comunità "Evangelho è Vida" del Bairro Vernelho di Goias, in Brasile.
Questa notta la leggerò in chiesa come omelia.
E’ il mio augurio di Natale.
Aldo
A Betlemme sei stato
più fortunato,
anche se erano tempi duri
e regnava Erode
e i ricchi erano ricchi
e i poveri poveri
e le gerarchie religiose,
come succede spesso,
erano di casa a palazzo.
Tu, allora,
almeno,
hai trovato
una stalla
e dei pastori.
Noi non abbiamo stalle
né ci sono più pastori
che credano ancora
agli angeli
e sappiano,
lasciate le loro greggi,
venire fino a te,
e raccontare ai tuoi
le parole dei celesti messaggeri
e convincerli,
se ancora non ci credessero
abbastanza,
che tu, proprio Tu,
piccolo, ignaro, nudo,
povero, anonimo, clandestino,
che forzi le nostre frontiere,
e importuni
la nostra quiete
e i riti e le preghiere
e le fiabe che
nei secoli dei secoli
abbiamo cucito addosso a Dio,
Tu, proprio Tu,
straniero, escluso, sconosciuto,
Tu, a ben vedere,
nostro specchio,
che ci rivela
l’estraneità a cui,
allontanandoti,
ci siamo condannati,
Tu e solo Tu
hai per nome
“Lui-ci-salva”.
E noi siamo perduti.
No, forse,
per un’ultima volta,
questa notte,
salvati.
E domani ci sveglieremo
diversi.
Con il tuo stesso nome.
Il regalo di Natale? Più fiducia ai giovani
.....contro il declino della Chiesa e della società
di Carlo Maria Martini (Corriere della Sera 24.12. 2009)
Natale è avvertito da molti come il tempo dei buoni sentimenti. Si stemperano le tensioni e l’animo sembra incline a guardare la realtà di oggi e di domani con occhi più benevoli. E tuttavia molti non riescono, neppure in questi giorni, a riconoscere che possono esistere motivi di fiducia.
È vero che i Vangeli, in alcuni passi, non ci fanno intravedere un futuro dell’umanità caratterizzato dalla fede e dall’amore. Piuttosto ci mettono di fronte a prospettive di crescente decadenza morale e spirituale. Una parola misteriosa di Gesù, tramandataci dal Vangelo di Luca (18,8), ci scuote e ci fa tremare: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». A questo interrogativo, che certo non lascia molto adito alla speranza, si aggiungono frasi come questa: «Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Mt 24,12).
Ma vi sono tanti di noi che non aspettano soltanto questi ultimi tempi per vedere la decadenza della fede, perché ritengono di riconoscerla presente già nei nostri giorni, a cominciare dalla decadenza dei giovani. C’è un modo di parlare di essi che ci appare senza speranza e senza remissione: i giovani sono abulici, indifferenti, svogliati, viziosi, dediti solo al divertimento, alle sostanze eccitanti o all’alcol.
Non è questa l’impressione che io ho dei giovani di oggi. Anzitutto non uso volentieri la categoria «giovani», categoria puramente biologica, che non dice di per sé nulla sulla realtà di queste persone. Preferisco guardarli più da vicino. Allora mi sembra di riconoscere tre tipi di giovani: quelli alla deriva, i giovani che pensano e i giovani che decidono.
La prima categoria è composta da coloro che si lasciano trascinare dalla massa e da qualunque proposta di successo o di godimento. Rimangono passivi. Per questi giovani, finché restano in tale situazione, sembra non vi sia altro da fare se non cercare di scuoterli dal loro torpore.
Una seconda categoria è costituita invece dai giovani pensosi. Sono quelli che si pongono delle domande, che hanno un’inquietudine nel cuore, che cercano qualche cosa. Sono molti di più di quanti noi immaginiamo.
Avendo ricevuto ormai da tanti anni moltissime lettere dai giovani, vedo che parecchi di loro si presentano come spensierati e gaudenti, ma nella realtà sono pensierosi e preoccupati, vivono forti momenti di angoscia. Dopo una serata di divertimento in cui magari hanno brillato per la loro capacità di far divertire il gruppo, ritornano a casa nelle prime ore del mattino chiedendosi: che senso ha la mia vita? Io che ci sto a fare qui?
Questi sono giovani che hanno bisogno di una mano amica, di chi li sappia comprendere, di chi sia disponibile a entrare in dialogo con loro. Sono giovani che guardano agli adulti con molta attenzione. A seconda della testimonianza che ricevono e degli esempi che vedono, possono acquistare fiducia e coraggio oppure cadere nel pessimismo.
C’è poi una terza categoria, quella dei giovani decisi. Ne ho conosciuti molti. Non sono necessariamente credenti, alcuni di loro non frequentano molto la chiesa. Ma hanno nel cuore dei valori forti e sanno sacrificarsi per essi. Sono i giovani che troviamo nelle varie iniziative di volontariato, che si decidono presto per una vita di dedizione agli altri. Sono giovani che, secondo la felice espressione di Benedetto XVI, hanno saputo «osare l’amore». Il Papa li invita a non desiderare «niente di meno per la vostra vita che un amore forte e bello, capace di rendere l’esistenza intera una gioiosa realizzazione del dono di voi stessi a Dio e ai fratelli» (Giornata mondiale della gioventù 2007).
A questi giovani dico: voi siete una minoranza, ma una minoranza qualificata, capace di guidare e di trascinare altri. L’avvenire è sempre stato di minoranze forti, non di masse passive attratte solo dal gusto di ciò che piace.
Questi giovani vanno aiutati, sostenuti, incoraggiati. Con loro si può guardare avanti, ma a condizione che si lasci loro il giusto spazio, sia di azione che di parola, e che siano riconosciuti come veri protagonisti del nostro vivere sociale.
I grandi valori entrano nell’insieme della personalità attraverso il cuore, la mente e le mani. Attraverso il cuore quando si parla al loro anelito di qualcosa di più grande. Attraverso la mente quando vengono a contatto con le convinzioni profonde nella ricerca sul trascendente. Ma valori veri si trasmettono anche con le mani: ciò avviene quando questi giovani accettano di sacrificarsi per gli altri. Essi danno grande speranza, e si oppongono al declino della Chiesa e della società. Il Natale ci riporta a questa fiducia in ciò che è nuovo, in ciò che viene ora nel mondo. Facciamo sì che questa fiducia sia condivisa da molti.
Il mistero del bambino
Miti e storia dietro i simboli del natale. Fin dall’età pagana
Quando Virgilio ne cantò la nascita
Per molti fu una profezia dell’avvento di Cristo. Ma nel mondo classico bimbi e culle ricorrono spesso
Nella quarta ecloga il poeta dell’Eneide annunciò l’avvento di un "puer" e di una nuova era
Sarebbe stato l’imperatore Costantino a "cristianizzare" quei versi
Molte leggende riguardano fanciulli che avrebbero cambiato gli eventi
di Maurizio Bettini (la Repubblica, 24.12.2008)
All’inizio della quarta ecloga Virgilio aveva avvertito le Muse: sto per cantare qualcosa di più grande, arbusti e tamerici non bastano più! La poesia bucolica, con le sue selve abitate da pastori innamorati, cede il passo a ben altro annunzio. Di che si trattava? Nientemeno che di una nuova era, profetizzata dalla Sibilla di Cuma. L’ordine dei tempi ricomincia da capo, aveva detto la veggente, e una nuova progenie sta per scendere dal cielo. Torna l’età dell’oro, mentre la Vergine, cioè la giustizia, scende nuovamente fra gli uomini. E se ancora restano tracce della colpa, quella provocata dagli orrori della guerra civile, con il "suo" avvento anch’esse saranno cancellate. Ma l’avvento di chi? Di un bambino.
La grande invenzione che dà vita alla quarta ecloga è per l’appunto questa: la fine dell’orrore e l’inizio di un tempo nuovo vengono fatti coincidere con la nascita di un puer. Un bambino vero, al quale si chiede di sorridere ai propri genitori - la madre lo ha portato in grembo per nove mesi, lo merita - affinché essi ricambino a loro volta quel sorriso; ma nello stesso tempo un bambino divino.
Il puer infatti è destinato a vivere con gli dei, mentre attorno alla sua culla le meraviglie si moltiplicano. Cade il velenoso serpente assieme ad ogni erba mortifera, le pecore non debbono più temere i leoni e le caprette offrono fiduciose le mammelle gonfie di latte. Nel frattempo, la culla in cui giace il puer si riempie spontaneamente di fiori profumati. La rinascita del mondo, nella quarta ecloga di Virgilio, si annunzia dunque in questo modo. Vi era di che colpire la fantasia di chiunque. Anche di un imperatore.
Quasi quattro secoli dopo, infatti, Costantino tenne un’omelia per il venerdì santo indirizzandola «all’assemblea dei devoti di Dio». In questo discorso l’imperatore - lo stesso che dichiarò cristiano l’impero - compì un atto che avrebbe mutato il destino della quarta ecloga: la cristianizzò. L’intenzione era chiara. Dimostrare che la nuova religione aveva dalla sua perfino il maggior poeta di Roma. Secondo Costantino, infatti, Virgilio aveva parlato in modo coperto, per timore di rappresaglie, ma la sua volontà di annunziare il Salvatore era chiara. Chi altro poteva essere la «Vergine» dell’ecloga se non Maria? E quale segno più esplicito del velenoso serpente che «cade» contestualmente alla nascita del bambino? Anche sulla culla del puer, in verità, Costantino compì un’operazione di sottile ermeneutica cristiana - anzi, di abile falsificazione. Nella versione greca del testo di Virgilio, offerta ai fedeli dall’imperatore, la «culla» in cui giace il bambino viene sostituita dalle «fasce» che lo avvolgono. Perché? La spiegazione è teologica. Nel Vangelo di Luca, quando l’angelo annuncia ai pastori la nascita del Salvatore, lo fa con queste parole: «ed ecco il segno: troverete il bambino avvolto nelle fasce e deposto in una mangiatoia». Le fasce formano una parte imprescindibile dello scenario cristiano, costituiscono addirittura un «segno» della divinità. Sostituendole alla «culla» di Virgilio, Costantino identificava definitivamente il puer dell’ecloga con il bambino Gesù.
Gli studiosi continuano a chiedersi se questa orazione sia davvero opera dell’imperatore - o meglio, di qualche letterato di corte - oppure l’abile montatura di un falsario. Ma questo importa poco. Negli stessi anni, infatti, un analogo tentativo di cristianizzare l’ecloga era stato compiuto anche da Lattanzio; e qualora l’autore dell’orazione fosse non Costantino, ma un falsario, ciò non farebbe che confermare il desiderio, da parte della nuova religione, di avere dalla propria parte il maggior poeta romano. In ogni caso, al contenuto messianico dell’ecloga credettero fermamente, nel corso del tempo, personaggi come Pietro Abelardo o Dante Alighieri; e innumerevoli generazioni di cristiani hanno continuato a credervi. Ma allora, chi fu veramente il puer della quarta ecloga?
Torniamo all’inizio della vicenda. Siamo nel 43 avanti Cristo, nel pieno della sanguinosa guerra civile fra Ottaviano e Antonio. Inutile dire che, a questa data, Virgilio non poteva avere alcuna nozione del cristianesimo, per il semplice fatto che esso non era ancora nato. L’ecloga è dedicata a Pollione, console di quell’anno, per cui si potrebbe semplicemente pensare che il puer fosse figlio di costui. Ma davvero Virgilio avrebbe potuto celebrare il rampollo del console come se si fosse trattato di un fanciullo divino, il cui avvento doveva segnare un rinnovamento cosmico?
Sarebbe stato troppo. Non sono mancate perciò interpretazioni più mistiche, o esoteriche, dell’ecloga, secondo le quali il poeta si sarebbe ispirato a culti egiziani o a testi giudaici. Ma quale senso avrebbe avuto, per il pubblico di Virgilio, la ripresa di temi o motivi biblici di cui in quel tempo a Roma si conosceva ben poco? Non facciamoci ingannare dall’importanza che il giudaismo, specie attraverso la mediazione cristiana, ha assunto nel seguito della storia occidentale: la cultura dei Romani, nel primo secolo a. C., era ben diversa dalla nostra. In realtà, non sapremo mai chi fu il puer della quarta ecloga. Ma forse possiamo saperne di più sulla sua culla.
Nella tradizione antica, infatti, altri bambini giacquero in una culla dai caratteri divini. Dioniso prima di tutto, deposto dopo la nascita in un lìknon, un ventilabro: ossia una sorta di cesto, aperto su uno dei lati, che veniva utilizzato per separare il grano dalla pula. Gli antichi definivano «mistico» il lìknon di Dioniso, e liknìtes, «quello del ventilabro», era uno dei nomi con cui il dio veniva invocato nei misteri. Ma anche Zeus, nella grotta di Creta che lo ospitò neonato, fu deposto in una «culla dorata», mentre la capra Amaltea gli porgeva la mammella e l’ape Panacride gli dispensava il proprio miele; e ancora in una «sacra culla» giacque Hermes, il futuro uccisore di Argo.
Sono gli innumerevoli miti che ci raccontano la storia di bambini, destinati a cambiare il corso degli eventi, che proprio per questo ebbero anche una nascita straordinaria. Non solo Dioniso o Zeus, ma anche Ciro il grande o Romolo e Remo, eroi che, quando vennero al mondo, trovarono ad accoglierli una natura inaspettatamente benevola. Acque che placano il loro corso vorticoso, piante che nutrono, animali del bosco o della campagna - un lupa per i gemelli romani, una cagna per Ciro - che esibiscono mansuetudine, e in questo modo forniscono un «segno» indiscutibile del superiore destino che attende l’eroe. Proprio quel che avviene attorno al puer di Virgilio.
Di questa medesima schiera fa parte anche il piccolo Gesù del Vangelo di Luca. Anche lui deposto in una culla insolita, la mangiatoia, proprio come Dioniso nel ventilabro; anche lui circondato da una natura splendente e miracolosa. Guardata con gli occhi dell’antropologo del mondo antico, l’interpretazione della quarta ecloga fornita da Costantino finisce in realtà per rovesciarsi. Se l’imperatore credeva che il puer virgiliano fosse una metafora del Salvatore, a noi sembra piuttosto il contrario. La tradizione cristiana della nascita di Gesù - con il suo scenario di meraviglie, le sue greggi, la sua coppia di animali soccorrevoli - ricorda molto il modo in cui Virgilio, oltre un secolo prima che i vangeli fossero redatti, aveva descritto l’avvento del misterioso puer destinato a rinnovare il mondo.
Il fatto è che entrambe queste nascite sono episodi del ciclo millenario del bambino meraviglioso. All’interno di questo ciclo miti e racconti hanno continuato ad inseguirsi, ad alludersi, a cercarsi, in un gioco che non si è mai interrotto. Come dire che, quando oggi si sparge il muschio attorno alla mangiatoia, nel presepio, o si dispongono le caprette fuori dalla grotta, si ricompone uno scenario al quale ha verosimilmente contribuito anche Virgilio.