Bue e asinello non c’erano
La rivelazione sulla nascita di Gesù nel libro del Papa
È il terzo volume che Bendetto XVI dedica alla vita del Nazareno
Da oggi sarà in tutte le librerie
di Roberto Monteforte (l’Unità, 21.11.2012)
«DI DOVE SEI?» È LA DOMANDA CHE PILATO RIVOLGE A GESÙ. «VOI CHI DITE CHE IO SIA?» È QUELLA, INVECE, CHE GESÙ RIVOLGE AI SUOI DISCEPOLI. Parte da questi interrogativi Papa Benedetto XVI per affrontare il tema dell’infanzia di Gesù, quello che mancava per completare la sua opera sulla vita del Nazareno (i primi due, Gesù di Nazaret I e II, sono stati pubblicati rispettivamente da Rizzoli e dalla Libreria editrice vaticana). Con profondità e chiarezza, ed anche con umiltà come ha sottolineato ieri nella presentazione dell’opera alla stampa il cardinale Gianfranco Ravasi il teologo e Papa Joseph Ratzinger si è cimentato con il commento dei 180 versetti che i Vangeli, in particolare quello di Matteo e di Marco, dedicano all’infanzia e agli eventi che hanno preceduto la nascita di Gesù di Nazaret. L’obiettivo è quello di sottolineare la concreta storicità dell’evento. Il «nuovo inizio» per la storia del mondo e per la liberazione dell’umanità dal peccato.
Così scopriamo, per esempio, che il bue e l’asino non erano nella stalla con Gesù e che pastori in visita al figlio di Dio non cantavano. Il Papa spiega l’origine della nascita secondo le Sacre scritture ma non invita affatto a buttare a mare la tradizione. Perciò chi allestisce presepi a casa o altrove può tranquillamente inserire il bovino e l’equino nella capanna. «Nel Vangelo non si parla di animali», chiarisce Ratzinger. «Ma aggiunge la meditazione guidata dalla Fede, leggendo l’Antico Testamento e il Nuovo, ha ben presto colmato questa lacuna rinviando ad Isaia: “il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”».
Vi era attesa per l’arrivo di un Salvatore. Eppure il Salvatore non trova un posto dove essere accolto. Nasce nella povertà ed è annunciato ai pastori. È stato Gesù a guidare la stella cometa che ha portato a lui i Magi sapienti. Loro sono l’emblema dell’inquietudine dell’uomo in ricerca e dell’attesa interiore dello spirito umano e della ragione che cerca Cristo. Non è mito, ma storia.
Tutto nasce da un atto di libertà. Lo sottolinea l’autore. Da Dio che interpella Maria e da lei che liberamente risponde e si affida al mistero della sua volontà. Il Papa cita Bernardo di Chiaravalle: «Creando la libertà, Dio, in un certo modo, so è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al “sì” non forzato di una persona umana». Perché è solo con l’assenso di Maria che può cominciare la storia della salvezza. L’autore si sofferma sulle reazioni di Maria e di Giuseppe che la prende in sposa. Dei suoi dubbi, della sua intenzione di ripudiarla in segreto e poi della sua scelta di amore e di saggezza. Accetta il mistero. Farà da padre a Gesù e formalmente lo legherà alla tribù di Davide. Ma solo Dio sarà il suo vero padre e Maria, la vergine di Nazaret, sua madre. Vergine e madre. L’altro mistero. Benedetto XVI lo spiega con la potenza di Dio che ha dominio anche sulla materia. Che si mostra nella nascita di Gesù e poi nella sua Resurrezione.
Nel libro si dà conto dei passaggi che anche pubblicamente danno il segno della dimensione umana e della natura divina del figlio di Maria come quando dodicenne lascia la famiglia e con sorprendete sapienza va a predicare nella sinagoga. Un atto di apparente contestazione, di ribellione ai doveri verso i genitori.
Benedetto XVI corregge le letture di un Gesù «liberale» o «rivoluzionario» per sottolinearne la nuova relazione dell’uomo con Dio. Nel racconto di Gesù nella sinagoga a 12 anni, dunque, si ha una «novità radicale e una fedeltà altrettanto radicale».
Gesù compie il suo dovere di figlio di Dio che alla fine lo porterà a morire di croce e Maria a vivere lo strazio del dolore per la morte del figlio per poi vincere la morte. «È un libro su un bambino e su una donna e sul grande significato della libertà» ha osservato il presidente Rcs libri, Paolo Mieli intervenuto alla presentazione del volume con il cardinale Ravasi, la teologa brasiliana Clara Lucchetti Bungemer, il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. L’infanzia di Gesù, pubblicato da Rizzoli e dalla Libreria Editrice Vaticana (176 pagine, 17 euro) sarà da oggi in libreria. È stato già tradotto in 9 lingue e diffuso in 50 paesi (tiratura di oltre un milione di copie) e presto sarà tradotto in 20 lingue per essere pubblicato in 72 Paesi.
Papa. «Le donne accedano ai ministeri del lettorato e dell’accolitato»
Con un motu proprio Francesco abroga la limitazione dell’accesso ai due ministeri istituiti ai laici maschi. Nessuna relazione con il sacerdozio. Riconoscimento del contributo femminile all’annuncio
di Mimmo Muolo (Avvenire, lunedì 11 gennaio 2021)
Le donne potranno accedere da ora in poi ai ministeri del lettorato e dell’accolitato nella Chiesa Cattolica. Senza che però questo debba essere confuso con una sia pur parziale apertura verso l’ordinazione sacerdotale. -Con il motu proprio “Spiritus Domini”, infatti, il Papa ha modificato il primo paragrafo del canone 230 del Codice di Diritto canonico, stabilendo che le donne possano accedere a questi ministeri (la lettura della Parola di Dio durante le celebrazioni liturgiche o lo svolgimento di un servizio all’altare, come ministranti - chierichette o come dispensatrici dell’eucaristia), che essi vengano attribuiti anche attraverso un atto liturgico che li istituzionalizza. Nella nuova formulazione del canone si legge ora: “I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti”. Viene così abrogata la specificazione “di sesso maschile” riferita ai laici e presente nel testo Codice fino alla modifica odierna.
Francesco tuttavia specifica che si tratta di ministeri laicali “essenzialmente distinti dal ministero ordinato che si riceve con il sacramento dell’ordine”. E in una lettera indirizzata al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Luis Ladaria, cita le parole di san Giovanni Paolo II secondo cui “rispetto ai ministeri ordinati la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale”.
Per i ministeri non ordinati come il letterato e l’accolitato, però, "è possibile, e oggi appare opportuno - sottolinea il Pontefice -, superare tale riserva”. Il Papa spiega che “offrire ai laici di entrambi i sessi la possibilità di accedere al ministero dell’Accolitato e del Lettorato, in virtù della loro partecipazione al sacerdozio battesimale incrementerà il riconoscimento, anche attraverso un atto liturgico (istituzione), del contributo prezioso che da tempo moltissimi laici, anche donne, offrono alla vita e alla missione della Chiesa”.
Già da tempo, infatti, in moltissime chiese le donne leggono durante le celebrazioni e le bambine (soprattutto) svolgono il servizio di ministranti. Tuttavia questi ruoli venivano svolti, come ricorda anche Vatican News, senza un mandato istituzionale vero e proprio, in deroga a quanto stabilito da san Paolo VI, che nel 1972, pur abolendo i cosiddetti “ordini minori”, aveva deciso di mantenere riservato l’accesso a questi ministeri alle sole persone di sesso maschile perché li considerava propedeutici a un eventuale accesso all’ordine sacro.
Francesco, invece, recepisce quanto richiesto anche da diversi Sinodi dei vescovi e menzionando il documento finale del Sinodo per l’Amazzonia osserva come “per tutta la Chiesa, nella varietà delle situazioni, è urgente che si promuovano e si conferiscano ministeri a uomini e donne... È la Chiesa degli uomini e delle donne battezzati che dobbiamo consolidare promuovendo la ministerialità e, soprattutto, la consapevolezza della dignità battesimale”.
Ministero istituito, non ordinato
Come sottolinea il Papa nella Lettera che accompagna il motu proprio, al cardinale Ladaria Ferrer prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il lettorato e l’accolitato sono ministeri “istituiti”, cioè affidati con atto liturgico del vescovo, dopo un adeguato cammino, «a una persona che ha ricevuto il Battesimo e la Confermazione e in cui siano riconosciuti specifici carismi». Sono altro rispetto ai ministeri “ordinati”, che hanno invece origine in uno specifico Sacramento: l’Ordine sacro. Si tratta dei ministeri ordinati del vescovo, del presbitero, del diacono.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LO SPIRITO DI ASSISI. LA LEZIONE DI GIOVANNI PAOLO II SULLA DONNA E SULL’UOMO E SU DIO: Karol J. Wojtyla ha compreso il "segreto" delle due persone che gli hanno dato la vita (il padre di religione cattolica e la madre di religione ebraica) e, al di là della loro identità e differenza, ha ritrovato l’Arca dell’Alleanza d’Amore ("Charitas") dei "due cherubini". Per questo ha potuto ri-illuminare il mondo e ri-unificare l’intera umanità intorno a sé, non per altro e non - confondendo Dio-Mammona ("caritas") con Dio-Amore ("charitas") - per negare e uccidere addirittura l’Altro!!! (Federico La Sala, 08.02.2008).
FLS
DANTE 2021: DUE SOLI. "Sogno un’Europa sanamente laica" (papa Francesco, Lettera all’Europa) *
Laicismo.
Crocifisso nelle aule scolastiche senza pace, questa volta va in Cassazione
Rimessa alla decisione delle Sezioni unite la questione sollevata dalla battaglia legale di un insegnante di lettere toscano che chiede di rimuovere il simbolo cristiano durante le sue lezioni
di Marcello Palmieri (Avvenire, sabato 31 ottobre 2020)
Crocifisso sì o crocifisso no? Il simbolo cristiano divenuto nei secoli anche immagine di "laicissimi" e condivisi valori universali, torna di nuovo nelle aule giudiziarie. Ma non sul muro : sul banco degli imputati.
A portarcelo, stavolta, è un insegnante di lettere toscano, che ha ingaggiato da anni una battaglia legale contro il proprio dirigente scolastico - e pure contro l’assemblea dei suoi studenti - per vedersi riconoscere il diritto di staccare dal muro delle aule il crocifisso durante le ore delle proprie lezioni.
La vicenda, ora, è arrivata in Cassazione. Dove la Sezione lavoro, ritenendo la causa di particolare importanza, ha deciso di rimetterla al primo presidente della Corte, perché la devolva alle Sezioni unite. Così facendo, la pronuncia avrà un grande valore : difficilmente, infatti, i giudici territoriali potranno decidere in modo difforme eventuali casi analoghi che dovessero presentarsi successivamente in Italia.
Ma, già ora, sorge una perplessità di fondo: solitamente la Cassazione decide a Sezioni unite le questioni sulle quali si era formato un contrasto giurisprudenziale. Spesso, infatti, situazioni quasi uguali vengono risolte dai giudici in modo diverso, e lo stesso accade anche tra le diverse sezioni della medesima Cassazione.
Sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, però, sembrava non esserci più alcun dubbio. Il Consiglio di Stato nel 2006 aveva stabilito che « è un simbolo idoneo a esprimere l’elevato fondamento di valori civili (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, etc...) », che hanno sì un’origine religiosa, ma che pure « delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato ». Da qui, dunque, l’idea che « il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte laico, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica, altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni ».
E che il crocifisso potesse rimanere nelle scuole l’ha detto più di recente, nel 2011, anche la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, massima istanza della Cedu : « È un simbolo essenzialmente passivo - hanno scritto i giudici di Strasburgo, decidendo la causa intentata da Soile Lautsi, un’italiana di origini finlandesi, contro il nostro Pese - che non contrasta né con il diritto dei genitori alla libera educazione dei figli né con la libertà di pensiero, coscienza e religione. E se è vero che questa icona « dà alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico », è pur sempre una discrezionalità dello Stato - insindacabile dalla Corte europea - quello di decidere dove esporlo.
Ma ecco che l’ordinanza di remissione alle Sezioni unite della Cassazione mette in dubbio proprio questa "passività" riconosciuta dalla Cedu : « Si potrebbe dubitare dell’asserito ruolo passivo - hanno scritto i giudici della Sezione lavoro - qualora all’esposizione del simbolo si attribuisse il significato di evidenziare uno stretto collegamento fra la funzione esercitata e i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama ».
Ma per Angelo Salvi, giurista del Centro Studi Livatino, questa perplessità « non sembra valorizzare l’eredità più importante del causo Lautsi, che consiste nell’individuazione del perimetro nel quale va delimitato il concetto di neutralità religiosa ».
In parole povere : secondo la Cedu, lo Stato non deve astenersi da qualsiasi richiamo religioso. Semplicemente, gli viene chiesto di non offendere i diritti di ognuno in relazione al proprio credo. Cosa che, ovviamente, un crocifisso appeso al muro non può fare. Ma attenzione : diversamente - è sempre Salvi a notarlo - si rischierebbe di « virare verso un modello di laicità "rigida" alla francese, che si declina in termini di incompatibilità con la religione ».
L’Italia e il crocifisso, una controversia infinita
Dall’Europa l’ultimo sì, ’la sua esposizione non lede la libertà religiosa’
di Redazione ANSA 01 ottobre 2019
ROMA L’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici - in particolare nelle scuole, nelle aule di giustizia e nei seggi elettorali - è legittima o è in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini, di libertà di religione e di laicità dello Stato ? La controversa questione - che contrappone da decenni cattolici e laici - si ripropone periodicamente e torna ora di nuovo di attualità alla luce delle ultime affermazioni del ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, il quale ha detto di ritenere l’esposizione della croce nelle aule scolastiche "una questione divisiva" e di preferire una "scuola laica", suscitando reazioni di disapprovazione da parte del mondo cattolico, favorevoli da parte degli atei e degli agnostici. Sull’argomento, l’ultima pronuncia giurisdizionale di rilievo si è avuta nel 2011 ed è stata della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo, che, accogliendo un ricorso dell’Italia, ha definitivamente ritenuto legittima l’esposizione del crocifisso, ribaltando una sentenza di segno opposto della stessa Corte europea.
La vicenda giudiziaria, durata quasi nove anni, ebbe origine in una scuola di Abano Terme e seguì un iter complesso : IL FATTO - Il 27 maggio 2002 il Consiglio di Istituto della scuola Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova) respinge il ricorso della famiglia di due alunne e decide che possono essere lasciati esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi, ed in particolare il crocifisso, unico simbolo esposto.
IL RICORSO - La decisione del Consiglio di Istituto viene impugnata dalla madre delle due alunne davanti al Tar del Veneto. Nel ricorso si sostiene che la decisione del Consiglio di Istituto sarebbe in violazione del principio supremo di laicità dello Stato, che impedirebbe l’esposizione del crocifisso e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche, perche’ violerebbe la "parità che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche a-religiose".
LA POSIZIONE DEL MINISTERO - Il Ministero dell’Istruzione, costituitosi nel giudizio, sottolinea che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è prevista da disposizioni regolamentari contenute in due regi decreti : uno del 1924, n. 965 ; l’altro del 1928, n. 1297 Tali norme, per quanto lontane nel tempo, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere reso dal Consiglio di Stato n.63 del 1988.
LA PRIMA DECISIONE DEL TAR, ATTI ALLA CONSULTA - Il Tar compie un esame delle norme regolamentari sull’esposizione del crocifisso a scuola e conclude che esse sono tuttora in vigore. Rimette, tuttavia, gli atti alla Corte costituzionale. La norma che prescrive l’obbligo di esposizione del crocifisso - scrivono i giudici - sembra delineare "una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio", che apparirebbe in contrasto con il principio di laicità dello Stato.
LA CORTE COSTITUZIONALE, RICORSO INAMMISSIBILE - La Consulta dichiara inammissibile il ricorso : le norme sull’esposizione del crocifisso a scuola sono "norme regolamentari", prive "di forza di legge" e su di esse "non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale". Gli atti tornano al Tar.
SECONDA DECISIONE TAR, CROCE NON CONTRASTA CON LAICITA’ - Il crocifisso, "inteso come simbolo di una particolare storia, cultura ed identità nazionale (...), oltre che espressione di alcuni principi laici della comunità (...), può essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicità dello Stato". Si conclude con queste parole la sentenza del 2005 con la quale il Tar rigetta il ricorso della madre della due alunne di Abano.
IL CONSIGLIO DI STATO, CROCIFISSO HA FUNZIONE EDUCATIVA - Il Consiglio di Stato chiude la parte italiana della vicenda, con il rigetto definitivo del ricorso della madre delle due alunne.
Il crocifisso - scrivono i giudici - non va rimosso dalle aule scolastiche perché ha "una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni" ; non è né solo "un oggetto di culto", ma un simbolo "idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili" - tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua liberta’, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione - che hanno un’origine religiosa, ma "che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato".
CORTE EUROPEA BOCCIA ITALIA, POI RIMETTE A GRANDE CAMERA - Il 3 novembre 2009 la Corte europea per i diritti dell’uomo boccia l’Italia : il crocifisso appeso nelle aule scolastiche - rileva la Corte - è violazione della liberta’ dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Il governo italiano ricorre e la Corte europea decide di affidare la soluzione del caso alla Grande Camera.
GRANDE CAMERA STRASBURGO ASSOLVE L’ITALIA. Con la sentenza del 18 marzo 2011 la Grande Camera ribalta il verdetto della Corte e dice definitivamente sì all’Italia, ritenendo che l’ esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e negli altri luoghi pubblici non possa essere considerato un elemento di "indottrinamento" e dunque non comporta una violazione dei diritti umani. "Le autorità - dice la Grande Camera - hanno agito nei limiti della discrezionalità di cui dispone l’Italia nel quadro dei suoi obblighi di rispettare, nell’esercizio delle funzioni che assume nell’ambito dell’educazione e dell’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire l’istruzione conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche".
FLS
Materiali sul tema:
EUROPA ED EVANGELO. LA ’CROCE’ DI CRISTO ("X" = lettera alfabeto greco) NON HA NIENTE A CHE FARE CON IL "CROCIFISSO" DELLA TRADIZIONE COSTANTINIANA E CATTOLICO-ROMANA.
"X"- FILOSOFIA. LA FIGURA DEL "CHI": IL NUOVO PARADIGMA.
Federico La Sala
La Domenica della Parola. Fisichella: «C’è polvere sulle nostre Bibbie»
L’arcivescovo: quella di Francesco è una iniziativa profondamente pastorale. Il nostro popolo ascolta la Parola solo a Messa la domenica, serve un contatto quotidiano
di Mimmo Muolo (Avvenire, martedì 1 ottobre 2019)
Parla il presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione: il Papa dà grande importanza all’omelia. Sollecita molto i sacerdoti a non improvvisare ma a dare ai fedeli dei contributi che aiutino a riflettere «Ricordo la lettura integrale della Bibbia in tv. Esperienza molto positiva»
Sull’importanza e il significato della Domenica della Parola di Dio, Avvenire ha sentito l’arcivescovo Rino Fisichella. «È una iniziativa profondamente pastorale - spiega il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione - con cui papa Francesco vuole far comprendere quanto sia importante nella vita quotidiana della Chiesa e delle nostre comunità il riferimento alla Parola di Dio, cioè a una Parola non confinata in un libro, ma che resta sempre viva e si fa segno concreto e tangibile».
Ci sono tre icone bibliche che il Papa utilizza nella Lettera per esprimere l’importanza di questa iniziativa. Ce le vuole spiegare?
La prima è l’episodio dei discepoli di Emmaus. Il Papa prende questa immagine per sottolineare che è Cristo stesso a farci comprendere le Scritture nel loro significato più profondo. E in tal modo mostra che tutta la Scrittura parla di Cristo e che può essere interpretata a partire da Cristo. Il secondo esempio proviene dal libro di Neemia. Al ritorno dall’esilio il popolo ritrova i rotoli della legge e al sentir risuonare il libro sacro piange di commozione. In sostanza è la Sacra Scrittura che ci rende un popolo. E quindi ci dà anche la possibilità di trasmettere in maniera viva la Parola che è stata messa per iscritto. La terza immagine è presa dal profeta Ezechiele e dal libro dell’Apocalisse, dove si dice che il rotolo del libro dato al profeta perché ne mangiasse era dolce al palato. Ma l’Apocalisse aggiunge che una volta arrivato nello stomaco divenne amaro. E il Papa prende questa immagine per dire che certo la Parola di Dio è dolce, va annunciata perché corrisponde alle nostre domande di senso, ma l’amarezza viene quando ne siamo distanti o la rifiutiamo o non la mettiamo in pratica.
Con quali modalità verrà celebrata la Domenica?
Molto semplicemente si chiede - senza modificare nulla nella liturgia - di rendere più evidente la proclamazione della Parola di Dio. Il Papa si rivolge anche ai vescovi perché in quella domenica affidino il ministero ai Lettori e suggerisce di formare delle persone che sull’esempio dei ministri straordinari dell’Eucaristica, siano ministri straordinari della Parola.
Perché è stata scelta come data la terza domenica del Tempo ordinario?
Perché in questa domenica le letture, il Vangelo particolarmente, parla dell’inizio del ministero di Gesù, che annuncia il Regno di Dio. Così il Santo Padre indica alla Chiesa una modalità di azione. La domenica della Parola di Dio deve porsi come un punto verso cui orientare sempre di più il cammino delle Chiese, che poi può essere integrato con diverse iniziative per dare sostegno, forza e significato a tutto l’anno liturgico. Non dimentichiamo inoltre che la terza domenica del Tempo ordinario cade sempre nel mese di gennaio e dunque a ridosso della giornata del dialogo con gli ebrei e della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Questa scelta assume perciò anche una grande valenza ecumenica e interreligiosa.
C’è anche un valore di condivisione con i più poveri?
Senz’altro. Il Papa cita la parabola del ricco e di Lazzaro e sottolinea il rimprovero di Abramo al ricco che chiede di mandare qualcuno dai morti. Non ce n’è bisogno. Hanno Mosè e i profeti. Li ascoltino. È il richiamo all’ascolto della Parola di Dio che ci provoca ad essere attenti alla testimonianza fatta di segni tangibili a favore dei più disagiati.
L’iniziativa del Papa si iscrive nel cammino conciliare che dalla Dei Verbum ha rimesso la Parola nelle mani dei fedeli?
Certamente sì. Francesco ricorda i grandi passi fatti grazie alla Dei Verbum e fa riferimento anche alla Verbum Domini, pubblicata dopo il Sinodo sulla Parola di Dio. Anzi, nella sua Lettera c’è l’invito a riprendere in mano soprattutto il secondo capitolo della Dei Verbum. Vale a dire: la Parola di Dio è viva e viene trasmessa attraverso l’azione e la responsabilità del popolo di Dio. Da qui l’impegno di tutti i credenti ad essere fedeli annunciatori alle generazioni future.
Anche qui il Papa sottolinea l’importanza dell’omelia. Perché?
Papa Francesco attribuisce grande importanza all’omelia. Sollecita molto i sacerdoti perché non improvvisino e anzi diano ai fedeli dei contributi che aiutino a riflettere. È un grande stimolo pastorale che tocca tutti i ministri ordinati e ci aiuta a comprendere come l’annuncio della Parola richieda uno sforzo previo di preghiera di meditazione e di studio.
Si potrà accompagnare la Domenica della Parola anche con iniziative di tipo culturale?
Perché no? Ricordo ad esempio la lettura integrale della Bibbia fatta in tivù qualche anno fa. Sono esperienze molto positive che attraggono e che ci riportano alla scena del libro di Neemia quando il popolo ascoltava. Purtroppo abbiamo un limite. Il nostro popolo ascolta la Parola di Dio solo quando si reca a Messa la domenica. Per il resto la Bibbia è il libro più diffuso ma anche quello più carico di polvere nelle nostre librerie di casa. Ben vengano dunque tutte le iniziative complementari a quelle della proclamazione liturgica, dove è Cristo stesso che ci parla. Inoltre non dimentichiamo che il Papa ha voluto firmare questo documento il 30 settembre, in occasione della memoria liturgica di san Girolamo, grande studioso della Bibbia, perché quest’anno iniziano in tutto il mondo le celebrazioni per i 1.600 anni della sua morte avvenuta nel 420. E quindi le iniziative che già sono pianificate per l’anniversario faranno da sostegno a questa Domenica, che si spera possa radicarsi sempre di più come una tradizione felice in tutte le nostre comunità. Rino Fisichella
di Michele Ciliberto (l’Unità 24.12.12
Per quale motivo i laici, e anche i non credenti, festeggiano il Natale? Quale è il significato che essi assegnano a questa festività che ricorda, e celebra, l’Incarnazione (insieme alla Resurrezione il centro costitutivo della religione cristiana)?
Vorrei cercare di rispondere a queste domande da storico della filosofia, sostenendo queste tesi: l’Incarnazione è una base essenziale della concezione della storia umana come storia della libertà; è il fondamento di una visione dell’uomo quale principio di libertà e di responsabilità; con essa inizia a svolgersi, in termini nuovi, il principio dell’eguaglianza e di un comune destino come predicato originario dell’umanità.
Alla base di questa visione che fonda una concezione integralmente nuova della storia e dei fini che in essa l’uomo si propone stanno due motivi essenziali: la «conciliazione» di umano e di divino, che si realizza nella figura di Cristo; il mutamento radicale, rispetto alla filosofia greca, nel rapporto tra Dio e uomo e, di conseguenza, tra uomo e Dio. Vediamoli entrambi cominciando dal primo.
«La certezza dell’unità di Dio e dell’uomo è il concetto di Cristo, dell’Uomo-Dio. Cristo è apparso,un uomo che è Dio e un Dio che è uomo; da ciò il mondo ha avuto pace e conciliazione». Così scrive Hegel nelle Lezioni di storia della filosofia, illuminando il significato della Incarnazione e della figura di Cristo nella storia del pensiero e in quella del mondo.
Questa posizione è il punto di approdo di un lungo travaglio che attraversa fin dalle origini anche la filosofia moderna. Esso concerne precisamente la possibilità della «conciliazione» fra umano e divino di cui parla Hegel: come è possibile che finito e infinito, uomo e Dio, possano «conciliarsi» nella figura di Cristo? Se è incommensurabile la distanza tra l’uno e l’altro, la figura di Cristo si rivela come una sorta di creatura mostruosa una specie di centauro senza alcun fondamento filosofico e teologico. Infatti il rapporto tra divinità e umanità potrebbe darsi solo in termini di «assistenza» della prima alla seconda; non di «inerenza», inconcepibile sia dal punto di vista filosofico che teologico.
Queste sono posizioni di pensatori radicalmente estranei al cristianesimo; ma anche un grande cristiano e un profondo pensatore come Pascal esclude, da un punto di vista filosofico, la «conciliazione» di umano e di divino: solo la verità del Vangelo, osserva, «concilia la contrarietà con un’arte affatto divina e ne fa una saggezza veramente celeste in cui si conciliano quegli opposti, incompatibili in quelle dottrine umane». Come egli stesso precisa subito dopo, questa è però teologia, non filosofia.
La forza e la grandezza della posizione di Hegel sta precisamente nel porre in termini filosofici la «conciliazione» di umano e di divino, interpretando a questa luce la figura di Cristo e l’Incarnazione. Lo fa perché elabora una nuova teoria degli «opposti» risolvendo il problema di fronte al quale Pascal si era fermato, abbandonando il campo filosofico per quello teologico.
A differenza di Pascal il quale aveva respinto drasticamente la possibilità che gli «opposti» fossero «nel medesimo soggetto» Hegel «concilia» umano e divino nella figura di Cristo, stabilendo le basi della concezione della storia come storia della libertà. E strappando, con Lutero, Cristo alla tomba in cui l’avevano cercato i crociati, lo pone nella interiorità dell’uomo, nella spiritualità che si «acquista solo nella conciliazione con Dio, nella fede e nella partecipazione». Quella cristiana è perciò una «dottrina della libertà» individuale, fondamento di una nuova concezione dell’uomo e della storia, di cui l’Incarnazione e la figura di Cristo sono fondamento essenziale.
È un’acquisizione filosofica decisiva dalla quale non sarà più possibile tornare indietro, e che il pensiero laico farà sua nei suoi esponenti più alti e significativi. Si potrà discutere dei caratteri della libertà, ma che essa sia il principio della storia umana e che il cristianesimo abbia svolto una funzione essenziale questo è ormai un dato acquisito.
E veniamo ora al secondo elemento. L’Incarnazione e la figura di Cristo generano un altro «principio» filosofico essenziale anche per un laico, consistente nel mutamento radicale, rispetto al pensiero greco, del rapporto tra Dio e l’uomo.
Lo ha detto in pagine molto belle Max Scheler: mentre la concezione greca presenta un uomo che si sforza di salire verso Dio, il cristianesimo con la figura di Cristo rovescia questo punto di vista, presentando un Dio che discendendo verso tutti gli uomini, accoglie con un gesto di amore totale l’intera umanità. Nella concezione cristiana si attua perciò un vero e proprio «rivolgimento dell’amore»: «il nobile si abbassa all’ignobile, il sano all’ammalato, il messia ai pubblicani ai peccatori e questo senza la paura antica di diventare meno nobili ma nella più strana convinzione di guadagnare l’eccelso, di divenire simili a Dio».
Un motivo assai intenso, svolto con efficacia anche da Barth: «L’uomo può dirsi senza Dio, può sentirsi ateo, ma Dio non può dirsi senza l’uomo perché Dio non è più senza l’uomo, rimane abbracciato, così coinvolto con l’umanità da appartenere ad essa». Quello cristiano è un Dio che, coprendo ogni persona con la sua luce e il suo calore, pone le basi di quel principio di solidarietà e di eguaglianza tra tutte le creature che diventerà poi un principio essenziale della filosofia e del pensiero politico moderni.
In conclusione: libertà, responsabilità, eguaglianza sono tutti concetti che hanno a che fare con l’esperienza cristiana e con la dottrina della Incarnazione, e perciò con il Natale. Sarebbe stolto negarlo o occultarlo; come sarebbe sciocco trascurare l’originalità e la creatività con cui il pensiero laico ha ripensato e sviluppato queste radici. La nostra comune civiltà nasce e fiorisce da semi differenti: ieri come oggi il nostro compito è riconoscerli e riaffermarli nella loro autonomia e specificità.
La fede cristiana si sviluppa intorno a un’idea di salvezza che è pienezza di umanità, nel mondo e col mondo.
La storia del Logos ne è paradigma
Un bimbo il Dio che rischia non è solo spirito
Il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa
Il cristianesimo non è una «religione civile»
È la compromissione radicale del divino con la storia dell’umanità che spinge i cristiani alla passione per la giustizia
di Serena Noceti (l’Unità, 24.12.2012)
In principio era il Logos, il Logos era presso Dio e il Lo gos era Dio... E il Logos divenne carne». Con la loro incisiva lapidarietà queste parole del Quarto Vangelo, che vengono proclamate nelle chiese ogni anno nella liturgia del Natale, consegnano a una prospettiva essenziale, davanti al profluvio di parole sulla solidarietà, la condivisione, la bontà con cui si offre la reinterpretazione del Natale in una società ormai secolarizzata e post-cristiana, ma sempre segnata nei tempi del vivere collettivo dalla sua tradizionale storia cattolica.
Sono parole che sintetizzano la coscienza di fede cristiana sulla ineliminabile relazione di Dio con il mondo, sulla sua compromissione radicale con la storia dell’umanità, e insieme vogliono esprimere una parola significativa sull’umano, a partire dalla concreta vicenda di Gesù di Nazareth.
Le parole del Vangelo di Giovanni sono parole che possono raggiungere nella loro paradossalità anche gli uomini e le donne credenti e non abitatori di questa tarda modernità, perché parlano di «divenire» e di «carne», di un definitivo (che non è l’assoluto) nel frammento di un esistenza singolare e limitata; perché hanno la capacità di interpellarci attraverso il tempo a riconsiderare in modo nuovo la nostra stessa storicità, dischiudendone orizzonti di senso e di resistente speranza. Quando la Bibbia ricorre al termine «carne», infatti, esprime l’essere umano integrale visto nella sua fragilità, nella debolezza, nella mortalità, nello stare in una rete di relazioni che qualificano l’identità singolare e nell’essere determinato e «de-finito» dallo spazio e dal tempo.
La fede cristiana si sviluppa intorno a un’idea di salvezza che è pienezza dell’umanità, nel mondo e con il mondo, di cui la storia del Logos incarnato è fondamento e paradigma. La progressiva tecnicizzazione del mondo e della vita, lo sviluppo rapido dei sistemi di comunicazione e di trasporto, l’evoluzione dei sistemi sociali stanno modificando in maniera sostanziale proprio la nostra percezione dello spazio e del tempo. «Com-presenti» al mondo intero e segnati da un egemonico presente che sembra presentarsi a noi già compiuto, pronto per essere consumato e abbandonato per fare spazio non al futuro, ma a nuovi presenti, siamo affascinati da una «possibile onnipotenza» e insieme sperimentiamo un inedito dis-orientamento: abbiamo smarrito il senso del tempo, di una storia collettiva che goda di radici che custodiscono identità in divenire, di una progettualità di futuro capace di una speranza che orienti le prassi dell’oggi.
L’annuncio cristiano ha al centro non una verità a-storica su Dio, ma la paradossale affermazione che mediatore di salvezza per l’umanità intera è l’uomo Gesù Cristo, nella singolarità della sua vicenda umana, data nello spazio e nel tempo: una biografia segnata dalla parzialità come ogni altra esistenza umana (a iniziare da quella di sesso), ma capace di interpretare
il «qui ed ora» nella permanente dinamica trasformativa del futuro. Davanti a quella volontà di potenza che ci fa perdere di vista la nostra condizione di fragilità il cristianesimo proclama non una verità a-storica sul divino e sulla trascendenza, ma il volto di Gesù di Nazareth. Nel Natale ricorda che, se contraddistingue l’umano (e il divino) lottare per ridurre ogni fragilità e vincere ogni alienazione, è proprio della maturità umana la coscienza che individuazione del senso, esercizio di libertà, crescita autentica sono connessi con il limite e il determinato.
Non «semplicemente» il «farsi uomo» di Dio, ma il «farsi carne» (sarx), lo sperimentarsi nella condizione spazio-temporale e nella storicità di un divenire libero e responsabile, per una salvezza che passa dall’impotenza della sarx di Gesù e quindi non impone, non vincola, ma si propone alla libertà di ognuno. È una proposta di fede che chiede di superare ogni concezione di un Dio «a-patico» e immutabile e ogni comprensione della verità che sia a-storicamente pensata, per aprirsi a una rivelazione di Dio nella storia e come storia, che comporta interpretazione e coscienza del relativo. Al di là del pittoresco e dell’aurea di innocente candore veicolata dai nostri presepi, il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa perché costringe ad abbandonare un’idea infantile di salvatore che, quale onnipotente e deresponsabilizzante Deus ex machina sceso nei contesti dolorosi della vita in cui si è sperimentato il limite del nostro possibile, viene a liberarci dalla finitudine dell’umano e dal rischio della libertà.
Fin dall’inizio del cristianesimo si è vigilato per mantenere la verità della «carne» di Gesù davanti alle ricorrenti tentazioni gnostiche, alle riduzioni spiritualizzanti o etiche della fede, al concentrarsi sulla natura divina di Cristo a detrimento della concretezza della sua persona umana. Anche oggi, in un tempo in cui è sempre più evidente la tentazione di risolvere l’esperienza cristiana nell’interiorità o in una spiritualità dedita a un sacro che semplifica e rifugge dalla complessità del mondo, mentre molti tentano di ri-ascrivere il cristianesimo a un destino di civil religion, la memoria del «Natale nella carne» si pone come interruzione necessaria per i cristiani affinché ritornino a declinare un annuncio significativo per tutti, perché ancorato all’effettività corporea di Gesù quale luogo dell’esserci di Dio, capace di ridisegnare il pensiero sull’umano e sul divino.
di Massimo Gramellini (La Stampa, 5 dicembre 2012)
In occasione del Santo Natale e del Santissimo Twitter, dove Benedetto XVI sbarcherà a giorni con il profilo Pontifex, da ieri è possibile inviare una domanda al Papa digitando un massimo di 140 caratteri sul telefonino. Gli italiani, popolo profondo e spirituale, ne hanno immediatamente approfittato per rivelare a Ratzinger i loro tormenti interiori.
«Benedè, di’ la verità. Ogni tanto ce ’a metti ’a nutella dentro l’ostia?», «Se ti mando un po’ di casse d’acqua, mi rimandi indietro i boccioni di vino?», «Santo Padre, ma è lei a essere responsabile dell’evoluzione di Terence Hill da Trinità a don Matteo?», «Visto che c’hai contatti boni, ti fai dire perché Noè ha caricato quelle minchia di zanzare?», «Se qui sulla terra c’è il digitale terrestre, in paradiso hanno il digitale celeste?», «Ok l’invasione delle cavallette e la tramutazione dell’acqua in sangue, ma la Santanché era indispensabile?», «E’ vero che chi fa la spia è figlio di Maria?», «Si mette mai sui condotti d’aria con la gonna per imitare Marilyn Monroe?», «Se il diavolo veste Prada, lei veste Dolce & Gabbana?», «Che me prendi ’na stecca de sigarette, che ’ndo stai tu costano meno?», «Ti è piaciuto l’ultimo di Lady Gaga?», «Sopra la papamobile come stai messo co’ la sinusite?», «Ma er papa c’ha ’e scarpette rosse perché giocava a basket?», «E’ vero che il terzo segreto di Fatima è la birra non pastorizzata?».
Non si offenda, Santità. Siamo italiani. Comici per timidezza. E leoni da tastiera quando nessuno ci vede. Dal vivo, metà di questi le bacerebbe l’anello e l’altra metà, baciandolo, glielo sfilerebbe dal dito.
No degli artigiani al presepe senza bue e asinello
Guai finanche a pensarlo nei vicoli di Napoli. Nessun posto nel presepe per il bue e l’asinello? La prima reazione dei maestri d’arte presepiale è questa: il sorriso. Poi, subito dopo, c’é anche questo: "Nel presepe napoletano il bue e l’asinello sempre ci sono e sempre ci sarannò". Rispetto massimo, chiariscono gli artigiani, per quanto si legge nel libro di papa Joseph Ratzinger ’L’infanzia di Gesu" secondo il quale nel Vangelo "non si parla di animali". Ma da qui a mettere in discussione un pezzo fondamentale del presepe, ce ne vuole. O meglio: non se ne parla proprio.
* ANSA, 21.11.2012
Il Bambin Gesù del Papa
Quei racconti diversi sull’infanzia di Cristo
di Vito Mancuso (la Repubblica, 21 novembre 2012)
Con il volume intitolato L’infanzia di Gesù che arriva oggi in libreria nei principali paesi del mondo si conclude l’opera complessiva di quasi mille pagine in tre volumi dedicata da Joseph Ratzinger a Gesù di Nazaret. Con essa egli intende far tornare i cattolici a identificare narrazione evangelica e storia reale come avveniva fino a qualche decennio fa, prima dello sviluppo della moderna esegesi storico-critica. Raggiunge l’autore il suo obiettivo? A mio avviso no, perché si tratta di una mission impossible.
Tutti amiamo il Natale con la sua atmosfera di gioia e di pace, e questo nuovo libro del Papa è di grande aiuto nel viverne la spiritualità. L’oggetto sono i primi due capitoli del Vangelo di Matteo e del Vangelo di Luca, i cosiddetti “vangeli dell’infanzia”. Per secoli essi sono stati letti come reali resoconti storici, ma oggi l’esegesi biblica storico-critica è pressoché unanime nel dichiarare il contrario. L’obiettivo del Papa è che i vangeli dell’infanzia possano tornare a essere letti come storicamente fondati.
Il suo avversario di conseguenza non può che essere l’esegesi che, privilegiando la filologia e la storiografia, evidenzia la problematica storicità di molte narrazioni evangeliche. Con questo gli esegeti non intendono dire che i Vangeli sono falsi, ma solo che sulla loro base non si può ricostruire con certezza la storia di Gesù, tanto meno quella della sua nascita, e che occorre leggerli sapendo che la finalità è teologico-spirituale e non storiografica. Nei Vangeli vi sono dati storicamente certi accanto a elaborazioni simboliche storicamente inattendibili e il compito dell’esegesi storico-critica consiste nel distinguere le due dimensioni. L’inevitabile conseguenza però è che il Gesù dei Vangeli non coincide con il Gesù della storia, cioè l’esatto contrario dell’intento programmatico di Ratzinger dichiarato nel primo volume: “Presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio”. E precisamente per questo anche nel nuovo libro, come già nei precedenti, il Papa rivolge ricorrenti attacchi all’esegesi storico-critica (cf. per esempio le pagine 25, 60, 62, 78, 123).
Ma, come tutti coloro che prima di lui hanno tentato di armonizzare i racconti evangelici, anche Ratzinger sorvola sulle contraddizioni tra i resoconti di Matteo e di Luca. Sono esse a rendere impossibile una storia dell’infanzia di Gesù degna di questo nome, come ritengono studiosi del calibro di Brown, Sanders, Meier, Dunn, Barbaglio, Fabris, Maggioni, Jossa, Ortensio da Spinetoli, Pesce e molti altri.
Certo tra Matteo e Luca vi sono elementi comuni: l’identità dei genitori, l’annuncio angelico, il concepimento di Maria senza rapporti sessuali con il marito, la nascita a Betlemme sotto il regno di Erode, il trasferimento a Nazaret. Ma vi sono anche discordanze che non possono essere armonizzate: prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe o risiedevano a Nazaret (Luca) o risiedevano a Betlemme (Matteo); il loro viaggio da Nazaret a Betlemme o ci fu (Lc) o non ci fu (Mt); Gesù nacque o in casa dei genitori (Mt) o in una mangiatoia (Lc); la strage dei bambini di Betlemme o accadde (Mt) o non accadde (Lc); i genitori o fuggirono in Egitto per salvare il bambino dai soldati di Erode (Mt) o andarono al tempio di Gerusalemme per la circoncisione senza che i soldati di Erode si curassero del bambino (Lc); la famiglia da Betlemme o tornò subito a casa a Nazaret di Galilea (Lc), oppure si recò a Nazaret solo dopo essere stata in Egitto e per la prima volta (Mt).
Opposta è inoltre l’atmosfera complessiva che avvolge la nascita di Gesù, regale e tragica in Matteo, semplice e bucolica in Luca: a chi dare credito? Nella mente dei fedeli i due racconti si mescolano senza distinguere gli elementi dell’uno e dell’altro, e il Papa promuove questa tradizionale mescolanza acritica, ma l’esigenza storiografica non lo consente, i dati stanno o come li presenta Matteo o come li presenta Luca, oppure né in un modo né nell’altro, in ogni caso non sono armonizzabili. Quindi se fosse vero, come scrive Ratzinger, che Matteo e Luca “volevano scrivere storia, storia reale, avvenuta” (p. 26), ci troveremmo davvero in un bel guaio, perché uno dei due evangelisti sicuramente sarebbe in errore.
C’è inoltre la questione di come la notizia del concepimento verginale sia giunta agli evangelisti. Il Papa propende per la “tradizione familiare” (p. 65), nel senso che sarebbe stata Maria a comunicare ai discepoli lo straordinario evento di aver concepito il figlio senza rapporti sessuali. Ma se fosse stato davvero così, non si spiegherebbe la scarsa attenzione del Nuovo Testamento per Maria, compreso il libro degli Atti degli apostoli scritto proprio da Luca che la menziona solo una volta e quasi di sfuggita, mentre dà molto più spazio non solo a Pietro e a Paolo ma persino a personaggi secondari come Lidia la commerciante di porpora. È forse credibile che Luca, sapendo direttamente da Maria del concepimento straordinario di Gesù, negli Atti la trascuri completamente, senza scrivere nulla su dove viveva, cosa faceva, come finì la sua vicenda terrena, e senza averle mai dato neppure una volta la parola? Tutto ciò porta a dubitare molto di quanto sostiene il Papa.
La realtà è che i Vangeli dell’infanzia presentano un profilo storico complessivo abbastanza improbabile. Il dato storico sicuro (la nascita di Gesù) è circondato da una serie di particolari incerti se non improbabili, a cominciare dal luogo della nascita, che per il Papa è ovviamente la tradizionale Betlemme, mentre “la maggioranza degli studiosi dubita che Gesù nacque a Betlemme” (The Cambridge Companion to Jesus, p. 22) e un esegeta cattolico come Raymond Brown è giunto a parlare di “prove positive a favore di Nazaret”.
I Vangeli sono quindi inaffidabili? No, sono degni di fiducia, ma solo a patto di distinguervi diversi livelli di storicità, cioè dati storicamente sicuri, dati probabili e dati improbabili. In particolare i vangeli dell’infanzia sono un’interpretazione del significato esistenziale di Gesù, per manifestare il quale il racconto della sua nascita è stato arricchito di una serie di elementi simbolici, com’era normale nell’antichità per i grandi personaggi. Tutto ciò lungo i secoli è servito ad attrarre l’attenzione su Gesù, perché nel passato l’umanità identificava la presenza del divino con i miracoli e lo straordinario. Oggi però avviene il contrario. Oggi i miracoli e lo straordinario sono più di danno che di aiuto all’autentica comunicazione spirituale. Siamo giunti a una visione del mondo più pacata, più disincantata, più realistica, ai fregi del barocco si preferisce l’austera semplicità del romanico.
Questa maggiore maturità si riflette nel lavoro dell’esegesi biblica mediante il metodo storicocritico, un lavoro serio e altamente qualificato come mai prima d’ora nella storia era avvenuto, un lavoro dal respiro internazionale e interconfessionale i cui risultati si offrono alla coscienza senza forzature dogmatiche. Ratzinger però non ama il metodo storico-critico, lo ritiene dannoso per la fede e forse per questo nel suo libro neppure menziona l’autore dello studio più importante sui vangeli dell’infanzia, il già citato Raymond Brown, sacerdote cattolico, a lungo membro della Pontificia Commissione Biblica. Brown conclude così la sua opera monumentale sui vangeli dell’infanzia: “Qualsiasi tentativo di armonizzare le narrazioni fino a farne una storia coerente è destinato al fallimento” (La nascita del Messia, Assisi 1981, p. 677). Ratzinger neppure menziona Brown, ma proprio per questo la sua opera, nonostante alcune belle pagine di taglio spirituale, va incontro al destino prefigurato dal grande biblista americano.
Incontro alla stella di Natale
di Philippe Baud
in “www.baptises.fr” del 1° dicembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
Entriamo nel tempo d’Avvento. Eh sì, di qualcosa che deve avvenire. Ma che cosa deve ancora avvenire? Lasciamo ai fervori New Age e ad altre angosce millenariste l’aumento di adrenalina che esigerebbe, per il 21 dicembre prossimo, la fine di un ciclo del calendario maya (annuncio della... fine del mondo). Gli adepti parlano già di un errore di calcolo che sposterebbe la data...
Quanto ai profeti della Bibbia, anche se prendevano le loro immagini - come del resto anche Gesù - da un genere orientale che chiamiamo “apocalittico”, lo facevano per l’annuncio della buona notizia: “Ecco verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene... in quei giorni farò germogliare un germoglio di giustizia... Gerusalemme vivrà tranquilla” (Geremia, 33, 14-16). In una parola, tutto il contrario di quello che abbiamo sotto gli occhi!
Il sole e la luna restano nella loro orbita, ma vi sono giorni in cui sembra siano cadute le stelle: ne sono piene tutte le strade delle nostre città, dei negozi, dei ristoranti, delle cassette delle lettere. Esagerazione! Il mondo stellare non fa restrizioni per il momento commerciale culminante dell’anno. E siccome non siamo pastori per dormire “sotto le stelle” in questa stagione, dimentichiamo l’avvento: è Natale! cantano i casinò, i mercati, le agenzie di viaggi, lei televisioni.
Allora, cercando in mezzo alle galassie la stella della Natività - la nascita di Dio tra gli uomini - arrivo a chiedermi se non sia come una di quelle sorgenti di fuoco di cui gli astrofisici ci dicono che sono morte da moltissimo tempo, così lontano negli abissi, ma di cui percepiamo ancora la luce. È un po’ l’impressione che ci danno spesso le nostre grandi istituzioni, pubbliche o private: stati, partiti politici, religioni, Chiese, aziende, centri amministrativi e finanziari, musei nazionali e centri di divertimenti... I proiettori sono puntati sulla scena, suonano le trombe, si illuminano gli spot, si alza il sipario, l’apparizione... il nulla! Discorsi ripetitivi, voci aggressive o stanche sotto dorature avvizzite, esortazioni e promesse vuote. Prima di essere aperta, la parentesi è già chiusa.
E la mia Chiesa, intanto? Ha perso il fuoco? Si è spenta sotto il peso dei rituali e della proclamazioni inadeguate o contraddittorie? Dobbiamo annoverarla tra quelle istituzioni solenni e perdute, di cui le statistiche prevedono la morte vicina? A meno che io debba capovolgere la domanda, e chiedermi: “Dov’è il fuoco?”
Per vedere le stelle, bisogna osare abbandonare la città e le luci della ribalta, assumersi il rischio di una certa solitudine: scopriremo allora che l’oscurità è popolata e potremo perfino scorgervi degli “angeli”, dei volti radiosi senza orchestra e senza piume. Per questo Gesù raccomanda ai suoi discepoli: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano!” (Luca 21, 34-36). Perché, per volare, bisogna saper mantenere il cuore leggero, e questa leggerezza si chiama speranza. Che s’infiltra raramente - ve lo concedo - nei grandi apparati. Ma allora, la Chiesa?
Non cercatela né a Roma né a Gerusalemme, ma “Vegliate in ogni momento pregando”. Abbiate il cuore attento a tutta quella brace d’amore che non muore nel freddo dell’inverno, ma che scalda le anime sole, le case modeste, le famiglie in difficoltà, le comunità in ricerca, i giovani assetati “di diritto e di giustizia”, i vecchi sereni e fiduciosi. Lì si trova la Chiesa, è a quella porta che dobbiamo bussare. E lì “troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Luca 2,12): Dio presente in mezzo agli uomini, non visto, fragile, esposto ai rischi delle nostre vacillanti tenerezze, delle nostre insufficienze, delle nostre dimenticanze, ma anche della nostra fede. Paolo, ai suoi amici di Tessalonica, scrive semplicemente: “Che il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore tra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi” (1Ts 3, 12). Lì si trova la stella viva, la luce e il dono. Lì si trova la Chiesa che non muore e la presenza di Dio che sempre nasce: il suo “avvento”.