Aspettando @pontifex. Chiesa e nuovi media
di Teresa Numerico (l’Unità, 4 dicembre 2012)
Anche Benedetto XVI cede al fascino dei social network. dal 12 dicembre prossimo, il giorno della festa della Madonna di Guadalupe, sarà possibile leggere i tweet approvati dal papa. Il debutto del profilo in sette lingue è avvenuto ieri.
@pontifex ha ottenuto in poche ore migliaia di follower. Solo la versione inglese aveva alle cinque del pomeriggio più di centoventimila seguaci. Tuttavia sappiamo che il Papa non si occuperà di persona di scrivere i suoi cinguettii, perché non è particolarmente abituato alle nuove tecnologie, scrive i suoi testi a mano e non usa direttamente gli strumenti elettronici.
La scelta di usare Twitter si pone comunque come un chiaro segnale di apertura nei confronti delle possibilità offerte dai media sociali per il magistero della Chiesa con lo scopo di ottenere l’attenzione di fedeli e interlocutori.
Nel presentare l’iniziativa i rappresentanti vaticani hanno dichiarato che la presenza del Papa su Twitter è una concreta espressione della convinzione che la Chiesa debba essere presente nell’arena digitale. Il profilo papale su Twitter è solo la punta dell’iceberg della riflessione sull’importanza che il vertice della Chiesa cattolica annette alla cultura dei nuovi media.
Sarà possibile anche porre direttamente domande al Pontefice, utilizzando l’hashtag #askpontifex. Il profilo potrà fornire le risposte alle domande che riterrà più opportuno accogliere, sebbene resti chiaro che non saranno prese di posizione ex cathedra. Greg Burke, il consulente per i media del Pontefice, ha spiegato che non si tratta di mandare Benedetto XVI in giro con l’iPad o il Blackberry, né di mettergli le parole in bocca. Il Papa dirà solo quello che vorrà. Probabilmente, però, il primo tweet lo scriverà di persona.
La Chiesa del resto si è sempre sforzata di essere all’avanguardia nell’uso dei mezzi di comunicazione nei secoli, e questa è una delle caratteristiche che ne ha garantito la longevità. Dagli amanuensi che copiavano i manoscritti da conservare, alla svolta della controriforma con il suo braccio comunicatore affidato ai gesuiti, passando per il primo messaggio radiofonico di Pio XI nel 1931, e ancora l’esperienza di comunicazione del Concilio Vaticano secondo, la Chiesa non ha mai abbandonato l’impegno a sperimentare i mezzi di comunicazione più adatti al proprio messaggio. Del resto, uno dei maggiori contributi alla teoria sui media si deve a un pensatore canadese convertito al cattolicesimo come Marshall McLuhan.
Per tornare al presente, molte altre personalità pubbliche, religiose e non, utilizzano i social media per comunicare con i propri interlocutori. Ha da poco fatto il giro del mondo la foto postata da Obama mentre abbraccia calorosamente Michelle dopo la rielezione, nel caso ci fosse ancora bisogno di riconoscere la potenza mediatica di Twitter, che si conferma il social network più amato dalle celebrità. Ma come mai?
Forse perché si tratta di uno strumento che consente di comunicare in modo asincrono e di gestire soprattutto la relazione uno a molti in modo piuttosto efficace. In questo senso non stupisce che il profilo del Pontefice abbia scelto di seguire solo se stesso nelle sue sette varianti linguistiche e di non avere interlocutori, ma solo ascoltatori.
È una scelta precisa: adoperare i social network come un medium di massa e non come uno strumento di interazione. La Santa Sede vuole usare Twitter come un megafono per diffondere la fede e divulgare il proprio messaggio, ma non (o almeno non direttamente) come uno strumento di ascolto di quello che altre personalità religiose e politiche, o anche persone comuni hanno da dire. È una precisa posizione su come essere presenti sui media sociali, non proprio all’avanguardia, pur essendo efficace.
Resta però difficile sottrarsi fino in fondo al carattere interattivo e il profilo @pontifex ci consente di valutare a colpo d’occhio quanti sono i follower nelle varie lingue offrendo un sondaggio naturale sulla reale presenza della religione cattolica nelle diverse comunità linguistiche. Inoltre la scelta delle prime sette lingue, la maggior parte delle quali concentrate in Europa e in America, con l’eccezione dell’arabo, e l’assenza del cinese ci permettono di riconoscere qual è la comunità linguistica alla quale il Vaticano ritiene di doversi rivolgere per sostenere e diffondere il proprio messaggio.
Con l’hashtag Pontifex l’omelia diventa un tweet
di Alessandro Oppes (il Fatto, 4.12.2012)
Un nuovo user irrompe su Twitter. Si presenta buon ultimo ma, come gli garantisce la massima evangelica, sa di avere tutte le carte in regola per arrivare primo. Chi più di Joseph Ratzinger, con un bacino potenziale di centinaia di milioni di fedeli-inter-nauti, può infatti scalzare dalla vetta Barack Obama, attuale leader della rete di microblogging con 24 milioni di followers? A 85 anni, il Papa si getta nella mischia del social network di moda e, nel giorno d’esordio, ha incassato più di 200 mila followers.. E poco importa che, in Rete, ci sia già qualcuno pronto ad avvisarlo: “Non sai in che pasticcio ti stai mettendo”.
È evidente che, al solo annuncio della notizia, diffusa con solennità dalla Sala Stampa vaticana, non potevano che cominciare a circolare scherzi e battute. Volgarità, in certi casi, ma spesso una banale revisione del linguaggio ecclesiastico. Frasi tipo “ama il follower tuo come te stesso”.
Oppure un Giovanni XXIII aggiornato: “Quando tornate a casa, leggete un tweet ai vostri bambini, e ditegli che è il tweet del Papa”. Inevitabili anche le incursioni calcistiche: “Ben detto, pontifex. Dare il Pallone d’Oro a Messi è peccato”. Inconvenienti che, evidentemente, sono stati messi in conto dai collaboratori di Banedetto XVI.
Niente di cui preoccuparsi, se si pensa ai potenziali benefici di un’operazione di “marketing” della fede di cui il Papa era da tempo il più convinto sostenitore. “L’essenzialità dei messaggi brevi, spesso non più lunghi di un versetto della Bibbia - aveva detto Ratzinger all’ultima giornata mondiale delle comunicazioni sociali - permette anche di formulare pensieri profondi”. E allora, ecco che parte la scommessa.
EVANGELIZZARE in 140 caratteri. Cinguettare le Sacre Scritture. Un account dal nome @pontifex (tutte le possibili alternative sono state scartate, perché già occupate) e, in una fase iniziale, tradotto in otto lingue: inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco, polacco, arabo e portoghese. Il profilo è già on line, ma il primo tweet arriverà solo il 12 dicembre.
Per rivolgere domande al Papa su “questioni relative alla vita di fede”, si dovrà utilizzare l’hashtag #askpontifex. A rispondere, sarà uno staff di suoi collaboratori anche se, assicurano in Vaticano, sempre sotto la supervisione di Benedetto XVI. Ovviamente, chiunque può diventare follower del Papa. Ma non aspettatevi che lui vi chieda di diventare vostro seguace. Sarebbe solo una pia illusione.
Note:
LA "LUCE DEL MONDO" SONO "IO"!!! CHE SUCCESSO, QUANTI SOLDI CON I DIRITTI DI AUTORE!!!
"È il mostruoso volto dell’incapacità di entrare in relazione con il prossimo". - Giulia Galeotti
Federico La Sala
«Politica senza visione, è rimasto il vuoto»
di intervista a Gianfranco Ravasi,
a cura di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 01.02.2013)
«Vede, c’è una frase dal Diario di Søren Kierkegaard che amo citare: "La nave è ormai in mano al cuoco di bordo", scrive il filosofo danese, "e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani"». Il cardinale Gianfranco Ravasi abbozza un sorriso un po’ mesto, il presidente del Pontificio consiglio per la cultura ha appena presentato l’assemblea che il dicastero vaticano dedicherà dal 6 al 9 febbraio ai giovani, aperta da un’udienza con Benedetto XVI, e risposto pure alle domande dei ragazzi che gli arrivavano via Twitter, un senso diffuso di estraneità e desolazione, la «tristezza» dei tagli alla cultura, una campagna elettorale che esclude i giovani.
Già il livello del dibattito spesso non aiuta, ma il fatto è che «non possiamo avere una politica che sia esclusivamente di tipo economico, per quanto importanti siano quei temi», sospira il cardinale. «La pólis greca aveva anche la presenza di sapienti. Perché una società ha bisogno di questo respiro, delle grandi prospettive. C’è anche un Pil del benessere, della felicità. E invece ciò che manca alla politica - come peraltro, penso, qualche volta anche alla Chiesa - è proprio la capacità di presentare visioni globali vere e proprie: visioni globali della persona, della società e del mondo».
Manca la classica Weltanschauung, si direbbe, una visione del mondo, e meno male che ci si era rallegrati della morte delle ideologie... «Sì, è vero, ne hanno celebrato i funerali ed erano tutti contenti perché erano state sepolte, le ideologie. Risultato: è rimasta una piattaforma sabbiosa e arida, certe volte il vuoto. Non c’è neppure più l’assenza di qualcosa».
In che senso, eminenza? «Lo scrittore Georges Bernanos distingueva tra vuoto e assenza. Perché parlare di assenza significa almeno avvertire che qualcosa manca. Ma il momento peggiore è questo: quando non ne avverti più neppure il bisogno. L’indifferenza. Tutto uguale, tutto irrilevante».
Il grande biblista ricorda che «otto secoli prima di Cristo, quando vuole esprimere che siamo arrivati al disastro, Isaia dice: "Guardai in giro e non c’era più nessuno da interrogare per avere una risposta". Si dovrà tornare a dare quelle risposte che ormai non risuonano più, nella cultura contemporanea».
Mentre presentava l’assemblea sulle «Culture giovanili emergenti», il cardinale Ravasi ha citato le parole di San Paolo a Timoteo: «Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii tu di esempio...». Bisognerebbe «prestare più attenzione ai giovani anche nella Chiesa, dove dovrebbero poter accedere anche a incarichi di responsabilità», ha spiegato. E ora sorride: «E Timoteo era un vescovo!». Ma il discorso, chiaro, è più ampio e riguarda la società in generale, «la classe dirigente», la politica. Che fa, sostiene la cosiddetta rottamazione? Il «ministro» vaticano della Cultura scuote la testa divertito: «Immaginavo saltasse fuori ma no, la cosa è più complessa.
È necessario dire a quelli che si sono insediati brutalmente che è ora di fare intervenire anche i giovani, aprire a un nuovo vento. E i giovani devono cominciare a prendersi le loro responsabilità e a entrare in scena, tenendo conto però del fatto che non si comincia mai da zero.
La rottamazione, se considerata come demolizione, è pericolosa. È vero quello che Giovanni di Salisbury attribuisce a Bernardo di Chartres, nel XII secolo: "Siamo nani sulle spalle dei giganti". Significa che riusciamo a vedere più lontano perché facciamo tesoro del passato».
Qui sta l’«ingenuità della rottamazione», riflette: «È la pretesa di dire: alziamoci, tocca a noi. Ma per vedere più lontano bisogna avere un passato. E una delle crisi della società contemporanea è di essere smemorata, o di non voler memoria. Chi non ricorda, però, non vive».
Così Ravasi si rivolge ai giovani e alle loro domande, consapevole dello scarto. «Mi sono persino esposto all’ascolto di un cd di Amy Winehouse per averne la prova immediata», ha scherzato.
«Eppure in quei testi così lacerati musicalmente e tematicamente emerge una domanda di senso comune a tutti». Quei ragazzi che sono consapevoli «della media, del grigio, della mucillagine». Ha ragione Pascal, conclude il cardinale: «"L’uomo supera infinitamente l’uomo". Non si accontenta. Lascialo pure così, fallo stupido, consideralo stupido, però alla fine, soprattutto se giovane, andrà oltre».
Preti in tilt tra presepi e tesi assurde
di Luca Kocci (il manifesto, 27 dicembre 2012)
L’asino, il bue, gli immancabili pastori, e poi Pol Pot, Stalin, Margherita Hack e Vito Mancuso: sono i personaggi del presepio contro il «fanatismo laicista» allestito in chiesa da don Gianfranco Rolfi, parroco di San Felice in Piazza, a Firenze. In alto, quasi una stella cometa, una grande scritta: «Schiacciate l’infame». «È una frase di Voltaire contro la Chiesa», spiega il prete, e anche noi «dobbiamo prepararci ad essere schiacciati, umiliati e offesi» da quelli «che dominano la cultura, l’economia, la finanza».
Ma pare che da «schiacciare» siano in realtà coloro che appaiono nelle fotografie attorno al cartello: Stalin, Pol Pot e Hitler (nel confuso collage manca Mussolini, ma forse l’omissione non è casuale). E soprattutto i vivi: il giornalista Corrado Augias, l’astrofisica Margherita Hack, il matematico Piergiorgio Odifreddi - massimi rappresentanti del relativismo e del materialismo ateo, secondo il parroco - ma anche il teologo laico Vito Mancuso, «discepolo» del cardinal Martini, colpevole forse di non essere sufficientemente clericale.
«Sono contenta che non ci sia più l’Inquisizione, non mi sarebbe piaciuto finire arrostita come Giordano Bruno», commenta Margherita Hack. Il parroco avrà realizzato il presepio «sotto gli effetti dell’alcol benedetto», ironizza Odifreddi. Nessuna presa di posizione da parte dell’arcivescovo di Firenze, il cardinal Giuseppe Betori, solo un laconico «mi sento più vicino ai presepi classici che alle rivisitazioni attualizzanti che rischiano di corrispondere più alla nostra sensibilità che all’evento in sé».
Di tutt’altro segno il presepio allestito da un altro parroco toscano, don Armando Zappolini, nella chiesa di Perignano, nel pisano. Protagonista è l’Ilva di Taranto, «bene privato, male comune». Pezzi di ferro compaiono nel tradizionale paesaggio della scena della natività, quasi fosse il piazzale della fabbrica di acciaio; e poi una maschera antigas risalente alla seconda guerra mondiale. «A Cristo è toccata la croce, a noi l’Ilva», si legge su un cartello. «Non è contro Dio solo chi bestemmia o si dichiara ateo, ma soprattutto chi si professa cristiano e poi inquina l’aria che respiriamo», spiega don Zappolini, che è anche presidente del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza e da anni usa il presepio per denunciare le emergenze sociali, dagli sbarchi dei clandestini alla tratta delle donne.
Lo scorso Natale il Gesù del presepio di don Zappolini - che raccoglieva le firme per la legge di iniziativa popolare per la cittadinanza ai neonati stranieri nati in Italia - era un «bambino nato in Italia nella notte fra il 24 e il 25 dicembre da genitori palestinesi senza documenti di soggiorno che non potrà diventare cittadino italiano». Si infuriarono i neofascisti di Forza nuova, che invocarono l’intervento del vescovo. Quest’anno pare che nessuno abbia protestato.
Non ha realizzato un presepio ma evidentemente è stato solleticato dal protagonismo e dalla maggiore partecipazione che ci sarebbe stata in parrocchia per le feste natalizie don Piero Corsi, parroco di San Terenzo, a Lerici, che ha affisso in bacheca un manifesto in cui addossa alle donne le responsabilità delle violenze che loro stesse subiscono.
«Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?», era scritto nel volantino che riproduceva un commento apparso su PontifexRoma (piccolo blog dell’integralismo cattolico radicale) a proposito del «femminicidio», che in realtà sarebbe «un’assurda leggenda nera messa in giro da femministe senza scrupoli». Alcune donne «provocano gli istinti peggiori - continua il volantino - e se poi si arriva anche alla violenza o all’abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?». E per chiarire meglio il concetto, ad un cronista del Gr1 che lo intervistava, don Corsi chiede: «Quando lei vede una donna nuda, quali reazioni prova? O forse è un frocio anche lei?».
Durissime le reazioni da parte delle associazioni delle donne e di Telefono Rosa, e manifesto rimosso ieri, per ordine del vescovo, che del resto dovrebbe ben conoscere le iniziative del suo parroco: ad ottobre, nella stessa bacheca, aveva affisso delle vignette anti-islamiche.
Papa benedice promotrice legge che prevede pena di morte per gay in Uganda
Il presidente del parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, lo scorso 12 novembre aveva annunciato che quella sarebbe stata un ’’regalo di Natale’’ per tutti gli ugandesi anti gay. Ieri la signora è stata ricevuta in Vaticano come racconta nella sua home page il sito del Parlamento del paese africano. Petizione on line contro la norma
di Redazione *
Una legge contro l’omosessualità - da approvare - che tra le ipotesi prevede la pena di morte. Succede in Uganda, uno dei 37 paesi nel mondo che considerano nel loro codice penale l’essere gay un reato. Il presidente del parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, lo scorso 12 novembre aveva annunciato che questa norma sarebbe stata un ”regalo di Natale” per tutti gli ugandesi anti gay. La signora, come si legge sul sito del parlamento del paese africano, è stata ricevuta e benedetta ieri dal Papa che oggi, nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, ha definito i tentativi di accomunare i matrimoni gay a quelli fra uomo e donna “un’offesa contro la verità della persona umana” e “una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace”. Nella foto si vede Benedetto XVI accanto alla speaker.
La legge anti-gay, “The Kill gay bill” duramente contestata, potrebbe essere approvata nei prossimi giorni e per questo sta crescendo la pressione del popolo del web. L’ultimo dato relativo alla petizione on line è che oltre un milione di persone hanno firmato l’appello promosso dalla web community Avaaz.org; “Ultime ore per fermare l’orribile legge anti-gay in Uganda” si legge sulla home page. “Chiediamo ai leader dell’Uganda e ai suoi maggiori paesi partner di unirsi a noi nel condannare ogni persecuzione e difendere i valori della giustizia e della tolleranza”, si legge nel testo della petizione.
Il disegno di legge, presentato dal deputato David Bahati, propone pene detentive più lunghe per gli atti omosessuali rispetto a quelle attualmente in vigore, tra cui l’ergastolo, ma nella sua bozza originale era prevista anche la pena di morte nei casi di omosessualità aggravata; se a commettere il reato per esempio è un malato di Hiv o se si hanno rapporti con minorenni. Nel presentare la legge la Kadaga, lo scorso 12 novembre aveva annunciato che sarebbe stata un ”regalo di Natale”. Il testo, definito lo scorso anno ”odioso” dal presidente americano Barack Obama, ha già scatenato una serie di proteste da parte di alcuni leader mondiali che hanno minacciato di sospendere gli aiuti in favore di Kampala. Chi dovesse vivere con una persona del suo stesso sesso, in caso di approvazione della legge, rischierebbe 14 anni di galera.
“Quello che oggi papa Benedetto XVI ha anticipato quale messaggio per la Giornata Mondiale della Pace che si celebrerà l’1 gennaio 2013 è probabilmente il peggiore di sempre: arma infatti gli omofobi di tutti i paesi con un invito ad una crociata senza quartiere contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso” commenta Flavio Romani, presidente nazionale Arcigay, secondo il quale “leggere pero’ nelle altisonanti parole del pontefice che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una minaccia per la giustizia e per la pace, oltre a qualificare da sé il messaggio, testimonia l’assenza di argomentazioni realistiche e sensate da parte della Chiesa Cattolica sull’argomento”.
Per Romani “il matrimonio anche per gay e lesbiche ha vinto e si sta affermando in tutto il mondo, in paesi governati sia da conservatori che da progressisti, e arriverà anche in Italia, al di la’ di questo canto del cigno. Certo, dopo il laico pronunciamento di ieri del Parlamento europeo a favore di unioni civili e matrimonio per persone dello stesso sesso votato democraticamente a maggioranza, non ci attendevamo di meglio da una teocrazia che rincorre su questi temi il peggior integralismo.
Il messaggio anticipato oggi è tristemente coerente con la benedizione data ieri in Vaticano alla delegazione parlamentare ugandese guidata dalla portavoce Rebecca Kadaga, una delle più forti promotrici della ‘Kill the Gay Bill’, la legge che il parlamento ugandese si appresta ad approvare e che prevede la pena di morte per ‘omosessualità aggravata’. Con queste due azioni - conclude - Benedetto XVI continua a rappresentarsi come un apostolo di ingiustizia, divisione e discriminazione ai danni delle persone omosessuali, lesbiche e transessuali. E’ necessario che la società civile e i rappresentanti politici, a tutti i livelli, facciano sentire le loro parole di condanna di fronte ad atti e parole così gravi”.
*Il Fatto Quotidiano 14 dicembre 2012
Il Papa su twitter: «Con gioia mi unisco a voi»
Benedetto XVI al termine dell’udienza generale di oggi ha lanciato il suo primo messaggio ufficiale nel social media
di Andrea Tornielli (La Stampa, 12/12/2012)
Città del Vaticano Ci si aspettava un messaggio evangelico, uno stralcio di catechesi, un brano di omelia, la risposta a una domanda delle migliaia che in questi giorni gli sono arrivate. Invece Papa Benedetto ha scelto come primo messaggio su twitter un testo semplice per dire la sua gioia di essere sbarcato anche su questa piattaforma virtuale: «Cari amici è con gioia che mi unisco a voi su Twitter». Nelle prossime ore arriveranno altri messaggi, in particolare le risposte a tre diverse domande scelte tra quelle che gli sono state rivolte da utenti twitter nei diversi continenti.
Benedetto XVI ha lanciato il suo primo «cinguettio» con l’aiuto di un tablet, assistito da Thaddeus Jones del pontificio consiglio per le Comunicazioni sociali e da Claire Diaz Ortiz di twitter. Erano presenti anche due studenti della Villanova University che lavorano attualmente presso il pontificio consiglio per le Comunicazioni sociali, Mika Rabb e Andrew Jadick, come pure la giornalista Katia Lopez-Hodoyan.
L’account @Pontifex, dove compaiono anche lo stemma pontificio e la firma autografa di Benedetto XVI ha già superato un milione di followers, una cifra destinata a crescere ora che inizieranno i messaggi. Lo sbarco papale nel social network, dove sono già attivi e «cinguettanti» diversi cardinali e vescovi, come pure migliaia di istituzioni religiose, sta provocando reazioni a catena.
L’ultima in ordine di tempo è quella proposta dal MissiOnLine, il sito web di «Mondo e Missione», che oggi - il 12.12.12 (12 dicembre 2012) lancia un’iniziativa proponendo il testo della «Caritas in veritate», l’enciclica sociale di Benedetto XVI pubblicata nel luglio 2009, in 36 tweet (12+12+12), selezionando alcune delle più interessanti espressioni del documento pontificio (solo in parte “limate” per esigenze di spazio), per rinnovare l’interesse «per questo testo che - a cinque anni dalla pubblicazione - conserva intatta la sua attualità e freschezza».
In un tempo di crisi come l’attuale, in cui si stanno perdendo i fondamenti etici dell’agire economico e le basi culturali del “bene comune”, l’enciclica “Caritas in Veritate”, promulgata da Benedetto XVI nell’estate del 2009 continua -ahinoi - ad essere uno dei documenti forse più dimenticati del magistero ratzingeriano. Eppure quel testo, che ha avuto un’elaborazione complessa, contiene una messe notevolissima di spunti preziosi e rappresenta, al di là della sua formulazione, non sempre efficacissima, una proposta organica di uno “sviluppo dal volto umano” che sta a cuore a molti.
Fin dal suo apparire, MissiOnLine ha dedicato molta attenzione a qual documento; anche Mondo e Missione ha dedicato un intero speciale (novembre 2009) ai temi dell’enciclica sociale.
Oggi, 12.12.12, data del primo tweet di un Papa, proponiamo ai navigatori un altro servizio. Abbiamo provato a concentrare il denso testo della “Caritas in veritate” in 36 tweet (12+12+12), senza - ovviamente - la pretesa di dire tutto, ma immaginando che la selezione di alcune delle più interessanti espressioni del documento pontificio (solo in parte “limate” per esigenze di spazio) possa contribuire a destare un rinnovato interesse per questo testo che - a 5 anni dalla pubblicazione - conserva intatta la sua attualità e freschezza.
Chiesa
COMUNICAZIONE E VANGELO
«Cari amici... »: ecco
il primo tweet del Papa *
Durante la giornata il Papa risponderà complessivamente a tre domande, da tre continenti, ma non lo farà personalmente. Dunque questo primo è l’unico inviato direttamente da papa Ratzinger.
Il Papa è stato assistito nell’invio da Thaddeus Jones, del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali e da Claire Diaz Ortiz, di Twitter. Erano presenti all’invio anche due studenti della Villanova University che lavorano attualmente presso il Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali, Mika Rabb e Andrew Jadick, e la giornalista messicana Katia Lopez-Hodoyan.
Intorno a mezzogiorno, altri due “cinguettii” sugli account ufficiali @Pontifex. Il primo, una domanda: «Come possiamo vivere meglio l’Anno della fede nel nostro quotidiano?», il secondo un’esortazione: «Diaologa con Gesù nella preghiera, ascolta Gesù che ti parla nel Vangelo, incontra Gesù presente in chi ha bisogno».
Quasi un milione di “followers”
Nel pomeriggio di ieri i followers del Papa hanno toccato quota 920 mila. È probabile, a questo punto, che da oggi si assisterà a un nuovo forte incremento di seguaci di Ratzinger su twitter, il che dovrebbe consentire all’account del Papa (@pontifex) di raggiungere e superare quota un milione.
In realtà è più corretto parlare di account al plurale, perchè in effetti sono ben otto gli indirizzi twitter di Benedetto XVI per altrettante lingue, compreso l’arabo. A farla da padrone sono ancora i followers di lingua inglese che si attestano intorno ai 660mila, al secondo posto il gruppo di lingua spagnola, circa 143mila followers, quindi, gli italiani con 87mila. Molto staccati gli altri gruppi, compresi francesi, tedeschi e polacchi, oltre ai portoghesi e ai followers di lingua araba, che comunque sono più di 6mila. Considerato che il Papa, senza aver fatto neanche un tweet, è sul social network da pochi giorni, il risultato è più che buono.
La Chiesa e i fedeli hanno ringraziato il Papa per il suo debutto su Twitter: dai Frati di Assisi all’Opus Dei sono tantissime le congregazioni e le varie realtà ecclesiali presenti sul social network a dare il loro benvenuto a Benedetto XVI. «Pace e bene Santità - scrivono i frati del Sacro Convento di Assisi - siamo con lei in questa avventura nel nome di San Francesco». «Grazie è una immensa gioia averla su Twitter», scrive Opus Dei Italia.
Padre Spadaro: «Preesenza rischiosa, ma essenziale»
A proposito di questa nuova iniziativa intrapresa dalla Santa Sede, padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e grande esperto del web e della comunicazione online, ha detto alla Radio Vaticana: «Intenderei questa presenza (su twitter, ndr), come una presenza ’normale’: oggi è chiaro che la comunicazione non coincide più con la semplice trasmissione di un messaggio, ma con la condivisione di questo all’interno di reti sociali».
«E nel Magistero di Benedetto XVI sulle comunicazioni - spiega il gesuita - questo elemento è un elemento chiave, da leggere molto bene. La Chiesa sa che oggi i messaggi di senso passano attraverso i network sociali, che sono dei veri e propri ’luoghi di senso’, dove la gente condivide la vita, i desideri, le impressioni, le domande, le risposte».
La presenza del Papa su Twitter, aggiunge padre Spadaro, "è una presenza che sostanzialmente vedrei come in continuità con la presenza del Papa in strumenti come la radio, quindi alla decisione di Pio XI di trasmettere il messaggio del Vangelo attraverso la Radio Vaticana. Direi che la Chiesa è sempre stata molto attenta all’avanguardia comunicativa, proprio perchè il Vangelo va incarnato nel tessuto comunicativo della storia".
Un’iniziativa che ha un risvolto "certamente rischioso, perchè significa comunque esporre il messaggio del Vangelo. In ogni caso, questo è essenziale". "Chi commenta negativamente il fatto che ci siano vari messaggi polemici nei confronti del Papa - rileva Spadaro - probabilmente non si è accorto che in realtà questi sono ovunque nella Rete, ma direi anche nei giornali, in tante altre forme di espressione". "E direi - spiega il direttore della Civiltà Cattolica - che questi commenti fanno parte della comunicazione ordinaria: certamente verranno meno. Ci sono anche domande molto interessanti che vengono poste al Pontefice. Quindi, direi che è una tappa in un cammino di crescita, ma non le vedrei come problematiche".
«Io penso - chiarisce Spadaro - che la presenza del Papa su Twitter incoraggi i cattolici a essere presenti nell’ambiente digitale e questo per me è un elemento di riflessione assolutamente fondamentale. Cioè, l’uomo oggi vive anche in Rete: si può essere d’accordo o meno, si può essere contenti o meno di questo fatto, però di fatto la Chiesa è chiamata a essere presente lì dove sono gli uomini»
* Avvenire, 12 dicembre 2012
PADRE LOMBARDI
La parabola del buon twittatore
Una sorta di "parabola" sulla presenza del Papa su Twitter è stata raccontata ai microfoni della Radio Vaticana dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. "Il nuovo twittatore - ha detto il religioso - uscì nel continente digitale per twittare. Alcuni abitanti del continente dissero: ’Che ci fa qui questo intruso? In questo campo solo noi sappiamo che cosa e come bisogna twittare!’. E lo presero in giro e gli volsero le spalle. Altri abitanti dissero: ’Interessante e divertente! Vediamo se avrà più followers di altri VIP, attori o calciatorì.
E fecero le loro considerazioni sui numeri, ma non pensarono a cosa dicevano i tweet e dopo un pò se ne disinteressarono. Altri dissero: ’Bene. C’è qualcuno che si preoccupa di dirci delle cose che ritiene importanti per ognuno di noi. Staremo attenti per vedere e sentire, e saremo contenti di ritwittare ai nostri amici in ricerca come noì. E i tweet portarono frutto e si moltiplicarono, per trenta, per sessanta, per cento... Chi ha orecchi per intendere, intenda".
Con il suo racconto nello stile evangelico, padre Lombardi ha avviato la settimanale riflessione sull’attività del Papa osservando che a meno di una settimana dall’ingresso di Benedetto XVI su Twitter, non si arresta il boom di contatti sull’account "@Pontifex" e il traguardo del milione di follower sembra sempre più vicino".
Secondo padre Lombardi, "140 caratteri, quanti ne contiene un tweet, non sono pochi. La maggior parte dei versetti del Vangelo ne ha di meno; le beatitudini sono molto più brevi". E in ogni caso "un pò di concisione non fa male. Da secoli - infatti - sappiamo che ascoltare una parola di Gesù al mattino e portarla nella mente e nel cuore sostiene il cammino di un giorno o di una vita".
"Ma bisogna capire perchè questa parola è importante, da dove viene e dove va, in quale contesto di vita trova il suo senso". "Insomma - ha concluso padre Lombardi tornando a usare il linguaggio evangelico - il tweet non porta la vita da solo e automaticamente. Non per nulla può incontrare di fatto un’accoglienza entusiastica, ma anche un rifiuto. Il seme cade su un terreno sassoso o in mezzo ai rovi dei pregiudizi negativi e soffoca, ma cade anche su un terreno buono e disponibile e così portare frutto e si moltiplica. Naturalmente il mondo non si salverà a colpi di tweet, ma sul miliardo di battezzati cattolici e sui sette miliardi del mondo, alcuni milioni di persone potranno sentire anche per questa via il Papa più vicino, dire una parola per loro, una scintilla di saggezza da portare nella mente e nel cuore e da condividere con gli amici di tweet".
* Avvenire, 8 dicembre 2012
I tweet del papa e la catapulta di Bush
di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 11 dicembre 2012)
La macchina comunicativa vaticana non ha mai avuto paura della modernizzazione dei mezzi atti a raggiungere i fedeli e l’universo mondo. Da questo punto di vista, l’approdo del papa su Twitter rappresenta solo l’ultimo passo, per ora, di un cammino iniziato almeno con Leone XIII nell’uso dei moderni mass media. Gli esperti di comunicazione giudicheranno che tipo di utente è papa Benedetto XVI (o meglio, chi per lui interagisce con questo sistema di comunicazione).
Ma per i cattolici, e i teologi specialmente, "il papa su Twitter" apre una questione relativa agli effetti di questa immediatezza digitale sulle strutture della chiesa e sulle idee che cattolici e non cattolici hanno della chiesa cattolica. Twitter, analogamente alla televisione, dona al papa una nuova accessibilità sia in termini di spazio che di tempo: per vedere il papa non è necessario andare a Roma, per sapere quello che dice non è necessario attendere che arrivino per posta le sue parole. Ma dal punto di vista del funzionamento della chiesa come comunità di credenti con venti secoli di storia alle spalle, è evidente che l’immediatezza e accessibilità indeboliscono la dimensione della "chiesa come comunione" perché indeboliscono, fino talvolta a rendere superflui, molti dei mediatori del messaggio della chiesa - parroci, vescovi, catechisti, genitori, teologi - e tende evidentemente a rendere superflui anche i giornalisti.
Dal concilio Vaticano I (1869-1870) in poi il sistema "chiesa cattolica" ha dato molta più visibilità e poteri al papa di Roma, grazie alle definizioni sul primato e sull’infallibilità papale. Oggi l’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa grazie alle tecnologie come Twitter moltiplicano all’interno della chiesa gli effetti di quel "doping ecclesiologico" deciso dal Vaticano I sotto pressione di papa Pio IX. E’ un fatto nuovo. Infatti, nella lunga storia del cristianesimo ogni documento del magistero della chiesa è sempre sottoposto ad un processo di "recezione": una interpretazione mediata di ogni pronunciamento magisteriale che deve tenere conto del contesto storico del documento, fare una esegesi del testo, e comprendere la posizione di quel testo nel vasto corpus della tradizione della chiesa.
L’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa, invece, indeboliscono indubbiamente il processo di recezione, perché è un processo che ha bisogno di tempi lunghi e di agenti mediatori di quel messaggio all’interno della chiesa: la recezione lavora su testi lunghi e complessi - lunghezza e complessità che non sono un ostacolo, ma al contrario la condizione necessaria per l’interpretabilità di ogni testo religioso.
Non è chiaro se i tweet del papa saranno un conversation starter o un conversation stopper tra il papa e i suoi followers. Ma la nuova leva (americana) di comunicatori professionisti in Vaticano sembra essere andata a lezione da George W. Bush, che spiegò, in un non raro (per lui) momento di candore, che gran parte del suo mestiere di presidente consisteva nel "catapultare la propaganda" al fine di "scavalcare" la stampa e raggiungere direttamente i cittadini. Quella di Bush non era certo una professione di fede nel ruolo della libera stampa in una democrazia. La chiesa non è una democrazia, e il papa su Twitter potrebbe rendere i meccanismi di potere e di autorità ancora di più accentrati su Roma.
Il secolo (lunghissimo) di Arturo Paoli
di Marco Giorgetti (“popoli”, dicembre 2012)
«Sono contento della mia vita, perché molte volte ho visto chiaramente l’intervento del Signore, posso dire con serenità che è stata una vita interamente guidata dalla mano di Dio». Parola di Arturo Paoli, 100 anni il prossimo 30 novembre, quasi tutti trascorsi al servizio degli «ultimi» in varie aree del mondo.
Il corpo tradisce gli inevitabili acciacchi di chi arriva a questa età, ma la mente e lo spirito sono in gran forma. Siamo andati a trovarlo sulle colline lucchesi dove ora risiede e da dove molti anni fa iniziò, appena dopo la sua ordinazione sacerdotale (avvenuta nel giugno 1940), il suo cammino insieme ai poveri e ai perseguitati. Era da poco passato l’8 settembre 1943 e, partecipando attivamente alla resistenza, Arturo Paoli collabora con la rete clandestina Delasem (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei), diretta da Giorgio Nissim, per l’assistenza agli ebrei perseguitati.
«Sono stati anni duri - ricorda -. Il mondo cattolico lucchese era una grande rete clandestina per l’aiuto ai fratelli ebrei. Suore, sacerdoti, monaci, erano tutti impegnati in modi diversi per la loro salvezza. Molti hanno pagato con la vita; ricordo la strage della Certosa di Farneta (12 monaci trucidati dalle Ss, ndr) e molti altri preti furono assassinati successivamente».
Per questo suo impegno nel 1999 lo Stato di Israele lo ha insignito dell’onorificenza di «Giusto delle Nazioni» e nel 2006 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo ha premiato con la medaglia d’oro al valore civile.
«Sinceramente non mi aspettavo questi riconoscimenti, mi hanno fatto piacere, anche se a me basta sapere di avere servito bene il Signore e i fratelli in vicende difficili, il resto sono cose di uomini».
Dopo la guerra, nel 1949 viene chiamato a Roma da mons. Giovanni Battista Montini (allora pro-segretario di Stato e futuro papa Paolo VI), e inizia l’impegno in Azione cattolica come vice-assistente nazionale.
«Erano gli anni della rinascita dell’Italia, furono anni belli e intensi. Ho un bellissimo ricordo di monsignor Montini, un uomo che mi è stato profondamente amico, con il quale ho condiviso grandi progetti, non solo nell’Azione cattolica. Ma non voglio negare anche il difficile rapporto con Luigi Gedda (presidente della stessa Ac) e con i suoi comitati civici, che sono stati a mio parere la rovina della Democrazia cristiana. Si verificarono continue divergenze che in poco tempo mi portarono a lasciare “forzatamente” l’Italia».
RINASCERE NEL DESERTO
Dopo un periodo come assistente spirituale agli emigranti sulle navi dirette verso il continente americano, Arturo Paoli affronta un’esperienza che cambierà la sua vita: il deserto algerino.
«Nel deserto sono morto e risuscitato. Ho rischiato di perdere totalmente la fede, senza la quale per me rimaneva solo il suicidio. Fu un periodo tremendo, non avevo desiderio di vita, davanti a me solo il nulla. Ma, proprio nel deserto, Dio si è fatto sentire nitidamente. La mia resurrezione è avvenuta attraverso un pellegrinaggio di 600 chilometri, a piedi. Il Signore camminava con me, sentivo forte la sua presenza e una frase che ripetutamente mi risuonava dentro: “Non siete voi che amate me, ma sono io che amo voi”».
Dopo l’ingresso nella congregazione religiosa dei Piccoli Fratelli di Gesù, ispirata a Charles de Foucauld, il sacerdote toscano cerca di rientrare in Italia, ma le numerose pressioni politiche esercitate da Gedda in Vaticano lo portano nuovamente lontano. Sceglie l’Argentina e il Sudamerica, dove rimarrà circa 45 anni.
Qui, oltre a fondare diverse comunità dei Piccoli Fratelli, si impegna nell’assistenza ai parenti dei desaparecidos, nelle lotte a fianco dei campesinos sfruttati dai latifondisti, nell’assistenza a ragazze madri e a bambini abbandonati.
Nel 1969 Arturo Paoli aderisce alla Teologia della liberazione, un’esperienza perlopiù osteggiata dalle gerarchie, ma su cui Paoli non ha dubbi.
«La Teologia della liberazione è stata vittima di numerosi equivoci. Volutamente strumentalizzata dai suoi avversari, da chi aveva paura di perdere privilegi, è stata prima accostata a teorie marxiste e poi a derive di lotta armata. Ma non c’entra niente con queste falsità. È solo un cammino cristiano di liberazione dalla miseria e di presa di coscienza dei propri diritti. Oggi ci sono molti gruppi, soprattutto in Brasile, che stanno riprendendo quel cammino».
Gli anni Settanta, in America latina, sono anche quelli del golpe cileno, della dittatura militare in Argentina e delle guerre civili in America centrale.
«In Argentina ho visto cose inenarrabili - racconta padre Arturo -, a partire da una Chiesa quasi totalmente connivente con il regime militare. Se l’episcopato argentino (come quello cileno, peraltro) si fosse opposto fermamente alla repressione, sono sicuro che le gerarchie militari non avrebbero osato fare quello che hanno commesso; lo ha confessato recentemente anche lo stesso generale Arturo Videla. Ben diversamente andarono le cose in America centrale. Anche lì sono stati pagati enormi tributi di sangue, ma la posizione della Chiesa è stata diversa. Basti ricordare Oscar Romero e la grande testimonianza dei gesuiti salvadoregni, oppure l’esperienza del governo sandinista in Nicaragua nel 1979, al cui interno c’erano quattro religiosi con cariche ministeriali. Credo sia stato giusto da parte loro portare un contributo diretto, il Nicaragua si stava rialzando dopo una guerra civile cruenta».
PER USCIRE DALLA CRISI
Cosa pensa, chiediamo, della situazione attuale dell’America Latina?
«Il continente ha fatto passi enormi da quei tempi. Oggi credo che il Brasile possa rappresentare un punto di riferimento importante in quell’area, grazie anche alle scelte fatte sotto la presidenza Lula, che hanno sviluppato una rete di collaborazioni privilegiate, su vari settori, con altri Stati sudamericani, più che con le solite superpotenze. Questa scelta politica rappresenta la via per l’effettiva emancipazione del Sud del mondo: allearsi tra simili, cercando l’indipendenza dai soliti “giganti” del Nord».
Ma quello di Arturo Paoli è uno sguardo lungo un secolo, che non si concentra solo sulle vicende latinoamericane. Viene spontaneo allora chiedergli qualche parola anche sulla crisi, non solo economica, in cui siamo immersi.
«Dobbiamo uscire dall’idolatria del “mercato”. La politica si è sottomessa da tempo ai dettami economici che creano, direttamente o indirettamente, migliaia di morti e molta sofferenza. L’uomo deve riprendere le redini della propria esistenza, uscire dalle ipocrisie che si è creato da solo; il precariato, grandissima piaga sociale, viene chiamato “flessibilità”. Ci siamo creati, da soli, dogmi economici che non osiamo mettere in discussione, anche se è evidente che stiamo scivolando sempre di più in fondo al baratro. Viviamo una frammentazione causata da un individualismo alimentato ad arte da una certa cultura. Abbiamo più mezzi di comunicazione, ma siamo più isolati: tutto a vantaggio dei grandi « centri di potere economico che ci manipolano mediaticamente a loro piacimento. Anche in questo la Chiesa ha responsabilità, con le sue connivenze silenziose con governi dei potenti di turno».
Si torna sempre lì, a una Chiesa così amata, ma a cui don Arturo Paoli non risparmia critiche:
«Io verifico da tempo, tra le tante cose, anche il precipitare delle vocazioni sacerdotali; i nostri seminari e i nostri conventi sono vuoti. È una cosa che mi addolora profondamente: se fossimo stati fedeli alle riforme del Concilio Vaticano II non ci troveremmo in questa condizione. Dobbiamo interrogarci su cosa siamo chiamati a fare, come testimoni di Cristo, nel terzo millennio. Dobbiamo uscire da una teologia astratta, da una fede dottrinale: dovremmo vivere più concretamente il Vangelo, cercando anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia».
A 100 anni la morte fa meno paura?
«Spero di incontrare presto il Padre di noi tutti, molto spesso prego perché ciò si realizzi, ho atteso tutta una vita. Lo riconoscerò perché mi sorriderà, un Padre sorride sempre con amore guardando i suoi figli».
Quel pulpito inaccessibile che in rete non avrà filtri
di Riccardo Luna (la Repubblica, 4 dicembre 2012)
La strada che il social media team di Benedetto XVI ha scelto per esordire su Twitter è la più impervia che si potesse immaginare: presenta alcuni rischi di gestione del profilo appena varato e porta il Papa a commettere almeno un errore fondamentale rispetto al tipo di piattaforma. Partiamo da questo secondo punto. Ieri la sala stampa vaticana ha fatto sapere che il pontefice su Twitter non seguirà nessuno.
Avere un account a zero follower è più di un errore: vuol dire non aver capito il senso dei social network. Qui la comunicazione ha superato la modalità classica “da uno a molti” per passare al “da molti a molti”: seguire qualcuno in rete non vuol dire perdere autorevolezza, vuol dire indicare persone di valore. Al contrario dire che il Papa non seguirà nessuno vuol dire trattare Twitter come se fosse una radio. Il Papa parla, gli altri ascoltano.
È un peccato, non in senso biblico ovviamente, perché seguendo gli altri non solo spesso si arriva prima sulle notizie, ma si capisce l’aria che tira fuori da San Pietro. In realtà rispetto alla radio, è prevista una buca delle lettere pubblica e qui veniamo ai possibili problemi di gestione: chiunque infatti ieri è stato invitato a postare domande al Papa segnandole con il cancelletto #askpontifex. In realtà non serve una autorizzazione per fare domande via Twitter, ma se le chiami in questo modo rischi di venirne travolto. Subito si è avuto un assaggio del tipo di curiosità da esaudire: da tutto il mondo sono piovute staffilate sul divieto per i preservativi mentre si muore di aids, sui preti pedofili e altre cose simili. Ci manca solo la questione dell’IMU e delle scuole cattoliche ma arriverà. Come è arrivato un appello per conoscere finalmente la verità su Emanuela Orlandi.
Ora, se il Papa rispondesse davvero a tali questioni sarebbe un immenso passo avanti ma può davvero farlo? Non credo, ma anche se lo facesse innescherebbe una bufera di repliche senza censura e senza nessuna possibilità di gestione della conversazione globale.
Il fatto è che la vita reale e la vita digitale non sono due cose separate, ma sono una legata all’altra. Non puoi pensare di comunicare da un pulpito inaccessibile nella vita reale e invece non avere nessun filtro in rete, perché a quel punto la distanza che hai creato con il resto del mondo nella vita reale si trasforma in una pressione rabbiosa una volta che stai sul web. Prevedo alcuni aggiustamenti in corsa.
Pontifex e le cavallette
di Massimo Gramellini (La Stampa, 5 dicembre 2012)
In occasione del Santo Natale e del Santissimo Twitter, dove Benedetto XVI sbarcherà a giorni con il profilo Pontifex, da ieri è possibile inviare una domanda al Papa digitando un massimo di 140 caratteri sul telefonino. Gli italiani, popolo profondo e spirituale, ne hanno immediatamente approfittato per rivelare a Ratzinger i loro tormenti interiori.
«Benedè, di’ la verità. Ogni tanto ce ’a metti ’a nutella dentro l’ostia?», «Se ti mando un po’ di casse d’acqua, mi rimandi indietro i boccioni di vino?», «Santo Padre, ma è lei a essere responsabile dell’evoluzione di Terence Hill da Trinità a don Matteo?», «Visto che c’hai contatti boni, ti fai dire perché Noè ha caricato quelle minchia di zanzare?», «Se qui sulla terra c’è il digitale terrestre, in paradiso hanno il digitale celeste?», «Ok l’invasione delle cavallette e la tramutazione dell’acqua in sangue, ma la Santanché era indispensabile?», «E’ vero che chi fa la spia è figlio di Maria?», «Si mette mai sui condotti d’aria con la gonna per imitare Marilyn Monroe?», «Se il diavolo veste Prada, lei veste Dolce & Gabbana?», «Che me prendi ’na stecca de sigarette, che ’ndo stai tu costano meno?», «Ti è piaciuto l’ultimo di Lady Gaga?», «Sopra la papamobile come stai messo co’ la sinusite?», «Ma er papa c’ha ’e scarpette rosse perché giocava a basket?», «E’ vero che il terzo segreto di Fatima è la birra non pastorizzata?».
Non si offenda, Santità. Siamo italiani. Comici per timidezza. E leoni da tastiera quando nessuno ci vede. Dal vivo, metà di questi le bacerebbe l’anello e l’altra metà, baciandolo, glielo sfilerebbe dal dito.