L’attualità della lettera di Giovanni Paolo II commentata dal cardinale Canizares e dalle filosofe Gerl e Ales Bello
Donna e uomo, la differenza che salva la persona umana
Al via un convegno promosso dal Pontificio Consiglio per i laici nel ventennale della «Mulieris Dignitatem»
Il cardinale Rylko: «Il genio femminile, forza che vince discriminazione e violenza»
DA ROMA ANGELA NAPOLETANO (Avvenire, 08.02.2007)
Madri, sorelle e spose. Donne consacrate a Dio nella verginità insieme a donne che reggono ambasciate, cattedre universitarie o semplici incarichi da im¬piegate. La sala congressi di Palazzo Carpegna, ieri, era uno spaccato di quel «genio femminile » a cui Giovanni Paolo II - era il 1988 - dedicò la lettera apostolica Mulieris Dignitatem. Arrivate a Roma da quasi 50 diversi Paesi del mondo, le oltre 250 donne che, fino a domani, parteciperanno al convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici, «Donna e uomo, l’humanum nella sua interezza», sembrano quasi rispondere con la loro presenza al «grazie » che Papa Wojtyla, proprio con il documento apostolico di cui ricorre il ventesimo anniversario, indirizzò alle donne di ogni nazione «per tutte le vittorie che la storia deve alla loro fede, speranza e carità».
«Abbiamo bisogno di testimonianze positive e persuasive del fatto che è possibile vivere l’identità maschile e femminile secondo il disegno divino», spiega il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del dicastero vaticano, all’apertura dei lavori. Poco più tardi, dal parterre del convegno si alza la voce di Marie Reine Segla, giovane donna africana: «Siamo qui per questo, e non solo. Vogliamo testimoniare, tra l’altro, la dignità di donna che ci riconosce la Chiesa».
I lavori del convegno ripercorrono il doppio binario già individuato da Giovanni Paolo II per descrivere la dignità e la vocazione della donna: da un lato, le peculiarità del ’genio’ femminile («forza morale e spirituale capace di superare ogni forma di discriminazione, violenza e sfruttamento» dice il cardinale Rylko) e, dall’altro, il legame con l’uomo, quell’unione fondata sul disegno originario di Dio che «creò l’uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò». «Un’autentica promozione dela donna nella società e nella Chiesa - continua Rylko - va fondata su questi solidi principi antropologici e teologici». Il pensiero del cardinale polacco rimbalza quindi a ciò che, oggi, sta trasformando l’interpretazione dei modelli dell’identità ’maschile’ e ’femminile’. «C’è chi vorrebbe fare della donna l’antagonista e la rivale dell’uomo, spingendola a intraprendere la strada della lotta per il potere - dice - e chi, al contrario, vorrebbe cancellare ogni differenza perché concepita esclusivamente come il risultato di condizionamenti socioculturali».
Il risultato? Il porporato parla chiaro: «Si approda a quell’ideologia del genere - spiega - secondo cui ognuno è libero di scegliere la propria identità sessuale a prescindere dalle evidenze biologiche ». Interpretare con questi modelli l’essenza della donna e dell’uomo - è il ragionamento di Rylko - è mettere in gioco «la persona umana », motivo per cui «il Signore esige, oggi più che mai, che i suoi discepoli vadano controcorrente, superando i complessi d’inferiorità, ma con la consapevolezza di difendere qualcosa d’importante». L’essenza dell’uomo. Della sua persona.
La riflessione del presidente del Pontificio Consiglio per i laici è amplificata da quella del cardinale Antonio Canizares, arcivescovo di Toledo, primate di Spagna. «L’ideologia di genere riduce la persona a individuo. E la distrugge ». Nasce da qui l’invito del porporato spagnolo a rileggere la lettera apostolica Mulieris Dignitatem. Lo scritto di Giovanni Paolo II, dice, «proclama una verità luminosa sulla donna, una proposta gioiosa per la Chiesa e l’umanità ». Riprendere in mano la lettera papale sulla dignità e la vocazione della donna potrebbe essere dunque un modo per recuperare il senso originario dell’antropologia cristiana. «Torniamo agli inizi», incoraggia Canizares, secondo cui la riflessione a cui si approda dopo aver letto quanto Giovanni Paolo II scrive sulla creazione, sul matrimonio e sulla famiglia può essere solo una: «La vera libertà è possibile solo nell’amore e nella fedeltà, perché essa non è affermazione dell’io ma donazione radicale di sé».
A distanza di vent’anni, dunque, la ’novità evangelica’ che Papa Wojtyla annunciò con la Mulieris Dignitatem («nella relazione marito-moglie - scrive Giovanni Paolo II - la sottomissione non è unilaterale, bensì reciproca!») non ha perso vigore. Anzi. Hanna Barbara Gerl, docente di Filosofia e Scienze della religione comparata a Dresda, cita Edith Stein e aggiunge: «L’uguaglianza tra uomo e donna non è solo un dono, ma un comandamento». È da qui che bisogna cominciare, aggiunge Angela Ales Bello, docente di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, per «guardare al femminismo con occhi nuovi, privi di anacronismi e pregiudizi».
LA STORIA
Un testo nato all’interno di un percorso radicato nel Vaticano II
È stato il primo documento pontificio interamente dedicato alla donna, pubblicato durante l’Anno mariano il 15 agosto 1988, solennità dell’Assunta.
Nella «Mulieris dignitatem» Giovanni Paolo II offre un percorso che si radica nel racconto della Genesi e culmina nel modello della Madre di Dio come esempio per tutti sulla via della santità. L’attenzione alla donna, di fatto, è andata crescendo dopo il Vaticano II: nel 1973, a sei anni dall’erezione del Pontificio Consiglio per i laici, Paolo VI, rispondendo a una richiesta del Sinodo dei vescovi e in vista dell’Anno internazionale della donna indetto dalle Nazioni Unite (1975), istituisce la «Commissione di studio sulla donna nella società e nella Chiesa». Dopo il 1988, poi, resta memorabile la lettera inviata da Wojtyla a tutte le donne nel 1995. Benedetto XVI, infine, ha dedicato alla responsabilità ecclesiale delle donne la catechesi del 14 febbraio 2007.
IL PROGRAMMA
Oggi il dibattito sulle tendenze culturali
Oggi il convegno internazionale «Donna e uomo: l’humanum nella sua interezza. A vent’anni dalla lettera apostolica ’Mulieris dignitatem’» vedrà in mattinata la relazione su «Donna e uomo: creati l’uno per l’altra» di Attilio Danese e Giulia di Nicola.
Seguirà il «Giro d’orizzonte» su «Problematiche e tendenze culturali contemporanee» con interventi sulla riduzione della femminilità a oggetto di consumo, sull’ideologia del gender, sul rifiuto della maternità e della famiglia e sulla donna nel mondo del lavoro. Nel pomeriggio la relazione «Responsabilità e partecipazione della donna all’edificazione della Chiesa e della società» di Paola Bignardi. Seguirà il dibattito su «Il ruolo e la missione della donna».
Domani mattina, dopo la preghiera delle 9, è prevista l’udienza con Benedetto XVI. Nel pomeriggio seguirà il lavoro per gruppi e, alle 18, le conclusioni.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
AL DI LA’ DELLA TRINITA’"EDIPICA" - E DELLA TERRA E DEL SANGUE!!!
I soggetti sono due, e tutto e’ da ripensare...
RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE ...
Lettera di Ratzinger ai Vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna....
"Deus caritas est" (2006). Un tragico "lapsus" (Freud) più che millenario....
FLS
CONTRO IL "PADRE NOSTRO", MA CON IL "PADRE NOSTRO": SENZA LA MESSA A FUOCO DELL’ EDIPO COMPLETO (FREUD) NON SI ESCE DALLA TRAPPOLA DEL MENTITORE STORICAMENTE ISTITUZIONALIZZATA ... *
L’antropologa scomoda
Ritratti. È morta a 91 anni Ida Magli. Scrisse testi fondamentali sul matriarcato, la sessualità, l’iconografia della Madonna e la storia laica delle donne religiose. Negli ultimi anni, aveva radicalizzato il suo pensiero, abbracciando posizioni reazionarie
di Alessandra Pigliaru (il manifesto, 23.02.2016)
Figura controversa e complessa del panorama italiano, l’antropologa e scrittrice Ida Magli è scomparsa a Roma all’età di 91 anni. Per chi ne abbia letto i numerosi testi, in particolare quelli pubblicati tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Novanta, dedicati ad argomenti liminari al femminismo - è difficile individuare la ragione che, negli ultimi venti anni, l’ha spinta verso un passo reazionario. Sarebbe tuttavia riduttivo collocarla alla svelta nella deriva antieuropeista che in tempi recenti ha abbracciato anche se, in tutta onestà, potrebbe essere questo uno dei motivi che l’ha resa poco attraente soprattutto alle generazioni di giovani studiose che, con i testi, si confrontano. Ma per capirne il quadro completo e l’eredità che ha lasciato a chi si misura con i senso parlante dei testi, bisogna fare un necessario passo indietro, ne sono convinte in molte che di Magli hanno ascoltato quelle mirabili lezioni di Antropologia culturale alla Sapienza di Roma fino al suo pensionamento nel 1988.
Tra quelle allieve spicca Loredana Lipperini che, quando la notizia della scomparsa della professoressa Magli è stata diffusa, ha affidato ai social network parole tanto affettuose quanto colme di gratitudine per averle insegnato una curvatura dello sguardo ineguagliabile. Ed è forse su questo che ci si potrebbe soffermare, non per espungere i testi dal portato biografico ma per evitare di renderla una intellettuale rubricata semplicisticamente e rapita dalle destre; perché cioè le vada riconosciuto ciò che ha fatto, ovvero individuare alcuni elementi essenziali e spesso scomodi al dibattito antropologico e femminista contemporaneo e che poi hanno retto la parte centrale della sua esistenza.
In realtà, la storia tra Ida Magli e il femminismo è stata piuttosto intermittente, e questo nonostante abbia avuto da sempre il chiaro desiderio di seguirne il passo a giudicare dai passaggi che le sono stati cari.
Basti pensare a volumi come Matriarcato e potere delle donne (1978), in cui compaiono alcuni passi sulle società matriarcali e una inedita traduzione del poderoso testo Das Mutterrecht di Bachofen. Solo due anni prima, aveva fondato la storica rivista dwf.
È del 1982 La femmina dell’uomo e poi c’è lo studio in cui si concentra su Santa Teresa di Lisieux. Una romantica ragazza dell’Ottocento (1994), quello su La Madonna (1987), fino a un’interessante edizione aggiornata, dieci anni dopo, La Madonna, dalla Donna alla Statua; cruciale è stato La sessualità maschile (1989) e il suo studio sulla Storia laica delle donne religiose (1995).
Insieme ai testi forse più conosciuti vi è stato l’impegno costante verso l’antropologia che ha percorso sempre con disinvoltura e originalità di posizioni. È suo il più generale manuale di Introduzione all’antropologia culturale (1983) così come si deve a lei la fondazione e direzione (dal 1989 al 1992) della rivista Antropologia culturale.
Il nodo sessualità-religione è stato per Magli uno dei più frequentati, là dove entrambi i punti sono stati sempre interpretati con una certa ritrosia anche nella discussione politica pubblica.
Ida Magli in realtà, come ricorda Lea Melandri, che abbiamo raggiunto per telefono, è stata precorritrice lucidissima di alcuni snodi fondamentali: «Certo, non si può leggere solo parzialmente, bisogna guardarla nel suo intero e in quanto è stata capace di offrirci alla lettura. È rimasta sempre abbastanza in disparte, ma il femminismo l’ha intersecato; forse non è stata così riconosciuta come avrebbe meritato, e molto ci possono raccontare ancora i suoi libri; vi sono per esempio frammenti folgoranti, coraggiosi che mettono in chiaro alcuni aspetti forti: sessualità, immaginario e fantasie maschili sui corpi delle donne e il grande nodo religioso». Melandri prosegue citando alcuni passaggi cruciali, per esempio quelli che attengono il corpo delle donne, la sessualità e il potere che disciplina i corpi fino a diventare violenza.
Su quest’ultimo punto, infatti, anche la stessa attenzione di Melandri si è soffermata. «Ho letto e riletto alcuni suoi frammenti perché penso ci siano preziosi. Non sono stati mai scontati e andrebbero ascoltati. Ma penso anche alla lezione sulla storia laica delle religiose, un lavoro straordinario che andrebbe accolto con maggiore generosità».
Addio al Padre *
"[...] Abbiamo ricostruito questo percorso per mostrare chiaramente come oggi non vi sia più spazio non soltanto per il cristianesimo, ma per tutti i valori che in questi duemila anni hanno concorso alla formazione e allo sviluppo della civiltà europea. Per quanto forse i credenti cristiani non se ne rendano del tutto conto, non può sussistere una religione fondata su un Dio «Padre» laddove la figura del padre ha perso qualsiasi rilevanza e autorità. Come abbiamo ormai più volte detto, le religioni sono specchio e proiezione di ciò che pensano e che desiderano i popoli. L’immagine di un Dio-Padre è ormai priva di senso.
Non può sussistere una religione fondata sull’importanza del «Figlio» laddove la procreazione è considerata un fatto personale e gravoso e la società provvede gratuitamente ai numerosissimi aborti confermando così che vuole la propria morte. D’altra parte il figlio è ormai inutile per il padre in quanto non gli serve più a garantirne la sopravvivenza. Non serve né per l’al di là né per il di qua. Le dinastie, le successioni, le eredità sono state quasi del tutto abolite, oppure vengono significativamente caricate di tasse. Nessun genitore conta sui figli per la propria vecchiaia. Alla vita nell’aldilà è ormai quasi impossibile credere e di fatto gli uomini in Europa preferiscono non pensarci.
La dichiarazione di «morte cerebrale», i trapianti d’organi hanno tolto concretamente e simbolicamente ogni trascendenza alla morte, di cui il cadavere, fino a questa orrida decisione, sembrava racchiudere il mistero; per non parlare di ciò che il corpo era (o meglio «è», visto che il dogma non è stato abolito) nella teologia cristiana con la fede nella resurrezione dei corpi, inclusa nel Credo, alla quale però nessuno evidentemente pensa più.
Sembra quasi impossibile che vi sia stato un tempo (oggi appare lontanissimo ma in realtà si tratta soltanto di pochi anni fa) in cui gli uomini si toglievano il cappello davanti a un morto a onorarne, appunto, la sacralità. Tutto questo è stato voluto dallo Stato e dalla Chiesa in modo ossessivo, come se la realizzazione dei trapianti d’organi costituisse il centro del loro potere e dei loro desideri.
Ma il trapianto d’organi significa l’annullamento delle specifiche individualità (oltre che il consenso e la legittimazione dell’istinto sempre presente nell’uomo di sopravvivere uccidendo, mangiando l’altro); significa avvicinarsi concretamente a quella nuova forma di uguaglianza che, invece di affermare l’esistenza del singolo, afferma la sua non-forma, la sua mancanza d’identità, la sua integrazione nell’identico. Passaggio indispensabile per giungere ad annullare la differenza posta dalla natura con il Dna maschile e femminile, la differenza di genere, e affermare la «normalità» dell’omosessualità.
Non si può trarne che una sola conclusione: hanno voluto che l’omosessualità vincesse su tutto e su tutti. Ma il primato dell’omosessualità non sarebbe stato proponibile fin quando fosse stato in vigore non soltanto il primato del «padre», dei legami di parentela, dei legami di sangue, ma anche e soprattutto l’assoluta «differenza» del genere maschile e femminile, ossia la differenza per antonomasia. L’interscambiabilità dei corpi l’ha annientata. Dunque: nessun «Genere», nessuna «Paternità», nessun «Figlio», nessuna «Famiglia», nessuna «Società», nessun «Futuro».
Naturalmente questo significa che si vuole la fine non soltanto del cristianesimo, ma di tutta la civiltà e della società europea, la fine dei «bianchi». L’omosessualità è strumentale soltanto a questa fine e il suo primato sparirà insieme ai bianchi".
* Cfr. Ida Magli Dopo l’Occidente, Rizzoli, Milano, 2012.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"TEBE": IN VATICANO NON C’E’ SOLO LA "SFINGE" - C’E’ LA "PESTE"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-EVANGELICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
FLS
Papa: nuovi ruoli alle donne, apre a Lettorato e Accolitato
’Ma la Chiesa non può conferire loro l’ordinazione sacerdotale’
di Redazione ANSA *
CITTA DEL VATICANO. Papa Francesco ha stabilito con un Motu proprio che i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato siano d’ora in poi aperti anche alle donne, in forma stabile e istituzionalizzata con un apposito mandato. Le donne che leggono la Parola di Dio durante le celebrazioni liturgiche o che svolgono un servizio all’altare in realtà già ci sono con una prassi autorizzata dai vescovi.
Fino ad oggi però tutto ciò avveniva senza un mandato istituzionale vero e proprio.
Aprire ufficialmente le porte alle donne nel Lettorato e nell’Accolitato non significa che potranno diventare sacerdoti. E’ quanto precisa lo stesso Papa facendo proprie le parole di Giovanni Paolo II: "Rispetto ai ministeri ordinati la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale".
* ANSA 11 gennaio 2021 - 19:06 (ripresa parziale).
RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD.
di Marie-Thérèse Van Lunen Chenu
in “www.temoignagechretien.fr” del 24 marzo 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
L’ondata di notizie su ripetuti casi di pedofilia nella Chiesa cattolica ha suscitato molti commenti che portano in ritorno delle valutazioni interessanti. Vi si legge che una prima messa in discussione del celibato obbligatorio per i preti trova ora degli ardenti oppositori, mentre restano stigmatizzate la frequente immaturità della scelta di vita da parte di persone troppo giovani, una formazione rimasta a lungo inadeguata nei seminari, la mancanza di relazioni con il mondo femminile, l’autoritarismo, la cultura del segreto e della negazione nell’istituzione ecclesiale.
Mi stupisco tuttavia che il dibattito non sia ancora stato allargato fino a prendere in considerazione il problema sempre più sensibile della marginalizzazione - se non dell’eliminazione - delle donne nelle strutture dell’istituzione romana. E che i commentatori neppure abbiano affrontato un problema di fondo: la natura della testardaggine con cui Roma si impegna nella difesa del primato del sesso maschile.
Quali sono allora le cause e gli effetti di questo attaccamento eccezionale dell’istituzione romana ad un primato del sesso maschile, fino a giungere alla sua vera “sacralizzazione” nel clericalismo? Una critica che potremmo definire “pastorale” (venuta proprio dall’interno della Chiesa) si è unita, almeno da un decennio, ad una prima analisi femminista che smaschera quel gioco semantico che si ostina a chiamare “servizio” ciò che, scelto ed esercitato spesso con la più grande generosità personale, resta tuttavia un monopolio ed un potere.
Ci si chiede allora come questo servizio ultimo della “rappresentazione di Cristo per compiere l’eucarestia”, quel potere-servire che si declina solo al maschile, non influenzi l’identità clericale e, per ciò stesso, l’idealizzazione e il carattere di rifugio che dei giovani possono investirvi? E sembra ingenuo stupirsi che alcuni di loro siano tentati di sfuggire, con questa scelta, ad una identificazione sessuata esigente.
La mia riflessione va quindi più in là rispetto al deplorare ciò che pudicamente viene chiamato “difficoltà a vivere la castità”. Parlo qui delle turbe del comportamento che possono essere legate ad una difficoltà non risolta dell’identificazione personale. Essere capaci di identificarsi come un essere maschile significa poter accettare il “di fronte” di una uguale partner femminile. E sostengo che l’idealizzazione del primato maschile, la sua canonizzazione in qualche modo, e la giustificazione permanente che ne viene fatta attraverso il rifiuto della competenza e dell’autorità delle donne, possono turbare il processo di identificazione maschile e arrivare talvolta ad influenzare una scelta per il presbiterato o la vita religiosa.
In fondo, le cause sarebbero ben più imbricate di quanto non si pensi tra la proibizione fatta alle donne di accedere al ministero sacerdotale e l’obbligo del celibato per il prete maschio. Sono radici profonde e tenebrose che si intrecciano tra denigrazione della sessualità, marginalizzazione delle donne, primato accordato al sesso maschile, sacralizzazione del sacerdozio, rapporto sclerotico alla tradizione e questo governo autoritario, clericale e monosessuato.
Così, che ci si ponga all’interno o all’esterno dell’istituzione, la crisi attuale designa come una sfida insieme ecclesiale e sociale la necessità di un vero dibattito e di cambiamenti la cui importanza non si limiterà al solo campo religioso. Infatti la Chiesa cattolica è in ritardo sulla società per mettere in atto questi cambiamenti che ormai vengono definiti “umani”: nell’identificare e curare le cause di una valutazione negativa della sessualità, le è necessario, al contempo, affrontare il suo rapporto con la sessuazione.
Chi dice “sessuazione” riconosce evidentemente la bi-sessuazione fondamentale dell’umanità. Con quali mezzi allora far comprendere che l’istituzione si è sclerotizzata e si esaurisce in un approccio maschile della femminilità, proprio al contrario rispetto a quello che fu l’atteggiamento di Cristo verso le donne? Non è “la questione delle donne nella Chiesa” che fa problema, come si sente dire con leggerezza..., è quella di una Chiesa autoritaria che difende il suo primato clericale maschile e rifiuta un confronto pieno con una buona metà dei suoi membri.
Si tratta qui di una mancanza strutturale legata, più di quanto non faccia pensare una prima apparenza, agli scandali attuali. Ci si chiede fino a quando Roma penserà di poter attenuare tali scandali con delle scuse pubbliche ed una vergogna manifestata “a nome di tutta la Chiesa”? E fino a quando le donne, che sono state più spesso cuoche che consigliere nei seminari, non esprimeranno pubblicamente il loro disaccordo?
Molte di loro sono già, di fatto, unitamente a degli uomini anch’essi consapevoli delle riforme necessarie, se non in rottura pastorale, almeno in rottura di coscienza con l’istituzione... Accettare in maniera riconoscente e responsabile la sessuazione, la sessualità, e quindi le donne di oggi come vere partner, suppone insieme un lavoro pluridisciplinare ed un ampio dibattito di società e di Chiesa.
Teologia ed ecclesiologia sono interpellate: che cosa abbiamo fatte per perdere la capacità profetica del messaggio cristiano, che testimoniava il principio del rispetto delle donne in un’epoca di misoginia sociale, ma che resta ridotto al silenzio dalla sua contro-testimonianza di sessismo ecclesiale nell’oggi di parità sociale?
La sfida è importante per il cattolicesimo, se vuole conservare il suo posto in seno al cristianesimo e la sua credibilità “umana”. Certi cristiani, e in maggior numero certe cristiane, sperano ancora che la gravità attuale delle accuse e delle messe in discussione possa diventare un punto a cui far riferimento per una conversione profonda del cattolicesimo romano.
*Marie-Thérèse van Lunen Chenu è membro di “Femmes et Hommes en Église” e di “Genre en christianisme”
La rivincita delle mistiche cristiane
di SILVIA RONCHEY (La Stampa, 9/2/2008)
Mai come in questo periodo di opposti integralismi un nuovo medioevo sembra avere calato le sue tenebre su quella che fino a poco tempo fa non si dubitava fosse l’unica definitiva conquista del Novecento: l’emancipazione femminile. Mai come in questo periodo i pronunciamenti delle autorità religiose hanno colpito la donna: in particolare quelli provenienti dalla Chiesa cristiana, che pure dovrebbe essere interprete e anzi ispiratrice di quella che chiamiamo civiltà occidentale. I fondamentalisti cattolici tentano di rimettere in discussione l’autonomia della donna in più sfere della sua vita, la sua libertà di scelta e perfino il suo diritto all’habeas corpus. Affermazioni strumentalmente amplificate dai media e assecondate anche da esponenti della scienza, come i primari romani firmatari della petizione di diritto dei medici a decidere sul feto contro la volontà della madre, malgrado le obiezioni degli esperti di bioetica sull’impossibilità di escludere i genitori dalla decisione sul proprio figlio.
Se già quattro anni fa, nella famosa «Lettera ai vescovi», l’allora cardinale Ratzinger contrapponeva una discriminazione deterministica del ruolo della donna alla libertà di far prevalere nelle scelte di vita la parte maschile o femminile di sé, e sentenziava che la sua vocazione prioritaria è la famiglia, nei recenti portati del suo magistero papale l’opzione di scelta della donna è arretrata ulteriormente rispetto alle posizioni assunte dai teologi del Novecento. Se un ritorno di spiritualità pervade la società orfana di ideologie secolari di salvezza, tanto più le gerarchie cattoliche e i teocon dovrebbero ricordare che è proprio dal seno della Chiesa cristiana che la scrittura e la riflessione femminili sono emerse e si sono manifestate al mondo. Nell’età aurea del cristianesimo, nel pieno del «tenebroso» medioevo, un esercito di donne colte e forti, dallo spirito libero e dalla prosa superba, aveva già sfidato le oppressioni della cultura dominante. E l’aveva fatto dall’interno della Chiesa cattolica. In una prospettiva rigorosamente storica, l’attività e la scrittura delle mistiche cristiane è la più grande se non forse l’unica vera traccia femminile impressa alla storia universale della letteratura e del pensiero.
Da quell’inestimabile tesoro non può non partire oggi una Gendered History della nostra letteratura. Una consapevolezza fino a poco tempo fa privilegio di pochi iniziati - da Giovanni Pozzi a Elémire Zolla - ma oggi riconosciuta anche dalla nostra istituzione universitaria più prestigiosa, il Sum, l’Istituto Superiore di Scienze Umane, che oggi inaugura a New York, con la New York University, il più grande convegno scientifico mai organizzato sulla letteratura italiana femminile. E lo apre proprio con le mistiche: da Chiara di Assisi a Angela da Foligno, da Caterina da Siena a Brigida di Svezia, i massimi studiosi mondiali riscriveranno la storia della scrittura femminile, estirpando convenzioni, correggendo definizioni, riequilibrando il peso della più fortunata scrittura delle donne contemporanee con quello delle antiche, straordinarie voci di donne per cui il non sposarsi, il non essere madri, l’isolarsi nel nubilato era stato l’equivalente di quella «stanza tutta per sé» che Virginia Woolf avrebbe eletto a simbolo della possibilità stessa di pensare, inventare, scrivere. Lo storico convegno di New York celebra donne che elaborarono, come Ildegarda di Bingen, una scienza da cui avrebbero da imparare i medici di oggi. Donne che furono giudicate anoressiche, isteriche, forse epilettiche, ma attraverso le quali l’intelligenza e l’indipendenza femminile fecero breccia all’interno stesso di quella Chiesa cattolica oggi così avara di riconoscimenti all’identità femminile.