FORZA “Deus caritas est”?! FORZA CARO-PREZZO?!
Altro che la Chiesa di Maria... - e Giuseppe!?
Questa è la Chiesa ... del “latinorum” e di "Mammona"!!!
Caro BENEDETTO XVI ...
Corra, corra ai ripari (... invece di pensare alle scomuniche)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro-prezzo’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (“Logos”) è diventato il marchio capitalistico di una fabbrica (“Logo”) infernale ... di affari e di morte?! Ci illumini: un pò di CHIAREZZA!!! FRANCESCO e CHIARA di Assisi si sbagliavano?! Claritas e Charitas, Charitas e Claritas... o no?!
Federico La Sala
“DEUS CARITAS EST”: IL “LOGO” DEL GRANDE MERCANTE
di Federico La Sala *
In principio era il Logos, non il “Logo”!!! “Arbeit Macht Frei”: “il lavoro rende liberi”, così sul campo recintato degli esseri umani!!! “Deus caritas est”: Dio è ’amore’ [caro-prezzo], così sul campo recintato della Parola (del Verbo, del Logos)!!! “La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento”, L’Unità, 26.01.2006)!!!
Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!
Il Faraone, travestito da Mosè, da Elia, e da Gesù, ha dato inizio alla ‘campagna’ del Terzo Millennio - avanti Cristo!!! (Federico La Sala)
*www.ildialogo.org/filosofia, Giovedì, 26 gennaio 2006.
Per la novella di Pirandello, cfr.,
Sugli altri temi, cfr.:
Per un ri-orientamento teologico-politico e antropologico...
FARE COME GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II: RESTITUIRE L’ANELLO A GIUSEPPE!!!
Amano
Giovanni De Mauro, direttore di (Internazionale, 22.01.2016)
Basta cercare di spiegare a delle bambine e a dei bambini di otto anni il dibattito sulle unioni civili che occupa le prime pagine dei giornali da qualche settimana (anzi, da secoli, la prima proposta di legge risale al 1988) per rendersi conto di quanto sia assurdo: c’è chi vuole impedire a due persone che si amano di sposarsi e avere dei figli solo perché sono omosessuali.
D’altra parte siamo rimasti davvero in pochi, con Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia. Tutti gli altri, e in particolare i paesi europei a cui ci piace tanto paragonarci, hanno da tempo trovato forme e modi per regolare le unioni delle coppie omosessuali. Senza che questo abbia provocato contraccolpi devastanti nella società.
Già sul divorzio e sull’aborto la classe politica italiana aveva dimostrato la sua incapacità di stare al passo con i tempi, di interpretare i bisogni e gli orientamenti dei cittadini che dovrebbe rappresentare. E oggi la semplice domanda che andrebbe rivolta ai 630 deputati e ai 315 senatori italiani è: da che parte state? Dalla parte di chi nega i diritti o da quella di chi i diritti li difende e li garantisce?
Di Segni: stop al dialogo con la Chiesa Reazioni negative al cambiamento della preghiera - per il vecchio rito - del Venerdì Santo. La nuova preghiera del venerdì santo (limitata però al rito "vecchio", quello praticato da una limitatissima minoranza di cattolici), e reso possibile in maniera più ampia qualche mese fa da un "motu Proprio" è stata accolta con una reazione estremamente dura da parte delle autorità religiose ebraiche.
"Una marcia indietro di 43 anni che impone una pausa di riflessione nel dialogo ebraico-cristiano", l’ha giudicata il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. "Della preghiera - ha detto - è grave la sostanza e grave anche la formula con cui è stata presentata. Vorrei precisare che non è vero che è stata tolta la frase che urta la sensibilità del popolo ebraico. In questa nuova formulazione è tutto che urta questa sensibilita".
Di Segni rivela che il nuovo testo non "é un fulmine a cielo sereno". "Nei mesi scorsi - dice - avevamo fatto presente le nostre perplessità e ci avevano dato ampie assicurazione. Invece ora ci troviamo davanti al peggio". Il rabbino spiega poi il modo in cui il nuovo testo secondo lui sia peggiorato: "nella liturgia di un tempo nel recitare la preghiera del venerdì santo si ci si doveva inginocchiare e pregare in silenzio. Questi due atti non valevano giunti al ’pro perfidis judeis’. Pio XII invece ripristinò sia il silenzio sia la necessità di inginocchiarsi.
Com’é noto Giovanni XXIII nel 1959 tolse il ’pro perfidis judeis’, ma lasciò intatto tutto il resto. Nel 1970 la preghiera fu completamente cambiata da Paolo VI e si diceva: il popolo ebraico sia fedele alla sua Alleanza".
"Rispetto a questa evoluzione, papa Ratzinger - osserva il rabbino capo di Roma - ha riportato indietro le lancette di 43 anni rispetto al 2008". Tra le cause di questo "inciampo", Di Segni indica il problema "dell’immagine del popolo ebraico per la Chiesa. La domanda è sempre la stessa: cosa ci stanno a fare gli ebrei su questa terra?". "Se questo è il presupposto del dialogo, è intollerabile. Evidentemente - conclude Di Segni - la chiesa ha problemi di riscoprire i fondamenti della sua ortodossia". Nella liturgia "ordinaria", e cioè quella praticata dalla quasi totalità dei cattolici ovviamente la preghiera non c’è.
* LA STAMPA - SAN PIETRO E DINTORNI di Marco Tosatti, 6/2/2008.
Lettera aperta alla Madonna di Lourdes
Ritornano Berlusconi, Casini, Fini, Mastella e Storace!
di Paolo Farinella *
Genova 04 febbraio 2008. Non ci resta che la Madonna di Lourdes, nella speranza che almeno lei possa fare qualcosa per l’Italia dove Padre Pio protegge il clan Mastella, Santa Rosalia piange il cattolicissimo Cuffaro condannato a cinque anni per complicità in «mafia personalizzata» e Santa Agata di Catania si affida alla mafia per la sua onorata processione. Madonna di Lourdes, confidiamo in te!
In queste ore si sta consumando l’assassinio della democrazia, ma più ancora della decenza e della dignità di una Nazione. Si va a votare, dopo appena due anni dalle elezioni perché deputati e senatori pagati 15 mila euro al mese (oltre al resto) per governare, non hanno saputo trovare il tempo per guadagnarsi lo stipendio. Pagati per governare, hanno spolpato la stessa parvenza della democrazia. Andremo a votare, infatti, con la legge-porcata che ha espropriato il popolo dell’unica ragione che lo rende democratico: il voto. Ancora una volta saranno le mafie dei partiti a redigere le liste dei candidati che il popolo schiavo dovrà votare a piè di lista senza fiatare.
Il dramma e il ridicolo si fondano insieme: Berlusconi che ha voluto la legge-porcata per rendere coscientemente ingovernabile il parlamento e il Paese, ci è riuscito con la complicità dei partiti di ispirazione cristiana che preventivamente hanno fatto i gargarismi con l’acqua benedetta. Ora con la stessa legge-porcata si avranno pseudo-elezioni che costeranno un patrimonio ai cittadini che premieranno chi ha reso ingovernabile l’Italia, dopo avere frodato il popolo con l’esportazione di capitali all’estero, con la frode del fisco, con l’occupazione delle tv private e di Stato, assolvendosi dalla corruzione con le leggi su misura fatte dai suoi avvocati, fatti eleggere al parlamento e quindi stipendiati dallo stesso popolo che dovrebbe essere parte lesa e parte civile. Il popolo masochista invece applaude e gioisce. Il governo Prodi era stato votato per abolire le leggi vergogna, ma la maggioranza era troppo impegnata a litigare per un tozzo di visibilità finendo per lasciare le leggi ad personam insieme alla vergogna.
Tutti sono convinti che l’Unto Cerone tornerà al governo insieme ai suoi famigli, accompagnato da Previti e dagli alleluia della gerarchia ecclesiastica italo-vaticana. Precedono la processione inquisiti, mafiosi e condannati in primo, secondo e terzo grado. Per gli interdetti dai pubblici uffici Previti, Cuffaro, ecc.), si farà una leggina apposita per interdire i giudici dalla loro giurisdizione e cedere la giustizia ai familiari degli inquisiti fino al terzo grado di parentela. Si manda a casa Prodi per fare posto al senatore (prossimo) Cuffaro, uomo integerrimo e di specchiata virtù, certificata dall’autorità infallibile del vice papa, al secolo Casini Pierferdinando in Caltagirone, cristiano spocchioso di chiara moralità coniugale insieme al suo compagnuccio di merende, tal Gianfranco Fini: costoro, insieme al loro padrone e capo, cattolici dichiarati, urbi et orbi, amano tanto la famiglia da averne anche due sul modello poligamico arabo. Il parroco di Montecitorio, Mons. Fisichella, annuisce grato e congratulato. Costoro che hanno votato cristianamente in silenzio tutte le leggi immorali del governo Berlusconi, di cui, fino a ieri, dicevano peste e corna, oggi strisciano ai suoi piedi proni al bacio della sacra pantofola con la benedizione del santo padre e figli devoti, sotto la direzione del cerimoniere devoto Giuliano Ferrara
Il 19 giugno 2007, quindi in epoca non sospetta, in una mia precedente lettera al Governo e alla maggioranza, ora decapitati in Senato per mano del Bruto-Mastella, cattolico inossidabile armato dalla furia vendicativa del ruinismo ecclesiastico, avevo scritto, facile profeta:
«Noi popolo delle primarie e del referendum sulla Costituzione abbiamo contribuito... ad impedire la deriva dell’Italia verso il qualunquismo populista del berlusconismo che ha fatto scempio della legalità e della dignità delle Istituzioni repubblicane... siamo esterrefatti ed increduli perché la maggioranza è immobilizzata dagli interessi contrastanti incrociati, senza capacità di sintesi e di prospettiva. Pensavamo che il governo risolvesse le leggi vergogna e il conflitto d’interessi della precedente legislatura. Vediamo invece che il conflitto e la vergogna aumentano perché ogni singola scheggia di partito cura i propri interessi senza una visione globale dei bisogni della Nazione e dei più poveri. Assistiamo impotenti giorno dopo giorno al suicidio lento del governo che galleggia vittima del veto incrociato di ogni segmento di partito, affondando nel buio della indegnità anche il Paese...La maggioranza di centro-sinistra gestisce il potere in modo arrogante: si parla dei privilegi dei deputati e si girano dall’altra parte; si parla di costo della politica e ci accusano di qualunquismo; decidono la Tav di Val di Susa o la base di Vicenza non solo contro i cittadini locali, ma anche contro loro stessi perché i singoli ministri votano «sì» e subito corrono in piazza a gridare «no»... ridicoli e non credibili. Noi siamo allibiti per l’incapacità di questa maggioranza di trovare una convergenza su alcuni punti essenziali del programma elettorale senza doversi smentire l’uno contro l’altro un giorno sì e l’altro ancora. Guardiamo impotenti allo spettacolo inverecondo: stanno facendo l’impossibile e anche miracoli per riconsegnare l’Italia di nuovo a Berlusconi, dalle cui grinfie (e a che prezzo!) siamo riusciti a sfuggire. Berlusconi dopo le [elezioni] politiche era «finito», ma la maggioranza e la goffaggine del governo lo hanno risuscitato e rinvigorito, cedendogli «già» senza colpo ferire la piazza e l’iniziativa. Alle prossime elezioni, egli vincerà a furore di popolo perché il clima che si respira in Italia oggi è lo stesso del 1922 che vide Mussolini impadronirsi dell’Italia. Un errore e una tragedia durate 20 anni di dittatura, una guerra mondiale e un’emigrazione spaventosa. Governo e maggioranza sono colpevoli perché stanno disprezzando il nostro voto e la delega che gli abbiamo dato, creando le condizioni per uno Stato dinastico che è già dietro l’angolo. Noi disprezziamo e abbandoniamo al loro destino questi politicanti ottusi e senza dignità. Li diserediamo dalla nostra coscienza di popolo e gli chiediamo conto del loro sperpero ideale, istituzionale ed economico. Non vi votiamo per amore, vi tolleriamo per necessità».
Era il mese di giugno del 2007! Il mattino, come sempre, si vede dal buon giorno! Magra consolazione potere dire oggi: «avevo ragione»! Tristezza e desolazione pervadono l’anima e la volontà di non andare a votare perché sarebbe una finta e un insulto all’intelligenza e alla dignità di me persona che non posso decidere nulla se non firmare ciò che inquisiti, condannati e delinquenti decideranno nel segreto (ma non tanto) dei loro luridi interessi.
Mi addolora che in questo attentato alla democrazia vi si possa scorgere la longa manus della gerarchia ecclesiastica cattolica perché il colpo di grazia al governo Prodi, da sempre inviso oltre Tevere, forse perché da quelle parti non si tollerano i «cristiani adulti», è avvenuta in una sincronia di fatti e interventi che dirli casuali significa bestemmiare il Nome santo di Dio. Sull’autobus a Genova ho ascoltato questa affermazione: «Quando mamma-Cei chiama, picciotto-Mastella risponde». L’interlocutore proseguiì: «Con l’indulgenza plenaria all’uomo dell’indulto». Non a caso, la credibilità della struttura ecclesiastica è crollata di 10 punti percentuali.
Ora le destre e le armate di Ruini, il grande regista dell’asse «atei-devoti e devoti-atei» possono avanzare a tenaglia e, travolta la suicida maggioranza del governo Prodi, installarsi nelle casseforti del potere e spartirsi con immorale cupidigia le spoglie di ciò resta del malaffare, del conflitto d’interessi, dell’economia, della cassa e della dignità di un popolo dissanguato.
Onore a Veltroni che con la proposta di dialogare a tutti i costi con Berlusconi gli ha gettato in soccorso il suo salvagente, risuscitandolo dalle secche in cui moriva. Ora che lo statista senza statura ritorna alla mangiatoia, può allegramente sperperare i risparmi e il risanamento economico che l’incauto Prodi ha operato.
Onore a Diliberto, a Giordano, a Pecoraro, a Di Pietro e compagnucci tisicucci che con maestria hanno saputo segare il ramo su cui erano seduti, regalando il Paese per la seconda volta a Berlusconi e intanto continuano a sorridere e a giocare a scarica barile. Avevano una missione storica: impedire per sempre la deriva del berlusconismo, hanno invece lavorato gratis per il suo ritorno. Viene il dubbio che li abbia comprati al mercato dietro casa. Noi chiediamo che non siano ripresentati tutti i capi, vice capi e portaborse della defunta maggioranza. Lo esige la Decenza. Lo pretende l’Etica.
Onore alla Cei, a Ruini, a Bertone, a Betori e a Bagnasco che ora benedicono, senza dirlo espressamente, le falangi fasciste, casiniane, finiane, storaciniane, mastelliane e berlusconiane, dimenticandosi - ahimé! - che tutti questi lanzichenecchi hanno fatto scempio della morale cattolica e della dottrina sociale alla quale pure dicono di doversi ispirare, avendo fatto solo i loro interessi e quelli del padrone, infischiandosene di quelli del Paese, delle famiglie, dei poveri, degli immigrati e di quanti non hanno nemmeno lacrime per piangere come Rachele i propri figli che muoiono di fame e di abbandono.
Onore a tutti i cristiani, figli devoti del papa che in nome dei sacri valori della famiglia e del «sano laicismo» voteranno per cattolici divorziati, concubini, conviventi, mafiosi, condannati, ladri, atei e devoti capaci di vendere Cristo, l’etica e l’onore per meno di trenta denari. Quando si tratta di battere e riscuotere cassa, ciò che conta e la forza del potere , mai la coerenza del cuore e la dignità della coscienza che sono appannaggio degli spiriti deboli.
Non ci resta che sperare in un miracolo! Madonna di Lourdes, pensaci tu, per piacere! Anche in articulo mortis!
Paolo Farinella, prete - Genova
Filosofia
Un libro dedicato al pensatore cattolico Gustavo Bontadini riapre la discussione sulla riflessione del suo maggior allievo
Severino: la mia autodifesa
Nietzsche e i credenti uniscono Essere e Nulla. Io riparto da Parmenide
di Emanuele Severino(Corriere della Sera, 12.3.08)
Nietzsche crede che ad eccezione di Eraclito e di lui stesso tutti i filosofi si siano posti al seguito di Parmenide. Appunto per questo intende operare il «superamento dei filosofi ». E Karl Popper - filosofo della scienza e promotore del rinnovamento del neopositivismo logico - ritiene a sua volta che la maggior parte dei grandi fisici del nostro tempo (Boltzman, Minkowski, Weil, Schrödinger, Gödel, Einstein) si muovano sostanzialmente nell’ambito del pensiero parmenideo; sebbene a sua volta propenda per una interpretazione non parmenidea del mondo fisico, come quella di Heisenberg. Platone chiamava Parmenide «venerando e terribile», come un dio. E l’unico strappo di Aristotele al proprio sempre misurato linguaggio riguarda Parmenide: le sue dottrine, dice, sono «follie».
Ma le cose non stanno così. Tutti i filosofi, dopo Parmenide, hanno mirato a «superarlo»; la logica dei fisici non ha nulla a che vedere con il suo pensiero, la cui potenza è stata sempre, in ogni campo, misconosciuta. Sono più di cinquant’anni che vado mostrandolo. Molto pochi, se si tien conto della posta in gioco.
È uscito ora, pubblicato da Vita e Pensiero, Bontadini e la metafisica, il volume degli atti del Congresso tenutosi a Venezia per il centenario della nascita del mio indimenticabile maestro, tra i maggiori pensatori del nostro tempo e cattolico. Anche la maggior parte degli autori del volume (circa seicento pagine) sono cattolici; ma molti di essi si rammaricano che - quanto al tratto filosofico essenziale - nell’ultima fase della sua vita il maestro dell’Università Cattolica sia venuto «dalla mia parte» (se vogliamo usare, per far presto, questa pessima e impropria espressione). Ho apprezzato il Cardinale Scola, allievo di Bontadini e anche mio, che invece nella tavola rotonda a cui partecipammo, pur dissentendo da quel tratto essenziale con competenza e modestia, ha evitato di rammaricarsi. Il gran tema è comunque, anche qui, la misconosciuta potenza del pensiero parmenideo.
Mi sembra quindi molto importante la posizione di Erwin Tegtmeier, già collaboratore di Habermas e di Albert. Dalla fine degli anni Novanta egli percepisce l’irripetibile potenza del pensiero di Parmenide. In Scenari dell’impossibile - un recente libro a più voci e di grande interesse, che per molti aspetti mi riguarda - Tegtmeier presenta un saggio intitolato Il problema del divenire in Parmenide e la sua soluzione.
Agli inizi degli anni Ottanta era uscita in Germania, presso Klett-Cotta, la traduzione del mio libro Essenza del nichilismo, al cui centro sta lo scritto intitolato Ritornare a Parmenide, del 1964, a partire dal quale è incominciata la pluridecennale discussione tra Bontadini e me. Tegtmeier si muove nell’ambito dell’ontologia analitica contemporanea di matrice anglosassone, ma anche per lui la negazione parmenidea del divenire è rimasta inconfutata ed è inconfutabile - quando invece è convinzione comune che già Platone e Aristotele avessero definitivamente chiuso i conti con Parmenide. Perché niente di meno di questo si tratta: Parmenide mostra che «ciò che è», l’«essente », non può provenire dal «non essente» e nel «non essente» non può dissolversi; e poiché il mondo è l’apparire dell’incominciare ad essere e del cessare di essere, da parte delle cose, le cose del mondo non possono essere degli «essenti» e il loro apparire è solo illusione.
Il pensiero essenziale - tanto più avvolto da nubi impenetrabili e tanto più lontano dalle nostre abitudini concettuali, quanto più esso è luminoso, semplice e vicino - è quello in cui appare l’impossibilità che l’«essente » esca dal niente e vi faccia ritorno: quello in cui appare il perché di questa impossibilità. Possiamo indicare così questa oscura semplicità: se l’«essente» provenisse da un passato in cui esso non è (ossia è niente) e andasse in un futuro in cui esso torna a non essere, allora, in assoluto, l’«essente» sarebbe «non essente» cioè non sarebbe «essente». Stando al comune modo di pensare possiamo affermare che, in assoluto, la casa non è casa, la stella non è stella, l’albero non è albero? No - si risponde subito. Ma allora non si può nemmeno affermare che l’«essente» non sia «essente» - anche se in questo modo ci si avvia lungo un cammino che porta molto lontano dal comune modo di pensare, cioè al luogo i cui appare che l’«essente» è eterno.
Mi sembra però che Tegtmeier sostenga sì l’opposizione tra l’«essente» e il «non essente » (cioè sostenga che l’«essente» non è il «non essente»), ma poi la lasci di fatto valere come un semplice postulato, nel senso dei postulati da cui procedono ad esempio la logica, la matematica, la fisica e che ormai esse stesse (almeno nelle loro forme più evolute) non considerano più come verità innegabili. E invece quell’opposizione non è un semplice postulato, un dogma, una fede.
La fretta con cui si risponde «no» alla domanda se la casa sia non casa, o la stella sia non stella, è soltanto la volontà che le cose stiano così. All’interno di quella fretta, il «principio di non contraddizione» (che appunto afferma in generale l’opposizione tra ogni cosa e ciò che è altro da essa) è soltanto la volontà che la realtà non sia contraddittoria. Se ci si ferma a questa volontà si capisce perché Nietzsche giunga ad affermare che i «supremi principi» della conoscenza umana (quale, appunto, il «principio di non contraddizione») sono soltanto degli «imperativi» che, certo, servono a vivere, ma che certamente non sono verità innegabili.
Intendo dire che l’opposizione tra l’«essente » e il «non essente» è come una stella che stia al centro del cielo, che però non ha il buio attorno a sé, ma brilla insieme alle altre stelle. Per restare in questa metafora (che dunque dice ben poco intorno a ciò a cui essa accenna), solo guardando il firmamento - cioè andando oltre Parmenide in modo essenzialmente diverso da come il pensiero dell’Occidente ha creduto di andare oltre di lui -, è possibile vedere che l’opposizione tra l’«essente» e il «non essente» non è semplicemente un postulato, un dogma, una fede, un «imperativo».
Il firmamento corrisponde, al di fuori della metafora, a ciò che nei miei scritti è chiamato «struttura originaria del destino della verità». Questa struttura mostra (ma anche qui si tratterebbe di vederlo in concreto) che le cose del mondo non possono essere illusione, ma sono «essenti», e dunque sono eterne, tutte; sì che il loro variare non può essere inteso come il loro provvisorio sporgere dal nulla, ma come il comparire e lo scomparire degli eterni. Il «destino della verità» sta al di là di tutto ciò che si è pensato intorno alla verità e al destino, ma non è una «dottrina» inventata da qualcuno, sia pure egli un Dio, ma è il firmamento che da sempre appare nel più profondo di ognuno di noi.
In base alla fede nella creazione e annientamento delle cose Nietzsche ha argomentato l’impossibilità di ogni Dio. E rispetto agli amici di Dio, che condividono questa fede, la sua argomentazione è irrefutabile. (In base a questa stessa fede Nietzsche ha argomentato, anche qui in modo irrefutabile, la necessità dell’«anello del ritorno», l’«eterno ritorno» di tutte le cose). Amici e nemici di Dio hanno in comune quella fede che, essa sì, è l’autentica ed estrema follia. Ma anche nel più profondo del loro cuore brilla il firmamento del destino. Vicinissimo e insieme lontanissimo da esso, Parmenide lo chiama «il cuore, non tremante, della ben recintata verità».
*
Emanuele Severino (Brescia 1929, nella foto), fu allievo di Bontadini. Nel 1962 diventa docente all’Università Cattolica e due anni dopo esce il suo «Ritornare a Parmenide», che provoca il suo allontanamento. Ha poi insegnato a Venezia e al San Raffaele di Milano Bibliografia. Allievi e seguaci del teorico italiano
Tra i numerosi libri e saggi, senza contare centinaia di siti in rete, che recentemente si sono riferiti al pensiero di Emanuele Severino ricordiamo, in relazione a questo suo articolo, la raccolta-omaggio di saggi Le parole dell’essere. Per Emanuele Severino, a cura di Petterlini, Brianese e Goggi (Bruno Mondadori, 2006, pp. 718, e 40.00). Né va dimenticato che lo storico tedesco Thomas Sören Hoffmann nel suo saggio Filosofia in Italia (Mariverlag, 2007, pp. 400, e 18) ha considerato Severino il solo pensatore degno di rilievo nel nostro Paese dopo Vico. Severino e la sua filosofia sono inoltre presenti in: Bontadini e la metafisica, a cura di Carmelo Vigna (Vita & Pensiero, 2008, pp. 584, e 35); Scenari dell’impossibile, La contraddizione nel pensiero contemporaneo, a cura di Francesco Altea e Francesco Berto (Il Poligrafo, 2007, pp. 308, e 25); Verità e prospettiva in Nietzsche, a cura di Francesco Totaro, (Carocci, 2007, pp. 230, e 20,50). Inoltre ha trattato l’argomento Salvatore Natoli, La mia filosofia (Edizioni ETS, 2007, pp. 136, e 12,00).
Tra i volumi usciti recentemente o in via di pubblicazione, e connessi ai temi di Emanuele Severino, vanno infine ricordati: Ines Testoni, La frattura originaria. Psicologia della mafia tra nichilismo e omnicrazia ( Liguori, 2008, pp. 356, e 25,50); Umberto Soncini, Il senso del fondamento in Hegel e Severino (è un saggio che vedrà la luce nel 2008). r.c.
L’esistenza di Dio e il nulla: replica ad Emanuele Severino sui suoi rapporti con il pensiero cattolico e il suo maestro Bontadini
La disfida di Parmenide
Un volume rilancia la querelle sulla rottura tra il filosofo e il grande pensatore della Cattolica, pioniere del ritorno alla metafisica
di MICHELE LENOCI (Avvenire, 13.03.2008)
E’ confortante che ogni tanto si richiami l’attenzione sulla tematica metafisica e sulle fondamentali questioni relative all’essere, al nulla, al divenire e al problema di Dio, con la pretesa di poterle affrontare non solo attraverso metafore suggestive e persuasive, ma anche mediante argomentazioni stringenti e rigorose, giungendo a risposte univocamente fondate, per la loro immediata evidenza o per l’impossibilità del contrario, e capaci, quindi, di rivelare i vincoli necessari che legano pensiero ed essere. E quando su questi temi ritorna, in un lungo articolo sul Corriere della sera di ieri, un filosofo come Emanuele Severino, che al loro sviluppo, in modo originale e coerente, ha dedicato l’intera sua riflessione, il richiamo diventa significativo, sul piano storico e su quello teoretico.
L’occasione è offerta da un volume che raccoglie gli atti di un Convegno veneziano, dedicato al pensiero di Gustavo Bontadini, nel centenario della sua nascita: vengono ripresi i momenti centrali di un dibattito, tuttora vivo, che, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, ha animato le aule della Cattolica, per poi estendersi e raggiungere orizzonti più ampi e interessi più vasti, anche se quasi sempre alternativi riÈ spetto a quelli alla moda, paghi, questi, delle loro metaforiche debolezze.
Di Bontadini Severino è stato allievo, e lo ricorda sempre con affetto e stima; così come entrambi, insieme con Sofia Vanni Rovighi, sono stati non dimenticati maestri di molti di noi, che in Cattolica abbiamo studiato e adesso insegniamo.
Il richiamo alla differenza insuperabile tra essere e nulla e all’impossibilità che l’essere non sia e il nulla sia, fin dal celebre saggio del 1964, costituisce la base per quel ritorno a Parmenide, in virtù del quale Severino considera il divenire impossibile, perché contraddittorio. Ma, a differenza dell’Eleate, non relega il molteplice, cioè le cose del mondo, nell’illusione, facendo propria la lezione di Platone, e, inoltre, si propone di fondare l’eternità assoluta degli enti, di tutto ciò che è ed ha una qualche forma di essere, per quanto umbratile e lieve possa apparire.
Qui è stato il maggiore contributo di Severino: nel tentativo di rispondere alle obiezioni del suo maestro e dei molti interlocutori, egli ha sviluppato una prospettiva sistematica, sempre più ampia, avvolgente e complessa, in cui cerca di rendere plausibile, perché fondata, la contemporanea ammissione dell’eternità degli essenti e del loro mutevole e cangiante apparire.
E qui sta anche il suo secondo contributo, quello su cui maggiore è stata la disputa con Bontadini, e meno convincenti ancorché molto elaborate le sue risposte alle obiezioni: Severino ritiene che l’esperienza non attesti il divenire, cioè l’andare nel nulla o l’uscire dal nulla, ma solo l’apparire e lo scomparire degli enti: sicché ad affermare il divenire sarebbe solo una fede, una convinzione, condivisa da tutto l’Occidente, ma non per questo meno infondata e folle, giacché contraria alla legge del logos e, insieme, neppure attestata dall’esperienza.
Bontadini, che alla lezione dell’Eleate è sempre stato sensibile e attento, sin dagli anni Cinquanta, anche se in una prospettiva inizialmente diversa da quella del suo allievo, ha successivamente condiviso il principio parmenideo in senso forte, per cui l’essere non può annullarsi e divenire, ma ha sempre sostenuto che l’esperienza ci attesta un divenire come annullamento dell’essere, sia pure solo per un minimum, ritenendo che la distinzione tra non essere e non apparire, proposta da Severino, a un certo punto non sarebbe più sostenibile. E proprio a questo momento Bontadini dà avvio all’argomento dialettico per dimostrare l’esistenza di Dio, che tanto lo ha impegnato negli ultimi anni della sua riflessione e della sua esistenza: non sempre confortato, in ciò, dal consenso di allievi e interlocutori. Ma per lui il passaggio è necessariamente richiesto ove si ammetta, insieme, il principio di Parmenide e si vogliano ’salvare i fenomeni’, cioè riconoscere l’attestazione empirica del divenire: solo Dio, eterno e creatore, può colmare, nella sua infinita positività, quel non essere che l’esperienza del divenire testimonia e che risulterebbe contraddittorio solo se fosse assolutizzato, cioè se non fosse inscritto e risolto in quel più ampio contesto ontologico, in cui i conti, cioè la somma algebrica tra positivoe negativo, vengono finalmente pareggiati.
Si delinea una prospettiva ontologica assai diversa da quella scolastica e classica, cui pure Bontadini si richiama e che intende rigorizzare, e un poderoso tentativo per provare che l’affermazione del divenire non è solo una ’fede’, una convinzione folle, e, ciononostante, si può egualmente rimanere fedeli all’essere e al positivo; così egli, pur ammettendo l’annientamento delle cose, non ritiene irrefutabili le confutazioni che Nietzsche rivolge all’Assoluto: anche qui concorde con Parmenide e Severino, ma, insieme, da loro radicalmente distante (e, del resto, quali radicali opposizioni non implicano anche, e sempre, essenziali e sottese solidarietà?). Tuttavia, proprio in quegli anni, e successivamente, altre voci si sono levate per ricordare, che forse la distinzione tra ente ed essere e la sottolineatura dell’analogia dell’essere (del resto ben note a Severino) potevano offrire spunti per evitare una ’sostanzializzazione’ dell’essere, cosicché la radicale opposizione tra essere e nulla non si trasferisse, immediatamente e necessariamente, in un’altrettanto radicale opposizione dell’ente (di ogni ente) al nulla, in modo da renderne contraddittorio il divenire. Ma qui si aprirebbe un altro capitolo, e forse un’altra storia.