“DUE COLOMBI”,
“DUE SOLI”.
A KAROL J. WOJTYLA
GIOVANNI PAOLO II,
in memoriam
di Federico La Sala *
Mentre tutti i mezzi di informazione hanno cercato e cercano di indurre nell’umanità uno sfrenato “culto della personalità” e una generale e planetaria “papolatria”, Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II, di fronte alle difficoltà e alle sofferenze, non si è spaventato affatto: lucidamente e coraggiosamente continua il suo viaggio e lancia tutt’altro ‘messaggio’.
Come ha riferito il portavoce vaticano, Joaquin Navarro, al rientro dalla sala operatoria, il Papa ha scritto: “... ma io sono sempre totus tuus”, ossia tutto tuo. Questo - come si sa - è il suo motto, che si riferisce all’essere appunto “tutto” della Madonna, della Madre.
Cosa vuol dire questa “precisazione”? Se teniamo presente che Gesù dice e sottolinea continuamente del legame e addirittura dell’identità con il Padre, Giovanni Paolo II dice - quasi per farsi perdonare una dimenticanza o una debolezza - e sottolinea con un “... ma” e un “sempre” la sua fedeltà alla Madre.... e la sua condizione di Figlio. Cosa sta cercando di dirci e dirsi Karol Wojtyla, cosa sta cercando di chiarire Giovanni Paolo II a se stesso e a tutti e a tutte?
Con tutto il rispetto possibile, se pensiamo che la madre di Karol Wojtyla era una donna di religione ebraica, sposata con un uomo di religione cattolica, forse capiamo di più il nodo epocale, personale e politico (antropo-teologico e culturale), che co-stringe il cuore e la mente dell’uomo Wojtyla e del papa Giovanni Paolo II.
Egli ha percorso tutta la terra ... è giunto sino al Muro del Pianto, ma non è riuscito nell’impresa più grande e più importante - riequilibrare il campo tra Maria e Giuseppe, tra la donna e l’uomo, e tra la madre e il padre, e restituire la stessa dignità e la stessa luminosità all’uno e all’altra.
All’Unica Luce dei “due Soli”, egli non è potuto giungere. Ma.... forse, non è ancora troppo tardi - perché la Pace dell’Amore scenda nel Suo, e nel nostro, cuore - e su tutta la Terra! Che egli sappia vincere le Sue (e le nostre) resistenze, e si porti al di là della logica del “mammasantissima” e di “edipo” ... come aveva ben visto il nostro - dell’umanità intera - amico, Freud. (Federico La Sala, 26.02.2005)
* ([https://www.ildialogo.org/primopiano/inmemoriamlasala04042005.htm], Lunedì, 04 aprile 2005)
SCHEDA:
Breve Biografia
(Aggiornamento: 30.06.2005)
Karol Józef Wojtyła, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.
Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1̊ novembre 1946, per le mani dell’Arcivescovo Sapieha.
Successivamente fu inviato a Roma, dove , sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: "Valutazione della possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler". Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo di S. Cesareo in Palatio, Diaconia elevata pro illa vice a Titolo Presbiterale.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.
Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333).
Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni: alle Udienze Generali del mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le 19 edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle Famiglie da lui iniziati a partire dal 1994.
Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi.
Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.
Con l’Anno della Redenzione, l’Anno Mariano e l’Anno dell’Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa.
Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo: ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha proclamato Dottore della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino.
Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.
Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana.
A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche 5 libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004) e “Memoria e Identità” (febbraio 2005).
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.
Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro.
Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. La Causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma.
SOLO L’OLIVO BENEDETTO DA WOJTYLA FA I FRUTTI
GERUSALEMME - In un boschetto di olivi piantati durante il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel 2000, solo l’albero che era stato benedetto dà frutti. Lo riferisce oggi il giornale Yediot Ahronot. Al termine di una preghiera collettiva sul Monte delle Beatitudini, che domina il Lago di Tiberiade, il pontefice aveva benedetto un olivo offerto da un fondo israeliano per la salvaguardia della terra (il Kkl). (Nella foto Giovanni Paolo II che benedice un albero durante il suo viaggio in Israele e Giordania)
L’alberello era stato piantato insieme ad altri undici. "Si trovano tutti sulla stessa parcella e hanno ricevuto le stesse cure e la stessa quantità d’acqua, ma solo quello benedetto dal papa dà frutti", ha detto al giornale un esperto del Kkl.
E Wojtyla cancellò secoli di odio
di Elio Toaff (Il Messaggero, 01 maggio 2011)
Per gli ebrei Giovanni Paolo II non è un santo né può esserlo, perché nell’ebraismo non ci sono santi. Ma giusti sì. E niente si attaglia meglio alla grande figura di Papa Wojtyla della qualifica di giusto.
Nella travagliata storia dei rapporti tra i pontefici di Roma e gli ebrei, all’ombra del ghetto in cui furono reclusi per oltre tre secoli in condizioni umilianti e deprimenti, la sua immagine infatti emerge luminosa in tutta la sua eccezionalità. Sappiamo che fin dal Concilio Vaticano II la chiesa aveva inteso rivedere il proprio atteggiamento nei confronti del popolo ebraico e con la Declaratio Nostra Aetate cancellava definitivamente l’accusa di deicidio dal vocabolario teologico del mondo cristiano, condannando nello stesso tempo ogni forma di antisemitismo basata su presupposti religiosi o razziali. Quello che Jules Isaac definiva come «l’insegnamento al disprezzo» adottato per secoli dalla chiesa nei confronti del popolo ebraico, che tanti lutti e tragedie aveva provocato nel corso della storia, lasciava il posto a un dialogo aperto, franco e sereno, ma soprattutto basato sul rispetto e la reciproca stima e sulla consapevolezza del patrimonio biblico e spirituale comune. Cristiani ed ebrei, definiti fratelli maggiori o minori, ma al di là delle precisazioni semantiche, soprattutto e soltanto fratelli. Ma occorreva un gesto significativo, simbolico e paradigmatico per sottolineare questo rivoluzionario cambiamento di rotta.
Papa Wojtyla ha avuto il coraggio di compierlo, senza esitazioni, con onestà e grandezza d’animo, ben consapevole dei suoi profondi sviluppi e contraccolpi, che inevitabilmente lo avrebbero seguito modificando in maniera radicale la tradizionale politica della chiesa. Il triangolo ai cui vertici si trovavano la tolleranza verso l’antisemitismo nei confronti del cosiddetto popolo deicida, il disprezzo verso il suo patrimonio spirituale e religioso e il rifiuto a riconoscerne la patria legittima nello Stato d’Israele si sarebbe sgretolato progressivamente negli anni successivi con l’aperta e vigoroso approvazione di Papa Giovanni Paolo II.
Le tre visite simboliche alla sinagoga di Roma, al campo di sterminio di Auschwitz e a Gerusalemme, al Muro Occidentale del Tempio, hanno segnato come pietre miliari questo percorso, che il Pontefice con passo fermo ha voluto compiere come atto di autentico amore nei confronti del popolo d’Israele e di riparazione per i torti inflittigli nel corso della storia.
La storica visita di Karol Wojtyla alla Sinagoga, o meglio al Tempio Maggiore degli ebrei di Roma, avvenuta il 13 Aprile 1986, era stata preceduta cinque anni prima da un incontro (il primo dei molti che ebbi con Giovanni Paolo II) avvenuto, e non a caso, nella canonica di San Carlo ai Catinari, alle porte del ghetto.
Un incontro voluto dal Pontefice, durante il quale egli intese esprimermi tutto il suo dolore e il suo rammarico per le sofferenze che avevano segnato indelebilmente le vicende degli ebrei nel recente e lontano passato, assicurando da parte sua che in futuro la Chiesa avrebbe saputo sottolineare «i valori di quell’eredità comune sulla quale dobbiamo continuare».
Ma fu quando il Papa per la prima volta nella storia della Chiesa dai tempi di Pietro fece il suo ingresso solenne nella Sinagoga di Roma e mi abbracciò, nella mia veste di Rabbino e rappresentante del popolo della Bibbia, che compresi appieno la portata di quell’evento, destinato a rimanere indelebile nella memoria collettiva di ebrei e cristiani, come monito e richiamo alla tolleranza, alla fratellanza e alla stima reciproca e come condanna di ogni sorta di violenza, fisica o verbale, e di intolleranza.
Papa Wojtyla aveva compiuto un gesto, nello stesso tempo ardito e simbolico, che intendeva ricomporre una frattura di secoli. Io da parte mia, che in quel momento mi sentivo schiacciare sotto il peso delle sofferenze patite dal mio popolo, partecipavo commosso e turbato a quell’incontro, di cui Dio aveva voluto fossi protagonista.
Certo in quell’occasione avrei voluto che il Pontefice esprimesse esplicitamente il riconoscimentodello Stato d’Israele da parte della Chiesa nella sua doppia valenza di terra di rifugio degli scampati dai campi di sterminio nazisti e di inizio dell’avvento dell’era messianica. Invece dovetti attendere qualche tempo prima di prendere atto che la sua risposta era stata positiva.
Tra le pietre del Muro Occidentale di Gerusalemme, durante la sua storica visita in Israele, Giovanni Paolo II ha posto un quadratino di carta ripiegato con la scritta Perdono, intendendo nello stesso tempo riferirsi alla tragedia della Shoah e alle colpe di omissione della Chiesa in quel frangente e allo Stato d’Israele come erede dei milioni di martiri trucidati nelle camere a gas e rifugio degli scampati. La sua commossa visita ad Auschwitz non poteva essere che il coronamento di questo doloroso tragitto di ripensamento. «Mai più!» avrebbe detto Papa Wojtyla guardando le immagini di quei bambini, innocenti vittime della furia antisemita nutrita di pretesti religiosi e di pregiudizi razzisti. Questo sarebbe il suo messaggio e il suo monito anche oggi, quando folle di fedeli ricordano la sua immagine e il suo insegnamento proclamandolo santo.
Nei giorni di Pesach, della Pasqua ebraica del 1987 Papa Giovanni Paolo II scrivendomi, si rivolgeva alla comunità ebraica con queste parole: «Che la grande solennità pasquale colmi di gioia i vostri cuori e vi sostenga nel cammino della libertà e della speranza della fede e dell’amore al padre che ci ama e all’uomo che è immagine del Creatore». Oggi, nei giorni della Pasqua del 2011, assistendo alle celebrazioni in suo onore, diciamo ai nostri fratelli minori che l’uomo Karol Wojtyla era certamente uno degli uomini che Dio aveva voluto fossero più simili alla sua immagine.
Già Rabbino capo di Roma
Terremoto, è intatta la chiesetta di Papa Giovanni Paolo II *
La chiesetta di San Pietro della Jenca, a Camarda, non è stata colpita dal terremoto. Qui, Papa Giovanni II, si recava spesso a pregare in incognito, durante le sue passeggiate sul Gran Sasso che amava tanto. Lo riferisce un servizio di Rete 8 (immagini del 14-4-2009).
* l’Unità, 14.04.2009.
A PARTIRE DAL PRESENTE .... UNA CHIAVE PER CAPIRE LA CONFUSIONE IDEOLOGICA E SPIRITUALE (OLTRE CHE LA DERIVA NAZISTOIDE) DELLA "FAMIGLIA" VATICANA. Avendo buttato a mare tutta la tradizione critica e cristiana, i "cattolici" confondono (livello "storico" e livello "logico" e - in piena notte "edipica" - vogliono riportare direttamente l’ intera famiglia umana ... alla preistoria!!! (fls)
Se la famiglia risale alla preistoria
di Fiorenzo Facchini (Avvenire. 17.03.2007)
Nel dibattito in corso sulla famiglia si registrano proposte di legge relative a nuove forme di aggregato o surrogato familiare. C’è chi ha scritto che la famiglia sarebbe una invenzione del cristianesimo. C’è perfino chi ritiene superata la finalità procreativa della coppia prospettando la possibilità di separare procreazione e sessualità mediante le biotecnologie. Sono posizioni tipicamente ideologiche in cui si dimenticano le esigenze squisitamente antropologiche che fondano la famiglia e sono alla base dello sviluppo e del successo della specie umana.
Frugando nelle pieghe del passato si può cercare se e quale possa essere stato il ruolo della famiglia presso i nostri antenati, soprattutto quale famiglia potessero avere. Non mancano documenti su sepolture di madre e bambino, come attesta la più antica sepoltura, datata a 90.000 anni fa e trovata a Qafzè (Israele). Assai interessante la sepoltura (familiare?) di Sungir (Russia, 28.000 anni fa) con un anziano, una donna e due ragazzi. Il tema della sessualità e della coppia emerge con grande evidenza nelle incisioni rupestri della Val Camonica, e si ritrova anche nei petroglifi dell’Asia centrale.
Ma quale poteva essere il modello familiare nelle prime forme umane? Vari argomenti suggeriscono un’organizzazione basata su un nucleo familiare stabile, imperniato sulla coppia.
Lo richiedeva la stessa condizione umana. La prole, generata in uno stato di immaturità, comporta un periodo molto più lungo di crescita, documentato anche dagli studi sulla crescita dei denti in reperti preistorici, rispetto ai primati non umani e fonda duraturi rapporti parentali e di coppia. Il periodo di dipendenza dai genitori assume un significato educativo e consente l’apprendimento per quei comportamenti tipicamente bioculturali, come il bipedismo, il linguaggio e l’uso delle mani nella tecnologia. Viene ammessa una diversificazione di compiti per l’uomo e la donna, il primo impegnato per la caccia, la seconda per la cura della prole, ma anche nella raccolta di cibo nelle vicinanze della base familiare.
Tutto ciò porta a escludere la promiscuità o modelli simili a quelli dei Primati attuali. Isaac sostiene l’ipotesi di una sussistenza duale reciproca richiesta dalla strategie di caccia e raccolta. Lovejoy, che ha studiato il comportamento sociale degli Ominidi, pone l’accento su relazioni stabili tra individui dei due sessi. Secondo questo autore il comportamento riproduttivo legato a in gruppo bifocale, cioè a una coppia monogama, doveva costituire la forma nucleare primitiva di aggregato familiare che sostituì il modello matrifocale degli scimpanzè.
Anche secondo Quiatt e Kelso con l’ominizzazione si ha un passaggio a un’economia duale reciproca a carattere stabile, con legami intrafamiliari non soltanto per l’allevamento della prole, ma anche per possibili ruoli secondari all’interno della famiglia (nonni, zii) in ordine all’acquisizione e trasmissione di aspetti culturali.
L’aggregato familiare consente una intensa prolungata cooperazione parentale, specialmente nell’allevamento della prole. Reali esigenze di carattere biologico ed educativo fondano la famiglia, primo ambito della inculturazione, facendole assumere anche sul piano adattativo un ruolo fondamentale per il successo per la specie umana.
Volevo far osservare all’amico Federico che il medico viennese, nel suo tentativo di "purificare" la religione, respinge uno dei principi fondamentali del messaggio evangelico: l’amore per il prossimo !
""Amerai il prossimo tuo come te stesso." È una pretesa nota in tutto il mondo, certamente più antica del cristianesimo che la ostenta come la sua più grandiosa dichiarazione, ma certamente non antichissima; sono esistite perfino epoche storiche in cui era ancora estranea al genere umano. [...] Il mio amore è una cosa preziosa, che non ho diritto di gettar via sconsideratamente. [...] Ma se [l’altro] per me è un estraneo e non può attrarmi per alcun suo merito personale o per alcun significato da lui già acquisito nella mia vita emotiva, amarlo mi sarà difficile. E se ci riuscissi, sarei ingiusto, perché il mio amore è stimato da tutti i miei cari un segno di predilezione; sarebbe un’ingiustizia verso di loro mettere un estraneo sul loro stesso piano. Ma se debbo amarlo di quell’amore universale, semplicemente perché anche lui è un abitante di questa terra, al pari di un insetto, di un verme, di una biscia, allora temo che gli toccherà una porzione d’amore ben piccola e mi sarà impossibile dargli tutto quello che secondo il giudizio della ragione sono autorizzato a serbare per me stesso. A che pro un precetto enunciato tanto solennemente, se il suo adempimento non si raccomanda da sé stesso come razionale?
"Se osservo le cose più da vicino, le difficoltà aumentano. Non solo questo estraneo generalmente non è degno d’amore, ma onestamente devo confessare che avrebbe piuttosto diritto alla mia ostilità e persino al mio odio"
S. Freud, Il disagio della civiltà [1929], vol. 10, pp. 597-598
"La religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità; come quella del bambino, essa ha tratto origine dal complesso edipico, dalla relazione paterna. Stando a tale concezione, è da prevedere che l’abbandono della religione debba aver luogo con l’inesorabilità fatale di tutti i processi di crescita, e che ora ci troviamo in pieno proprio in questa fase di sviluppo"
S. Freud, L’avvenire di un’illusione [1927], p. 473
Ricordiamo anche che l’antropologia freudiana riduce l’anima ad una attività psichica e considera l’uomo solamente come un’animale e, quindi, incapace di coglierne la dimensione personale.
Nei due discorsi del 15 e del 29 ottobre 1980, Giovanni Paolo II ha rilevato come la identificazione della natura umana con la concupiscenza corrisponda allo spirito gnostico per il quale la creazione del mondo e la nascita dell’uomo individuale sono opera di un principio malvagio.
La riduzione della natura umana alla sola concupiscenza è caratteristica, secondo il Pontefice, sia della gnosi antica nelle sue versioni ellenistiche e orientali, sia di quella che è stata definita la "gnosi moderna". Giovanni Paolo II riprende da Ricoeur la espressione "maestri del sospetto" per designare i grandi iniziati della gnosi moderna, Freud, Marx e Nietzsche, e nota come ciascuno di essi riduca la natura umana a una delle tre concupiscenze: Nietzsche alla "superbia della vita", Marx alla "concupiscenza degli occhi", Freud alla "concupiscenza della carne"
Cari saluti. Biagio Allevato
Caro Biagio
questa è solo la generale e cosiddetta "vulgata": cerca di pensare un po’ di più!!! La vita e il lavoro di Freud non è riducibile a due citazioni (lette tra l’altro a occhi chiusi e ... zoppicando!!!). E’ come se io giudicassi Wojtyla solo dalla famosa foto sul balcone con Pinochet !!! Entrambi erano legati (in modi diversi - e Freud con tensione critica maggiore) a Mosè e al monoteismo - e non al Pastore-Faraone!!! E tutti e due hanno lottato come leoni per tutta la vita per "uscire dall’Egitto"!!! Leggi, leggi di più e meglio ... non sapevi nemmeno che la mamma di Wojtyla era di religione ebraica!!! Abbi più pazienza con te stesso ... e approfondisci la questione - ci riguarda, riguarda tutti e tute.
M. saluti,
Federico La Sala
Caro Federico, che paragoni porti ? Sù, siamo mica poi così deficienti da non capire cosa intendesse l’"amico" Freud e ciò che vorresti in-cul-carci tu con le tue "prediche". Prova ogni tanto a capire anche la posizione dei tuoi interlocutori: così nasce il dialogo, il confronto.
Se poi chi non la pensa come te è solamente un ignorante che non legge, che non studia, allora tieniti strette le tue teorie, e continua con i tuoi monologhi.
Sempre con stima e simpatia. Biagio Allevato
Caro Biagio Allevato
appunto!!! Verba volant, scripta manent!. Vai a ri-vederti e a ri-leggerti i tuoi interventi nei vari "forum" degli articoli del sito. Metteli tutti insieme, e abbi il coraggio di guardati un pò allo specchio!!! Vedi un pò...
Quando uno non si ascolta quando parla o scrive e non vuol dialogare è inutile ... che spara citazioni. Le citazioni che hai ripreso sono dentro un programma di ricerca che è durato tutta la vita per Freud. Ora tu sei libero di dire quello che vuoi ... ma su questo - se pure sei in gran compagnia (compreso il tuo Pastore-Faraone) - non ci piove!!! E puoi pure continuare a stridere i tuoi denti !!! Calmati - e s vuoi - vai a leggerti A FREUD, GLORIA ETERNA!!! ... e pure i NUMMERI di TRILUSSA. Forse capirai che cosa volesse dire Wojtyla quando parlò con amore e rispetto dei "fratelli maggiori".... senza esclusione per nessuno - nemmeno di Sigmund Freud !!!
M. saluti,
Federico La Sala
Caro Federico,
veramente mi sto scocciando (e penso molti lettori di questa testata) di leggere sempre le stesse cose, gli stessi slogans da parte tua.
Un vero dialogo, un autentico confronto non è mai esistito. E questo certamente per una tua rigidità di pensiero, di vedute a senso unico.
Se ho citato Freud (e il pensiero di Woytila a proposito) non è per "stridor di denti" (non sono ancora all’inferno...) ma per amore della verità, di cui entrambi dovremmo essere innamorati.
Invece di questi attacchi personali, di questo astio (o forse "odio") per chi non la pensa come te, preferirei invece delle delucidazioni, delle spiegazioni, e non le solite risposte sibilline.
Ho capito benissimo la tua posizione, ed io, credimi, la rispetto profondamente. Molto probabilmente abbiamo un concetto dell’amore molto diverso; io mi rivolgo a quello genuino, spontaneo, naturale, umile, molto differente da quello tuo e di qualche tuo "don", che io definirei "caricaturale" . Probabilmente trattasi di di una diversità di letture, di una pluralità di interpretazioni della Rivelazione. Bisogna però fare molta attenzione perchè può esserci anche un uso diabolico della Scrittura stessa ! Di questo ne sono convinto leggendo alcune affermazioni di qualche tuo "don" ...
Non esiste solamente una sapienza che ci proviene dallo studio, dalle letture dei libri. Esiste pure una sapienza che ci viene dallo Spirito! È quanto lo stesso magistero della Chiesa ci insegna.
Tutto questo orgoglio che traspare nei messaggi tuoi e degli altri tuoi "alleati" o "allineati" non va d’accordo con la Verità, non potrà mai coesistere con essa. Così come non potrà coesistere nei rapporti con Dio.
Da buon cristiani (perchè tutti lo siamo, no ? ) allora, confermati dalla Tradizione e dalla Scrittura, ammettiamo umilmente che senza il dono dello Spirito mai arriveremo da soli "a tutta la verità". Nessuno di noi, in cose così delicate, come la vita e la morte, di cui discutiamo da tempo, può fare da solo.
Cari saluti.
Biagio Allevato
caro Biagio Allevato
se non leggi, che posso dirti?! Continua pure a "scocciarti" quanto vuoi, ma qui c’è solo da ridere!!! Ma che credi che lo Spirito soffia solo nella testa del Pastore-Faraone?! In America, l’attenzione è altissima per "La Voce di Fiore". Ma tu, pur se nato a San Giovanni in Fiore, hai le orecchie tappate e della "voce" di Gioacchino non ti arriva più nemmeno l’eco ...
Che dire? Ripeto: Gesù non è venuto per mettere su una baracca - e nemmeno per riportare (contro la Legge di Mosè) "Israele" in "Egitto"!!! E, ancora, che il Nome "Gesù" a GESU’ - figlio di Maria e Giuseppe, entrambi illuminati dallo Spirito di Amore - l’ha dato GIUSEPPE....
Se non vuoi leggere i miei articoli, sull’argomento leggi l’Avvenire - il giornale della CEI!!!
M. saluti,
Federico La sala
A Biagio e Federico.
"Amore che vieni, amore che vai".
Salutoni.
Emiliano
Carissimo Direttore,
io e Federico, come tutti i nostri simili, siamo coinvolti da quella logica naturale dell’amore che si esprime nel famoso : "do ut des" !
E noi, come avrai notato da tempo, "ce le diamo" di santa ragione !!
Tanti auguri per i tuoi prossimi impegni in calabria per la presentazione dell’ultimo lavoro di Ermanno Bencivenga.
Con immensa stima e simpatia, ti saluto.
Biagio Allevato
Carissimo Biagio,
grazie per tutto: il tuo affetto, la tua puntualità, la tua partecipazione, i tuoi contributi, i tuoi consigli. Quanto al tuo rapporto (cosmo-logico) con Federico, non posso che risponderti citando Eraclito:
"Tautò tèni zon kài/ tethnekós kai egregoròs/ kai kathèudon kai nèon kai/ gheraiòn tade gàr/ metapésonta ekéina ésti/ kakèina pàlin táuta".
Ti rinnovo la mia più grande stima e ti abbraccio.
Emiliano
WOJTYLA: SI CHIUDE LA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE *
CITTA’ DEL VATICANO - Si chiuderà il 2 aprile, a due anni esatti dalla morte, la fase diocesana del processo di beatificazione di Karol Wojtyla.
La notizia, che conferma indiscrezioni dei giorni scorsi, è data dal vicariato di Roma in una nota in cui pubblica la lettera con cui il cardinale Camillo Ruini, vicario del Papa per Roma, annuncia a sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, fedeli laici della diocesi la fine della fase diocesana, dopo la comunicazione in tal senso avuta dal postulatore, mons. Slawomir Oder.
La causa si era aperta il 28 giugno 2005, a meno di tre mesi dalla morte di Giovanni Paolo II, grazie alla dispensa ai cinque anni dalla morte richiesti dal codice di diritto canonico per avviare il processo, dispensa concessa da Benedetto XVI.
Con la chiusura della fase diocesana, il processo di beatificazione passa alla Congregazione per le cause dei santi, in Vaticano. Nella sua lettera alla diocesi, il cardinale Ruini riferisce che il postulatore gli ha comunicato ’’che si potra’ procedere alla sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtu’ e la fama di santita’ del servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla)’’, invita alla cerimonia nella basilica di San Giovanni in Laterano e alla messa di suffragio di Wojtyla che nel pomeriggio del 2 aprile il Papa celebrera’ in San Pietro. La lettera del vicario del Papa sara’ pubblicata integralmente sul settimanale diocesano ’’Roma Sette’’, supplemento domenicale di Avvenire.
* ANSA» 2007-03-10 14:40
INTERVISTA
"Wojtyla santo, non subito"
Giovanni Paolo II
Il Prefetto delle cause: sarà giudizio accurato, proprio come avrebbe voluto lui
di GIORGIO TOSATTI
CITTA’ DEL VATICANO.Oggi in piazza San Pietro (ore 17,30, messa di Benedetto XVI) ci sarà per Giovanni Paolo II il popolo del «santo subito», ma per vedere il papa polacco sugli altari ci vorrà ancora del tempo; ce lo dice il cardinale José Saraiva Martins, il prefetto delle Cause dei Santi, cioè la maggiore autorità in materia. E’ alla sua Congregazione che da domani andranno tutti i documenti del processo del pontefice scomparso esattamente due anni fa. «Se fossi Giovanni Paolo II vorrei un’inchiesta rigorosissima. So che ci sono quelli che dicono: Santo, subito, in fretta, presto. Ma io penso che Giovanni Paolo II direbbe invece di fare un processo molto accurato: in modo che chi ha voglia di vedere chi era veramente Papa Wojtyla, fra dieci, venti o cento anni, possa andare agli archivi e trovare tutti i documenti necessari per comprendere, capire pienamente la sua grandezza. Penso che Giovanni Paolo II vorrebbe proprio questo».
Ma secondo lei, era veramente santo?
«Per me è un santo, un vangelo vivente, dai miei contatti con lui ho sempre avuto quest’impressione; e cioè che era un uomo che viveva proprio, proprio in un altro mondo: nel mondo della santità. Quella fede profonda, quell’immergersi nella preghiera, nella sua cappella privata, a volte con gli ospiti che invitava a pranzo...Per me non c’è nessun dubbio che era un santo, un santo vero».
Fra quanto tempo sarà dichiarato beato?
«Non si può sapere. Dipende dal tempo che ci vorrà per fare la “positio”; non sappiamo quanto tempo ci metterà il postulatore».
Che cos’è la “positio”?
«Quando arriva la documentazione, il “postulatore” (chi promuove la causa, N.d.r.), sotto la guida di un relatore deve elaborare la cosiddetta “positio”. E cioè fare una scelta oculata di tutti quei documenti, molte volte ci sono ripetizioni inutili, e pubblicarli in maniera sistematica ed organica. Questa è la “positio”. E poi comincia il compito dei teologi».
Che cosa devono cercare?
«Devono vedere se il candidato ha praticato nella sua vita quotidiana, le virtù cristiane non in un modo qualsiasi, ma veramente in grado eroico. E la parola eroico deve essere presa qui nella pienezza del suo significato. Veramente eroico. E questo devono dircelo i teologi, se davvero Giovanni Paolo II è stato un eroe del cristianesimo, della fede. Quanto ci vorrà? Non si può onestamente prevedere, perché non dipende da noi».
A due anni dalla morte, che cosa sente di papa Wojtyla?
«Che continua a essere molto amato dal popolo di Dio, incarnato da queste file (accenna verso la finestra su piazza San Pietro, N.d.R.) immense, quotidiane. Il popolo non lo ha dimenticato, continua a considerarlo un santo. E’ chiarissimo, ed è una convinzione profonda, sofferta; molte volte aspettano ore ed ore sotto il sole, sotto la pioggia per poter visitare la tomba. Non è la tomba di un uomo, di un sacerdote, ma è la tomba di un santo».
Un suo ricordo personale di Giovanni Paolo II.
«Ho molti ricordi, ma uno personalissimo riguarda il viaggio fatto a Fatima per beatificare i due pastorelli, Giacinta e Francesco. Nel viaggio di ritorno era felicissimo, felicissimo, mi diceva così, e non lo dimenticherò mai: "Finalmente ho fatto quello che dovevo fare. Ho beatificato Giacinta e Francesco”. Era una cosa che sentiva di dover fare».
Fatima, papa Wojtyla ne era devoto. E’ stato detto tutto?
«Ho visto il foglio manoscritto, prima che lo pubblicassero, e non c’era niente di più di quello che è stato detto. Con Giovanni Paolo II suor Lucia aveva un grande rapporto, si scrivevano spesso. E anche suor Lucia, come Giovanni Paolo II, viveva in un’atmosfera assolutamente sovrannaturale. Io metterei la mano sul fuoco che è santa, davvero».
* La Stampa, 2/4/2007 (8:22) -
Giovanni Paolo e Benedetto. Con stili diversi, sulla stessa strada
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 03.04.2007)*
«Santo subito!» gridava la gente due anni fa, di fronte alla salma di Giovanni Paolo II, in piazza San Pietro. Oggi è logico chiederci se si leverebbe lo stesso grido o se, invece, il biennio trascorso ha fatto diminuire quell’entusiasmo. E anche - seconda parte dell’interrogativo - ci chiediamo se il nuovo papa ha suscitato - meritato - lo stesso entusiasmo . Il confronto, d’altronde, è inevitabile.
E’ anche facile , almeno a livello superficiale. Vengono subito in mente alcuni aggettivi: significativi ma insufficienti. Più popolare papa Wojtyla, più aristocratico papa Ratzinger. Anche se non si può non osservare che Benedetto XVI, inevitabilmente, ha cercato di seguire la traccia lasciatagli dal predecessore e da quello strepitoso successo. Ha cercato anche lui di stringere le mani e di dare baci ai bambini. Meno viaggi, almeno per ora, ma non meno significativi, come si è visto in Turchia.
L’impressione più diffusa parla di un Benedetto non soltanto più «aristocratico» ma anche più rigido dal punto di vista dottrinale, meno ecumenico. E, ovviamente, si cita la polemica sui «Dico», evidentemente non soltanto italiana. E si pensa che dietro alle recenti polemiche non soltanto italiane ci sia oltre ai cardinali Ruini e Bagnasco anche lo stesso pontefice. Del quale si cita anche qualche frase che ha irritato il mondo islamico.
Tutto vero, ma non vorrei che queste critiche facessero dimenticare gli aspetti discutibili se non proprio negativi del pontificato precedente. Nonostante il «Santo subito!» non si può non pensare, ad esempio, alla stroncatura della teologia della liberazione e quindi ad un certo accantonamento delle novità rappresentate dal Concilio Vaticano II. Citato spesso, ma sostanzialmente dimenticato.
A questo punto si incontrano i percorsi dei due pontefici. Un incontro sulla stessa strada, quella che esalta proprio la figura del pontefice romano. Una esaltazione che , da una parte, rischia di mettere in secondo piano tutte le altre voci nel mondo cattolico, soprattutto quelle più libere (vescovi, preti, ecc.) e, dall’altra, di ostacolare tutti i tentativi di dialogo ecumenico con gli altri cristiani (soprattutto con i protestanti).
Queste tendenze centralizzatrici le abbiamo riscontrate in Giovanni Paolo II e anche nel primo biennio di Benedetto XVI. In questo senso tutti e due i papi «moderni» esaltano il loro pontificato e lo appoggiano sulla potenza della voce dei mass media, anche se si tratta di una voce ambigua, legata come è al grande capitale. In questo senso fra l’uno e l’altro piena continuità e nessuna rottura. Li unisce la pretesa che piazza San Pietro sia il centro del mondo.
Preti pedofili
Chi ha deciso in Vaticano di sottrarre i preti pedofili alla magistratura
di Pino Nicotri
Sorpresa: ecco chi, come e quando ha deciso in Vaticano di sottrarre i preti pedofili alla magistratura. Non lo indovinereste mai... *
Prima si sono rivolti con fiducia alla Chiesa, anziché ad avvocati e tribunali, inviando fin dal gennaio 2004 alla curia di Firenze esposti e memoriali sulle violenze sessuali ai danni di minori consumate per anni dal parroco Lelio Cantini, titolare della parrocchia Regina della Pace. Con la complicità di una donna, la solita “veggente” di turno le cui visioni di Gesù servivano alla selezione degli “eletti”, Cantini ha imperversato per anni e anni imponendo violenze, psicologiche e fisiche, fra cui quella sistematicamente rivolta a ragazzine di dieci, quindici, diciassette anni, di avere rapporti sessuali con lui, come forma, diceva, di “adesione totale a Dio”, facendo credere a ognuno e a ognuna di essere il prescelto e intimando il segreto assoluto pena il “castigo divino”. A furia di insistere, le vittime di Cantini hanno ottenuto qualche incontro con l’allora arcivescovo Silvano Piovanelli, con l’arcivescovo Ennio Antonelli e con l’ausiliare Claudio Maniago. Ma tutto quello che sono riusciti a ottenere è stato il trasferimento del parroco mascalzone in un’altra parrocchia della stessa diocesi nel settembre 2005, cioè ben 20 mesi dopo gli esposti, motivato ufficialmente “per motivi di salute”, vale a dire senza che venisse né denunciato alla magistratura né svergognato in altro modo né privato dell’abito talare con la sospensione “a divinis”.
Deluse, le vittime e i loro familiari si sono allora rivolti al papa, con una lettera del 20 marzo 2006 recante in allegato i dettagliati memoriali di dieci tra le almeno venti vittime di abusi. “Non vogliamo sentirci domani chiedere conto di un colpevole silenzio”, hanno spiegato al papa il 13 ottobre 2006 con una nuova, nella quale parlano di “iniquo progetto di dominio sulle anime e sulle esistenze quotidiane” e lamentano come a “quasi due anni” dall’inizio delle denunce dalla Chiesa fiorentina non fosse ancora arrivata né “una decisa presa di distanza” dai personaggi coinvolti nella vicenda né “una scusa ufficiale” e neppure “un atto riparatore autorevole e credibile”.
Alla loro missiva ha risposto il cardinale Camillo Ruini, ma in un modo francamente incredibile, di inaudita ipocrisia e mancanza di senso della responsabilità. Il famoso cardinale, tanto impegnato nella lotta incessante contro la laicità dello Stato italiano, a fronte alle porcherie del suo sottoposto si rivela quanto mai imbelle, omertoso e di fatto complice: tutta la sua azione si riduce a una lettera agli stuprati per ricordare loro che il parroco criminale il 31 marzo ha lasciato anche la diocesi e per augurare che il trasferimento “infonda serenità nei fedeli coinvolti a vario titolo nei fatti”. Insomma, fuor dalle chiacchiere e dall’ipocrisia, Ruini si limita a raccomandare che tutti si accontentino della rimozione di Cantini e se ne stiano pertanto d’ora in poi zitti e buoni, paghi del fatto che il prete pedofilo e stupratore sia stato spedito a soddisfare le sue brame carnali altrove. Come a dire che i parenti delle vittime della strage di piazza Fontana o del treno Italicus si sentano rispondere dal Capo dello Stato non con il dovuto processo ai colpevoli, bensì con una letterina buffetto sulle guance che annuncia, magno cum gaudio, che i colpevoli anziché andare in galera sono stati trasferiti in altri uffici e che pertanto augura, cioè di fatto ordina, “serenità” tra i superstiti e i parenti delle vittime. Un simile comportamento oggi non ce l’hanno neppure gli Stati Uniti: è vero che non permettono a nessuno Stato estero di giudicare i propri soldati quali che siano i crimini da loro commessi, da Mai Lay al Cermis, da Abu Graib a Guantanamo e Okinawa, ma è anche vero che gli Usa anziché stendere il velo omertoso del segreto li processa pubblicamente in patria e non sempre in modo compiacente.
Come sempre la Chiesa si comporta in tutto il mondo come uno Stato nello Stato, con la pretesa non solo di intervenire - come è particolarmente evidente in Italia - contro l’autonomia della politica, ma per giunta di sottrarre il proprio personale alla magistratura competente. Il dramma però è che Ruini ai fedeli fiorentini che hanno subìto quello che hanno subìto non poteva rispondere altrimenti, perché - per quanto possa parere incredibile - a voler imporre il silenzio, anzi il “segreto pontificio” sui reati gravi commessi dai religiosi, compresi gli stupri di minori, è stato proprio l’attuale papa, Ratzinger. Con una ben precisa circolare inviata ai vescovi di tutto il mondo il 18 maggio 2001 e che più avanti riproduciamo per intero, l’allora capo della Congregazione per la dottrina della fede, come si chiama oggi ciò che una volta era la “Santa” (!) Inquisizione e poi il Sant’Ufficio, non solo imponeva il segreto su questi orribili argomenti, ma avvertiva anche che a volere una tale sciagurata direttiva era il papa di allora in persona. Vale a dire, quel Wojtyla che più si ha la coda di paglia e più si vuole sia fatto “santo subito”, in modo da sottrarlo il più possibile alle critiche per i suoi non pochi errori.
Da notare che per quell’ordine scritto diramato a tutti i vescovi assieme all’allora suo vice, cardinale Tarcisio Bertone (oggi ancor più potente perché scelto dal papa tedesco come nuovo Segretario di Stato, cioè ministro degli Esteri del Vaticano), Ratzinger nel 2005 è stato incriminato negli Stati Uniti per cospirazione contro la giustizia in un processo contro preti pedofili in quel di Houston, nel Texas. Per l’esattezza, presso la Corte distrettuale di Harris County figurano imputati il responsabile della diocesi di Galveston Houston, arcivescovo Joseph Fiorenza, i sacerdoti pedofili Juan Carlos Patino Arango e William Pickand, infine anche l’attuale pontefice. Questi è accusato di avere coscientemente coperto, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori. Da notare che l’omertà e la complicità di fatto garantita dalla circolare Ratzinger-Bertone ha danneggiato non solo la giustizia di quel processo, ma anche dei molti altri che hanno scosso il mondo intero scoperchiando la pentola verminosa dei religiosi pedofili negli Stati Uniti (dove la Chiesa ha dovuto pagare centinaia di milioni di dollari in una marea di risarcimenti) e in altre parti del mondo. Un porporato che si è visto denunciare dalle vittime un folto gruppo di preti, anziché punire i colpevoli li ha protetti facendoli addirittura espatriare nelle Filippine, in modo da sottrarli per sempre alla giustizia.
Sono emersi casi imbarazzanti anche in Austria e Polonia, con l’aggravante che si trattava delle massime cariche ecclesiastiche, tra le quali l’arcivescovo di Cracovia pedofilo Julius Paetz, la cui pedofilia era nota fin da quando lavorava in Vaticano nell’anticamera del papa suo connazionale, Wojtyla, e proprio negli anni in cui è “misteriosamente” scomparsa la ragazzina cittadina vaticana Emanuela Orlandi. Ma a scorrere le cronache dei giornali locali si scopre che anche in Italia le condanne di religiosi per pedofilia abbondano, solo che - pur essendo gli stupratori scoperti solo la punta dell’iceberg - vengono tenute accuratamente nascoste. E perché vengano nascoste lo si capisce finalmente bene, e in modo dimostrato, leggendo il testo della circolare emanata dall’ex Sant’Ufficio.
A muovere l’accusa contro l’attuale pontefice, documenti vaticani alla mano, è l’agguerritissimo avvocato Daniel Shea, difensore di tre vittime della pedofilia dei religiosi di Galveston Houston. E Ratzinger sarebbe stato trascinato in tribunale, forse in manette data la gravità del reato, se non fosse nel frattempo diventato papa. Nel settembre 2005 infatti il ministero della Giustizia, su indicazione di Bush e Condolezza Rice, ha bloccato il processo contro Ratzinger accogliendo la richiesta dell’allora segretario di Stato del Vaticano, Angelo Sodano, di riconoscere anche al papa, in quanto capo dello Stato pontificio, il diritto all’immunità riconosciuto non solo dagli Stati Uniti per tutti i capi di Stato. A questo punto è doveroso e niente affatto scandalistico porsi una domanda, decisamente scomoda: quanto ha pesato nella scelta di eleggere papa proprio Ratzinger la necessità di sottrarlo alla giustizia americana e di difenderlo per avere in definitiva eseguito la volontà del pontefice precedente? C’è anche un altro particolare: di solito non si riesce a portare in tribunale anche i superiori dei preti stupratori perché in un modo o nell’altro evitano di ricevere l’atto di accusa, specie se risiedono sia pure solo ufficialmente in Vaticano. Ratzinger invece l’atto di citazione ha accettato di riceverlo: si può escludere lo abbia fatto per obbligare i suoi colleghi cardinali ad eleggerlo papa quando Wojtyla - sempre più malato - fosse venuto a mancare?
Come che sia, Shea però non demorde. Due anni fa è venuto a Roma per protestare in piazza S. Pietro assieme ai radicali in occasione della Giornata mondiale contro la pedofilia. E oggi si dice pronto a ricorrere fino alla Suprema Corte di Giustizia degli Stati Uniti per evitare che i firmatari della circolare vaticana che protegge i sacerdoti pedofili la facciano del tutto franca. Intanto dobbiamo constatare con sbigottimento che i tre nomi più impegnati nella lotta contro la laicità dello Stato italiano e del suo parlamento, vale a dire Ratzinger, Ruini e Bertone, sono stati colti con le mani nel sacco della sottrazione alla magistratura dei preti pedofili e strupratori di minori.
Ecco il testo integrale tradotto dal latino dell’ordine impartito per iscritto da Ratzinger e Bertone:
«LETTERA inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e prelati interessati, circa I DELITTI PIU’ GRAVI riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001
Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’art. 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio”, era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal sommo pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica.
Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere “a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962, doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici.
Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al sommo pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal sommo pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica data in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela.
I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono:
I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate:
2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima;
3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;
4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica;
Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo;
2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso;
3° la violazione diretta del sigillo sacramentale;
Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.
Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione.
Ogni volta che l’ordinario o il prelato avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolte un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al prelato, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione.
Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni. La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune: ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.
Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i prelati possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.
Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.
Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
Con la presente lettera, inviata per mandato del sommo pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e prelati interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei prelati prelci sia una sollecita cura pastorale.
Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.
Joseph card. Ratzinger, prefetto.
Tarcisio Bertone, SDB, arc. em. di Vercelli, segretario»
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Come avrete notato, lo scippo della pedofilia alla magistratura civile e penale di tutti gli Stati dove viene consumata è nascosto tra molte parole che parlano di tutt’altro. E il ruolo “giudiziario”, cioè di fatto omertoso, della Congregazione ex Sant’Ufficio è comunque confermato in pieno dalla vicenda fiorentina. A difendere i fedeli violati sono scesi in campo anche i locali preti ordinari e a causa delle loro insistenze il cardinale Antonelli il 17 gennaio ha scritto alle vittime di Cantini che al termine di un “processo penale amministrativo” tutto interno alla curia e sentita per l’appunto la Congregazione per la dottrina della fede, l’ex parroco “non potrà né confessare, né celebrare la messa in pubblico, né assumere incarichi ecclesiastici, e per un anno dovrà fare un’offerta caritativa e recitare ogni giorno il Salmo 51 o le litanie della Madonna”. Tutto qui! Di denuncia alla magistratura, neppure l’ombra, e del resto il “segreto pontificio” non lascia scampo. Per uno che per anni e anni se l’è fatta da padrone anche con il sesso di ragazzine di soli 10 anni - e di 17 le più “vecchie” - senza neppure scomodarsi con un viaggio nella Thailandia paradiso dei pedofili, si tratta di una pena piuttosto leggerina.... Da far felice qualunque pedofilo incallito! Quanto alle vittime, Antonelli ha anticipato l’ineffabile Ruini: visto che “il male una volta compiuto non può essere annullato”, il cardinale invita le pecorelle struprate a “rielaborare in una prospettiva di fede la triste vicenda in cui siete stati coinvolti”, e a invocare da Dio “la guarigione della memoria”.
Ma a guarire, anche dai troppi condizionamenti opportunistici della memoria, deve essere semmai il Vaticano. E infatti i fedeli fiorentini, che hanno letto la missiva del cardinale con “stupore e dolore”, hanno deciso di non fermarsi. Finora non hanno fatto nemmeno causa civile, ma d’ora in poi, dicono, “nulla è più escluso”. I preti schierati dalla loro parte chiedono al papa - nella lettera inviata tramite la Segreteria di Stato oggi retta proprio da Bertone! - “un processo penale giudiziario”, che convochi testimoni e protagonisti, e applichi “tutte le sanzioni previste dall’ordinamento ecclesiastico”. Chiedono inoltre che Cantini, colpevole di avere rovinato non poche vite, sia “privato dello stato clericale” anche “a tutela delle persone che continuano a seguirlo”.
Però, come avrete notato, neppure i buoni preti fiorentini si sognano di fare intervenire la magistratura dello Stato italiano. I panni sporchi si lavano in famiglia... Che è il modo migliore di continuare a non lavarli. Come per la scomparsa di Emanuela Orlandi. 08.04.2007.
Pino Nicotri
Nella foto, Pino Nicotri giornalista investigativo del settimanale “L’Espresso” e autore di importanti libri inchiesta tra i quali “Mistero Vaticano - La scomparsa di Emanuela Orlandi” Kaos Edizioni.
Fonte e commenti:
* IL DIALOGO, Martedì, 10 aprile 2007
Caro prof. hai dimenticato la foto di Nicotri !
A quando un bel servizio anche su Michael Jackson ? E perchè no, anche su Petrarca e su Dante (famosi pedofili) ?
Cosa vogliammo farne di questi malati . Li vogliamo bruciare al rogo ? Castrare ?
Se dobbiamo difendere la libertà e i diritti degli omosessuali, difendiamo pure quelli di chi non è attratto sessualmente solamente da persone dello stesso sesso, ma anche da bambini e adolescenti... Sù, faccia un ulteriore sforzo di tolleranza e di libertà !!
Saluti e inchini.
Blasius Nutritus