Monsignor Frisina, direttore della cappella lateranense firma
lo spartito
della "Divina Commedia" in scena in autunno in un teatro romano
L’Inferno diventa un musical vaticano
dal rock al metal per raccontare Dante
Una colonna sonora che toccherà anche il gregoriano per il Purgatorio
ed esploderà nella lirica e sinfonica per il Paradiso. Lo spettacolo andrà in tournée
di ORAZIO LA ROCCA *
CITTA’ DEL VATICANO - Musiche punk, rock, jazz e metal per raccontare l’Inferno; il Purgatorio descritto con note ispirate in prevalenza alla mistica gregoriana, ma che con l’avvento del Paradiso esplodono in un trionfo di arie di musica lirica e sinfonica, sia classica che moderna. Ecco, in estrema sintesi, la colonna sonora della Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione musical ideata e composta dal monsignor Marco Frisina, direttore del centro liturgico del Vicariato di Roma e della Cappella lateranense autore, tra l’altro, delle colonne sonore di alcune delle più note fiction trasmesse negli ultimi tempi da Rai e Mediaset ("Papa Luciani, il sorriso di Dio"; "Giovanni Paolo II"; "Callas e Onassis"; "San Pietro", "Don Bosco", "Abramo").
Non un’opera nel senso classico del termine e, tantomeno, un’opera rock, ma una rappresentazione teatrale in grado di raccontare i canti del poema dantesco attraverso una commistione di più generi artistici che, accanto alla danza, alle scenografie, alla recita e al canto, avrà il suo motivo conduttore in un commento sonoro ispirato a più generi musicali, plasmati sui momenti più significativi del poema dantesco.
Titolo del musical, La Divina Commedia, l’Opera; sottotitolo: "L’uomo che cerca l’amore". La prima assoluta sarà rappresentata - col patrocinio del Vaticano, del Senato e della Camera dei deputati - "in autunno in un grande teatro di Roma", annuncia Riccardo Rossi, direttore generale di Nova Ars, la società produttrice dell’opera. Dopo, inizierà una lunga tournée attraverso i più grandi teatri italiani e che toccherà anche importanti città europee. Due gli atti composti da Frisina, il primo con il prologo e l’Inferno; il secondo con il Purgatorio e il Paradiso.
"Nostro principale obiettivo" spiega Rossi "è riportare l’immortale poema di Dante all’attenzione del grande pubblico, non solo degli addetti ai lavori, e per questo metteremo in scena una rappresentazione che farà leva sulle più svariate forme artistiche". Agli ordini della regista Elisabetta Marchetti opererà un team teatrale formato da 20 cantanti attori, 30 ballerini diretti dalla coreografa Anna Cuocolo, oltre 50 comparse. I commenti musicali saranno eseguiti da un’orchestra stabile di 100 elementi. Per le varie scene saranno usati 250 costumi disegnati da Alberto Spiazzi. Tra gli altri autori, Maurizio Montobbio per le luci, lo sceneggiatore Gianmario Pagano, lo scenografo Paolo Micciché che, per rappresentare i più suggestivi ambienti danteschi si è avvalso delle più avanzate tecniche scenografiche che permettono, in alcuni momenti, anche il coinvolgimento degli spettatori.
Colossale sarà anche lo spazio entro cui agiranno gli attori: 18 metri per 24 per un totale di 650 metri quadrati, "vale a dire" assicurano a Nova Ars "il più grande palcoscenico teatrale mai realizzato". Tutto il racconto dantesco sarà rappresentato da un totale di 150 immagini, proiettati da sei impianti grazie ai quali tutto il pubblico avrà la sensazione di agire accanto agli attori e ai ballerini.
La scelta dei protagonisti (Dante, Virgilio, Beatrice, ma anche personaggi come Paolo e Francesca, Pia dè Tolomei, San Bernardo, Ulisse, Caronte..) è ancora top secret. "L’unica cosa certa" spiegano i produttori "è che Dante sarà interpretato da un notissimo cantante attore italiano. Non è escluso che saranno scritturati anche importanti nomi internazionali. Ma ogni riserva sarà sciolta nei prossimi giorni perché le prove inizieranno a fine gennaio".
* la Repubblica, 2 gennaio 2007.
Sulla questione, nel sito, cfr.:
A 150 anni dalla nascita di Freud... IL VATICANO PREPARA LE SUE "LEGGI" CONTRO GLI OMOSESSUALI!?
FLS
LETTERA APOSTOLICA
CANDOR LUCIS AETERNAE
DEL SANTO PADRE FRANCESCO
NEL VII CENTENARIO DELLA MORTE DI DANTE ALIGHIERI *
Splendore della Luce eterna, il Verbo di Dio prese carne dalla Vergine Maria quando Ella rispose “eccomi” all’annuncio dell’Angelo (cfr Lc 1,38). Il giorno in cui la Liturgia celebra questo ineffabile Mistero è anche particolarmente significativo per la vicenda storica e letteraria del sommo poeta Dante Alighieri, profeta di speranza e testimone della sete di infinito insita nel cuore dell’uomo. In questa ricorrenza, pertanto, desidero unirmi anch’io al numeroso coro di quanti vogliono onorare la sua memoria nel VII Centenario della morte.
Il 25 marzo, infatti, a Firenze iniziava l’anno secondo il computo ab Incarnatione. Tale data, vicina all’equinozio di primavera e nella prospettiva pasquale, era associata sia alla creazione del mondo sia alla redenzione operata da Cristo sulla croce, inizio della nuova creazione. Essa, pertanto, nella luce del Verbo incarnato, invita a contemplare il disegno d’amore che è il cuore stesso e la fonte ispiratrice dell’opera più celebre del Poeta, la Divina Commedia, nella cui ultima cantica l’evento dell’Incarnazione viene ricordato da San Bernardo con questi celebri versi: «Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è germinato questo fiore» (Par. XXXIII, 7-9).*
Già nel Purgatorio Dante rappresentava, scolpita su una balza rocciosa, la scena dell’Annunciazione (X, 34-37.40-45).
Non può dunque mancare, in questa circostanza, la voce della Chiesa che si associa all’unanime commemorazione dell’uomo e del poeta Dante Alighieri. Molto meglio di tanti altri, egli ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore. Il suo poema, altissima espressione del genio umano, è frutto di un’ispirazione nuova e profonda, di cui il Poeta è consapevole quando ne parla come del «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par. XXV, 1-2).
Con questa Lettera Apostolica desidero unire la mia voce a quelle dei miei Predecessori che hanno onorato e celebrato il Poeta, particolarmente in occasione degli anniversari della nascita o della morte, così da proporlo nuovamente all’attenzione della Chiesa, all’universalità dei fedeli, agli studiosi di letteratura, ai teologi, agli artisti. Ricorderò brevemente questi interventi, focalizzando l’attenzione sui Pontefici dell’ultimo secolo e sui loro documenti di maggior rilievo. [...]
In questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante, profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità, può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino. Può aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia, finché non arriveremo alla meta ultima di tutta l’umanità, «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, 145).
Dal Vaticano, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore, dell’anno 2021, nono del mio pontificato.
Francesco
* PER IL TESTO INTEGRALE, CFR. -> VATICAN.VA.
AL DI LA’ DI HEGEL, HEIDEGGER, E RATZINGER. IL PROBLEMA DELL’UNO E LA VIA DEI "TRE SOLI". A scuola di Dante, Bruno, Galilei, e Kant ...
Franco Ricordi: "La grande magia di Dante può essere capita soltanto ascoltandola a viva voce"
Lo scrittore, saggista, attore e regista racconta il tour italiano con cui torna a interpretare la "Commedia". A partire dal 4 luglio sono previste sette serate, tutte a ingresso libero, ospitate nei siti archeologici più suggestivi della Capitale
di RAFFAELLA DE SANTIS (la Repubblica, 01 luglio 2017)
Dante può essere letto in tanti modi, anche come antidoto al nichilismo contemporaneo. Franco Ricordi, interprete dantesco tra i più raffinati, filosofo e saggista oltre che attore e regista teatrale, propone di leggere la Divina Commedia come fosse una cura alla mancanza di senso dei nostri giorni. Ricordi, ora protagonista della seconda edizione della rassegna Dante per Roma, è impegnato in un articolato progetto dedicato alla Commedia dantesca che prevede una lettura dell’opera in più tappe. Roma prima di tutto, dove lo scorso anno Ricordi ha portato l’Inferno e dove ora arriva con il Purgatorio (mentre nel 2018 sarà la volta del Paradiso).
A partire dal 4 luglio sono previste sette serate, tutte a ingresso libero, ospitate nei siti archeologici più suggestivi della capitale, dalle Terme di Diocleziano all’Arco di Giano al Velabro alle Terme di Caracalla. Ma il progetto è un ampio work in progress itinerante: arriverà a Firenze in autunno e poi a Ravenna, in Germania e in Argentina. Il lavoro teatrale è affiancato da documentari tv. Inoltre Ricordi sta lavorando a un’opera in tre volumi: Dante, filosofia della Commedia.
Qual è il posto di Dante nella cultura occidentale?
"Credo sia il solo autore che tenga testa a Shakespeare. La Commedia è il più grande testo dell’Occidente. Come scrive Harold Bloom è l’epicentro del canone occidentale. Ma può essere compresa pienamente solo oggi ".
Perché?
"Perché è un antidoto al nichilismo dei nostri giorni. In Dante possiamo scorgere il primo filosofo dell’anti-nichilismo".
In che senso?
"Attraverso il concetto di amore, che è il vero sottotesto e sovratesto di tutta la Commedia. Il mio ultimo libro s’intitola L’essere per l’amore, concetto simile e contrario all’"essere per la morte" di Heidegger. Volendo usare uno slogan direi: Dante contro Heidegger".
Però la sua infatuazione dantesca è arrivata tardi.
"In realtà sono rimasto folgorato all’età di quindici anni. Al liceo avevo un insegnante, frate Serafino, appassionato di Dante. È lui ad avermi trasmesso la passione dantesca. Ma Dante è un personaggio che è meglio affrontare dopo i cinquanta anni. Ho lavorato su Shakespeare in teatro fin da ragazzino, poi da regista e protagonista di Amleto, ma a Dante sono arrivato nella piena maturità".
Per quali ragioni?
"Dante quando scrive la Commedia è un uomo maturo. E leggendo si avverte che è un uomo provato. Solo da adulti si riesce a comprendere a fondo il suo personaggio ".
Ma Dante è molto amato dai ragazzi.
"Tutto merito del suo endecasillabo, che arriva in maniera impressionante. Alle mie letture partecipano persone di ogni età. Anche se purtroppo è difficile trovare interpreti che sappiano computare la metrica dantesca nel modo giusto. L’endecasillabo per essere tale deve avere l’ultimo accento sulla decima sillaba. Sbagliare vuol dire non conferire il significato giusto. Non dimentichiamo che ogni cantica è formata da canti: il suono è il veicolo del senso".
La lettura ad alta voce serve a dare corpo alla "Commedia"?
"Va recuperato il testo orale. Prima di me lo hanno fatto Vittorio Gassman, Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi. Fino a Vittorio Sermonti, al quale dedico le mie letture del Purgatorio. Grandi maestri, ma anche loro presentavano difetti nella computazione del pentagramma delle figure metriche e nel precisare l’ultimo accento sulla decima".
In cosa differisce la sua Lectura Dantis da questi modelli?
"Per commento e lettura privilegio un approccio più poetico-filosofico che storico-filologico. Come l’Amleto, anche la Commedia arriva in modo immediato".
Di certo l’Inferno ha un’immediatezza anche politica. Crede valga lo stesso per il Purgatorio?
"Nel sesto canto, che interpreterò il 5 luglio all’Arco di Giano, c’è la grande invettiva contro l’Italia, che è già una denuncia di quella che oggi chiamiamo "partitocrazia". La denuncia è chiara: "Ché le città d’Italia tutte piene / son di tiranni, e un Marcel diventa / ogne villan che parteggiando viene". In quel "parteggiando" è contenuta una visione quasi ontologica della partitocrazia".
Un’ultima curiosità. Come mai la scelta di iniziare a Roma?
"Se c’è un’ambientazione metastorica e metafisica in assoluto direi che quella è Roma. La Commedia è antica, medioevale, moderna e contemporanea come Roma ".
Benigni show in Senato: ’Dante voleva fondare il Pd, politico fiorentino con caratteraccio’
Grasso: ricordarlo per riscatto morale dell’Italia
di Redazione ANSA *
Ovazione per Benigni in Senato. Neanche l’ufficialità delle celebrazioni per i 750 anni della nascita di Dante tiene a freno l’esuberanza del regista e attore premio Oscar che inizia la sua performance nell’aula di palazzo Madama con battute sullo stesso Senato, su Renzi e sul PD. "Questo anniversario cade al momento giusto: se fosse arrivato tra due anni il Senato lo avrebbero trovato chiuso", esordisce Benigni nell’aula di Palazzo Madama, davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al presidente del Senato, Pietro Grasso, al presidente emerito, Giorgio Napolitano, e ad altre autorità. "Questo è proprio un posto dantesco - aggiunge il premio Oscar - del resto Dante si è occupato di politica, intendeva la politica come dovrebbe essere considerata oggi, poter servire, costruire. Era impegnatissimo, ma si è fatto molti nemici per il suo caratteraccio. Del resto, si sa - sorride alludendo al premier Renzi - che i politici fiorentini hanno un caratteraccio. Non gli andava bene essere guelfo, bianco o nero, né ghibellino. Voleva far parte per se stesso, fondare il partito personale di Dante, insomma il Pd dell’epoca", ironizza. Dopo un’analisi della bellezza della Commedia e della sua lingua straordinaria, Benigni comincia a recitare a memoria il canto XXXIII del Paradiso.
Alla fine tutta l’aula di Palazzo Madama si è alzata in piedi alla fine della performance del premio Oscar. Tra i presenti, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente del Senato Pietro Grasso, il presidente emerito Giorgio Napolitano, il ministro dei Beni culturali e del Turismo Dario Franceschini e il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, cardinale Gianfranco Ravasi. "La Divina Commedia - ha sottolineato Benigni - è un miracolo, è un’opera la cui bellezza mozza il fiato", scritta in una lingua "che pur avendo oltre 700 anni si comprende ancora". E il canto più bello, a giudizio dell’attore e regista, "è proprio il XXXIII del Paradiso, l’ultimo, in cui c’è la perfezione dell’alveare, è proprio un diamante, un dono incredibile davanti al quale si rimane come sospesi".
Papa: Dante ci aiuti in tante selve oscure della storia - "Dante è profeta di speranza", diamo "onore" a Dante, arricchiamoci "della sua esperienza per attraversare le tante selve oscure ancora disseminate nella nostra terra e compiere felicemente il nostro pellegrinaggio nella storia". Così il Papa per i 750 anni della nascita dell’Alighieri, la cui Commedia è "paradigma di ogni autentico viaggio" dell’umanità.
L’opera e il pensiero di Dante Alighieri ci servono oggi "per ribadire la volontà di riscatto morale attraverso la cultura" dell’Italia. Lo ha sottolineato il presidente del Senato Pietro Grasso celebrando il 750 anniversario della nascita del poeta a palazzo Madama alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
"L’attualità di Dante risulta infatti sempre viva in ogni settore della cultura, della scuola, ma anche fuori dagli ambienti accademici, prova ne sia la moltiplicazione e la grande affluenza di pubblico all’antica consuetudine delle Lecturae Dantis diffuse in ogni parte d’Italia e all’estero: contributo prezioso - ha spiegato il presidente Grasso parlando in aula al Senato - alla circolazione del messaggio poetico dantesco, stimolo alla lettura e alla riscoperta soprattutto della Divina Commedia, e di cui avremo oggi, grazie alla generosità di Roberto Benigni, un esempio insieme efficace e profondo. Una "lettura", la sua, che ha già avuto successi e riconoscimenti per aver saputo, mantenendo il massimo di adesione al modo e al tono della lettura antica, far rivivere e trasmettere a tutti noi l’emozione di una poesia che vive da settecento anni nell’ammirazione e nell’amore dei lettori in tutto il mondo".
Pietro Grasso ha ricordato che "nel 1865, pochi anni dopo l’Unità d’Italia, per il Sesto Centenario della nascita di Dante in tutto il Paese ci fu un grande fervore di iniziative per celebrare la ricorrenza". Commemorazioni che, ha aggiunto, che "intendevano, attraverso quei gesti, affermare il loro legame storico e sentimentale con l’Italia appena unificata". "Quel fermento vide insieme la volontà di rendere omaggio, nel modo più solenne, al sommo Poeta - ritenuto a ragione il "padre della lingua italiana" - ma anche quella di assumere Dante come simbolo della nuova Italia nata dal Risorgimento", ha spiegato il presidente del Senato.
La lettera
Caro Benigni, sei grande ma ho nostalgia di Roberto
nel corso della serata ti rivelavi sempre più fedele alla figura di un Dio tradizionale, accertandone inesorabilmente l’esistenza
di Silvano Agosti (il Fatto, 23.12.2014)
Caro Benigni, spinto a mia volta da un sentimento di gratitudine, di affetto e di ammirazione, decido di scriverti questo breve messaggio, anche a nome di tutti coloro cui sono state sottratte le energie necessarie per infrangere la corazza potente del tuo prestigio, della tua soavità, della tua certezza di essere Benigni e quindi di saper trasformare con innocenza qualsiasi pensiero, qualsiasi moto dell’anima in un evento di spettacolare semplicità.
Ho avuto il privilegio di incontrare Roberto, agli albori del viaggio verso la conquista di Roma, dell’Italia e infine del mondo, quando recitava la sublime disperazione di Cioni Mario, un operaio ormai scomparso con la quasi definitiva sparizione dell’intera classe operaia. Ogni volta che osservo e ammiro Benigni sento crescere in me una profonda nostalgia per Roberto.
Roberto, cui io, pur essendo quella sera il solo spettatore della tua recita insieme alla ragazza che avevo invitato, ho offerto da subito tutta la mia stima: “Vuoi sapere cosa penso di te? Tu sei immenso come Eduardo, perché come lui non reciti ma sei”. Così ti dissi allora circa 40 anni fa quando mi hai raggiunto all’uscita chiedendo il mio parere sulla tua recita.
Nelle due serate di lunedì e martedì questa volta non avevi come ai tuoi inizi solo due spettatori, ma dieci milioni e dal primo all’ultimo istante Benigni ha trionfato ma Roberto, messo in disparte, non è apparso. Lui che trent’anni fa, quando era ancora tuo socio in arte, ti seguiva ovunque. Roberto e Benigni negli Anni 70 erano praticamente la stessa persona, e nel 1983 lo spettacolo di allora sui dieci comandamenti osava esordire attribuendo a Dio i dieci vizi capitali, affidando in modo magistrale la faccenda dell’esistenza di dio al buon senso di ognuno. Allora Dio lo chiamavi Guido e sostenevi che se moriva sarebbe andato certamente all’inferno.
GLI SPETTATORI allora non riuscivano a domare l’onda delle risate e anche tu dovevi fermarti ogni poco per non essere sommerso dagli applausi. Invito chiunque a conoscere il magnifico duo Roberto e Benigni, cercando oggi su Google I Dieci Comandamenti 30 anni fa. Ebbene, durante queste due attuali serate del 15 e del 16 dicembre è avvenuto un fatto che mi ha colpito e che ora desidero riferirti.
Mentre tu parlavi e nel fluire inesorabile dei tuoi pensieri riconoscevo comunque la tua irraggiungibile abilità di intrattenitore, la tua immagine si andava via via trasfigurando e, se io avessi avuto in me l’aiuto della liturgia ufficiale, avrei detto che tu andavi sempre più assumendo la forma di un angelo, tanto che non era difficile immaginare che dietro a te stessero lentamente apparendo due candide ali.
Ma poco dopo quando nei tuoi movimenti di danza, alla musica solo del tuo umorismo, ti sei messo di fianco ho avuto l’impressione che invece di due ali tu ne avessi soltanto una. E ho pensato, ma come potrà mai volare questo strano angelo con una sola ala? O forse nel tuo immaginario un angelo stava apparendo accanto a te e nel corso della serata ti rivelavi sempre più fedele alla figura di un Dio tradizionale, accertandone inesorabilmente l’esistenza.
Insomma invece di Roberto, ormai al tuo fianco stava apparendo l’angelo protettore, garante di un dio a sua volta Protettore “che tutto vede e provvede” e anche perfino lo scempio di una società ostile a qualsiasi valore umano. Roberto era dunque la tua ala mancante. Tu e Roberto potevate parlare di qualsiasi cosa senza mai offendere nessuno, neppure se definivate criminali coloro che altri chiamavano Onorevoli.
Ti chiedo solo di riflettere: perché Eduardo, il grande Eduardo è entrato nella sua eternità non come “De Filippo”, ma come Eduardo? Forse per la sua fedeltà nella difesa dei diritti di coloro cui viene negato qualsiasi diritto? Quindi il senso di questo mio messaggio si riassume nell’invito affettuoso a ritrovare in te Roberto e perfezionare la tua unicità non solo come Benigni, ma appunto, anche come Roberto. Sono certo che Eduardo si unirebbe a questo mio abbraccio.
Benigni, lampi di satira in un inno ad amore e felicità
Non rubare norma ad hoc per italiani’. In 9 milioni per prima serata
Riesce a Roberto Benigni il "miracolo" di battere se stesso. La seconda puntata dei Dieci Comandamenti è stata seguita su Rai1 da 10 milioni 266 mila telespettatori, con il 38.32% di share (la prima puntata aveva raccolto 9,1 milioni di telespettatori pari al 33% di share).
di Angela Majoli *
Un inno appassionato all’amore, allo spettacolo della vita, alla ricerca della felicità. Dopo il pieno di ascolti del primo show evento sui Dieci Comandamenti, seguito su Rai1 da 9,1 milioni di spettatori pari al 33.23% di share, Roberto Benigni scommette in modo forse ancora più coraggioso sul testo biblico: con poche concessioni alla satira e all’attualità, nella seconda puntata va dritto al cuore dei precetti e prova a sviscerarne il senso profondo, l’eternità del messaggio.
Forte del tributo di affetto del pubblico - rimasto ’fedele’ nel corso di tutta la prima serata - e della promozione a pieni voti della chiesa. "Non rubare" è un comandamento "scritto ad hoc per gli italiani". La castità "può essere una grande virtù se praticata con moderazione". La chiesa meriterebbe "una class action per aver confuso sesso e peccato".
Poche battute lampo punteggiano l’analisi delle tavole della legge. "Onora il padre e la madre", esordisce Benigni, che propone di allargare il quarto comandamento ai nonni, "fondamento della famiglia", e rispolvera il senso vero dell’onore, "una parola così bella ma oggi un po’ rovinata". "Non uccidere" è la prima formulazione della proibizione dell’assassinio nella storia dell’umanità, un monito quanto mai attuale "visto che una terza guerra mondiale può ancora accadere".
’Non commettere adulterio’, dice la Bibbia, "ma la chiesa lo ha trasformato in ’non commettere atti impuri’: hanno rovinato generazioni intere di ragazzi, compresa la mia", scherza il premio Oscar, alludendo alle prime turbe da adolescenti. "Hanno fatto diventare sesso e peccato sinonimi, "roba da fare causa alla chiesa. E invece nella Bibbia è l’opposto, il sesso è il luogo della creazione".
Poi l’affondo sul settimo comandamento, non rubare: "Dio ci ha fatto un trattamento di favore - ironizza Benigni - perché ha scritto questo comandamento proprio per noi italiani, è una norma ad personam, anzi pare lo abbia scritto direttamente in italiano. E’ quello al quale si obbedisce di meno, in Italia lo capiscono solo i bambini". Oggi, insiste, "essere ladri non fa più nessun effetto", eppure "vendere la propria anima è il punto più basso della storia dell’umanità".
Il governo, sottolinea, "ha annunciato che con la nuova legge il ladro che viene preso deve restituire i soldi. Un’idea straordinaria, ma prima non era venuta a nessuno? L’ultima invenzione è arricchirsi impoverendo in maniera subdola gli altri, con operazioni di finanza e di borsa. E poi ci sono i falsi invalidi, gli evasori fiscali, la tassazione esagerata, l’usura, le aggressioni alla natura, i veleni sversati nella terra, l’abusivismo: sono tutti furti. Ma il più grande è non dare la possibilità di lavoro a una persona: significa rubargli l’esistenza".
Il precetto che tiene in sé tutti gli altri è "Ama il prossimo tuo come te stesso. Amarsi - sottolinea l’attore e regista - è il problema fondamentale dell’umanità. Non ci rimane molto tempo, affrettiamoci ad amare, amiamo sempre troppo poco e troppo tardi, perché al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore". Il monito finale di Benigni, che appare quasi trasfigurato, è sulla ricerca della felicità: "Ce l’hanno data quando eravamo piccoli, ma l’abbiamo nascosta, come fa il cane con l’osso e non ci ricordiamo più dov’è. Cercatela, guardate nei ripostigli, nei cassetti. E non abbiate paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. E’ qui l’eternità. Dobbiamo dire sì alla vita, inginocchiarci davanti all’esistenza", dice commosso, prima di chiudere con una citazione di Walt Whitman.
Portare la Bibbia in prima serata era un’impresa e Benigni lo sa: "Forse ieri sera ho esagerato un po’, la gente stamattina mi ha fermato: chi si voleva confessare, qualcuno voleva destinarmi l’otto per mille", scherza in apertura di serata. Ma il pubblico lo ha premiato: pur non raggiungendo le vette dello show sulla Costituzione, La più bella del mondo (12,6 milioni e 44% a dicembre 2012), la prima puntata ha sfiorato i 10 milioni di spettatori più volte, ma l’ascolto si è mantenuto sempre costante. La scommessa sarà replicare questi risultati.
Intanto però il premio Oscar incassa il plauso della Chiesa, da Famiglia Cristiana che parla di "miracolo in tv" al Sir, ad Avvenire che scrive: "Solo Benigni poteva riuscire nell’ambizione temeraria di misurarsi in prima serata su Rai1 su un tema alto, altissimo, incommensurabile come i Dieci Comandamenti".
DANTE LETTO NELLE PIAZZE PARLA ALLA GENTE
di DANIELE PICCINI (Avvenire/Agorà, 17.04.2008)
In giro per l’Italia si sta rianimando l’uso delle «lecturae Dantis», dopo la sistematica e completa immersione di Vittorio Sermonti di qualche anno fa e dopo la popolatissima performance di piazza e di teleschermo di Roberto Benigni. Proprio l’attore toscano, per l’effetto di schiacciamento che i grandi media inducono, diviene un punto di partenza interessante e insieme contrastivo. Il pubblico più largo e generico è suggestionato a pensare che l’unica «lectura» possibile sia di quel tipo. Una messa in scena appassionata, magari con divagazioni attualizzanti e satiriche, e con la mediazione necessaria di un attore, di un «performer» appunto. Ma la storia, come sempre, è più lunga e complessa. Basti pensare che la prima «lectura Dantis» della storia venne tenuta da Giovanni Boccaccio a Firenze nella chiesa di Santo Stefano di Badia nel 1373.
Anziano e malandato, in una sessantina di lezioni pubbliche, Boccaccio arrivò a commentare circa la metà della prima cantica. In una chiesa, si diceva. Quello che Dante chiama nel «Paradiso» «sacrato poema» e ancora il «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» può essere meditato, ’ruminato’ e letto in un luogo per l’appunto sacro: la parola umana, umana al quadrato grazie alla tecnica poetica, aspira tuttavia, nell’altissima pretesa della Commedia, ad essere parola di verità, con l’autore autopromosso a «scriba Dei». Così a Sansepolcro, la città di Piero della Francesca, si è promosso un ciclo di quattro letture, intitolato «Comincia la commedia», proprio nella cattedrale romanica del paese: analisi e commento del primo canto di ognuna delle tre cantiche affidati a un dantista e a seguire lettura integrale del testo da parte di un attore (con la serata finale del 18 aprile dedicata alla versione in dialetto locale dell’«Inferno»: la Commedia è stata ’reinventata’ non solo in innumerevoli lingue straniere ma in tanti idiomi dialettali della penisola). A Milano poi, all’Università Statale, è ancora in corso la nuova edizione degli «Esperimenti danteschi», quest’anno dedicata all’«Inferno», con la presenza di prestigiosi dantisti italiani e stranieri. Che cosa suggeriscono queste «lecturae» rinate? Che la «Commedia» è stata letta per secoli nei modi classici della lectio accademica. E che Benigni è un felice episodio di una lunga trafila. E poi ci ricordano il potere ’salutare’ (come avrebbe detto Luzi) del poema: non solo in senso religioso, ma in chiave di pienezza della lingua, messa a frutto in tutta la sua efficacia ed economicità.
La potente scaturigine dantesca richiama all’origine, alle fonti di una parola armonizzata per «legame musaico» e per ciò stesso sottratta a ogni usura, consumo, deprivazione di energia. Parla perciò alla comunità civile. E a volerla e saperla ascoltare, parla anche ai dispersi poeti della tarda modernità, non come un bene di rifugio, consolatorio, ma come una spinta a riconsiderare i fondamenti del loro dire, perché possa nuovamente risuonare (anche attraverso una riforma tecnica e metrica) pubblico e comunitario.
Il Dante di Benigni "vale come una preghiera"
di Andrea Tornielli (Il giornale, lunedì 11 febbraio 2008)
«Quella di Roberto Benigni, quella dei grandi interpreti della letteratura in televisione, è una scommessa vincente. Il servizio pubblico deve essere capace di compiere scelte coraggiose e promuovere vera cultura». Monsignor Rino Fisichella, vescovo e rettore della Pontificia università Lateranense, l’ateneo del Papa, ha davanti a sé la pagina del Giornale con l’intervista a Benigni. «Mi ha molto colpito, domani (oggi per chi legge, ndr) devo tenere un incontro con molti sacerdoti e partirò proprio da alcune delle sue espressioni su Gesù».
La sorprende questo successo delle letture di Dante?
«Nella sua trasmissione non c’è solo il fatto positivo di riportare in primo piano un grande protagonista della letteratura, c’è anche un grande interprete che fa gustare Dante e avvicina i giovani alla Divina Commedia: è una svolta di cui non solo la televisione, ma più in generale il nostro Paese ha bisogno».
La letteratura, l’incontro con grandi autori, può aiutare la fede cristiana?
«L’incontro tra letteratura e cristianesimo è uno dei più fecondi. La letteratura indaga il mistero dell’uomo, ci fa capire in modo espressivo che nel cuore dell’uomo albergano interrogativi, grandi domande di senso, di significato. Domande che non possono essere espresse con il linguaggio scientifico. La letteratura evoca, ci fa intuire il grande mistero dell’esistenza e le domande costitutive del nostro essere uomini».
Forse, ci sarebbe più bisogno di maestri in grado di far vibrare quei testi...
«Guardiamoci alle spalle: che cosa sarebbe stata l’umanità senza Omero, Sofocle, Dante Alighieri, Pascal o Papini, Bernanos e Peguy? In questi come in altri grandi autori risplende una capacità di esprimere la bellezza del cristianesimo, più che in tanti libri di teologia. Penso al Diario di un curato di campagna e a come quelle pagine esprimano la forza di un amore che ama e perdona». Ci sono stati maestri ed educatori che hanno avvicinato generazioni alla lettura dei classici. Ad esempio don Luigi Giussani, che citava il ...
Canto alla luna di Leopardi per evocare la domanda di felicità e compimento dell’uomo.
«La letteratura, non necessariamente cristiana, provoca il credente, la fede, la teologia a percepire la drammaticità dei grandi interrogativi del cuore umano. È stata anche la mia esperienza personale di docente, quando insegnavo alla IV ginnasio e iniziavo le mie lezioni con le pagine del Piccolo principe di Saint-Exupéry. Grazie a quelle pagine arrivavo ai nodi fondamentali dell’antropologia e della fede. Non vorrei poi che dimenticassimo che la Bibbia stessa ha testi stupendi di alta letteratura e di alta poesia. Prendiamo il Cantico dei Cantici o i salmi, o gli interrogativi espressi nel libro di Giobbe. Heidegger riconosceva che la poesia è la forma culminante per esprimere la realtà. Arte e letteratura sono una ricchezza inestimabile per la religione, che senza queste espressioni sarebbe impoverita e non esprimerebbe il mistero di Dio che si fa uomo».
Benigni ha detto: «Come si fa a non restare affascinati dalla figura di Gesù Cristo? Il Vangelo ti dice che puoi sempre ricominciare da capo. Ti mette nella condizione di fare ognuno la rivoluzione dentro se stesso. Prima che arrivasse Gesù il rapporto con Dio era fatto di dolore e lui se l’è preso tutto su di sé»...
«Parole che indicano quanto sia entrato nella profondità delle pagine evangeliche. Gesù, il figlio di Dio, con la sua esistenza ha dato una risposta alla nostra domanda di felicità e di significato».
Questo approccio ha qualcosa da insegnare a chi predica o insegna il catechismo?
«La bellezza va contemplata e contemplare significa anche rimanere in silenzio ad ascoltare chi ci propone un brano di letteratura. Vorrei ricordare, a proposito dell’inno “Vergine Madre Figlia del tuo Figlio”, che per noi quelle parole di Dante diventano preghiera, nella Liturgia delle Ore, in occasione di ogni festività mariana».
Benigni osserva che «tutta la nostra civiltà è cristiana senza saperlo - e il senza saperlo è forse la cosa più bella - lo si vede da ogni cosa che facciamo».
«È un’osservazione acutissima. Credo dovremmo prendere coscienza del fatto che tutto ciò che respiriamo trova compimento e fondamento in quel messaggio d’amore che è il Vangelo».
«Vivere come figli di Dio, via di libertà» *
l’angelus
Il Pontefice: la santità non è privilegio per pochi eletti ma vocazione di ogni uomo
Alle ore 12 di ieri, solennità di Tutti i Santi, Benedetto XVI si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo apostolico vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana.
Cari fratelli e sorelle!
Nell’odierna solennità di Tutti i Santi, il nostro cuore, oltrepassando i confini del tempo e dello spazio, si dilata alle dimensioni del Cielo. Agli inizi del Cristianesimo, i membri della Chiesa venivano chiamati anche «i santi». Nella Prima Lettera ai Corinzi, ad esempio, san Paolo si ri- C volge «a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo» ( 1 Cor 1,2). Il cristiano, infatti, è già santo, perché il Battesimo lo unisce a Gesù e al suo mistero pasquale, ma deve al tempo stesso diventarlo, conformandosi a Lui sempre più intimamente. A volte si pensa che la santità sia una condizione di privilegio riservata a pochi eletti. In realtà, diventare santo è il compito di ogni cristiano, anzi, potremmo dire, di ogni uomo! Scrive l’Apostolo che Dio da sempre ci ha benedetti e ci ha scelti in Cristo «per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» ( Ef 1,3-4). Tutti gli esseri umani sono pertanto chiamati alla santità che, in ultima analisi, consiste nel vivere da figli di Dio, in quella «somiglianza» con Lui secondo la quale sono stati creati. Tutti gli esseri umani sono figli di Dio, e tutti devono diventare ciò che sono, attraverso il cammino esigente della libertà. Tutti Iddio invita a far parte del suo popolo santo. La «Via» è Cristo, il Figlio, il Santo di Dio: nessuno giunge al Padre se non per mezzo di Lui (cfr Gv 14,6).
Sapientemente la Chiesa ha posto in stretta successione la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Alla nostra preghiera di lode a Dio e di venerazione degli spiriti beati, che oggi la liturgia ci presenta come «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua » ( Ap 7,9), si unisce la preghiera di suffragio per quanti ci hanno preceduto nel passaggio da questo mondo alla vita eterna. Ad essi domani dedicheremo in modo A speciale la nostra preghiera e per essi celebreremo il Sacrifico eucaristico. In verità, ogni giorno la Chiesa ci invita a pregare per loro, offrendo anche le sofferenze e le fatiche quotidiane affinché, completamente purificati, essi siano ammessi a godere in eterno la luce e la pace del Signore.
Al centro dell’assemblea dei Santi, risplende la Vergine Maria, «umile ed alta più che creatura» (Dante, Paradiso, XXXIII, 2). Ponendo la nostra mano nella sua, ci sentiamo animati a camminare con più slancio sulla via della santità. A Lei affidiamo il nostro impegno quotidiano e La preghiamo oggi anche per i nostri cari defunti, nell’intima speranza di ritrovarci un giorno tutti insieme, nella comunione gloriosa dei Santi.
Benedetto XVI
* Avvenire, 02.11.2007
IL GRANDE PROGETTO
L’opera kolossal al via dal campus di Tor Vergata «Dietro a questo mio sogno una frase del Papa»
«Con la musica porto Dante a noi e in Paradiso»
Il 22 novembre debutta l’opera di monsignor Frisina sulla Divina Commedia: «Tra rock e gregoriano farò rivivere col poeta la salita dell’umanità dall’Inferno al Cielo»
Di Virgilio Celletti (Avvenire, 21.09.2007)
C’era anche Dante all’affollata presentazione dell’opera sulla Divina Commedia di monsignor Marco Frisina. Era lì con una certa freddezza: ma solo perché il suo, nella sala della Protomoteca in Campidoglio, era un impassibile mezzobusto di marmo. In cuor suo, il sommo poeta, doveva anzi sentirsi felice di come il sacerdote musicista ce lo rappresenterà nel suo lavoro e, soprattutto, di come lo stava dipingendo in questa chiacchierata propedeutica. Clima dei più cordiali nella grande sala capitolina, con il sindaco Veltroni che non tratteneva l’apprezzamento «per uno spettacolo straordinario, che d’altra parte il pubblico italiano, migliore di quanto non si creda, merita ampiamente». A cominciare dai giovani, a cui soprattutto Frisina si rivolge e che, come maestro di cappella di San Giovanni in Laterano, impegna quotidianamente nell’orchestra e nel coro della diocesi.
Non è un caso che la prima sede in cui sarà rappresentata la nuova opera, prima di cominciare una lunga tournée, sia la grande spianata del campus universitario di Tor Vergata in cui, durante il Giubileo del Duemila, si svolse lo storico incontro fra Papa Wojtyla e gli studenti di tutto il mondo.
«Quando monsignor Frisina mi ha illustrato la sua idea - aggiunge il sindaco - mi è sembrata un grande sogno. Il Paese ha una terribile paura dei sogni che si realizzano e del nuovo. Questa Divina Commedia è tutte e due le cose: per questo merita il nostro più sincero in bocca al lupo».
E come un sogno si è fatta strada all’inizio nella mente di Frisina. «Un po’ sogno e un po’ follia. Pensavo, tra me e me, che si trattasse di una cosa troppo grande, ed ero già entrato nell’ordine di idee di accantonarla. Ma, quando Papa Benedetto XVI ha citato Dante per la sua enciclica Deus caritas est, mi sono convinto di dover realizzare questo sogno». Autore sia della musica (in collaborazione con don Gianmario Pagano) sia del libretto, Frisina ricorda il ruolo determinante di tutti i suoi collabora tori: le proiezioni e le scenografie virtuali di Paolo Miccichè, la regia teatrale di Elisabetta Marchetti, il contributo del premio Oscar Carlo Rambaldi (che realizzato per l’opera le maschere delle Tre Furie, la figura di Lucifero, quella del Grifone e del suo carro), l’imponente impianto scenico di Antonio Mastromattei, i costumi di Alberto Spiazzi, le coreografie di Anna Cuocolo.
La Divina Commedia di Frisina ha un sottotitolo: L’uomo che cerca l’amore. Quell’uomo è lo stesso Dante, interpretato da Vittorio Matteucci, e il suo è un viaggio che lo trasferisce dalle tristezze della selva oscura alla luce dell’Amore. In pochi minuti l’autore ha riassunto il divino poema con una chiarezza e una semplicità che vorremmo sentire anche in qualche aula scolastica. Come Dante vive questa sua tragedia personale, come vede se stesso nei personaggi che incontra nell’Inferno, come inorridisce fino al punto di imporsi un ravvedimento, favorito dagli aiuti che Beatrice gli invia. L’opera è in due atti. Nel secondo si spalancano le porte del Purgatorio. «Cominceremo a salire insieme a lui» assicura Frisina. In Purgatorio c’è la malinconia, ma anche il desiderio di proseguire la scalata. E meravigliosi personaggi indicano la strada a Dante. Una scena è dedicata agli artisti che cantano l’amore e s’impegnano a purificarlo. E ora in Paradiso lui può arrivarci anche da solo.
E la musica? Frisina si è impegnato a mettere «quella giusta al posto giusto». Così, accanto al linguaggio romantico che sarà predominante, avremo di volta in volta quello epico, quello sacro con vere e proprie aperture a una sorta di moderno gregoriano. E ci saranno anche il blues e persino il rock. «Non avevo nessuna intenzione di condannarlo - dice il musicista -: l’ho messo nell’inferno perché è un linguaggio frutto di una lacerazione, di una ribellione interiore; ma posso assicurare che le chitarre elettriche risuoneranno anche in Paradiso».
Le prove sono cominciate da un paio di settimane, ma è già conto alla rovescia. Lo spettacolo sarà rappresentato in anteprima mondiale il 22 novembre, in un teatro-tenda tecnologicamente all’avanguardia (capace di accogliere fino a 2.500 spettatori e che verrà spostata in tutte le città che saranno toccate dal tour, per mantenere la stessa unità) che comprende un palco imponente (24 metri per 24) sul quale si esibiranno, per oltre 2 ore di spettacolo, 24 cantanti-attori, 24 ballerini, 10 acrobati e 20 comparse. Dopo Roma, via a un lungo tour italiano ed europeo.
Dal 20 aprile a fine giugno "TuttoDante" nella capitale, già venduti 50 mila biglietti.
"Racconterò anche la Storia, dalla presa del potere di Romano Prodi fino ai giorni nostri"
Arriva a Roma la Commedia di Benigni
"Difendo il mio Paese da chi lo governa"
Lo spettacolo ha già toccato 26 città, con un tripudio di oltre 350 mila spettatori.
"Il Poeta è grande perché ci invita a guardarci in faccia quanto facciamo schifo"
di ALESSANDRA VITALI *
ROMA - Racconterà la Storia, "dalla presa del potere di Romano Prodi ai giorni nostri, dal ’vi levo l’Ici’ al ’moderate i toni’ di Berlusconi, due giorni fa", l’attualità insomma, "ma quella su cui si può ridere, che è sempre meno, perché sono sempre di più le tragedie". E se l’attualità dovesse essere avara di spunti, si sa che con Roberto Benigni si può ridere di un nonnulla, basta una parola perché tracimi la piena. Com’è successo oggi in Campidoglio per la presentazione della tappa romana di TuttoDante, lo show con il quale l’artista si è già esibito in 26 città con un tripudio di olte 350 mila spettatori.
A Roma si ferma un bel po’, dal 20 aprile alla fine di giugno, un teatro tenda da 4000 posti realizzato per l’occasione in piazzale Clodio. "Molti politici non verranno - dice - perché è troppo vicino al Palazzo di Giustizia...". Cinquantamila i biglietti venduti fino a ieri, accesso gratuito per mille romani (600 studenti e 400 dai centri anziani), spiega il sindaco Walter Veltroni, primo oggetto delle effusioni del comico: "Io Veltroni me lo sposerei, un bel matrimonio contro natura, un matrimonio ogm, lei fra l’altro è sindaco, e si può anche sposare da solo".
Una prima mezzora dedicata all’attualità con particolare attenzione alle cose di Roma, d’altronde "anche Dante si occupava d’attualità, metteva in versi quel che accadeva ogni giorno", e alla politica, "perché compito del comico è difendere il proprio Paese da chi lo governa".
Poi, il resto dello spettacolo concentrato sulla Commedia, da qualche anno oggetto privilegiato delle attenzioni di Benigni, e sul Poeta, "che fra l’altro nel Trecento venne a Roma per dire al Papa di non occuparsi degli affari di Stato, come vedete la Storia non è cambiata". "Poi a Roma - continua il comico - c’è una delle più importanti associazioni di dantisti, presieduta da Giulio Andreotti che è coetaneo di Dante, se verrà allo spettacolo gli chiederò di raccontarci qualche aspetto della vita privata del Poeta".
Una passione smisurata quella di Benigni per l’Alighieri, "la sua grandezza è nell’invitarci a guardarci in faccia quanto siamo schifosi, avere il coraggio di vedere nel profondo il nostro male, che nei secoli non è cambiato". Salta di girone in girone e azzarda qualche ipotesi, "oggi ci sarebbe il girone dei matrimoni contro natura, ci troveremmo Bindi e Bondi, Manzoni e Marzullo. Probabilmente all’Inferno sono in corso lavori di ampliamento e ristrutturazione, pensate solo a quanto devono ingrandire l’area dei lussuriosi...".
E’ felice di essere a Roma, ricorda il suo arrivo nella capitale, "avevo 18-19 anni", poi la casa, per lunghi anni, nel quartiere Testaccio e la romanità acquisita, "tutto questo discorso per annunciarvi che mi candido a sindaco di Roma, con Veltroni abbiamo già un piano, ristrutturiamo i Fori Imperiali e ci facciamo un residence con parcheggio sotterraneo".
Roma anche nei suoi aspetti più "dolorosi", come la batosta di ieri in Champions League: "Volevate vincere? E vi facciamo vincere, che sarà mai. Volete fare 7 gol? E ve li facciamo fare... E’ un segno della grandezza di questa città, la Britannia l’abbiamo conquistata, figuriamoci che c’importa. Noi gliene abbiamo fatto uno solo, per fargli vedere come si fa un gol fatto bene".
Ma Dante, in quale girone avrebbe messo Benigni? "Me lo sono chiesto più volte - risponde - e credo che sarei finito in quello degli ogm, dei matrimoni contro natura. Già mi vedo: se guardate, tovate me e Veltroni come Paolo e Francesca, che voliamo e ci diciamo ’Amor, ch’a nullo amato amar perdona’. Un’immagine bellissima".
* la Repubblica, 11 aprile 2007
Anatema vaticano: il Rock è l’Inferno
di Roberto Brunelli *
Sappiate che Satana s’annida nelle camerette dei vostri figli, là nello scaffale dei cd, nei meandri dei loro computer, nelle radioline e in quel minuscolo oggetto, l’iPod, che avete regalato loro a Natale. È nell’aria, Satana, nelle canzoni, nella musica, pervade il nostro presente... ebbene sì, il Vaticano è tornato a puntare il ditone accusatore contro il rock e i suoi derivati, accusati di esprimere il Maligno, Belzebù, il Peccato, che si diffonde nell’aere un po’ come fosse l’invasione degli ultrasuoni. «Il Male»: indubitabile, rumoroso, dionisiaco, terrificante, corruttore, lascivo. Il Male? Che dico il Male, peggio: l’Inferno! Sì, proprio quello dantesco, quello descritto dal Sommo Poeta, quello amato da Benigni, quello lì, terribile, fuoco e fiamme, dove i peccati si scontano per l’eternità, quello non può che essere rappresentato dalla musica rock, dall’heavy metal, dal punk... roba di frastornanti chitarre elettriche e tamburi selvaggi, che riecheggiano a tutte le ore dai dischi dei vostri ragazzi.
Voi forse credete che stiamo parlando di qualche esorciccio buono per andare a Buona Domenica, e invece la teoria è di monsignor Marco Frisina, direttore del centro liturgico del Vicariato di Roma e della Cappella Lateranense. Vatican City, insomma. «Il rock l’ho messo all’inferno perché il rock è il nemico», ha dichiarato perentorio costui, ieri alle agenzie di stampa. E ancora: «Il rock se non è proprio il male è comunque espressione del male».
Il fatto di rilievo è che le parole di monsignore riecheggiano quelle pronunciate dal suo superiore, papa Ratzinger, quand’era ancora prefetto della Congregazione della dottrina della fede: il rock è «espressione di passioni elementari, che nei grandi raduni di musica hanno assunto caratteri culturali, cioè di controculto, che si oppone al culto cristiano». E ancora: «Il rock deve essere purificato dei suoi messaggi diabolici», dichiarò l’attuale pontefice nel 1996. L’altro fatto di rilievo è che il suddetto monsignore è autore della colonna sonora di una Divina Commedia versione musical che debutterà a novembre a Roma con un cast degno della più sfrenata «Hollywood Babilonia»: una ventina tra cantanti e attori, 30 ballerini e più di 50 comparse. E l’ha pensata bene, il monsignore.
Punk (come quello dei Sex Pistols o dei Dead Kennedys, padre?) e heavy metal (come i Black Sabbath o come Marilyn Manson?) per descrivere l’Inferno: «Proprio perché la dimensione satanica del rock esprime meglio di qualunque altro genere la lacerazione, il conflitto, il dolore profondo dell’inferno», come dice, tutto contento, Frisina. Che è uno che se intende, visto che ha scritto lui le colonne sonore di fiction come, tra le altre, Papa Luciani, il sorriso di Dio e San Pietro. E ci ha pensato tanto bene, il nostro, che il Purgatorio nel suo musical è descritto con i canti gregoriani, mentre il Paradiso esplode nella magnificenza classica e sinfonica, in una sorta di vero e proprio apartheid musicale che si credeva ormai obsoleto: la tradizione classica ed europea è il Bene, quella di derivazione afro-americana, che tanta parte ha avuto nella definizione stessa di Novecento, il Male.
Poveri rockettari, non tira una buona aria. È recente la questione della deportazione del Concerto di Natale dal Vaticano a Montecarlo: un appuntamento pop inventato da Wojtyla e rinnegato dal suo successore, notoriamente avverso alle musiche giovanili, anche se rappresentate dalle più rassicuranti Laure Pausini o dai meno satanici Gigi D’Alessio (il che, oltretutto, è questione di punti di vista). Lo stesso Padre Frisina dichiara che l’ispirazione per la sua Divina Commedia in musical gli è venuta proprio dalla prima enciclica del Papa, «Deus caritas est», in cui veniva citato il XXXIII canto del Paradiso. Ovviamente, il monsignore e il suo superiore non sono i primi a prendersela con rock e compari lascivi: «messaggi satanici» sono stati rinvenuti, tanto per citare gli esempi où celebrati, nelle canzoni e negli ancheggiamenti zozzi di Elvis, dei Beatles, dei Led Zeppelin, di Marilyn Manson, ovviamente dei Rolling Stones (..beh, Jagger e Richards ci hanno messo anche del loro, con Sympathy for the devil). Ed è ben nota la preferenza di Benedetto XVI - cui non a caso il musical di Frisina è dedicato - nei confronti di Bach e di Mozart, sia pur allegramente sorvolando sulle implicazioni eversive di quest’ultimo (massone, rivoluzionario e sboccato, come tutti sanno).
Ma in questo caso la cosa curiosa è che quello del monsignore è un corto-circuito tutto interno alla cultura pop ... Via, monsignore, un musical sulla Divina Commedia? Come Cats o Bulli & Pupe? Una rivista con cantanti e sfrenati ballerini, «compresi importanti nomi internazionali»? E poi, che vogliamo fare con i milioni di afroamericani che cantano il gospel - da cui sono nati il blues, il soul e dunque il rock - invocando il Signore? Tutti all’inferno, insieme ai nostri ragazzi e ai loro Ipod?
PS. Scriveva anni fa Joseph Ratzinger: «Il rock vuole liberare l’uomo da se stesso nell’evento di massa e nello sconvolgimento mediante il ritmo, il rumore e gli effetti luminosi, facendo precipitare chi vi partecipa nel potere primitivo del Tutto, mediante l’estasi della lacerazione dei propri limiti». Che dire? Una splendida definizione di rock: si vede che se ne intende, Vostra Santità.
* l’Unità, Pubblicato il: 03.01.07, Modificato il: 03.01.07 alle ore 15.12