E nel Quattrocento si usava il presepe
MILANO - «C’erano accessi con la "ruota", certo: quella stretta, che consentiva il passaggio di un neonato. Ma c’ erano anche forme più accoglienti, come il "presepe"...». Adriano Prosperi, professore di Storia dell’ Età della Riforma e della Controriforma alla Normale di Pisa, all’ infanzia abbandonata - e nel peggiore dei modi - ha dedicato Dare l’ anima, storia di un infanticidio nella Bologna del 1709.
Ma l’ idea di presepe è molto lontana dalla figura di una madre che arriva ad uccidere il «figlio della vergogna»...
«Infatti il "presepe" era stato introdotto nella Firenze del ’ 400, nell’ Ospedale degli Innocenti: l’ idea è che tocchi alla città nel suo insieme occuparsi dei suoi poveri. E l’ Ospedale, creato nientemeno che dal Brunelleschi, non ha la "ruota" ma una cappella aperta, il "presepe", dove il bimbo viene deposto tra le immagini di Gesù, nato povero e allevato nella carità».
Tutto alla luce del sole, dunque.
«Al punto tale che molti di questi bambini sono riconosciuti dal padre: a Firenze allora c’ era un figlio naturale di nome Leonardo da Vinci, le schiave circasse partorivano i figli dei padroni e li allevavano in casa... A metà ’ 500, però, con la legislazione tridentina il matrimonio diventa un’ istituzione obbligata, e l’ ingresso dell’ Ospedale viene chiuso da una grata; da luogo di accoglienza per i meno ricchi diviene rifugio per una sottospecie di infanzia, che nasce sotto il segno di una vergogna ereditata dalla madre».
E così si afferma la «ruota». Fino a quando durerà?
«Nel ’ 700, una ventata liberalizzatrice rende superata l’ organizzazione di "contenitori" per determinate fasce sociali: bimbi abbandonati, mendicanti... Gli ospedali per trovatelli però resteranno in funzione, alcuni fino al ’ 900».
Cosa resta, oggi, dell’ antica «ruota»?
«Mi sembra che si sia perso il senso dell’ accoglienza, quello del "presepe" fiorentino, e resti il marchio d’ infamia. Speriamo che un nuovo Brunelleschi intervenga a cambiare le cose».
Gabriela Jacomella
* Corriere della Sera, 26.02.2007, p. 21
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio... e a Giuseppe ciò che è di Giuseppe e a Maria ciò che è di Maria.
FLS
LA QUESTIONE DELL’ANTROPOCENTRISMO, IL RINASCIMENTO, E LA BIENNALE D’ARTE VENEZIA 2022...
ANTROPOLOGIA, STORIA, E FILOLOGIA. Per una messa in discussione critica dell’antropocentrismo rinascimentale (che ha matrici antiche, nella tradizione greco-romana), forse, sarebbe meglio ripartire dalla Trasfigurazione di Cristo del Beato Angelico del 1437-1446, e dall’opera di Lorenzo Valla, "Sulla Donazione di Costantino falsamente attribuita e falsificata" del 1440, e, infine, anche dall’uomo vitruviano (1490) e dal "bambino nel grembo materno" (del 1511) di Leonardo da Vinci.
PER RI-NASCERE, VEDERE DALLO SPAZIO IL SORGERE DELLA TERRA. Alla luce di questo capovolgimento di sguardo, si potrà osservare meglio il cammino della tentazione prometeica e faustiana dello stesso antropocentrismo del Rinascimento, fino ad arrivare alla hubris della tecnica, che si caratteriza per essere più un camuffato androcentrismo tragico (alla Socrate e alla Platone, come ha ben visto Nietzsche) che non un semplice antropocentrismo, antropologicamente fondato.
ARTE E SOCIETÀ. Piero di Cosimo è una figura-chiave del tempo: nel 1481 è a Roma col maestro Cosimo Rosselli, per lavorare nella Cappella Sistina (voluta da papa Sisto IV); e nel 1483 è a Firenze: del 1488 è la Sacra conversazione, ora nella Galleria dello Spedale degli Innocenti ("Era molto amico di Piero lo spedalingo de li Innocenti").
BAMBINI ABBANDONATI E ANDROCENTRISMO. Ricordato che anche Leonardo da Vinci era un figlio naturale e che il "presepe" era stato introdotto nella Firenze del ’400, nell’Ospedale degli Innocenti (l’Ospedale non ha la ruota ma una cappella aperta, il presepe, dove il bimbo veniva deposto tra le immagini di Gesù, nato povero e allevato nella carità), è da dire che il nodo di Ercole, il problema di come nascono i bambini, è ancora sciolto come la cosmoteandria tragica (Eschilo con Platone e Aristotele) comandava e, a metà 1500, con il Concilio di Trento "il matrimonio diventa un’istituzione obbligata, e l’ingresso dell’Ospedale viene chiuso da una grata; da luogo di accoglienza per i meno ricchi diviene rifugio per una sottospecie di infanzia, che nasce sotto il segno di una vergogna ereditata dalla madre" (Adriano Prosperi).
Federico La Sala
Per gli Innocenti la Trinità secondo Brunelleschi
di MIrella Carlotti *
Il 17 agosto 1419 a Firenze venne iniziata la costruzione dell`Ospedale degli Innocenti: proprio alla vigilia del Meeting 2019 si celebra quindi il sesto centenario della prima opera di carità esclusivamente dedicata all`accoglienza dei bambini abbandonati della nostra storia. L`iniziativa fu di un mercante pratese, Francesco Datini: la peste del 1348 gli aveva portato via genitori e fratelli. Ma il giovanissimo, figlio di un oste, a 15 anni si recò ad Avignone, a cercare fortuna.
Tornò dalla Provenza cinquantenne e ricchissimo: quando morì nel 1410, non avendo figli, destinò la sua ingente fortuna ai poveri di Prato, attraverso la creazione di un`opera di carità.
Ma nel testamento, Datini volle anche destinare 1000 fiorini «per principiare un luogo nuovo a Firenze... i quali fanciulli notrichi e notrire faccia, i quali ivi saranno rilasciati o gittati, con buona diligenza e cautela».
Il lascito di Datini cadde su un terreno fertile: sarà l`Arte della seta, una delle grandi corporazioni fiorentine, ad assumersi l`onere della costruzione e poi della gestione dell`Ospedale. L`opera venne così gestita con la saggezza dei mercanti fiorentini e laicamente, con personale pagato. Per progettare e costruire la dimora dei trovatelli fu chiamato Filippo Brunelleschi, colui che stava negli stessi anni voltando la cupola della Cattedrale, la casa di tutto il popolo. E Brunelleschi inventerà per la casa dei bambini abbandonati un linguaggio architettonico nuovo, quello del Rinascimento. Nella facciata un portico: colonne con capitelli corinzi, volte a vela, archi a tutto sesto disegnano nove campate con una sapiente armonia di proporzioni matematiche. Ogni campata è formata da un cubo che ha come lato l`altezza della colonna di nove braccia fiorentine (metri 5.30), sormontato da una semisfera: tale modulo si ripete invariato per nove volte, realizzando un portico lunghissimo.
L`unità di misura della facciata è la colonna: se la colonna è 1, l`altezza della facciata è 3 e la lunghezza 9. Le proporzioni ripetute sono certamente collegate al mistero cristiano della Trinità: siamo subito avvertiti che questo è il palazzo della carità, natura di Dio evocazione dell`uomo. Il 5 febbraio 1445 venne accolta la prima bambina, alla quale fu dato il nome di Agata Smeralda: nei primi quattro secoli di attività l`Ospedale offrirà una casa a oltre 500.000 bambini, la storia di ognuno dei quali è custodita nell`Archivio.
Per secoli il bambino, accolto in Ospedale attraverso una finestra ferrata, veniva posto per qualche momento in una culla vuota, collocata tra le statue a grandezza naturale di Maria e Giuseppe. Il momento doloroso dell`abbandono è descritto nei registri con la dizione «posto nel presepe»: quel bimbo abbandonato era Gesù che si rendeva presente alla famiglia ospedaliera. Alle mamme che lasciavano i bambini veniva chiesto di lasciare tra le fasce un segno di riconoscimento: frequentemente troviamo la metà di una medaglietta, l`altra parte della quale era tenuta dalla mamma, se un giorno avesse voluto provare che quel figlio era suo e magari riprenderselo.
Papa Francesco ha dedicato uno dei passaggi salienti del suo Discorso alla Chiesa italiana riunita a Firenze nel 2015 a queste medaglie spezzate, diventate metafora del compito della comunità cristiana: «Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l`altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l`altra metà perché la Chiesa madre, la Chiesa madre ha, in Italia, l`altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre. È una delle vostre virtù perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti» (10 novembre 2015). Anche se nel 1875 finisce la prima fase della storia dell`Ospedale in seguito alla chiusura delle ruote, ossia dell`abbandono anonimo dei bambini, l`Istituto degli Innocenti continua in altre forme la sua opera in favore dell`infanzia.
È questa la sorpresa che ha avuto il Presidente della Repubblica Mattarella, visitando l`Istituto lo scorso 11 febbraio 2019. «Quel che è affascinante è che non stiamo ricordando una storia passata, ma stiamo sottolineando una storia dell`oggi proiettata verso il futuro, da Agata Smeralda, la prima bambina qui accolta, a tutti quelli che saranno qui aiutati, formati e sostenuti. L`Istituto infatti ha avuto la capacità di adeguare nel corso del tempo le proprie attività alle diverse condizioni, alle esigenze che cambiano, e oggi la quantità delle iniziative dà l`idea di come sia stato capace di inverare continuamente l`intuizione iniziale». L`aiuto ai bambini in difficoltà è ancora oggi - in forme adeguate ai tempi - la mission dell`Istituto degli Innocenti. Ed è parte anche dell`attività di Banco Farmaceutico: i bambini sono infatti il 25,6% degli ospiti assisiti dai 1.844 enti che questa realtà caritativa aiuta donando medicinali.
Per questo Banco Farmaceutico - in collaborazione con l`Istituto degli Innocenti e grazie al contributo di Eg Spa-Stada Group, Fondazione CR Firenze e Fondazione Maddalena Grassi - ha voluto promuovere, in occasione del Meeting di Rimini (18-24 agosto 2019), la mostra «Il Rinascimento dei bambini: 600 anni di accoglienza agli Innocenti a Firenze». Un`istituzione secolare di accoglienza e una realtà caritativa recente si riconoscono mosse dallo stesso impeto ideale, parte del grande fiume di quello che oggi chiamiamo Terzo Settore che, in passato come nel presente, lavora per far fiorire le zone più deserte delle nostre comunità.
Data e luogo di nascita: Firenze, 1410 Brunelleschi inventò la prospettiva
di Carlo Bertelli (Corriere della Sera, La Lettura, 09.07.2017)
La prima dimostrazione della rappresentazione scientifica della terza dimensione su di un piano, ovvero della prospettiva, ha una data: Firenze, 1410- 1413. In tutta la storia dell’arte, nessun’altra metamorfosi può vantare un atto di nascita. Secondo la testimonianza dell’allievo Antonio Manetti, Filippo Brunelleschi su di una tavoletta quadrata di circa 30 centimetri di lato, aveva dipinto un’immagine esatta del battistero di Firenze, con tutte le sue tarsie, quale sarebbe apparsa a chi, stando sulla porta di mezzo del duomo, avesse guardato l’edificio da un’altezza di circa un metro e mezzo.
Nella stessa tavoletta l’architetto aveva praticato un foro passante, svasato, da cui uno spettatore avrebbe potuto guardare la stessa immagine dipinta riflessa in uno specchio tenuto a distanza col braccio. L’illusione era perfetta, tanto più che lo sfondo era d’argento brunito e vi si rispecchiava il cielo. Si poteva guardare la realtà e nello stesso tempo controllarne la perfetta riproduzione. In questo primissimo esperimento tutti gli elementi della costruzione prospettica erano presenti.
Circa vent’anni dopo la dimostrazione di Brunelleschi, Leon Battista Alberti, nel trattato sulla pittura, ne spiegò il metodo e ne fece la base della pittura moderna. Erano passati a stento due anni dalla pubblicazione dell’Alberti quando Paolo Uccello, con il trittico della battaglia di San Romano, dimostrò trionfalmente che le leggi della prospettiva erano applicabili non soltanto alla rappresentazione di un’architettura, ma investivano uomini e cavalli e uguagliavano con energica oggettività gli esseri viventi alle lance spezzate e agli elmi sparsi al suolo.
La prospettiva non era però un’invenzione che toccava soltanto la pittura. Era una concezione nuova del modo di vedere e di memorizzare. Lo comprese assai bene Donatello. La predella del suo grande San Giorgio all’esterno di Orsanmichele introduce un edificio porticato visto di scorcio, che attraverso la porta mostra un pavimento di lastre quadrate poste in una prospettiva intuitiva che si avvicina alle regole che preciserà l’Alberti. Persino l’apertura della caverna del drago è in prospettiva, ma vi è ancora di più: i piani sono come sfuocati dalla distanza. Testa e collo del cavallo, alberi sulla collina sullo sfondo sono scolpiti con una tecnica nuova, detta «stiacciato».
Vi era però una contraddizione tra rilievo e pittura. In un dipinto, i raggi prospettici sono intercettati dalla superficie del quadro. Un rilievo, invece, non presenta una superficie interposta tra l’osservatore e la rappresentazione.
Nel rilievo con il Festino di Erode, nel battistero di Siena, circa 1423-27, Donatello denuncia le antinomie. La scena si prolunga verso il fondo attraverso arcate e altre aperture, ma quando si svolge in primo piano, le linee del pavimento puntano verso il punto centrico, così come fanno le travi tagliate che sporgono dal muro di fondo. Sono tagliate perché la loro prosecuzione invaderebbe lo spazio dell’osservatore.
Quell’oro sfacciato contro la sobrietà del Brunelleschi
di Tomaso Montanari (La Repubblica/Firenze, 21 Luglio 2016)
.DUE scultoree, eccentriche porte ‘d’oro’ - apparentemente in ottone, comunque ricoperte da una vistosissima patina dorata - sono apparse nella testata meridionale della facciata dello Spedale degli Innocenti, in piazza Santissima Annunziata. La prima, quella che si apre nel corpo pieno del fronte brunelleschiano, ha un telaio che esce dalla parete e si protende prepotentemente verso la piazza. La seconda - lì accanto, dalla parte di Via dei Fibbiai - si apre come la saracinesca di un garage da film di fantascienza o di spionaggio.
È difficile esagerare l’importanza del portico degli Innocenti, ideato da Filippo Brunelleschi nel 1418-19: non è improprio definirlo la prima architettura del Rinascimento. Anzi, il primo spazio urbano rinascimentale: l’incunabolo inestimabile di un nuovo modo di leggere il mondo, e di riscriverlo. L’incipit della città moderna. Qui, per la prima volta, il vocabolario classico (colonne, paraste, archi, capitelli, trabeazioni...) risorge ad una vita nuova: diversa da quella antica, ma non meno alta e non meno gravida di futuro. Qui per la prima volta l’architettura è pensata in termini geometrici e aritmetici: il corpo umano è la misura, gli occhi sono lo strumento, la mente è il primo cantiere. Generazioni di architetti, e di semplici cittadini, hanno idealmente salito in ginocchio la scalinata (aggiunta da Rossellino) che sale verso quella sublime, pausatissima danza di archi e colonne: la semplicità fatta perfezione.
Rompere l’equilibrio formale di uno simile monumento ha lo stesso significato che dipingere i baffi alla Gioconda. Come se qualcuno colorasse di blu elettrico la palla dorata sulla lanterna dorata della Cupola, collocasse una vetrata rosa fucsia nell’oculo della facciata di Santa Maria Novella.
Sia chiaro, in arte tutto è lecito: e chiunque è libero di intendere il rapporto tra presente e passato in termini di provocazione puerile. Ma se qualcuno, al Louvre, prova a fare i baffi sull’originale della Gioconda viene fermato: perché esiste anche la libertà di tutti coloro che preferiscono continuare a guardarla come la lasciò Leonardo. È per questo che, in Italia, esistono i vincoli: e la prima architettura del Rinascimento è intoccabile.
Dunque, come è stato possibile alterarla così pesantemente? La risposta va cercata nell’ abdicazione della Soprintendenza fiorentina, che con Alessandra Marino ha scelto la strada dell’autosoppressione. Un modo perfetto per adeguarsi al pensiero dominante: se il principe dice che «soprintendente è la parola più brutta del vocabolario della burocrazia », ecco che i soprintendenti fanno finta di non esistere. Risultato: i cittadini, che mantengono sia il principe che le soprintendenze con le loro tasse, hanno il danno e la beffa.
In attesa che un sussulto di decenza ci liberi da queste porte - non del Paradiso, ma dell’inferno del gusto - fermiamoci un attimo sul loro significato simbolico. Se proprio l’orafo Brunelleschi liberò i fiorentini del Quattrocento dall’ostentazione dell’oro tardogotico, inaugurando la mirabile sobrietà delle facciate fiorentine del Rinascimento, oggi una Firenze à la Jeff Koons torna a luccicare, come una moneta falsa. Rinnegando secoli di misura e understatment, la parola ‘arte’ è diventata sinonimo di ‘lusso’.
La Galleria Palatina è al servizio dei marchi della moda, il Salone dei Cinquecento è una vip lounge a pagamento, sull’Arno si banchetta sui ponti veri, mentre ne fioriscono di effimeri per ospitare cene milionarie di marchi blasonati: la bellezza celebra la disuguaglianza, attraverso l’ostentazione più volgare. Piazza della Signoria si riempie di statue placcate oro, e il povero David di Michelangelo diventa il feticcio di una retorica imbarazzante. Siamo ignoranti, ma benestanti. Ingiusti, ma griffatissimi e sfacciati.
Una Firenze kitsch che si specchia in un lusso da bordello orientale: e che al simbolo, solidale e austero, della Ruota degli Innocenti che accoglieva gli orfani sostituisce quello della Porta d’Oro che accoglie i ricchi investitori. Una triste porta d’uscita.
Il tempio dei bambini abbandonati
Lo Spedale degli Innocenti a Firenze, primo brefotrofio d’Europa, riapre con un nuovo percorso museografico dopo gli interventi di riqualificazione realizzati da Ipostudio. Non sempre in armonia con l’idea di Brunelleschi
di Maurizio Giufrè (il manifesto, 14.07.2016)
FIRENZE Appena inaugurato, il Museo degli Innocenti a Firenze si distingue dal nuovo dell’Opera del Duomo - riallestito da Adolfo Natalini e Guicciardi & Magni - per la particolarità di essere esso stesso un monumento. È tra le prime opere di Filippo Brunelleschi che vi mise mano nel 1419 per soddisfare la richiesta dell’Arte della Seta di un luogo per il ricovero e le cure dell’infanzia abbandonata: pulcherrium haedificium. Situato in uno degli snodi urbani più importanti della città, lo Spedale si apre su una piazza simmetrica che un rettifilo collega da un lato con la cupola di S. Maria del Fiore e dall’altro, sulla piazza, con la Basilica della Santissima Annunziata.
Oggi il complesso brunelleschiano è uno spazio museale restituito al patrimonio culturale cittadino dal progetto - il più convincente tra i sette finalisti del concorso bandito nel 2008 - degli architetti di Ipostudio con Pietro Carlo Pellegrini e Eugenio Vassallo. Il loro riordino museografico si è misurato con la storia, l’architettura e l’arte che lì si è depositata nei secoli tra incarichi, donazioni e lasciti.
Atteso da più di quaranta anni dopo l’ultimo allestimento di Luciano Berti e Guido Morozzi del 1971, il nuovo museo migliora le condizioni di conservazione e fruizione delle opere d’arte (dai tardi trecenteschi Giovanni del Biondo e Giovanni di Francesco Toscani a Piero di Cosimo e Bernardo Rossellino fino al manierista Jacopino del Conte) ma non splende per una serie di soluzioni adottate che risultano discutibili per qualità (illuminotecnica) e per spazi scelti.
È il caso dell’ambiente sacrificato per i putti in fasce di Andrea della Robbia, all’origine sormontanti la facciata del Loggiato brunelleschiano e inserite nei dieci oculi lì posti; così come non convincono le modifiche del vano dov’è collocata la tavola dell’Adorazione dei Magi (1488-89) di Domenico Ghirlandaio, proveniente dall’altare della chiesa di Santa Maria degli Innocenti: troppo algido per effetto della luce artificiale e il bianco delle pareti.
Ciò contrasta con la Galleria che, nonostante il progetto l’avesse prevista chiarissima, è all’inverso oscurata secondo canoni di gusto ormai diffusi che prevedono pareti di supporto anch’essi neutri e scuri. Coerente con il primo tratto del percorso che si svolge al piano interrato dove sono esposti ciò che Luciano Bellosi chiamò «il tessuto connettivo della storia dell’Ospedale», la Galleria appare disomogenea rispetto agli altri ambienti e spazi (cortili, loggia coperta o Verone, Salone brunelleschiano, Chiesa) che compongono il complesso monumentale.
Il progetto museografico si è scontrato con il difficile compito di connettere la frammentata articolazione degli spazi derivante da un insieme di funzioni che nei secoli si sono aggiunte - da asilo per bambini abbandonati a comunità femminile - non riuscendo a fonderli appieno.
Al piano interrato del museo, si accede superato l’ingresso che, insieme all’uscita, è prospiciente la piazza. Si presentano entrambi all’esterno con porte basculanti dorate: inserti stridenti con il rigore del «sistema visivo» del prospetto brunelleschiano. In ragione della comunicazione, ogni capriccio è concesso affinché il «nuovo» possa esprimersi. Non è accaduto anche agli Uffizi con la monumentale pensilina di Isozaki attorno alla quale dal 1998 assistiamo a una discussione infinita? La scala dell’intervento è diversa e non paragonabile, ma la questione è sempre la stessa: come intervenire in un contesto così grondante di storia? Non è un problema di «ambientamento», ma di sensibilità.
Ritorniamo però alla preziosa raccolta di testimonianze storiche qui conservate. Dopo i ritratti, le tele-stendardo - la Madonna degli Innocenti raffigurata con sotto il suo mantello i bambini già grandi e i più piccoli fasciati con bende - vari putti, diverse sculture e reliquari, si giunge allo spazio dei «segni di riconoscimento dei trovatelli»: migliaia di minuti oggetti, tra messaggi, santini, pietre benefiche, pezzi di corallo, nastri, rosari, croci che, infilati tra le fasce dei bambini destinati ad essere abbandonati avrebbero permesso ai genitori di identificarli qualora fossero tornati a riprenderli. Una parte di questi «segni» sono contenuti all’interno di cassetti che il visitatore può aprire
Le altre storie dell’Ospedale sono descritte in video, in immagini (un album di foto fu eseguito dallo Studio Brogi per presentare l’edificio all’Esposizione Universale di Parigi del 1900), ma soprattutto in catalogo (Mandragora) nei testi e nelle schede di Stefano Filipponi, Eleonora Mazzocchi, Lucia Sandri, Ludovica Sebregondi. Nel 1875 si pose fine, con la chiusura della ruota, nella quale erano posti i neonati, alla pratica dell’abbandono anonimo. Lo Spedale si trasforma in brefotrofio e nel 1890 si aprono nel cortile delle donne le prime tre sale espositive del museo. Una lunga e straordinaria storia che, grazie all’impegno dell’Istituto degli Innocenti, sarà da oggi, con maggior coerenza e ricchezza di contenuti, con più agio raccontata.
Il 23 giugno 2016 viene inaugurato il nuovo Museo degli Innocenti: 1456 mq di percorso espositivo disposto su tre livelli e 1655 mq per eventi temporanei e attività educative.
Grazie a due nuovi ingressi aperti su piazza Santissima Annunziata e alla realizzazione di collegamenti verticali, il museo renderà pienamente fruibile il patrimonio artistico, monumentale e storico dell’Istituto e offrirà numerosi servizi alla città: laboratori artistici per bambini e famiglie, mostre temporanee, un punto accoglienza per residenti e turisti che vogliono visitare la città, convegni e attività di formazione, un bookshop specializzato per bambini e ragazzi, e una caffetteria nel Verone quattrocentesco.
L’Istituto degli Innocenti è stata la prima istituzione laica nel mondo a occuparsi in maniera esclusiva di assistenza ai bambini. L’immenso patrimonio conservato dal 1419, anno della fondazione dello Spedale, sarà valorizzato e adeguatamente sistemato così da offrire a Firenze un nuovo museo dedicato all’infanzia e alla sua storia.
Nel seminterrato un itinerario storico racconterà l’evoluzione degli Innocenti e dell’assistenza all’infanzia, dalla fondazione dell’ente fino ad oggi, anche attraverso la ricostruzione di circa cento biografie di bambine e bambini che questo luogo ha accolto nel corso di sei secoli, presentate attraverso supporti multimediali.
A differenza del percorso precedente il nuovo museo racconterà tutta la storia dell’istituzione dal ‘400 fino ad oggi, spiegando come l’antico Spedale, divenuto poi Brefotrofio, sia infine diventato un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale per l’infanzia e l’adolescenza.
Nei cortili si svilupperà un percorso architettonico, per scoprire la storia della Fabbrica e gli interventi che nel tempo hanno adeguato gli spazi alle esigenze dell’accoglienza.
La galleria sopra il portico di facciata ospiterà l’ultima parte del percorso, dedicata alle opere più importanti e al Coretto di preghiera delle Balie.
Il museo accoglierà circa ottanta opere, tra cui i capolavori di artisti come Luca e Andrea della Robbia, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Piero di Cosimo.
Il processo di realizzazione del museo è stato preceduto e accompagnato da un grande lavoro di studio sulla storia dell’istituzione e su tutto il patrimonio artistico e culturale esposto. Un lavoro di ricerca che ha guidato gli interventi di restauro di gran parte dell’edificio storico e di circa 50 opere, tra cui i 10 Putti di Andrea della Robbia presenti sulla facciata.
L’Istituto con questo progetto ha deciso di mettere in connessione la conservazione e la comunicazione del proprio patrimonio culturale con la valorizzazione delle proprie attuali competenze ed attività. Questo approccio è stato possibile grazie al coinvolgimento di tutti i settori di ricerca e attività dell’Istituto e dell’Office of Resarch Innocenti di Unicef, che hanno collaborato alla sezione novecentesca del percorso storico.
L’inaugurazione del Museo degli Innocenti è il compimento di un lungo percorso, iniziato nel 2010 con la firma dell’accordo di programma tra Stato e Regione Toscana (fondi ex Delib.Cipe 166/2007) e proseguito attraverso la continua collaborazione tra Istituto degli Innocenti e Regione Toscana, supportati da molte istituzioni culturali tra cui le Soprintendenze, l’Opificio delle Pietre Dure e le Università.
Il valore del progetto complessivo ammonta a 12 milioni e 800 mila euro. Di questi 7 milioni e 200 mila euro provengono dal finanziamento regionale, il resto da risorse dell’ente. La progettazione architettonica e dell’allestimento è stata affidata a un gruppo di architetti guidati da Ipostudio, vincitori di un concorso internazionale bandito nel 2008 dall’Istituto.
Attualmente è visitabile un percorso ridotto allestito nella sala Grazzini, lo spazio adiacente all’ingresso un tempo adibito a ufficio di consegna dei bambini. L’itinerario narra, con documenti, fotografie, oggetti e biografie, la storia degli Innocenti dalla fondazione fino all’inizio del ’900, con un focus particolare sul periodo più recente, meno conosciuto.
Si tratta di una sperimentazione, su piccola scala, della sinergia che sarà centrale internet pokies nell’allestimento del Museo: valorizzare il legame fra documenti di archivio, opere d’arte e storia dell’istituzione.
E’ inoltre disponibile un audioguida (italiano e inglese) in due diverse versioni, per adulti e per ragazzi.
MUSEO DEGLI INNOCENTI
piazza SS. Annunziata 12 50122, Firenze
Tornano i figli della ruota abbandoni in aumento,
“Così la legge tutela i neonati”
Pioggia di richieste per adottare il piccolo Mario
di Vera Schiavazzi (la Repubblica, 08.07.2012)
ROMA - Un gesto d’amore estremo, preparato con cura, con le tutine piegate e il latte della mamma nel biberon. Chi ha abbandonato il piccolo trovato venerdì sera nella “culla per la vita” della Mangiagalli non è un criminale, né una madre degenere, ma, probabilmente, una donna che dopo aver dato alla luce il suo bambino e averlo allattato e curato per almeno 6 giorni ha scelto quel che riteneva meglio per lui. Una clinica dove verrà curato (il piccolo Mario è sottopeso, forse perché nato prematuro) e accompagnato verso la sua nuova vita. Presto, prestissimo, per lui arriverà anche una famiglia: già ieri il centralino della Mangiagalli è stato preso d’assalto da aspiranti genitori adottivi, una reazione emotiva a una storia commovente, che contiene però una grande verità. Mario, e la coppia che lo adotterà, sono un caso fortunato, uno dei pochi che consentono a dei giovani genitori giudicati idonei all’adozione di accogliere un neonato di poche settimane.
Come il piccolo milanese, altri 400 bambini vengono dichiarati adottabili ogni anno in Italia poco dopo la nascita. Sono i bambini nati da donne che, pur senza far ricorso alle “ruote” sistemate in vari ospedali, partoriscono e scelgono di non essere nominate, come prevede una legge tra le più avanzate del mondo.
«Nelle grandi metropoli l’abbandono è ormai una routine - spiega Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei minori di Roma - Ma quando abbiamo a che fare con casi di grande precarietà sociale e morale, la scelta dell’abbandono va vista come una scelta responsabile. È il modo per evitare che il figlio finisca nel baratro, concedendogli la possibilità di trovare una nuova famiglia che gli dia amore». Le statistiche dicono che le donne che non riconoscono il proprio figlio alla nascita sono spesso straniere (70 per cento), giovani alla prima gravidanza, prive di un compagno e di un lavoro stabile, o timorose di perderlo se dovessero tenere il bambino.
«Soprattutto nelle grandi città dove l’immigrazione raggiunge livelli altissimi, i casi di abbandono raggiungono anche le cinquanta unità in un anno - conferma Cavallo - Non condivido la condanna morale verso queste donne. Quando mi capitano casi di abbandono dovuti a storie di alcolismo, tossicodipendenza o di maltrattamenti invito la persona a riflettere sul gesto responsabile legato all’abbandono. E poi, non siamo ipocriti: una mamma senza casa e lavoro come potrebbe garantire un futuro sereno al proprio figlio? Il gesto di abbandono dunque è dettato dalla responsabilità, dalla volontà di non trascinare nel baratro il bambino. Piuttosto, sarebbe giusto offrire anche a queste persone la possibilità di lasciare i propri dati in un fascicolo accessibile al figlio una volta maggiorenne».
Il dibattito è aperto. Chi lascia un bimbo in ospedale subito dopo il parto ha tempo tre mesi per ripensarci. Una possibilità che la mamma del piccolo Mario quasi certamente non avrà, anche se, come prevede la legge, la questura di Milano è al lavoro per ricostruire la vicenda.
«Non credo che la rivedremo, dice Basilio Tiso, direttore sanitario alla Mangiagalli. «Quella madre, chiunque sia, ha fatto la sua scelta, ora tocca a noi prenderci cura del bambino in attesa delle decisioni del Tribunale. Come facciamo ogni anno in 7 o 8 casi». Che, con ogni probabilità, troverà per il piccolo una prima famiglia “di emergenza”, scelta tra coppie già sperimentate che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere bambini anche piccolissimi, e poi dichiarerà il piccolo adottabile: a 90 giorni, Mario Mangiagalli potrebbe cambiare nome e cominciare la sua nuova vita lontano dai riflettori. Non ci sono reati dietro il suo abbandono, dato che non è stato esposto ad alcun pericolo, non ci sono delinquenti da assicurare alla giustizia, solo una storia disperata che forse non si potrà mai ricostruire del tutto. «Quello di Mario è il primo caso dal 2007, ma speriamo che serva a far conoscere meglio questa possibilità e dunque a prevenire abbandoni ben più crudeli, che mettono a rischio la vita del neonato», dice Giulio Boscagli, l’assessore alla famiglia della Regione Lombardia.
Non è d’accordo il presidente dei Radicali italiani, il ginecologo Silvio Viale: «A dover essere conosciuta meglio è la legge che consente alle donne di partorire con sicurezza in ospedale pur mantenendo l’anonimato. E una proposta di legge che prevede “ruote degli innocenti” in tutti gli ospedali è già stata depositata dalla Lega Nord a Palazzo Madama. Per essere efficaci, le “culle della vita” devono essere monitorate 24 ore su 24, proprio come è successo alla Mangiagalli, dove la chiusura dello sportello fa scattare l’allarme, e come avviene in altri Paesi, primo fra tutti la Germania, seguita, in Europa, da Romania e Polonia, mentre in Ungheria esistono 26 “baby box”. Non tutti sono d’accordo, però: secondo una risoluzione delle Nazioni Unite del 2010, le “ruote” possono trasmettere un messaggio negativo, incoraggiando le donne agli abbandoni.