di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?
O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” e “Mammona” o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’ANTROPOLOGIA E’ ANTROPOLOGIA....
EUROPA. EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA "NON CLASSIFICATA"!!!
MEMORIA DI FRANCESCO DI ASSISI...
Il coraggio del dialogo
di LUIGI PEDRAZZI (La Stampa, 26/2/2008)
Debbono dialogare i cattolici e i laici? Si deve rispondere di sì, anche se questa domanda contiene un bel po’ di confusione. Le due «categorie», infatti, sono malamente identitarie; nella realtà esse sono più sovrapponibili che separanti; ma, qualunque cosa si intenda per «essere cattolico» e «essere laico», entrambe queste «condizioni» fanno bene ad avere relazioni di attenzione e di rispetto reciproco. Il dialogo tra cattolici e laici, oggi, è richiesto a gran voce nell’opinione pubblica italiana allo scopo di correggere errori ed equivoci che nella storia nazionale (ed europea) hanno provocato danni non piccoli e non brevi nella ricerca di regole giuste circa diritti e doveri delle verità e degli errori di cui si discuta vivendo insieme, simili e diversi, dentro la storia.
A me sembra, tuttavia, che l’insistita richiesta di dialogo tra cattolici e laici porti con sé anche una non piccola distrazione omissiva. Dialogo e confronto, infatti, mancano quasi del tutto proprio là dove sarebbero massimamente naturali «per principio» e di utilità storica grande nel nostro Paese: mi riferisco al dialogo tra cattolici. Esso risulta carente a tutti i livelli nella Chiesa, ma soprattutto dove più conta, presso le autorità, gerarchiche e sacramentali. La mancanza di un dialogo tra queste figure essenziali oggi è pesante e parla quasi come silenzio di tutti nella Chiesa cattolica: con danno crescente per l’insieme. Non è sempre stato così, e non lo è per necessità teologica o etica.
Quale dialogo è in atto tra i vescovi italiani? Non saprei indicarne, specie intorno alle situazioni problematiche reali; le quali interpellano, anche dolorosamente, i cittadini comuni e i fedeli presenti nella periferia della grande istituzione. E c’è una carenza più grave: non si dialoga neppure per interpretare eventi ecclesiali centrali, come sta avvenendo, ed è guaio gravissimo, intorno a volto e ruolo, del Concilio Vaticano II. Lo si vede, purtroppo, nei lavori delle sedici conferenze regionali e, ancor più, di quella nazionale, che ha quasi sovrapposto i timori nati per il Post-Concilio alle speranze indicate dai lavori conciliari. Né si vede dialogo e confronto di analisi e di proposte su Avvenire. Il quotidiano cattolico nazionale, pur ricco di pagine e anche di contributi talvolta culturalmente diversificati, li organizza sempre tacendone le diversità, anche quando legittime e significative. La «linea» del quotidiano dei vescovi italiani è, con coerenza implacabile, un’esaltazione acritica del valore dell’unità cattolica, in certi casi spinta fino alla mistificazione (come ad esempio in occasione di convegni ecclesiali tipo Verona).
Giustamente, le autorità cattoliche temono le lacerazioni, ma vanno troppo in là identificando unità e uniformità. Confrontarsi e dialogare non vuol dire, necessariamente, prepararsi a litigare. Ascoltarsi reciprocamente, lo si vede in ogni casa, non è solo bello e giusto in sé; serve anche a capire meglio problemi, difficoltà, situazioni; e ad assorbire i possibili conflitti di lacerazione e ribellione.
Una comunità ecclesiale che conosca e pratichi il dialogo, un episcopato che nelle diocesi ammetta e valorizzi le domande del suo laicato, una pastorale che rispetti i dubbi e sappia entrare nei dolori: sarebbero realtà più forti e convincenti, più amabili e forse più amate. Questo risultato non è sempre detto si produca nella storia, e sia riconosciuto dall’avvicendarsi delle generazioni. La cosa va messa in conto con tranquilla umiltà, senza perdere perseveranza nei tentativi di una «resistenza cristiana» al male, accrescendo il bene. Tra i cristiani non è cinismo né banalità pensare e dire che il «perdono è la migliore vendetta»: è programma personale severo e gioioso, da portarsi con ogni possibile feconda creatività anche nelle vicende collettive più aspre.
Per fortuna nostra, e per impegno crescente ogni anno, non è solo a fronte delle guerre tra i popoli che il dialogo dei cristiani serve ad indicare, ai cattolici innanzitutto, la pace e gli accordi come mezzo politico da preferirsi ad ogni altro. Come vediamo ogni giorno, la vita dell’uomo conosce anche altri tipi di opere grandi, da condursi in tranquillità, per quanto possibile. La scienza, innanzitutto, che da alcuni secoli è la conquista più straordinaria della specie umana, della sua intelligenza che osserva, capisce, comunica. O come l’amore tra i sessi e la generazione e l’educazione dei figli, che da sempre è, in ogni casa, prodigio della vita umana sulla nostra terra e misura più profonda del nostro rapporto con la realtà del tempo e della nostra finitezza naturale. O come il fare leggi e stabilire ordinamenti e regole, preziose e delicate, nella vita di tutti, come lo sono le abitudini nella vita di ciascuno.
Dialogare e confrontarsi è ormai norma fisiologica di tutti gli ambiti creativi di benessere. Senza rispettare questa normatività, non vi è salute per gli uomini; né scienza, ammirevole in sé e guida incomparabile di lavoro e sicurezza; né amore generante ed educante bambini; né istituzioni da conservare in ordine e buono stato, non meno della propria famiglia e delle vere amicizie. Purtroppo, la pochezza dialogica corrente tra i cattolici è patologia inquietante in un ceto culturale tuttora di straordinaria rilevanza. Dentro la nostra società, questo fattore patogeno prepara e consente una ipertrofia di interventi della gerarchia ecclesiastica sul piano della legislazione pubblica, sostanzialmente velleitari nella più parte dei loro risultati, pericolosi e tristissimi in quanto alterano l’ordine naturale dei processi di testimonianza religiosa e di sviluppo storico civile.
Può una comunità di fede, come quella cattolica così autorevolmente operante in Italia, impegnata nell’ascolto e nello sguardo verso Alterità incommensurabili, vivere e sopravvivere con autorevolezza senza praticare quel costume di confronti abituali, già diffuso a livelli sociali anche modesti, e tra realtà più fragili e povere di ciò che, propriamente e consapevolmente, è più suo: cioè una fraternità universale, con la sua rigorosa fondazione teologica? Quando il dialogo manca, esso va allora cercato con più fiducia e insistenza. Per motu proprio dei vescovi, nelle sedi che sono previste, e che nella loro collegialità includono con sapienza sinfonica globale il vescovo in Roma e i suoi qualificatissimi collaboratori di Santa Sede. Per grazia, possibilità garantita, dall’alto, a tutti i fedeli. Per solidarietà e sollecitazioni le più varie, fraterne e concorrenti da tutti i popoli e continenti. Alla lunga, dialogo e confronto non possono mancare dove regnino preghiera e ascolto di una parola creduta divina e conosciuta vicina. Sono beni sociali che possono mancare a lungo e dolorosamente, ma l’ascolto reciproco verrà. Perché dagli errori ci si può liberare, e anche esserne liberati: e proprio dai più profondi. Non sono forse i cristiani a dirlo e saperlo, prima di tutti?
Il 60% delle donne che abortiscono sono cattoliche
Lo dice un sondaggio. Ruini, Ferrara e soci farebbero meglio a tacere
Ora non è più un dato opinabile. C’è una ricerca precisa, come documenta l’articolo de La Stampa che di seguito riportiamo. Oggi il 60% delle donne che abortiscono in Italia si dichiara cattolica. Trent’anni fa, ne siamo più che sicuri, le percentuali sarebbero state molto superiori, molto vicine al 90%. E questp è il segno della progressiva perdità di credibilità della Chiesa in questi anni. Se il card. Ruini, Ferrara e i Teodem-teocon vogliono darsi da fare per ridurre l’aborto nel nostro paese, invece di sbraitare e trasformare la questione in un affare "politico" o addirittura in una lista per occupare scranni parlamentari, non devono far altro che convincere il 60% delle donne che abortiscono, cattoliche, della loro religione, a non farlo. Invece di sbraitare contro lo Stato farebbero bene a prendersela con i loro parroci, con i loro catechisti incapaci di formare "cattolici doc" che invece non esitano a ricorrere all’aborto. Come abbiamo più volte sostenuto su queste colonne l’aborto è un fenomeno prevalentemente "cattolico": sono Ruini e soci i responsabili primi dei tanti aborti che da sempre si sono fatti nel nostro paese. Loro con l’attacco alla 194 e alla legalizzazione dell’aborto vogliono in realtà mettere a posto ipocritamente la loro coscienza e credere così che non risponderanno davanti al loro Dio della loro incapacità di pastori a formare donne "ligie" ai doveri che loro ritengono "dettati da Dio". Da oggi in poi farebbero bene a tacere e a fare cose serie invece che trasformare la questione dell’aborto in una questione "politica" per occupare lucrosi scranni parlamentari. Cosa di cui dovrebbero vergognarsi in eterno.
26/2/2008
Se l’aborto è Nimby. Il 60% delle donne che ricorrono alla 194 sono cattoliche in un sondaggio realizzato ad Ascoli Piceno
FLAVIA AMABILE
Sembra facile a dirsi ora, ma nessuno ci aveva pensato a chiedere la religione alle donne che andavano nei consultori a chiedere un’interruzione di gravidanza. Lo ha fatto Tiziana Antonucci, ginecologa di Ascoli Piceno, ottenendo un risultato non poco imbarazzante: sono cattoliche il 60% del totale, sei donne su dieci che abortiscono. Tiziana Antonucci da anni è una delle poche ginecologhe delle Marche a garantire l’applicazione della 194. Nel consultorio dell’Aied dove lavora arrivano da tutta la regione dopo aver girovagato fra obiettori di coscienza di diversi paesi.
Tiziana le fa innanzitutto parlare e dopo averne ascoltate a centinaia per anni le è sorto un dubbio. «In alcune si percepiva un forte senso di colpa», spiega. E allora decise di fare una ricerca. E’ andata a finire che nel 2007 su 513 richieste di interruzione giunte in consultorio, 200 arrivavano da cattoliche praticanti e 108 da cattoliche non praticanti: il 60% del totale. Le sole cattoliche praticanti rappresentano quasi il 39% degli aborti richiesti, molto di più dei 146, il 28,4%, che vengono da donne di altre religioni: soprattutto musulmane, ortodosse, alcune buddiste, sikh e anche qualche atea. Le restanti 59 donne hanno preferito non rispondere.
Risultati poco in linea con la dottrina della Chiesa, ma che hanno una spiegazione precisa secondo Tiziana Antonucci. ’Le non cattoliche arrivano più preparate, hanno maggiore dimestichezza con i contraccettivi’. Risultati però che confermano in pieno qualcosa che si percepisce anche da altri sondaggi. Nell’aprile del 2006 l’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Torino intervistò degli infermieri (in maggioranza tra i 30 e i 40 anni, impiegati in reparti di terapia intensiva, lungo-degenza e chirurgia). Fra i vari risultati emerse che il 76% degli infermieri credenti era favorevole all’eutanasia volontaria, e più o meno lo stesso era emerso a Milano. E’ il Nimby in versione etica. Aborto? No, grazie, dicono i cattolici. No, grazie, dicono le cattoliche. But not in my uterus.
* il dialogo, Martedì, 26 febbraio 2008
La Chiesa che non voglio
di Paola Gaiotti de Biase *
Confesso un duplice fastidio. Da una parte l’immagine trasmessa dai media di un Partito Democratico segnato al suo interno dallo scontro fra laici e cattolici è un’immagine falsa, che non registra la profondità dei processi avvenuti e non si accorge che, in realtà, anche sui temi cosiddetti eticamente sensibili, per ogni opzione, per quasi ogni sfumatura, salvo quelle estreme, registriamo una trasversalità fra credenti e non credenti. Dall’altra ritornano perennemente autorevoli interventi della Santa Sede e della Chiesa italiana sull’Osservatore Romano, sull’Avvenire, su Famiglia Cristiana, ora addirittura come commento alle candidature Radicali e di Veronesi, che lamentano l’irrilevanza dei credenti nella politica italiana, e nel Pd.
Se questi giudizi fossero esatti, l’immagine che ne emergerebbe sarebbe davvero di una Chiesa, una cristianità, in difficoltà, priva, da una parte e dall’altra, di un laicato capace di esercitare i suoi compiti da sé e di contribuire allo sviluppo della società italiana, un laicato che ha bisogno dell’intervento e della pressione diretta della gerarchia per farsi prendere sul serio dalla politica, di fatto senza idee e iniziativa propria. Una conclusione singolare in un Paese in cui viceversa, proprio sul terreno del rapporto fra società civile e politica, la vitalità di una presenza cattolica diffusa, di una molteplicità di soggettività sociali attive, di una gamma estesissima di esperienze comunitarie di vario segno, di produttori di cultura, ci dice ogni giorno del sale e del lievito evangelico diffuso.
Per molti di questi cristiani, singoli o associati, impegnati a una testimonianza che si muove entro l’etica della responsabilità, la verità, non priva di sofferenza, è un’altra. È la Chiesa che li vuole irrilevanti, è la Chiesa che preferisce ignorarli, è la Chiesa che li cancella, e cancella il loro contributo, la loro lettura dalla realtà, le loro esperienze di condivisione dai suoi orizzonti.
È la Chiesa che cancella, certamente non favorisce, luoghi di confronto davvero comunitari, ove si esprimano tutte le varietà e ricchezze della spiritualità laicale attiva, per una lettura più approfondita del senso della secolarizzazione, per la costruzione di ipotesi condivise e condivisibili, per un analisi più accorta della crisi della società e politica italiana. E l’opinione pubblica laica semmai subisce questa selezione originaria considerando propri interlocutori solo i cattolici “ufficiali”.
Irrilevanza della presenza dei cattolici? Davvero un paradosso da contestare.
La crisi degli anni Ottanta, col mutamento del quadro mondiale, ebbe una risposta sostanzialmente immobilista del sistema Dc, timoroso di perdere il suo primato. La Chiesa italiana fu allora, insieme, complice di questo immobilismo (l’unità dei cattolici non si tocca) e spinta ad un nuovo rapporto diretto col potere politico, nel concreto Craxi, che scavalcava il laicato, per superare lo stallo.
Dire che i cattolici sono stati irrilevanti nella gestione difficile della crisi italiana, nell’individuazione delle vie d’uscita, si può solo se si cancellano sia i numeri reali, sia i nomi dei tanti cattolici adulti, da Andreatta a Scoppola, da Ruffilli a Orlando, ai giovani fucini che aprirono la stagione referendaria e infine da Prodi e Scalfaro, che li hanno rappresentati al livello più alto, che hanno riscoperto il valore dell’impegno politico proprio in ragione della crisi del Paese. Irrilevanti perché adulti, perché portatori di una lettura della crisi, e in particolare della secolarizzazione, più complessa di quella che ci viene proposta, di una analisi del mondo e dei valori moderni più partecipe delle sue potenzialità, sulla linea del Concilio, anziché sulla linea di una perversione diabolica che è insieme antistorica e antievangelica?
La coerenza fra laicità politica e ispirazione religiosa è in realtà un approdo di lungo periodo. La storia della spiritualità credente dei due secoli postilluministi, la stessa storia della Repubblica, e basterebbero i nomi di De Gasperi, Moro, Andreatta, ci dice che la laicità non è stata sentita come limite e confine, come concessione tattica al diverso, ma come conferma, garanzia e ricchezza della propria autenticità evangelica, l’economia della salvezza diviene un disegno che si gioca anche nella storia, qui e ora, non solo nell’attesa dell’aldilà. La secolarizzazione è stata liberatoria anche per la spiritualità credente.
La comunità cristiana è certo stata divisa su questo approccio, come per tante altre questioni nella sua storia, ma non ha potuto che registrarne la coerenza.
Su questo si è misurata una scuola che Chabod definì la dottrina politica più significativa del Novecento, il cattolicesimo democratico, che non sarebbe mai nata senza la provocazione feconda delle grandi rivoluzioni, delle dichiarazioni dei diritti, del valori alti dell’Illuminismo ed è cresciuto grazie alla fecondità del rapporto stabilito con la cultura moderna, della ricerca, della critica, del primato della coscienza.
Il punto chiave dell’approdo del cattolicesimo democratico, già consolidato con Sturzo, è il primato delle questioni politiche generali, di interesse collettivo, dalle strutture istituzionali al sistema politico ai rapporti economici, sui temi propri di interesse religioso e ecclesiale, come discriminanti per le proprie scelte politiche. La logica dei Patti Gentiloni, delle trattative clericali in cerca di garanzie, è una logica non solo fuori della storia, ma è una logica perdente per la stessa testimonianza religiosa, per l’efficacia del messaggio.
È per questa via che l’esperienza religiosa, come già avvenuto storicamente in altri Paesi, ha potuto essere considerata una risorsa della democrazia, unì attivazione dei valori su cui si basa, dello spirito di solidarietà collettiva, degli stessi processi di unificazione e pacificazione nazionale.
È proprio, viceversa l’identificazione del laico cattolico come puro portavoce delle posizioni ufficiali di una Chiesa che è una realtà universale, ma anche una struttura statale che si vuole tale, che rende i cattolici politicamente irrilevanti, non significativi, facilmente sostituibili dalle pressioni di vertice, dalle contrattazioni istituzionali. È in quanto siano immersi quotidianamente con ciò che passa nella società reale, nel suo intreccio di diversamente credenti e di non credenti, ascoltatori e mediatori di esperienze, che i cattolici si fanno rilevanti politicamente, non in quanto gruppo minoritario che si irrigidisce, entro il cambiamento radicale del mondo, sulle proprie immutabili verità. È questo che è avvenuto nel processo costituente del Pd, nelle assemblee, nelle commissioni e ne sono testimone per quella sulla Carta dei Valori.
La forza della Chiesa è, per riconoscimento anche di tanti non credenti, nel suo avvertire la profondità della sfida che sta vivendo una umanità divenuta padrone del mondo anche attraverso le nuove teconologie. Ma non si vorrebbe che questa anticipazione del problema assumesse per la Chiesa quel limite che oggi viene imputato a un certo ambientalismo delle origini, definendolo l’ambientalismo del “no”.
Le sfide etiche del nostro tempo non sono semplificabili entro un generico, vago, indefinito richiamo alla vita: sono più complesse e impegnative. I principi non si difendono ricorrendo a strumenti già falliti, come la repressione giuridica dell’aborto o esigendo tecnicalità scientifiche discutibili come per il numero di embrioni da trapiantare. E tuttavia é su questo che oggi si pretende misurare la coerenza fra fede e laicità.
L’aborto è certamente per il credente un fatto negativo, un atto contro se stessi oltre che contro una nuova vita, come del resto lo è per la grande maggioranza delle donne. Di fronte all’insostenibilità pratica e al fallimento totale delle strategie repressive, la strada per combatterlo non può essere che quella delle strategie preventive, dall’educazione sessuale alla diffusione della contraccezione, compresa la pillola del giorno dopo, alle politiche sociali di sostegno mirate. Fra l’una e l’altra la trovata della moratoria non si sa in quale forma giuridica e quale espediente nasconda, praticamente è il nulla di fatto, il molto di minacciato. Se di qualcosa ha bisogno la 194, oggi, è un di più di prevenzione sociale contro la solitudine delle donne e di sostegno alla genitorialità.
Le politiche per la famiglia, non a caso declinate al singolare, sono state a lungo in Italia più occasione di scontro ideologico, in nome di un principio astratto, che di soluzioni concrete. L’enfasi retorica sulla famiglia ha prevalso sulle volontà di sostenerle. L’enfasi retorica è in sé stessa un errore. Resto legata a una bella riflessione di Emmanuel Mounier che ci ammonisce che «la famiglia è, innanzitutto, una struttura carnale, complicata e difficilmente del tutto sana, che produce a causa dei suoi squilibri affettivi interni, innumerevoli drammi, individuali e collettivi», «un fragile miracolo, pur intessuto d’amore, educatore all’amore». Ed è per questo che va sostenuta, non per il suo essere modello di vita esaustivo. Non solo non si possono discriminare quanto a garanzia dei diritti reciproci i diversi modelli di convivenza, ma è interesse collettivo favorire, anche entro relazioni informali, le convenienze alla solidarietà reciproca nel tempo, le tendenze spontanee alla stabilità del rapporto. Non vedo perché da cattolica io debba favorire di fatto il sesso selvaggio rispetto a una relazione relativamente stabile e solidale fra omosessuali.
Ho votato tutti i miei si sulla fecondazione assistita e spero in una revisione della legge 40. E non credo che possiamo confondere l’unicità genetica dell’embrione, che è un dato da rispettare (e che è alla base del rifiuto della clonazione) con la sua pienezza di persona. La natura stessa affida alla fase fra concepimento e insediamento nell’utero, una funzione selettiva percentualmente molto alta, mi si dice con un destino segnato per l’80% degli embrioni, che protegge la specie e che evita alla donna il rischio di plurigravidanze. Non vedo perché la scienza nel momento che sostituisce la natura, dovrebbe inibirsi, pur con le proprie tecniche e senza cedere a capricci privati, lo stesso compito selettivo che caratterizza il processo naturale.
Sono un’ottantenne che attende una legge sul testamento biologico anche per sé. Da credente che considera la morte il passaggio naturale a un’altra vita, un prolungamento artificiale di essa mi appare come un prepotenza ingiusta sulla compiutezza della mia vita, un negare la natura non un difenderla; e mi turba l’ipotesi che per mantenere in vita me ottantenne si possa domani essere costretti a rifiutare la rianimazione a un ragazzo o una ragazza vittima di un incidente.
Lasciateci testimoniare anche politicamente e razionalmente la forza della nostra fede, evangelicamente laica: i cattolici dovrebbero sentire il dovere di essere qualcosa di più di un gruppo di pressione.
* l’Unità, Pubblicato il: 26.02.08, Modificato il: 26.02.08 alle ore 12.02
Ansa» 2008-02-25 18:24
FAMIGLIA CRISTIANA: PD, PASTICCIO IN SALSA PANNELLIANA
ROMA - "Pasticcio veltroniano in salsa pannelliana". E’ questo il titolo dell’editoriale di ’Famiglia Cristiana’ - domani in edicola - con il quale il settimanale paolino boccia l’apertura di Walter Veltroni ai radicali nel Partito democratico. Secondo Famiglia Cristiana "i radicali hanno una concezione ’confessionale’ della loro identità. Ogni scelta, ogni nome ha valore simbolico. La squadra di candidati, negoziata con Walter Veltroni, ha una forte fisionomia radicale, connotata su battaglie che, come ha detto Emma Bonino, ’non si interrompono affatto’ ". "E’ facile - si legge ancora nell’editoriale - dire quali siano: aborto, eutanasia, depenalizzazione della droga. E poi c’é l’abolizione del Concordato e dell’ 8 per mille, e sopra ogni cosa un’ ideologia libertaria, in salsa pannelliana, alternativa alla storia e ai principi etici, economici e sociali di questo Paese".
VELTRONI: NON PROMESSE, PROGRAMMA REALISTICO
"Noi siamo la prima forza che presenta il programma. Un programma realistico e ambizioso perché non è fatto di annunci e promesse ma indica anche la copertura finanziaria e al tempo stesso è un testo di innovazione per imprimere l’accelerazione riformista che serve al Paese". Il leader del Pd Walter Veltroni presenta così il programma con cui il Partito democratico si presenta alle elezioni del 13 e 14 aprile.
Veltroni ha definito il programma del Pd "un programma di sicurezza sociale e economica perché non c’é equità sociale senza crescita" e ha evidenziato la differenza rispetto al passato: "In Italia abbiamo avuto promesse appoggiate sui manifesti e poi non trasformate in azioni durevoli nella politica di governo oppure promesse irrealizzabili". Il programma del Pd invece è "un programma - sottolinea il segretario del Pd - di grande cambiamento del Paese che prima era impossibile perché c’erano alleanze eterogenee e istituzioni bloccate". I cittadini, sostiene il leader del Pd, hanno questa volta una grande opportunità: "Possono segnare non chi vince sulla scheda uno-x-due, ma chi potrà veramente cambiare l’Italia imprimendo un’innovazione profonda". "Nel programma - sostiene l’ex sindaco di Roma - c’é l’idea di un paese più veloce libero da veti e conservatorismi e l’idea di un paese unito". Questa volta, insiste Veltroni, gli italiani "come cittadini inglesi e americani hanno la possibilità di imprimere una grande svolta di innovazione riformista sotto il segno della crescita".
DODICI GLI OBIETTIVI, ANCHE TEMI ETICI
Il programma del Pd si articola in 12 "azioni di governo" la prima delle quali riguarda le coperture finanziarie, e al suo interno sono affrontati anche tre temi etici. Il documento è stato illustrato in una conferenza stampa da Walter Veltroni e da Enrico Morando. I 12 punti sono sostanzialmente quelli preannunciati da Walter Veltroni all’Assemblea costituente del Pd il 16 febbraio scorso.
Le 12 azioni di governo hanno una premessa sul collocamento dell’Italia nel mondo, con un forte ancoraggio del nostro paese all’Europa, alle organizzazioni multilaterali e all’Alleanza Atlantica.
Il documento identifica poi quattro problemi dell’Italia: inefficienza economica; disuguaglianza; poca libertà di perseguire il proprio disegno di vita; scarsa qualità della democrazia. Viene quindi dato un metodo per affrontare e risolvere questi problemi, e cioé un "nuovo patto per la crescita della produttività totale dei fattori", che riprende l’idea del patto sociale del 1993, che permise all’Italia di superare la crisi economica. Il programma affronta anche tre temi etici, non con un capitolo a sé stante, ma trattandoli all’interno di due diversi punti.
Nella parte riguardante "garanzie e diritti", si afferma che "il Pd intende prevenire l’accanimento terapeutico anche attraverso il testamento biologico", e che "il Pd promuove il riconoscimento dei diritti delle persone stabilmente conviventi".
Nella parte riguardante lo stato sociale e la sanità si afferma che "la legge 194 è una legge equilibrata, che ha conseguito buoni risultati, e va attuata in tutte le sue parti".