Le paure del Vaticano
di Enzo Mazzi (il manifesto, 13.03.2007)
Paura chiama paura e insieme, tenendosi per mano nell’intento di sostenersi reciprocamente, precipitano nel baratro. Non trovo altra spiegazione a questa politica fondamentalista e aggressiva praticata dai vertici della Chiesa cattolica. Perfino la tradizionale austera nobiltà dell’Osservatore Romano, il giornale istituzionale per eccellenza, si sta piegando alle esigenze dell’esorcismo della paura. Ne è un esempio l’attacco smodato con cui il quotidiano della Santa Sede si è scagliato ieri contro la manifestazione di sabato scorso in favore dei Dico, parlando di «manifestazione carnevalesca e irrispettosa».
Ma che sta succedendo nei sacri palazzi si domandano increduli in tanti, non solo cristiani critici ma cattolici devoti, teologi, preti, religiosi, suore e anche vescovi delle periferie. Un immenso assordante silenzio nasconde lo sconcerto del mondo cattolico. Una gerarchia resa insicura dal procedere inarrestabile della secolarizzazione e della libertà di coscienza nell’insieme della società e all’interno della Chiesa stessa, aggredita dalla paura che si sgretoli dalle fondamenta, come le mura di Gerico, l’imponente potere accumulato nei secoli, tenta disperatamente di salvarsi aggrappandosi alle angosce esistenziali, etiche, materiali, di una società altrettanto insicura.
Il cristianesimo è nato da un grande movimento popolare di liberazione dalla paura e ora il dominio della paura rischia di portarlo alla rovina. «Non abbiate paura, il crocifisso è risorto», dice l’apparizione di un messaggero celeste alle donne davanti al sepolcro vuoto.
Il crocifisso è, nel Vangelo, il simbolo di una società nuova che risorge dalla paura ed è destinata a soppiantare il vecchio mondo il quale per esorcizzare la paura della fine si allea ma inutilmente con la morte. Così nacque il cristianesimo. Così si sviluppò nei primi secoli quando i cristiani affrontarono impavidi le persecuzioni. Finché la croce divenne esibizione della sofferenza del Dio fatto uomo e fu usata quale chiave strategica con cui il cristianesimo si è imposto come religione universale vincente, offrendosi al tempo stesso all’Impero come strumento di stabilità e unità. E arrivò Costantino che s’impadronì di quella religione nata dalla liberazione della paura per rovesciarla in strumento essa stessa di paura: In hoc signo vinces, in questo segno vincerai, cioè nel segno della croce come sacrificio perenne.
Dopo due millenni è il cristianesimo che sta usando la crocifissione per salvarsi dalla paura: crocifigge le donne, i gay, i tanti Welby, le coppie di fatto, perfino preti e teologi che si appellano alla libertà di coscienza.
Ci vorrebbe anche oggi un «angelo» che di fronte ai sepolcri vuoti gridasse ai vertici ecclesiastici e in fondo a tutti noi: «Non abbiate paura, quelle e quelli che avete crocifisso sono risorti».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Un prete scomodo che spaventò la Chiesa
di Giovanni Gozzini (l’Unità, 24 ottobre 2011)
Enzo Mazzi a Firenze vuol dire Isolotto. Cioè un quartiere povero della città, storicamente legato ai renaioli che tiravano su la sabbia (la “rena” in toscano) dall’Arno: un mondo rimasto compatto di botteghe e mestieri. A mandare don Mazzi in quel quartiere era stato il cardinal Dalla Costa, lo stesso che nel 1938 aveva chiuso porte e finestre dell’arcivescovado, in piazza del Duomo, quando Hitler aveva fatto visita a Firenze.
Nel 1966 quello stesso fiume che dava da mangiare, sommerse con le sue acque limacciose l’Isolotto e tutta la città. Don Mazzi era il parroco e insieme alla Casa del Popolo, ai democristiani e ai comunisti di allora, si dette da fare per aiutare la gente rimasta senza casa e senza lavoro. Niente di eccezionale: il pastore stava con le sue pecore, loro lo riconoscevano e lui le ascoltava.
Nell’Italia di quegli anni l’Isolotto di don Mazzi incarnava un’esperienza di comunità di base (allora si chiamavano così) che cercava di praticare il Vangelo senza preclusioni politiche e badando al sodo: solidarietà, accoglienza, povertà condivisa. Dormire in cantina per far posto in canonica a una famiglia di sfrattati. La messa si diceva in italiano e non più in latino, come aveva indicato il Concilio Vaticano II. Il prete smise di mostrare le spalle ai fedeli e si girò per sempre verso di loro: quello che faceva, la liturgia, era affare di tutti, non di un solo sacerdote.
Nel Sessantotto questo modo di fare Chiesa si colorò un po’ più di politica. Contro la guerra in Vietnam, contro la Democrazia Cristiana che non aveva ricandidato La Pira, il sindaco che della pace aveva fatto la sua bandiera. Il successore di Dalla Costa, Florit, ebbe paura di questo andazzo. Una delle gocce che fece traboccare il vaso fu una lettera di solidarietà inviata dall’Isolotto agli studenti di Parma che avevano occupato la cattedrale in segno di protesta contro la Curia che voleva costruirne una nuova, più grande e più ricca. Non ce n’era bisogno, dicevano: Gesù l’unica volta che si era arrabbiato davvero era contro i mercanti che occupavano il tempio. Ricchezza e Chiesa non devono andare d’accordo.
Florit sospese don Mazzi e mandò un nuovo parroco all’Isolotto. Ma alla sua prima messa si presentarono in venti. Tutti gli altri andarono in piazza, dove don Mazzi continuò a dire messa per tutta la comunità. Da allora in poi quella separazione fisica continuò a rappresentare un diverso cammino. La comunità di base dell’Isolotto (come tante altre in Italia) continuò a praticare un Vangelo che significava stare in maniera intransigente dalla parte degli ultimi. Il Vescovo, la gerarchia seguì una strada diversa, più cauta, ma non rinunciò ad esercitare il proprio potere: nel 1974 don Mazzi venne sospeso a divinis. Non per questo il parroco «ufficioso» smise di essere il pastore delle sue pecore: fino all’ultimo è stato punto di riferimento non solo per le prese di posizioni pubbliche che facevano rumore sui giornali (come quella a favore di papà Englaro) ma soprattutto per un’azione concreta, silenziosa e quotidiana di aiuto a chi aveva bisogno.
Potrà sembrare strano ma se oggi la maggioranza dei cattolici italiani (il 53% secondo il sondaggio di Mannheimer reso pubblico domenica scorsa) non rivuole la Democrazia cristiana è anche per merito (o per colpa) di don Mazzi. Gli ultimi due pontificati hanno lavorato molto per piallare le comunità di base, per togliere legittimazione e visibilità a un cattolicesimo eterodosso.
Ma come tante altre cose del Sessantotto (si pensi a Steve Jobs che va in India prima di mettersi a inventare il computer per tutti) quel cattolicesimo non ha smesso di lavorare in profondità e di cambiare la testa degli italiani. Si può essere molto religiosi senza per forza essere democristiani e senza per forza pensarla politicamente alla stessa maniera. Si può cercare di vivere il Vangelo con coerenza senza per forza obbedire alle autorità ecclesiali. Si può, si deve, pensare con la propria testa. Ciò che nel 1968 sembrava eresia ora è senso comune. Troppo spesso i politici chiusi nelle loro stanze non si accorgono di come è cambiata l’Italia. E ragionano (dato che sono in perenne carestia di idee nuove) su come ricostituire una presenza cattolica nella vita politica. Non sanno che decine di migliaia di cattolici prestano il loro impegno nel volontariato (come don Mazzi) preferendolo a una politica che (almeno per come viene fatta “professionalmente”, si fa per dire, oggi in Italia) non li interessa e non li appassiona. Quello che li appassionava (e li appassiona) di don Mazzi era che non faceva politica per sé, per fare carriera o per arricchirsi. O per difendere il posto di lavoro, come molti politici italiani attuali. Ma semplicemente per stare dalla parte degli ultimi. Questo dice il Vangelo. Altro che nuovo partito dei cattolici.
Un testimone profondo del nostro tempo
di redazione (il manifesto, 23 ottobre 2011
Nonostante la sua età, 84 anni passati, Enzo Mazzi conservava nel cuore tutte le caratteristiche della gioventù. Era tra le persone più aperte al futuro, disponibili e coraggiose che il manifesto ha avuto la possibilità di incontrare sulla sua strada. Per noi è stato un privilegio averlo avuto tra i nostri principali collaboratori. Perché il nostro piccolo e fragile strumento quotidiano è stato anche il giornale di Enzo. Sulle nostre pagine ha tracciato un sentiero unico, spesso in assoluta solitudine.
Per un cammino che veniva da lontano, dagli stessi giorni del ’68 che portarono alla nascita della Comunità dell’Isolotto a Firenze e all’esperienza in tutta Italia delle Comunità cristiane di base. Quelle realtà che per la prima volta rivendicavano dal basso una nuova possibilità del Concilio, trovando quasi sempre la contrapposizione autoritaria del potere temporale della Chiesa. Mi piace ricordare che sta per uscire per la ManifestoLibri un libro da lui curato con un suo saggio introduttivo proprio sulla storia del processo all’Isolotto.
Enzo Mazzi è stato un profondo testimone del nostro tempo, rimesso alle volontà collettive ma forte nell’individualità delle scelte e della presa di parola.
La natura del suo dichiarato impegno si è sempre accompagnata ad uno stile alto nella scrittura, capace di attraversare l’oscurità delle verità rivelate per illuminare, per svelare. Sia che si trattasse di rivendicare quello che chiamava «proto-Vangelo», un Gesù terreno, per un nuovo mondo possibile ben lontano dalla fissità simbolica dell’«oggetto» crocefisso, sia nell’intervenire contro la violenza del doppio potere, della Chiesa e del governo, come nel caso dell’accanimento contro il corpo di Eluana Englaro. Oppure quando sottolineava la possibilità di un processo reale alle responsabilità del papa per la tragedia e il crimine della pedofilia. O ancora quando denunciava il dominio del sacro, presente sia nei vecchi - e rinnovati dalla liturgia - processi di santificazione, come nelle nuove e moderne mitologie delle merci.
I suoi consigli, il suo conforto, la sua scrittura che si confronta nel divenire dei giorni, davvero ci mancheranno. Addio Enzo.
Le parole di un cristianesimo ribelle
di Riccardo Chiari (il manifesto, 23 ottobre 2011)
Come ogni domenica, anche oggi l’appuntamento della Comunità dell’Isolotto è alle 10.30, alle «Baracche» in via degli Aceri 1. «Fra le altre cose - anticipa Carlo Consigli - socializzeremo l’assenza di Enzo, e la continuità della sua presenza». Nel solco di quella esperienza comunitaria che Enzo Mazzi considerava essenziale. Come una bussola che lo ha guidato per una intera esistenza. Di cui ha fatto dono, non solo metaforico, alle donne e agli uomini della comunità. Con loro non potrà più camminare insieme. Grazie a loro, e ai tantissimi che di settimana in settimana, anno dopo anno, hanno socializzato negli appuntamenti comunitari della domenica, Enzo Mazzi continuerà ad esserci.
Per sua espressa volontà, la morte non doveva essere una notizia. L’ennesimo rifiuto della «caratterizzazione personalistica» che l’ex parroco del quartiere popolare e operaio dell’Isolotto aveva abiurato, fin dagli albori della Comunità. «Ma il manifesto era importante per Enzo», riconosce Consigli. Perché l’eretico quotidiano comunista era per lui un altro luogo dove comunicare con gli altri i temi delle riflessioni comunitarie della domenica. Riflessioni che, negli anni, sarebbero finite anche sulle pagine fiorentine di altri quotidiani. Perché affrontavano questioni, fossero l’acqua bene comune oppure la democrazia in fabbrica, insieme locali e globali.
Anche in questi ultimi mesi, quando già la malattia ne fiaccava il corpo ma non lo spirito, a Enzo Mazzi non erano sfuggiti avvenimenti come il «Se non ora, quando?» del 13 febbraio. Affrontato così: «Le donne che si riprendono le piazze si riprendono anche per se stesse e per tutti noi il potere sulla sacralità della natura, dei corpi, della sessualità e, mettendo un po’ di enfasi, sulla sacralità di tutto l’esistente. «Se non ora, quando?». Poi erano arrivate altre riflessioni critiche, di fronte al tentativo di considerare anche Primo Maggio «una festa da sacrificare all’orgia del consumo». Infine, lo scorso 28 agosto sul manifesto, l’ultimo graffio: «Per la strategia liberista la gente deve scordare il suo passato sociale, e non avere altro ideale e identità che la religione del danaro».
Sempre nel segno delle comunità cristiane di base di cui all’Isolotto, insieme a Sergio Gomiti e Paolo Caciolli, era stato precursore. Raccontate in quel «Cristianesimo Ribelle», edito tre anni fa per "manifesto libri", dove tirava le fila di quella spinta profonda che da 43 anni ha portato molti credenti a mettere in discussione le gerarchie ecclesiastiche e i nessi tra chiesa e potere. Trovando nelle comunità un luogo-laboratorio dove socializzare riflessioni ed esperienze.
Alla "festa dell’orgoglio cattolico" hanno aderito 450 associazioni. Alla stessa ora
la contro-manifestazione del "Coraggio laico". Bonino ai Ds: laici lasciati soli
Oggi il Family Day in piazza
Napolitano: non discriminare i gay
di GIOVANNA CASADIO *
ROMA - Gli unici a parlare di Dio, alla vigilia del raduno cattolico del Family day, sono Giulio Andreotti e Paola Binetti. L’uno, il senatore a vita, per annunciare che "a 88 anni sono già in proroga con la vita ma, se Dio vuole, sarò in piazza". L’altra, la senatrice Teodem, per assicurare che i centomila attesi sono obiettivamente una sottostima così che "ognuno di più è grazia di Dio". Per il resto, parole pesate degli organizzatori visto il clima politico incandescente, scosso dal contro-raduno del "Coraggio laico" in Piazza Navona, dalle polemiche sui gay, dalla massiccia presenza del centrodestra alla manifestazione cattolica di Piazza San Giovanni. Silvio Berlusconi fa sapere che potrebbe esserci anche solo per "un salutino".
Prova il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a smorzare i toni e in un messaggio inviato al convegno nazionale dell’Arcigay a Milano, invita a "rimuovere le discriminazioni" e a "un confronto pacato". Proprio davanti alla platea gay, il ministro radicale Emma Bonino, animatrice della piazza e delle battaglie laiche, attacca i Ds. Barbara Pollastrini, ministro delle Pari opportunità, ha appena concluso il suo intervento e Bonino denuncia: "Barbara ha appena detto che quella di Piazza Navona sarà una manifestazione piccola, io le rispondo che è un peccato che anche loro abbiano lasciato l’organizzazione solo alla Rosa nel pugno". E aggiunge, poi:"Hanno deciso di essere equidistanti, o equivicini" alle gerarchie ecclesiastiche. Un rimprovero alla Quercia che Fabio Mussi, il ministro transfuga dai Ds e anti-Partito democratico, rincara:" Io ci sarò in Piazza Navona con tutta la sinistra per difendere la libertà. Il Family day? Non ci andrei neanche se fossi ministro, è una manifestazione più "anti" che "pro"".
Stessa ora (oggi, dalle 15), le due piazze raccoglieranno una marea di gente e dividono governo e politici. Imponente la festa dell’orgoglio cattolico che richiamerà almeno mezzo milione di persone, 450 le associazioni che hanno firmato il manifesto "Più famiglia" e contro i Dico, la legge del governo sulle coppie di fatto anche gay. Mega palco, intrattenimento dedicato in particolare ai bambini, 30 mila palloncini, tre grossi palloni aerostatici per indicare dov’è la festa. Berlusconi in piazza anche se i suoi collaboratori lo sconsigliano e chissa che non la spuntino e alla fine resti a casa. L’Udc di Pierferdinando Casini ha mobilitato le sue sezioni e prevede di trascinare al Family day seimila militanti. An in massa però difficilmente ci sarà il presidente Gianfranco Fini. Nella storica piazza "rossa", saranno presenti dell’Unione i Teodem, i ministri Beppe Fioroni della Margherita e Clemente Mastella. Il Guardasigilli e leader dell’Udeur a chi lo critica, replica: "Se proprio vogliono, sarei capace di dimettermi da ministro e riprendere la carica lunedì". Ci sarà con moglie e famiglia. Fioroni con il figlio ("A meno che non scelga i suoi amici scout"). Il vice premier Francesco Rutelli, il cui outing cattolico ("Se fossi semplice deputato ci andrei") ha colpito gli stessi colleghi di partito, si augura "una giornata serena, utile e costruttiva". Marco Follini ("Evitiamo gli eccessi di zelo") aderisce e se ce la fa, passa. I ministri Ferrero (Prc) e Pollastrini (Ds) fanno sapere di essere vicini "in spirito" alla piazza laica.
* la Repubblica, 12 maggio 2007
L’Amaca
di Michele Serra (la Repubblica, 15.03.2007)
Cerco di dirlo così come mi viene, mi scusino eventuali pignoli o suscettibili. Leggere sulle prime pagine le parole "contro natura", pronunciate dal papa a proposito delle unioni omosessuali, mi fa rivoltare le viscere.
La natura umana è così complicata e ricca (essendo biologica, psicologica, culturale, sociale) che estrarne un pezzo e appenderlo al lampione del Giudizio Divino equivale ad amputarla. L’omosessualità è sempre esistita ed esisterà sempre, consiste di amore e di vizio, di eros e di moda, di piacere e di colpa, di profondità e di futilità, tanto quanto le altre pulsioni dell’animo e del corpo.
Si può diffidarne, si può criticarla, ma solo una violenta e impaurita torsione dello sguardo sulle persone, sulla vita, sull’eros, può arrivare addirittura a scacciare l’amore omosessuale dalla "natura umana".
Leggendo quei titoli ho pensato ai miei amici omosessuali, ad alcune storie di sofferenza e di punizione, all’orribile marchio di "anormale" che qualcuno di loro ha dovuto leggere negli occhi e nelle parole degli altri, e mi sono profondamente vergognato per quel "contro natura". Possibile che i preti omosessuali, notoriamente molti, non abbiano niente da dire a questa Chiesa spietata?
Magari ci fosse un politico come Costantino il Grande, lui scelse il cristianesimo quando era una piccola minoranza, senza nessun peso politico, scelse il cristianesimo perche vedeva in questa religione dei valori veri, con la quale combattere la caduta dei valori morali dell’impero. Oggi invece quattro partiti per prendere i voti dei gay sono disposti a distruggere la famiglia.
Viva il-PAPA, Viva Benedetto XVI unica figura credibile in un mondo di depravati
Caro Giovanni,
la storia ci insegna che in ogni epoca sono esistiti sognatori ed esaltati che, riprendendo opere di persone per bene, come Gioacchino da Fiore (figlio della Chiesa !), credono d’ essere chiamati a riformare (e che riforme !!) radicalmente la società, e persino la Chiesa di Roma !
Io li definirei "abili demogoghi" che, approffittando delle nostre condizioni psicologiche (dettate dall’odierno sviluppo socio-politico) e pure, diciamocelo chiaramente, dalle nostre carenze religiose, tentano di convincerci (e di convincersi) che lontani dal magistero della Chiesa cattolica (causa di tutti i mali del passato, del presente e del fututo!) è possibile costruire un mondo più sano, affidandosi alle teorie relativiste, e salvando così il mondo dalla rovina.
In loro leggo solamente una profonda delusione di Dio. Non ci resta che pregare.
Cordiali saluti.