DIO E’ AMORE
DEUS CHARITAS EST
GESU’: L’AMORE SALVA *
2 V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
3 sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
4 [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.]
5 Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
6 Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
7 Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
8 Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
9 E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato.
10 Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina».
12 Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?».
13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
14 Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio».
15 Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
16 Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
17 Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».
18 Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
* Giovanni 5: 2-18. Testo nella traduzione della C.E.I
PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga
DUE LETTERE PASTORALI, UNA "LEZIONE" SULLE PARABOLE, E L’ULTIMA INTERVISTA DI CARLO M. MARTINI:
CARLO MARIA MARTINI LETTERA PASTORALE (1990-1991) “EFFATÀ, APRITI”. (in: http://www.odg.mi.it/node/236)
CARLO MARIA MARTINI LETTERA PASTORALE (1991-1992) “IL LEMBO DEL MANTELLO” (in: http://www.odg.mi.it/node/237)
L’ultima intervista:
«Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»
intervista a Carlo Maria Martini
a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)
Come vede lei la situazione della Chiesa?
«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».
Chi può aiutare la Chiesa oggi?
«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».
Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?
«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?
Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.
Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).
L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»
Lei cosa fa personalmente?
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Inizierà nell’ottobre 2012
L’Occidente - Italia in testa - sempre più colpito da un processo di secolarizzazione
Il Papa annuncia l’Anno della fede "Troppi la danno per scontata" *
CITTA’ DEL VATICANO - É tempo di "riscoprire" e "rilanciare" la fede cristiana e i primi a farlo devono essere i cristiani. Ecco il "manifesto" di Benedetto XVI per rievangelizzare l’Occidente - Italia in testa - sempre più colpito da un processo di secolarizzazione. Lo ha lanciato ieri lo stesso Ratzinger, annunciando di aver indetto l’Anno della Fede che dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013 celebrerà il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Un appuntamento indetto solennemente con la pubblicazione di un motu proprio dal titolo "La porta delle fede". «Non è raro - scrive il Papa - che i cristiani pensino alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune», anche se «questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato». «Bisogna ritrovare il gusto di nutrirci della parola di Dio» è l’esortazione di Benedetto XVI. (o.l.r.)
* la Repubblica, 18.10.2011
"SPE SALVI"
Non leggo più i documenti del Papa
di Sergio Grande*
Non leggo più i documenti del Papa.
Non leggo più i documenti di chi parla “ex cattedra”, di chi sostiene la propria infallibilità sia pure in materia di fede.
Non leggo più i documenti di chi vive in palazzi dove la ricchezza ed il potere trasuda da ogni pietra, dove il pasto quotidiano non è un problema, dove non ci sono gli affanni per arrivare alla fine del mese, dove i soldi non mancano mai, anzi c’è ne sono tanti da poterli usare anche per speculazioni finanziarie nei paradisi fiscali, dove schiere di servitori sono pronti a soddisfare ogni capriccio, dove non si vive la sofferenza che vivono alcuni miliardi di esseri umani nel mondo.
Non leggo più i documenti di chi si presta a fare il testimonial di auto di lusso nelle quali poi va in giro per il mondo.
Non leggo più i documenti di chi riceve i potenti della terra e gli sorride e stringe loro le mani anche se sono macchiate del sangue di milioni di persone, e non li addita al pubblico ludibrio.
Non leggo più i documenti di chi non fa nulla contro la guerra, limitandosi a dire qualche parola formale.
Non leggo più i documenti di chi nega i funerali ai poveri cristi come Welby e poi li concede ai criminali sanguinari come Pinochet o agli ultramilionari come Pavarotti anche se divorziati e risposati.
Non leggo più i documenti di chi accetta come propri rappresentanti politici, contro cui nulla dice, persone che secondo la sua stessa dottrina dovrebbero essere scomunicati, perché divorziati e risposati, o perchè implicati in ripetuti scandali finanziari o perchè portatori di ideologie apertamente atee.
Non leggo più i documenti di chi nulla dice contro coloro che detenendo il potere assoluto sui mezzi di comunicazione ha ridotto la nostra gioventù a marionette succube della pubblicità, della ideologia edonista, dell’ingordigia più estrema, del prostituirsi pur di avere successo, perpetuando l’idea della donna “oggetto sessuale”, buona solo a fare figli e a fare le faccende domestiche.
Non leggo più i documenti di chi vuole rinchiudere nel “tempio”gli uomini e le donne del nostro tempo per tenerli prigionieri della religione della paura e dell’angoscia, contro cui il Gesù di cui loro si sono appropriati ha speso tutta la sua vita.
Non leggo più i documenti di chi veste come un principe medioevale e che si dichiara vicario di Dio e che pur non avendo mai conosciuta la sofferenza che deriva dalla miseria si permette di pontificare su tutto e di non avere misericordia di alcuno.
Non leggo più i documenti di chi pretende obbedienza cieca, di chi si ritiene difensore della retta dottrina, di chi espelle in continuazione persone dalla chiesa come se fosse una sua proprietà privata di cui può disporre come gli pare.
Non leggo più i documenti di chi avvalla culti idolatrici schiavizzando milioni di persone attorno a questo o quel “santo”.
Non leggo più i documenti di chi ha combattuto ferocemente contro la “teologia della liberazione”, consegnando di fatto ai boia di turno i tanti profeti e martiri sudamericani primo fra tutti Oscar Romero.
Non leggo più i documenti di chi parla continuamente di Dio e mai dell’uomo.
Le solite baggianate sulla Chiesa e sul Papato....
che noia......che sbadigli......
Ansa» 2008-03-12 20:31
PAPA, SARA’ ’CARITAS IN VERITATE’ LA SUA NUOVA ENCICLICA
(di Nina Fabrizio)
"Caritas in veritate": sarà questo il titolo della prossima enciclica di Benedetto XVI, la terza del suo pontificato, dedicata ai temi sociali. Attesa già prima della precedente enciclica del Papa, la "Spe Salvi", l’enciclica sociale era stata momentaneamente accantonata da Ratzinger in favore di quella sulla Speranza. Ora, dopo essere stata rivista dai diversi dicasteri che hanno collaborato alla sua elaborazione, la "Caritas in veritate" (in italiano "Carità" o "Amore nella verità") è pronta per essere pubblicata anche se sulla data c’é ancora incertezza. Avrebbe dovuto essere il primo maggio, festa di San Giuseppe Lavoratore, ma potrebbe slittare a causa del tempo necessario per le traduzioni.
La lettera del Papa sarà diffusa infatti per la prima volta fin dall’inizio anche in cinese, per la volontà di Benedetto XVI di far arrivare il suo messaggio anche ai cattolici di Pechino, e forse in arabo. L’atteso documento papale, che sarà diviso in quattro capitoli, nella sua parte iniziale sarà celebrativo di altre due precedenti encicliche. La "Populorum progressio", del 1967, di papa Paolo VI, di cui sono stati celebrati i quaranta anni dalla pubblicazione, e la "Sollicitudo rei socialis", di Giovanni Paolo II, pubblicata invece nel 1987, che Ratzinger ha voluto richiamare, ritenendo anch’essa un fondamentale riferimento sui temi sociali. Nelle parti successive viene sviluppato il tema di quanto sia stata profetica la "Populorum progressio", ma il documento di Benedetto XVI esprime soprattutto la visione della Chiesa rispetto ai cambiamenti sociali che sono avvenuti a partire proprio dai tempi dell’enciclica montiniana.
L’analisi di Ratzinger riguarderà quindi i problemi posti dal processo di globalizzazione e la necessità di un umanesimo che concili lo sviluppo sociale ed economico con il rispetto dovuto alla persona umana e con un giusto rapporto tra le categorie sociali, attenuando le eccessive disparità tra ricchi e poveri. Povertà, pace, cooperazione internazionale, disarmo, guerre su fonti energetiche e ambiente, globalizzazione, divario digitale, microcredito: sono tutti temi che verranno toccati nel documento, piuttosto corposo, che potrebbe ancora subire qualche correzione dell’ultima ora da parte di Benedetto XVI. La pubblicazione di una terza enciclica a così breve distanza dalle precedenti è fatto piuttosto eccezionale che testimonia quanto i temi sociali siano cari a Benedetto XVI e a tutta la Chiesa cattolica. Una enciclica sociale, infatti, era già stata oggetto della discussione delle riunioni del collegio cardinalizio durante la sede vacante, prima del conclave che ha eletto Joseph Ratzinger e sul tema c’era stata anche, più volte, l’attenzione di Wojtyla che lo riteneva prioritario per la Chiesa del futuro.
Accanto a ogni vita debole e malata
L’invito ai sacerdoti "all’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata" e l’accento posto sul valore dei "sacramenti di guarigione" quali la penitenza, la riconciliazione e l’unzione degli infermi: sono i contenuti principali del messaggio di Benedetto XVI in occasione della ventesima Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio prossimo.
"Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17, 19)
Cari fratelli e sorelle!
In occasione della Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo il prossimo 11 febbraio 2012, memoria della Beata Vergine di Lourdes, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l’affetto di tutta la Chiesa. Nell’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull’esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell’uomo per guarirle.
1. In quest’anno, che costituisce la preparazione più prossima alla Solenne Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà in Germania l’11 febbraio 2013 e che si soffermerà sull’emblematica figura evangelica del samaritano (cfr. Lc 10, 29-37), vorrei porre l’accento sui "Sacramenti di guarigione", cioè sul Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell’Unzione degli Infermi, che hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica.
L’incontro di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di san Luca (cfr. Lc 17, 11-19), in particolare le parole che il Signore rivolge ad uno di questi: "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!" (v. 19), aiutano a prendere coscienza dell’importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore. Nell’incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr. Mc 2, 1-12).
La fede di quell’unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri, ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l’amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda, rivela così l’importanza che l’uomo, nella sua interezza di anima e di corpo, riveste per il Signore. Ogni Sacramento, del resto, esprime e attua la prossimità di Dio stesso, il Quale, in modo assolutamente gratuito, "ci tocca per mezzo di realtà materiali ..., che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). "L’unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero" (Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).
Il compito principale della Chiesa è certamente l’annuncio del Regno di Dio, "ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: "... fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61, 1)" (ibid.), secondo l’incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr. Lc 9, 1-2; Mt 10, 1.5-14; Mc 6, 7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell’anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i "Sacramenti di guarigione".
2. Il Sacramento della Penitenza è stato spesso al centro della riflessione dei Pastori della Chiesa, proprio a motivo della grande importanza nel cammino della vita cristiana, dal momento che "tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). La Chiesa, continuando l’annuncio di perdono e di riconciliazione fatto risuonare da Gesù, non cessa di invitare l’umanità intera a convertirsi e a credere al Vangelo. Essa fa proprio l’appello dell’apostolo Paolo: "In nome di Cristo ... siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5, 20). Gesù, nella sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella "medicina della confessione", l’esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l’Amore che perdona e trasforma (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31).
Dio, "ricco di misericordia" (Ef 2, 4), come il padre della parabola evangelica (cfr. Lc 15, 11-32), non chiude il cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione imprigiona nell’isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell’abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia.
3. Dalla lettura dei Vangeli, emerge chiaramente come Gesù abbia sempre mostrato una particolare attenzione verso gli infermi. Egli non solo ha inviato i suoi discepoli a curarne le ferite (cfr. Mt 10, 8; Lc 9, 2; 10, 9), ma ha anche istituito per loro un Sacramento specifico: l’Unzione degli Infermi.
La Lettera di Giacomo attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr. 5, 14-16): con l’Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio. Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e l’ha accolta. In quell’ora di prova, Egli è il mediatore, "trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione" (Lectio divina, Incontro con il Clero di Roma, 18 febbraio 2010). Ma "l’Orto degli Ulivi è ... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione ... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell’olio sacramentale della Chiesa ... segno della bontà di Dio che ci tocca" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). Nell’Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell’olio ci viene offerta, per così dire, "quale medicina di Dio ... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr. Gc 5, 14)" (ibid.).
Questo Sacramento merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell’azione pastorale presso i malati. Valorizzando i contenuti della preghiera liturgica che si adattano alle diverse situazioni umane legate alla malattia e non solo quando si è alla fine della vita (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1514), l’Unzione degli Infermi non deve essere ritenuta quasi "un sacramento minore" rispetto agli altri. L’attenzione e la cura pastorale verso gli infermi, se da un lato è segno della tenerezza di Dio per chi è nella sofferenza, dall’altro arreca vantaggio spirituale anche ai sacerdoti e a tutta la comunità cristiana, nella consapevolezza che quanto è fatto al più piccolo, è fatto a Gesù stesso (cfr. Mt 25, 40).
4. A proposito dei "Sacramenti di guarigione" S. Agostino afferma: "Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani" (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all’offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L’intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell’assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri ""ministri degli infermi", segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza" (Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale del Malato, 22 novembre 2009).
La conformazione al Mistero Pasquale di Cristo, realizzata anche mediante la pratica della Comunione spirituale, assume un significato del tutto particolare quando l’Eucaristia è amministrata e accolta come viatico. In quel momento dell’esistenza risuonano in modo ancora più incisivo le parole del Signore: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Gv 6, 54). L’Eucaristia, infatti, soprattutto come viatico è - secondo la definizione di sant’Ignazio d’Antiochia - "farmaco di immortalità, antidoto contro la morte" (Lettera agli Efesini, 20: PG 5, 661), sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, che tutti attende nella Gerusalemme celeste. 5. Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!", guarda anche al prossimo "Anno della fede", che inizierà l’11 ottobre 2012, occasione propizia e preziosa per riscoprire la forza e la bellezza della fede, per approfondirne i contenuti e per testimoniarla nella vita di ogni giorno (cfr. Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011).
Desidero incoraggiare i malati e i sofferenti a trovare sempre un’ancora sicura nella fede, alimentata dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro celebrazione per gli infermi. Sull’esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr. S. AGOSTINO, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).
A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente (cfr. Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011). A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite del corpo e dello spirito.
A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 20 novembre 2011, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.
Benedetto XVI
(©L’Osservatore Romano 4 gennaio 2012)