Berlusconi, il volto e il vuoto
di GIANNI BAGET BOZZO (La Stampa,26/7/2008).
Dal ‘94 ad oggi le elezioni politiche, e persino quelle regionali e locali, sono state vissute come un referendum pro o contro Berlusconi. Il volto di una persona è diventato il messaggio: un fatto singolare nella democrazia, che ha indotto a spiegare Berlusconi come il frutto di un potere personale, delle sue proprietà televisive, del suo carattere di comunicatore e imbonitore. Il voto sulla persona è stato vissuto dai partiti come un sequestro della democrazia storicamente legata ai partiti e quindi, per questo, illegittimo.
Nel 2008 le cose sono andate diversamente. Il partito democratico ha posto fine all’esperienza Prodi e ha proposto il suo messaggio in termini di cooperazione politica con il centrodestra. Le elezioni hanno determinato la sconfitta del Pd e la scomparsa della sinistra antagonista. E’ caduta la forza politica alternativa a Berlusconi ed egli è diventato, come persona, il titolare della legittimità politica senza alternative: una situazione che ricorda quella della Dc dopo le elezioni del ‘48. Perché tanto consenso attorno a un volto, un consenso che non ha mai investito l’insieme dei partiti di centrodestra in quanto tale, ma è rimasto legato alla persona, inscindibile da essa?
Questo crea un problema politico obiettivo perché non può essere una soluzione ma chiede una spiegazione: perché Berlusconi è diventato il volto della politica italiana.
Ciò indica che alla base di questo vi è un problema di Stato e non di governo. Un uomo solo riguarda il caso di emergenza, non una soluzione stabile. L’elettorato del centrodestra è nato da una crisi di Stato e non da questione di scelta politica, è nato da una crisi del consenso attorno alla Costituzione del ‘48 e allo Stato che su di essa si fondava. La crisi del consenso costituzionale si manifesta nel ‘92-‘93 con due eventi: l’autoscioglimento dei partiti democratici occidentali che avevano guidato la democrazia italiana di fronte al comunismo e il sorgere di un problema indipendentista del nord espresso da Bossi. Ciò ha alterato il consenso attorno allo Stato, perché era impossibile far decadere il partito cattolico, il partito socialista e il partito liberale, che avevano retto la storia della democrazia italiana del Novecento e porre il Pds come chiave della legittimità politica. La Costituzione del ‘48 supponeva il consenso dei partiti antifascisti che ne erano mallevadori, la sua costituzione materiale. La loro pluralità e differenza era la base della legittimità politica della Costituzione. Il documento stesso era un compromesso politico: e supponeva che i partiti fondatori, nella loro diversità, rimanessero la base politica dello Stato. La riduzione al solo Pds dei partiti antifascisti creava un vuoto politico, non sul piano del governo, ma sul piano dello Stato, cioè sul piano dell’accettazione della Costituzione come base politica della Repubblica. A ciò si aggiunge il fatto che l’indipendentismo padano (che aveva allora figura etnica e si richiamava alla tradizione celtica del nord Italia come base di una differenza radicale) metteva in crisi l’impianto del sistema politico italiano fondato sulla centralità della questione meridionale. Poteva un partito rispondere a un tale stato di eccezione politica, quando tutte le tradizioni politiche diverse da quella comunista erano dissolte e vi era un vuoto obbiettivo, un vuoto che corrispondeva alla sfida indipendentista del Nord?
Ci voleva un volto, perché non c’erano più i partiti. Perché questo sia stato quello di Berlusconi non si può spiegare, esso è un fatto e non vi è dubbio che ciò corrisponde a un carisma politico, a una capacità di interpretare il popolo oltre i partiti. Berlusconi fu un evento straordinario, non prevedibile e quindi non facilmente giustificabile. Non entrava nella logica della politica e si pensava che non entrasse nelle regole della democrazia. Invece la tesi di Berlusconi fu quella di rappresentare la sovranità popolare e il suo potere costituente di un ordine politico diverso da quello dei partiti antifascisti ormai distrutto. Solo il volto di un uomo poteva coprire il vuoto politico delle istituzioni. E ciò avvenne mediante l’alleanza con la Lega Nord e con l’Msi si creando così un’alternativa alla sinistra che non era mai esistita prima e che era assai diversa dalla Democrazia cristiana e dal Partito socialista. Berlusconi ha rappresentato questo ruolo evitando ogni carattere salvifico persino autorevole, ha messo in luce la sua persona, non il suo carisma, lo ha fatto nelle sue debolezze, persino femminili, presentandosi come l’italiano medio, come rappresentante e non come salvatore. Il fatto di difendere la sua proprietà televisiva non gli ha nuociuto: anzi ha mostrato che egli era un potere della società e che poteva quindi bilanciare poteri istituzionali proprio perché aveva roba. Ciò che venne sentito come un difetto dai suoi oppositori, venne sentito come un vantaggio da parte del suo popolo.
Don Giuseppe Dossetti disse che, con la Costituzione del ‘48, il popolo italiano aveva abbandonato il suo potere costituente, Berlusconi mostrò che non era così e si pose come alternativa alla Costituzione del ‘48, entrando in conflitto con tutti i poteri di garanzia dal Quirinale, alla Corte Costituzionale, al Csm. Toccò così un difetto essenziale della Costituzione del ‘48: quello di fondare i poteri di garanzia e non quelli di governo.
Sovranità popolare contro Costituzione rigida: questa è l’essenza del dilemma berlusconiano che otterrebbe la sua perfezione se si rivedesse l’art. 138 e si riconoscesse che il popolo ha un potere costituente che né i partiti e né gli organi di garanzia istituzionale possono espropriare.
GLI INTELLETTUALI ITALIANI (ATEI E NO, DEVOTI E NO) E L’APOLOGIA DEL BERLUSCONISMO - LA MALATTIA SENILE DEL CATTOLICESIMO, DEL CATTOLICISMO VATICANO E ITALICO.
QUESTO articolo DI BAGET BOZZO
E’ - TRADOTTO IN "POLITICA" - una affidabile sintesi del DISCORSO "TEOLOGICO" (PIU’ CAMUFFATO ED ASTUTO) DELLE GERARCHIE DEL VATICANO E DELLA CEI CHE HANNO APPOGGIATO E APPOGGIANO L’ASSALTO DI "FORZA ITALIA" ALL’ITALIA.
Il discorso è chiaro. Per loro il nemico è la Costituzione, lo stesso messaggio evangelico - Dossetti e lo stesso popolo italiano!!!
"Avanti popolo, alla riscossa..": "Forza Italia"!!! Il populismo trionfera’... Berlusconi è l’uomo della Provvidenza, il Volto del Signore!!!
Queste le alte e mistiche "ragioni" della "sacra alleanza" (atea e devota) della “mammasantissima” religiosa (“Forza Chiesa cattolica”) e della “mammasantissima” laica (“Forza Italia").
Del messaggio evangelico, di Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, e di Dante, Padre della Lingua italiana.... e della nostra stessa Costituzione, questi - come recitano le loro preghiere e indicano i loro gesti quotidiani (dal basso in alto e dall’alto in basso) - non sanno che farsene è solo monnezza da riciclare per i loro affari e per i loro "caritatevoli" investimenti - per il loro Dio ("caritas": tutto a caro-prezzo!!!).
Federico La Sala
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
FLS
STORIA DELLA QUESTIONE INFAME. Dal Discorso (Logos ) della Costituzione al Logo del Partito della Democrazia Deformata...
Se FERRERO è FERRERO, VENDOLA è VENDOLA, GIORDANO è GIORDANO, BERTINOTTI è (ancora) BERTINOTTI, VELTRONI è (ancora) VELTRONI, e PRODI è (ancora) PRODI ... UNA MOBILITAZIONE CULTURALE GENERALE, SUBITO - ORA. Un appello ... “Al Pd serve un padre.”. Intervista a Romano Prodi
UNA LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA DI BAGET BOZZO SU OGNI PROGETTO DI “RIFONDAZIONE COMUNISTA” FUTURA CHE SI VUOLE COME PARTITO. Avanti o popolo alla riscossa. Il populismo trionferà: “Forza Italia”!!!
STORIA DELLA QUESTIONE INFAME: COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’ CON IL “GIOCO” DEI “DUE” PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA.
Fausto Bertinotti: "Il movimento operaio è morto, in Comunione e Liberazione ho ritrovato un popolo"
Corriere della Sera *
"L’eutanasia del movimento operaio ha disperso la memoria di cosa è stato il dialogo con il mondo cattolico". Lo afferma al Corriere della Sera, Fausto Bertinotti, secondo cui "il movimento operaio è morto", "solo la Chiesa sta cercando di reagire". Bertinotti, che in queste settimane ha partecipato in diverse città alla presentazione del libro del successore di don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, spiega anche: "In Cl ho ritrovato un popolo. E Julian Carrón ci fa riflettere sulla natura del potere".
"Il problema della politica - spiega Bertinotti - è che distrutte le ideologie si è ritrovata depredata, priva di riferimenti. Il dialogo con chi ha una fede può essere la scintilla che ridà speranza". "La sinistra come istanza di uguaglianza - aggiunge - riaffiora, anche se ignorata, nel campo delle nuove forme di organizzazione comunitaria della società".
Alla domanda se si senta folgorato dalla fede religiosa, Bertinotti replica:
"No, questo sarebbe la negazione del dialogo che deve essere tra diversi. Se uno pensa di farsi cooptare vuol dire che non ha identità".
Lettera del Vaticano sullo spettacolo di Castellucci
IL CONTROVERSO SPETTACOLO DI CASTELLUCCI
La Segreteria di Stato risponde all’appello di padre Cavalcoli: «Il Papa auspica che ogni mancanza di rispetto incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana»
di ANDREA TORNIELLI (La Stampa, 19/01/2012)
CITTÀ DEL VATICANO
Il Papa, « auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi pastori». Lo scrive la Segreteria di Stato in una lettera indirizzata al domenicano padre Giovanni Cavalcoli, del convento bolognese di San Domenico, che l’8 gennaio aveva inviato al Pontefice una missiva parlando dello spettacolo «Il concetto del volto del Figlio di Dio» di Romeo Castellucci, in programma al Teatro Parenti di Milano la prossima settimana. La lettera vaticana, datata 16 gennaio, è firmata dall’assessore della Segreteria di Stato, lo statunitense Brian B. Wells.
Padre Calavalcoli, nella lettera inviata a Benedetto XVI, scriveva a nome di un gruppo di fedeli definendo «indegno e blasfemo» lo spettacolo di Castellucci, un’opera «gravemente offensiva della persona del nostro Divin Salvatore Gesù Cristo». «Ci addolora inoltre in modo particolare - continuava il teologo domenicano - la consapevolezza che questo inqualificabile atto di empietà colpisca pure, benché indirettamente, la venerabile e da noi amata persona di vostra Santità», in quanto vicario di Cristo. Padre Cavalcoli osservava che l’avvenimento non rappresenta «un fenomeno casuale, isolato e senza radici», ma si inserisce in «una crescente ostilità nei confronti del cristianesimo che si sta diffondendo nel mondo, nonché di un sintomo ed effetto di un disagio e di una crisi spirituali profondi e diffusi ormai da decenni anche in Italia, in parte anche per una mancata o malintesa applicazione del Concilio Vaticano II».
Dopo aver citato le forze che dentro la Chiesa «remano contro» il Papa, Cavalcoli afferma che episodi come quello del controverso spettacolo di Castellucci «sono resi possibili non solo dagli attacchi della cosiddetta “cristianofobia”, ma anche da gravi vuoti e carenze dottrinali ed educative non dovutamente eliminati da parte di chi di dovere. Pensiamo in modo particolare - scrive il domenicano, riferendosi ai casi di pedofilia del clero - allo scandalo subito dai bambini, nei confronti del quale il Signore ha parole di estrema severità». «Siamo preoccupati - conclude Cavalcoli - per coloro che, come il Castellucci, cercano di trarre vantaggio da una situazione nella quale si fa desiderare una maggiore vigilanza da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche».
Otto giorni dopo l’invio, dunque a stretto giro di posta, ecco la risposta della Segreteria di Stato, nella quale, citando la lettera del frate domenicano, si parla dell’opera teatrale «che risulta offensiva nei confronti del Signore nostro Gesù Cristo e dei cristiani». «Sua Santità - continua la missiva vaticana firmata dall’assessore Wells - ringrazia vivamente per questo segno di spirituale vicinanza e, mentre auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi pastori, le augura ogni bene per il ministero e invia di cuore l’implorata benedizione apostolica». La riproduzione originale della lettera della Segreteria di Stato è messa online da padre Cavalcoli sul sito Riscossa Cristiana e dal comitato San Carlo Borromeo.
Chiesa, tra moniti e placet
Ma è pronta allo «scambio»
di Fabio Luppino (l’Unità, 13 luglio 2009)
La legge sul testamento biologico verrà usata da Berlusconi e i suoi profeti per l’Assoluzione definitiva, l’indulgenza plenaria. Come un confessionale: da cui non si esce con dieci avemaria e 20 padre nostro. No, si esce con l’affossamento della laicità dello Stato nel fare le sue leggi. Uno scambio indecente. Una accelerazione improvvisa giunta quando tutto sembrava perduto, anche la sponda ecclesiastica. Va riletta attentamente la dichiarazione del ministro Sacconi del 23 giugno, come replica allo sconcerto di Famiglia cristiana riguardo alle vicende «private» del premier. Dall’ex socialista, neo convertito (Dio ci guardi), è partita una rancorosa rampogna per il direttore del settimanale: «La Chiesa più di DonSciortino appare molto interessata all’etica pubblica - ha detto il ministro - che deve caratterizzare i decisori tanto dal punto di vista della loro affidabilità quando promettono, quanto sotto il profilo dell’applicazione laica dei principi cristiani negli atti di governo, a partire da quelli inerenti il valore della vita». Un’affermazione che col tema non c’entrava nulla. Una zeppa, un segnale, una garanzia.
Sacconi, neocrociato, aveva già dato ampie prove di sé negli ultimi giorni di Eluana Englaro. Trombettiere del decreto con il quale si voleva fermare la battaglia del padre per la morte dignitosa della figlia, in coma da 17 anni. Senza indugiare sulle frasi (basta e avanza quella del premier che addirittura ipotizzava per Eluana l’eventualità di dare al mondo un bambino), Sacconi fece fino in fondo la battaglia parlamentare a sostegno di una legge ad personam (le precedenti erano state fatte tutte per «tutelare» Silvio Berlusconi) contra personam. La Chiesa apprezzò. E molto criticò, al contrario, la fermezza di Napolitano. Tre giorni prima della morte di Eluana, il 6 febbraio scorso, il presidente del pontificio consiglio della Salute, il cardinale Javier Lozano Barragan: «Il decreto era giusto». «Eluana è viva, ha il diritto di vivere e la comunità politica deve sostenere la sua vita con i mezzi che ci sono », si associò il presidente emerito della pontificia accademia per la Vita, monsignor Elio Sgreccia.
Il grumo inossidabile. La leva che ha portato alla legge votata dal Senato sul testamento biologico. La logica dello scambio è ben viva nel Pdl. Sempre a Famiglia cristiana rispondeva Bondi il 28 giugno: «Ha fatto più Berlusconi per la Chiesa di qualsiasi politico democristiano». Il Vaticano ci sta. E osserva da lontanol’emergere del puttanaio di circostanze che riguardano la vita privata di Silvio Berlusconi. Settimane di silenzio, interrotto solo qualche giorno fa con la misura finalmente colma e il sillabo di monsignor Crociata contro lo «sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile» non più rubricabile come semplice affare privato.
Il potere temporale ecclesiastico non chiede coerenza ai politici. Guarda ai suoi obiettivi. Non ha avuto nulla da ridire sulla sfilata di separati al Family day. Anche cerchiobottista, se serve. E così con il ddl sicurezza stanno insieme le dure critiche di monsignor Agostino Marchetto, segretario del pontificio consiglio dei migranti, e la distanza di padre Federico Lombardi, portavoce della Santa sede: «Il Vaticano come tale non ha detto niente sul decreto sicurezza». I parocchiani sono un po’ schifati dai racconti sulle tempeste ormonali di Berlusconi.
Civiltà cattolica di questi giorni, in un saggio su «La coscienza morale e il governo di sé», richiama il monito che Santa Caterina da Siena rivolse ai politici del suo tempo: «Non si può essere buoni politici se prima non si signoreggia se stessi, coloro che non si governano non possono governare la città». La Chiesa millenaria si pone altri traguardi e va oltre. Manda segnali, indubbiamente. Fa sapere che l’udienza con il Papa, affannosamente richiesta da Letta e sherpa di governo, per ora non si mette in agenda; sulle badanti solleva problemi concreti e, in questo clima, riesce ad attenuare anche i furori iconoclasti leghisti. Si tiene, quindi, anche Bondi quando di Berlusconi dice che «sì, è un peccatore come tutti, naturalmente non più di altri, ma sinceramente e profondamente credente», che «non ostenta la sua fede cristiana, non indulge in sterili moralismi da bacchettone, ma va dritto alla sostanza dello spirito».
Il problema, in fondo, non è il Vaticano, anche in questo momento. È il venir meno dell’adagio liberale, libera Chiesa in libero Stato. Non resta che vedere come andrà a finire in una lotta affidata ai freni e contrappesi di maggioranza. Se vincerà Voldemort-Sacconi o Harry Potter-Fini, che sul testamento biologico ha opinioni non integraliste. La posta: lo Stato laico o l’indulgenza per il peccatore-premier.
Un libro ricostruisce come Berlusconi ha creato la propria icona
Il corpo mitico di re Silvio
L’ossessione per la sua immagine
Una maschera istrionica, pura esteriorità come privata dell’anima
In quei ritratti, dagli antichi ai più recenti, si coglie l’essenza della sua personalità
"Ci ho messo la faccia e ho vinto" potrebbe essere la sua insegna
In quella fisicità così esibita si nasconde l’arcano del potere e del comando
di Filippo Ceccarelli (la Repubblica, 19.02.2009)
«Ci ho messo la faccia e ho vinto» ha detto l’altro giorno il presidente Berlusconi. Ecco, di solito le fatiche degli autori, come quelle dei giornalisti, non fanno notizia, ma rispetto al mistero glorioso della faccia del Cavaliere si rende indispensabile un’eccezione, tanto più davanti a un testo debitamente illustrato che dischiude prospettive a loro modo sconvolgenti: Il corpo del capo, appunto, di Marco Belpoliti (Guanda, 157 pagine, 12 euro).
Le fatiche di Belpoliti non riguardano tanto le parole, ma l’immane ricerca di reperti e fotografie per così dire primigenie del Cavaliere, un lavoro di scavo dentro archivi, cassetti, magazzini e mitologie che per qualche tempo ha reso questo poliedrico intellettuale un appassionato archeologo del berlusconismo visivo, o meglio della sua autorappresentazione ottica, psichica, magica e quindi pure elettorale. Perché in quelle prime, antiche immagini scampate dai rastrellamenti di Miti Simonetto, che acquistava a caro prezzo ogni istantanea che potesse danneggiare il Signore di Arcore, è custodito l’antefatto e forse anche il segreto della più straordinaria storia di potere degli ultimi settant’anni.
Intuizione fulminante. E davvero già allora, anzi meglio di oggi si coglie in quei ritratti � espressioni, acconciature, pose, vestiti, particolari, sfondi - «una esagerata volontà» di essere presente nell’album di famiglia degli italiani. Si coglie in quel giovanotto un istinto, «a tratti perfino diabolico», di pensarsi in rapporto al pubblico. Una totale determinazione, «una forza di megalomania altamente efficace» che fin dagli anni Settanta porta quel rampante costruttore milanese a riflettersi negli sguardi altrui come in uno specchio, attivando dispositivi a un livello assai profondo, suscitando comportamenti che solo lui, poi, è in grado di sfruttare.
Non si ha un’idea delle leggende iconografiche che accompagnano il primo Berlusconi: apocrifi, falsi, foto ritoccate, attribuzioni incerte, a torso nudo come l’ha fatto vedere Mamma Rosa in tv, oppure modello della pubblicità (liquori, gelati): forse è lui, forse no, forse è un fotomontaggio, magari da lui stesso messo in circolo per qualche ermetica, ma funzionale strategia mediatica. Comunque Belpoliti è risalito alle fonti, ai fotografi, quelli che per primi hanno "visto" e sentito l’incantesimo di un consenso che è anche fisico, quella maschera di simpatia istrionica e di pura esteriorità come privata dell’anima, come un fantasma che già abita dentro ciascuno e grazie a quella disumana alterità si attiva.
Viene da chiedersi se mai Berlusconi leggerà questo libro, e se rivedrà queste immagini che documentano la mostruosa vocazione di un imprenditore che prima di tutti ha compreso che il potere degli spettacoli inesorabilmente si commuta nello spettacolo del potere. Giuseppe Pino, un grande delle foto di musica, lo riprende mentre fa il gesto di Fonzy. Mauro Vallinotto lo immortala sul primo predellino della sua carriera e poi fondatore di utopiche città del sole.
Alberto Roveri, che a distanza di trent’anni ricorda con ammirazione l’entusiastica disponibilità del soggetto davanti all’obiettivo, gli ha acchiappato al volo una fantastica aria tra il furbo e lo strafottente, qualcosa che in ultima analisi confessa l’essenza del potere: «Vi ho fregato, perciò fidatevi di me».
Il primo fotografo ufficiale del Cavaliere è Evaristo Fusar. A lui si devono dei significativi ritratti nei quali Berlusconi, quasi per scherzo, entra nel ruolo del gangster fascinoso, con Borsalino in testa e sigaretta accesa tra le dita, alla Alain Delon. Giustamente Belpoliti suggerisce di guardare sempre le mani del Cavaliere: non le vedi, eppure ci sono, stanno là dove meno te le aspetti, immobili in un corpo in movimento, emblemi arrivati chissà da quale realtà, le dita come ganci sulle spalle della prima moglie, regina vaporosa. Nell’elegante, irreale bianco e nero di Fusar la star sta per farsi re e poi idolo. Ha poco più di quarant’anni, ma già ritocca a matita e con l’aerografo i suoi ritratti, nasconde calvizie, alleggerisce il naso. E presto cambierà anche fotografo.
Nel libro ci sono tesori d’interpretazione "alta" e complessa, a partire da Jung a Debord, poi i grandi della sociologia europea e americana, naturalmente Kantorowicz, e Simmel, Baudrillard, Meyrowitz, Goffman, Morin, Bauman, quindi Calvino, Pasolini. Ma gli spunti sono parecchi, da Susan Sontag a un romanzo di Franco Cordelli, studi sul sorriso, i capelli, il travestitismo, le mummie, la civetteria, certe immagini di Philip Dick, fino a Andy Warhol che utilmente, secondo l’autore, si sarebbe esercitato sul Cavaliere e i suoi colori (rosa e azzurro) e che per un soffio non l’ha conosciuto, a Milano, durante l’esposizione sull’Ultima cena.
Perché forse solo a partire dal corpo, così come avviene con un altro grande capo italiano, Mussolini, ci si avvicina al nucleo più misterioso, al grumo indicibile del comando, qualcosa che ha a che fare con l’ambiguità della vita, con il transito nel tempo e nei cervelli, un’«accelerazione nel nulla», un «arcano spiazzamento», un’«alterità segreta», androgina, una doppia natura maschile e femminile di cui il corpo-icona è la più abbagliante testimonianza.
E allora certo le veline, le battute galliste, ma la bandana sembra il fazzoletto di una contadina e intreccia passi di danza come una pin-up, il Cavaliere, nell’istantanea di un altro importante fotografo, Giorgio Lotti, cui è in pratica appaltato il corredo iconico del "fotoromanzo" elettorale Una storia italiana, favola per adulti, capolavoro di intimità costruita, rivelata, poi coscientemente tradita in nome della sua missione ormai incarnatasi alla guida dell’Italia.
Così, quando i ritocchi fotografici non bastano più, c’è la dieta, la ginnastica, la corsa rituale con i seguaci alle Bermuda; e poi c’è il primo, poi il secondo trapianto di capelli e i lifting (molti, in realtà, a partire dagli anni ottanta) che gli danno l’immobilità plastificata del pupazzo: ma vivente, altroché! Sullo sfondo si profila - ed è ormai cronaca - la più evidente lotta berlusconiana per l’immortalità, un presente indifferenziato e senza tempo. Esito come s’immagina del tutto illusorio, al di là di ogni umano pronostico. Ma intanto Berlusconi la faccia ce la mette, e continua a vincere. E allora tanto vale appassionarsi alla questione del suo corpo, se non altro perché ne va del destino di tutti.