[...] Le nazioni muoiono di impercettibili scortesie, diceva Giraudoux. Nel nostro caso le scortesie sono tangibili e concrete come il giornale lanciato in testa al presidente Fini. Ma non è soltanto una questione di bon ton, di buona educazione. O meglio, dovremmo cominciare a chiederci per quale ragione i nostri politici siano scesi in guerra. Una risposta c’è: perché sono logori, perché hanno perso autorevolezza, e allora sperano di recuperarla gonfiando i bicipiti. Sono logori perché il tempo ha consumato perfino il Sacro Romano Impero, e perché il loro impero dura da fin troppo tempo [...]
Deriva pericolosa
di Michele Ainis (Corriere della Sera, 01.04.11)
Una roba così non era mai successa. Il capo dello Stato che convoca i capigruppo al Quirinale, li mette in riga come scolaretti, gli chiede conto dei fatti e dei misfatti. D’altronde non era mai successo nemmeno il finimondo andato in scena negli ultimi due giorni. Il ministro della Difesa che manda a quel paese il presidente della Camera, quello della Giustizia che giustizia la sua tessera scagliandola contro i banchi dell’Italia dei Valori, quello degli Esteri che lascia la Libia al suo destino per votare un’inversione dell’ordine del giorno in Parlamento. Dall’altro lato della barricata, fra i generali del centrosinistra, contumelie e strepiti, toni roboanti, decibel impazziti. E intanto, nelle valli che circondano il Palazzo, folle rumoreggianti dell’opposizione, lanci di monetine, improperi contro il politico che osa esibire il suo faccione.
Diciamolo: la nostra democrazia parlamentare non è mai stata così fragile. Ed è un bel guaio, nel mese in cui cadono i 150 anni della storia nazionale. Perché uno Stato unito ha bisogno di istituzioni stabili, credibili, forti di un popolo che le sostenga. Ma in Italia la fiducia nelle istituzioni vola rasoterra. Per Eurispes nel 2010 le file dei delusi si sono ingrossate di 22 punti percentuali, per Ispo il 73%dei nostri connazionali disprezza il Parlamento. Colpa dello spettacolo recitato dai partiti, colpa del clima di rissa permanente che ha trasformato le due Camere in un campo di battaglia.
Le nazioni muoiono di impercettibili scortesie, diceva Giraudoux. Nel nostro caso le scortesie sono tangibili e concrete come il giornale lanciato in testa al presidente Fini. Ma non è soltanto una questione di bon ton, di buona educazione. O meglio, dovremmo cominciare a chiederci per quale ragione i nostri politici siano scesi in guerra. Una risposta c’è: perché sono logori, perché hanno perso autorevolezza, e allora sperano di recuperarla gonfiando i bicipiti. Sono logori perché il tempo ha consumato perfino il Sacro Romano Impero, e perché il loro impero dura da fin troppo tempo.
Guardateli, non c’è bisogno d’elencarne i nomi: sono sempre loro, al più si scambiano poltrona. Stanno lì da quando la seconda Repubblica ha inaugurato i suoi natali, ed è proprio il mancato ricambio delle classi dirigenti la promessa tradita in questo secondo tempo delle nostre istituzioni. Da qui l’urlo continuo, come quello di un insegnante che non sa ottenere il rispetto della classe. Perché se sei autorevole parli a bassa voce; ma loro no, sono soltanto autoritari. Ma da qui, in conclusione, il protagonismo suo malgrado del capo dello Stato.
D’altronde non sarà affatto un caso se l’istituzione più popolare abita sul Colle: dopotutto gli italiani, nonostante la faziosità della politica, sanno ancora esprimere un sentimento di coesione. E il presidente simboleggia per l’appunto l’unità nazionale, così c’è scritto nella nostra Carta. La domanda è: come raggiungerla? Con un ricambio dei signori di partito, con un’iniezione di forze fresche nel corpo infiacchito della Repubblica italiana. Ci penseranno (speriamo) le prossime elezioni. Quanto poi siano lontane, dipenderà dalla capacità di questo Parlamento di mantenere almeno il senso del decoro.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ITALIA: LA PAROLA RUBATA..... E IL GOVERNO DI UN PARTITO E DI UN MAESTRO UNICO!!! L’ "ITALIA" E’ IL MIO PARTITO: "FORZA ITALIA"!!!
BLOB!!! CHE BEL COLPO DI STATO DOLCE!!! IL POPOLO D’ITALIA IPNOTIZZATO, GIORGIO NAPOLITANO CHE GRIDA "FORZA ITALIA", E SILVIO BERLUSCONI CHE RIDE E RIDE A CREPAPELLE!!! A vergogna del nostro presente, a futura memoria
RISCHIESTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UN INTERVENTO-MESSAGGIO DI CHIARIFICAZIONE E PACIFICAZIONE AL PARLAMENTO E AL PAESE
Scilipoti copia il manifesto fascista
Nel "programma" dei responsabili
intere frasi riprese dal testo redatto da Giovanni Gentile nel 1925 *
«Interi brani del testo programmatico dei Responsabili sono copiati di sana pianta da quello redatto nel 1925 per il partito di Mussolini. Leggere per credere»: così «l’Espresso» rivela di aver scoperto che il movimento di Scilipoti ha effettuato un vero e proprio «copia e incolla». «Quello che ha fatto il parlamentare Domenico Scilipoti, l’ex dipietrista diventato l’instancabile anima dei Responsabili, supera però ogni aspettativa», aggiunge il settimanale che poi mette a confronto i due testi.
Ecco alcuni passi del testo del movimento dei responsabili: «Responsabilità Nazionale è il movimento recente ed antico dello spirito italiano, internamente connesso alla storia della Nazione Italiana. Responsabilità è politica morale. Una politica che sappia coinvolgere l’individuo a un’idea in cui esso possa trovare la sua ragione di vita, la sua libertà, il suo futuro e ogni suo diritto. Responsabilità di Patria è la riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà. Responsabilità è concezione austera della vita, non incline al compromesso, ma duro sforzo per esprimere i propri convincimenti facendo sì che alle parole seguano le azioni».
Le frasi sono identiche a quelle del manifesto redatto da Giovanni Gentile: «Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana, ma non privo di significato e interesse per tutte le altre. (....) un’idea in cui l’individuo possa trovare la sua ragione di vita, la sua libertà e ogni suo diritto Codesta Patria è pure riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni. È concezione austera della vita, è serietà religiosa (...) ma è duro sforzo di idealizzare la vita ed esprimere i propri convincimenti nella stessa azione o con parole che siano esse stesse azioni».
I due testi sono chiaramente "gemelli". E l’Espresso chiosa: «Un caso? Piuttosto improbabile. Resta solo da chiedersi come sia saltato in mente a Scilipoti di prendere un manifesto fascista e di farlo diventare, con un po’ di correzioni, il testo base del manifesto dei Responsabili».
* La Stampa, 06/04/2011
Scilicopia e Scilincolla
di Massimo Gramellini (La Stampa, 07.04.2011)
Il programma dei Responsabili è copiato di sana pianta dal manifesto degli intellettuali fascisti del 1925. Incredibile. Non tanto per il riferimento ai fascisti, ma agli intellettuali. Uno non fatica a immaginarsi la scena: Scilipoti alla scrivania con la matita in bocca e gli occhi al soffitto.
Responsabilità nazionale è... è... è... Ah, saperlo. All’improvviso, la luce: perché non inserire una parola-chiave su Internet, come uno studente in cerca di ispirazione? «Manifesto», per esempio. Orrore! Sullo schermo è comparso il barbone di Marx. Un momento... più in basso affiora il filosofo Gentile col manifesto degli intellettuali fascisti da lui ispirato.
Leggiamo un po’... «Il fascismo è il movimento recente e antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della nazione». Scilipoti ha un sussulto: parla di me! Chi è più recente e antico della nostra simpatica combriccola di voltagabbana? Chi più intimamente connesso alla storia della nazione? Il leader recente e antico pigia il tasto «copia e incolla» e il più è fatto. Giusto un paio di ritocchi. «Responsabilità Nazionale» al posto di «Fascismo», che come soggetto è un po’ datato. Anche «intimamente» va sostituito perché fa venire in mente il bunga bunga. Meglio «internamente»: orribile e casto.
Tra una scopiazzata e un’incollata si approda al gran finale. Gentile aveva scritto: «La patria è concezione austera della vita». Scilipoti lo personalizza con la sua griffe inimitabile: «Responsabilità è concezione austera della vita». Ci piace sperare che a quel punto gli sia almeno venuto da ridere.
L’appello
L’ora della mobilitazione
Un Paese che sprofonda nel degrado questa è l’ora della mobilitazione
Razzismo passivo, leggi stravolte, attacco ai giudici Il mondo ci guarda con sgomento
Questo è l’appello alla mobilitazione apparso sul sito di Libertà e Giustizia, firmato dal presidente onorario dell’associazione, Gustavo Zagrebelsky
di Gustavo Zagrebelsky (la Repubblica, 04.04.2011)
Navi affollate di esseri umani alla deriva, immense tendopoli circondate da filo spinato, come moderni campi di concentramento. Ogni avanzo di dignità perduta, i popoli che ci guardano allibiti, mentre discettiamo se siano clandestini, profughi o migranti, se la colpa sia della Tunisia, della Francia, dell’Europa o delle Regioni. L’assenza di pietà per esseri umani privi di tutto, corpi nelle mani di chi non li riconosce come propri simili. L’assuefazione all’orrore dei tanti morti annegati e dei bambini abbandonati a se stessi. Si può essere razzisti passivi, per indifferenza e omissione di soccorso. La parte civile del nostro Paese si aspetta - prima di distinguere tra i profughi chi ha diritto al soggiorno e chi no - un grande moto di solidarietà che accomuni le istituzioni pubbliche e il volontariato privato, laico e cattolico, fino alle famiglie disposte ad accogliere per il tempo necessario chi ha bisogno di aiuto. Avremmo bisogno di un governo degno d’essere ascoltato e creduto, immune dalle speculazioni politiche e dal vizio d’accarezzare le pulsioni più egoiste del proprio elettorato e capace d’organizzare una mobilitazione umanitaria.
"Rappresentanti del popolo" che sostengono un governo che sembra avere, come ragione sociale, la salvaguardia a ogni costo degli interessi d’uno solo, dalla cui sorte dipende la loro fortuna, ma non certo la sorte del Paese. Un Parlamento dove è stata portata gente per la quale la gazzarra, l’insulto e lo spregio della dignità delle istituzioni sono moneta corrente. La democrazia muore anche di queste cose. Dall’estero ci guardano allibiti, ricordando scene analoghe di degrado istituzionale già viste che sono state il prodromo di drammatiche crisi costituzionali.
Una campagna governativa contro la magistratura, oggetto di continua e prolungata diffamazione, condotta con l’evidente e talora impudentemente dichiarato intento di impedire lo svolgimento di determinati processi e di garantire l’impunità di chi vi è imputato. Una maggioranza di parlamentari che non sembrano incontrare limiti di decenza nel sostenere questa campagna, disposti a strumentalizzare perfino la funzione legislativa, a rinunciare alla propria dignità fingendo di credere l’incredibile e disposta ad andare fino in fondo. In fondo, c’è la corruzione della legge e il dissolvimento del vincolo politico di cui la legge è garanzia. Dobbiamo avere chiaro che in gioco non c’è la sorte processuale di una persona che, di per sé, importerebbe poco. C’è l’affermazione che, se se ne hanno i mezzi economici, mediatici e politici, si può fare quello che si vuole, in barba alla legge che vale invece per tutti coloro che di quei mezzi non dispongono.
Siamo in un gorgo. La sceneggiatura mediatica d’una Italia dei nostri sogni non regge più. La politica della simulazione e della dissimulazione nulla può di fronte alla dura realtà dei fatti. Può illudersi di andare avanti per un po’, ma il rifiuto della verità prima o poi si conclude nel dramma. Il dramma sta iniziando a rappresentarsi sulla scena delle nostre istituzioni. Siamo sul crinale tra il clownistico e il tragico. La comunità internazionale guarda a noi. Ma, prima di tutto, siamo noi a dover guardare a noi stessi. Il Presidente della Repubblica in questi giorni e in queste ore sta operando per richiamare il Paese intero, i suoi rappresentanti e i suoi governanti alle nostre e alle loro responsabilità. Già ha dichiarato senza mezzi termini che quello che è stato fatto apparire come lo scontro senza uscita tra i diritti (legittimi) della politica e il potere (abusivo) magistratura si può e si deve evitare in un solo modo: onorando la legalità, che è il cemento della vita civile. Per questo nel nostro Paese esiste un "giusto processo" che rispetta gli standard della civiltà del diritto e che garantisce il rispetto della verità dei fatti.
Questo è il momento della mobilitazione e della responsabilità. Chiediamo alle forze politiche di opposizione intransigenza nella loro funzione di opposizione al degrado. Non è vero che se non si abbocca agli ami che vengono proposti si fa la parte di chi sa dire sempre e solo no. In certi casi - questo è un caso - il no è un sì a un Paese più umano, dignitoso e civile dove la uguaglianza e la legge regnino allo stesso modo per tutti: un ottimo programma o, almeno, un ottimo inizio per un programma di governo. Dobbiamo evitare che le piazze si scaldino ancora. La democrazia non è il regime della piazza irrazionale. Lo è la demagogia. La democrazia richiede però cittadini partecipi, attenti, responsabili, capaci di mobilitarsi nel momento giusto - questo è il momento giusto - e nelle giuste forme per ridistribuire a istituzioni infiacchite su se stesse le energie di cui hanno bisogno.
Libertà e Giustizia è impegnata a sostenere con le iniziative che prenderà nei prossimi giorni le azioni di chi opera per questo scopo, a iniziare dal Presidente della Repubblica fino al comune cittadino che avverte l’urgenza del momento.
Italia finta e tragica
di Furio Colombo (il Fatto, 03.04.2011)
Cocainomane, la parola - quasi un sussurro - è volata come un aero-planino di carta in mezzo alle grida e al tumulto dell’Aula, più una dichiarazione che una accusa. Era il giorno in cui, in questa Repubblica italiana, un ministro della Repubblica aveva dedicato al presidente della Camera l’espressione colorita “vaffanculo” che traduce bene, dato il luogo, I presenti e la circostanza, una situazione alterata. Frasi così possono apparire, come hanno detto con con prudente mitezza alcuni colleghi del ministro, “sopra le righe”. Ma non arrivano sole. Non in questa Italia. Non in questo Parlamento. Il giorno primo un altro Ministro, titolare del delicato incarico delle “Riforme” che comprende la grave e complicata crisi del momento, la migrazione, aveva fatto la sua dichiarazione da statista sui problemi della accoglienza. Aveva detto, in un suo espressivo dialetto, “fuori dalle balle”.
MA ANDIAMO di seguito. Un giorno parla il ministro delle Riforme, per dare indicazioni al Paese sulla immigrazione, un giorno interviene il ministro della Difesa, per rivolgersi in modo inconsueto al presidente della Camera. Un altro giorno tocca al ministro della Giustizia. Il ministro della Giustizia il 31 marzo è irritabile. Estrae dal banco la tesserina elettronica che consente di votare e la scaglia, con una certa precisione, contro i banchi dell’opposizione.
La giornata di cui stiamo parlando non è delle più serene, se pensate che, durante la discussione che ha preceduto l’ira di Alfano, la deputata Pd Argentin ha chiesto al suo assistente di applaudire un intervento che aveva condiviso. Sùbito due deputati della Repubblica, Osvaldo Napoli, uomo d’azione di Berlusconi, e Massimo Polledri, in servizio presso la Lega Nord, le hanno gridato, in due dialetti diversi: “Gli devi dire, a quello, che non deve applaudire. Non deve applaudire, hai capito?”. Il fatto è che Ileana Argentin, deputata disabile, non può muovere le mani. Il giovane assistente che le è stato assegnato provvede, su sue istruzioni, al voto, al telefono, e a manifestazioni di sentimenti come l’applauso. Subito la deputata Argentin, colta di sorpresa dalla veemenza di Napoli e Polledri (come se i due non fossero alla Camera, seduti a pochi passi, e consapevoli di quella necessaria assistenza) ha chiesto al presidente Fini di spiegare. Subito è partito un urlo, dal gruppone in tumulto della Lega Nord. Devono aver pensato che se puoi mandare “fuori dalle balle” dei naufraghi disperati e appena salvati dal mare, perché dovresti avere riguardo per una collega disabile? E hanno urlato (nomi non identificati dagli stenografi): “Non fate parlare quella handicappata del cazzo!”.
Intanto però - stesse ore, stessi giorni - sugli schermi tv si vede un uomo, che deve essere autorevole perché parla a una folla, e che annuncia tre cose che sembrano divertire un mondo e piacere a tutti: costruirà un campo da golf, toglierà tutte le tasse, pulirà in 72 ore l’isola. E ci tiene a far sapere che si è comprato, proprio li, una villa da due milioni di euro in modo da diventare cittadino di quel luogo. Non è vero, naturalmente. Infatti l’uomo allegro che sta dando tutti quegli annunci è Silvio Berlusconi , Primo ministro di questa Repubblica, nel suo “discorso di Lampedusa” (30 marzo) .
ANCHE PER i giornalisti più disciplinati delle varie tv riuscirà difficile truccare, ignorare o nascondere ciò che accade nell’isola un giorno, due giorni, tre giorni dopo il celebre discorso: immigrati che vengono lasciati ad attendere all’aperto, per ore, per giorni, molti senza cibo, tutti con poca acqua, tutti senza un luogo per dormire, tutti senza sapere il loro destino. Navi che non arrivano o, se arrivano, restano al largo in attesa o, se imbarcano, non sanno dove andare o, se vanno in qualche posto, è sempre lo stesso posto, Manduria, in Puglia, da cui entrano, escono, fuggono. E se li trovano, nessuno sa che cosa fare, perché Bossi e Maroni (Maroni sarebbe il ministro dell’Interno, ma è Bossi che comanda) hanno stabilito che alcuni sono “clandestini” (che per loro vuol dire criminali ) e alcuni sono “profughi”, che invece vanno accolti. Ma nessuno sa come distinguerli, e nessuno sa dove metterli, o li vuole accogliere.
Berlusconi ha dato il suo contributo: ha detto: “sappiamo per certo che molti di essi sono fuggiti dalle carceri del loro Paese", come forma di raccomandazione allo spirito di accoglienza degli italiani. Infatti prontamente il buon cristiano Formigoni, famoso per avere lasciato falsificare le firme che hanno consentito l’elezione di una certa Nicole Minetti alla assemblea della regione Lombardia (per dettagli sentire, a Milano, il radicale Marco Cappato che ha scoperto lo strano imbroglio) il buon cristiano Formigoni, dicevamo, ha dichiarato, profittando del suggerimento Bossi-Maroni, “accoglieremo i rifugiati ma non i clandestini”. Qui però propongo di usare, fra tante parole volgari che abbiamo dovuto elencare, una parola innocente che è la chiave di tutta la vicenda. La parola è Villa. Villa come le 26 o 29 ville che Berlusconi possiede nel mondo. Villa come quella che, con disinvoltura da gioco a Monopoli, Berlusconi ha appena comprato su Internet prima del celebre discorso (e di cui si è subito liberato dopo il discorso).
Ma adesso mi riferisco alla signora Villa, anni 50, figurante in luogo di persona vera nel programma finto-giornalistico Forum condotto da Rita Dalla Chiesa per Canale 5. Il copione assegnato alla signora Villa, a cui è stato dato anche un falso marito e una falsa professione, come si fa nei film, prevedeva un appassionato discorso di ringraziamento al primo ministro che, dopo il terremoto dell’Aquila, era venuto in soccorso e provveduto a tutto, dalle case alle piscine, dal trattenimento alla felicità.
QUANDO la rivolta dei terremotati veri ha costretto attrice e conduttrice a rivelare il loro trucco di lavoro (non è vero niente ma deve sembrare vero ) è apparso subito chiaro che, se non esiste la signora Villa del programma finto giornalistico, non esiste neppure il primo ministro, così straordinario in bontà ed efficienza, a cui la signora Villa ha dedicato il suo ringraziamento pieno di dettagli e di precisazioni sull’aiuto ricevuto. E non esistono, dunque, i personaggi che popolano il presunto governo, di questo presunto presidente, che infatti continuamente decide, e solennemente annuncia, cose che non accadono mai. Sono tutti figuranti. Pensate alla “frustata economica” annunciata dopo un Consiglio dei ministri straordinario, in un Paese i cui dati peggiorano di giorno in giorno. Pensate alla finzione di guidare, o anche solo partecipare, alla coalizione militare che sta sta tentando di sostenere i ribelli libici.
AEREI ITALIANI che ci sono e non ci sono, sparano e non sparano, combattono e non combattono. Infatti è bene non dimenticare che l’Italia ha un trattato di fraterna cooperazione militare con la Libia che non è mai stato cancellato dal figurante che interpreta il ruolo di ministro degli Esteri. Nessuno di loro esiste o lascia una traccia che non sia il danno della finzione di governare. Recitano un copione come la signora Villa del programma Forum, che del resto è prodotto della stessa Casa, Mediaset. A diferenza, però, dei tipici programmi Mediaset, volgari, casalinghi, che fanno ridere, questo è un film tragico.
Devono andare a casa tutti, rappresentano la preistoria dell’uomo e gli aspetti più truci. Via!
Antonio
IL CASO
Montezemolo: davanti a questi politici
ho la tentazione di scendere in campo
Il presidente di Italia Futura:
«C’è uno spettacolo indecoroso
l’unico argine resta Napolitano» *
NAPOLI Non è una discesa in campo a tutti gli effetti, ma «solo una tentazione che cresce», come tengono a precisare dal suo staff. Ma l’intervento di Luca Cordero di Montezemolo somiglia più al discorso di un politico che a quello del presidente di una fondazione. La platea è quella del Siap, il sindacato di polizia che celebra il suo congresso a Napoli e i toni, gli accenti, le tematiche toccate - dall’economia ai tagli alla sicurezza, dalle mancate liberalizzazioni alla crisi libica - sono a tutti gli effetti degne del repertorio di un’aspirante statista che chiama a raccolta le migliori risorse del Paese.
Parla oltre venti minuti, Montezemolo, più volte interrotto dagli applausi della platea che si infervora quando l’ex guida di Confindustria attacca la classe politica e invoca l’impegno di «persone perbene pronte a dare più che a ricevere».
La Seconda Repubblica ha fallito - è la tesi da cui parte il presidente della Ferrari - e la politica non è in grado di dare risposte ad un Paese che arranca e che vorrebbe voltare pagina. Ecco allora che di fronte «all’indecoroso e inaccettabile disfacimento del senso delle istituzioni e della responsabilità politica», davanti a un Paese «che rischia di andare allo scatafascio» e ai diktat di chi dice «se vuoi parlare di politica devi entrare in politica», Montezemolo lascia intravedere la possibilità di un impegno diretto: «Se la situazione continua a peggiorare - dice - se questo è lo spettacolo che offre la nostra classe politica, beh, allora, cresce veramente la tentazione di prenderli in parola».
Le parole di Montezemolo sono accolte con un applauso di incoraggiamento che si tramuterà in standing ovation al termine del suo intervento. In sala c’è Dario Franceschini del Pd col quale dopo si intratterrà in un prolungato faccia a faccia. Ne ha per tutta la classe politica Montezemolo, il suo è una attacco frontale. Si va da Berlusconi, «che doveva fare la rivoluzione liberale, e oggi guida un Governo che più neostatalista e protezionista non si può, con tasse su imprese e cittadini ai massimi storici», al Pd «che poteva rappresentare la nascita di una sinistra riformista e moderna ma è dilaniato da dibattiti interni senza fine». Ce ne è anche per la Lega «che difende a spada tratta la conservazione di ogni poltrona pubblica su cui può mettere le mani, a iniziare dalle Province», e per Di Pietro «che tutti i giorni ci delizia con nuovi epiteti rivolti al premier».
Esempi di una politica che - ricorda Montezemolo - «straborda ogni giorno su tutti i mezzi di informazione con polemiche incomprensibili per il 99% dei cittadini e che, in questi giorni, ci ha deliziato con scene che sarebbero fuori posto in uno stadio, figuriamoci in un Parlamento della Repubblica. Dire queste cose non è fare antipolitica ma chiamarle con il loro nome».
Quella stessa politica che - sottolinea - è diventata la prima azienda del Paese,«infettata da una presenza malsana dei partiti» e in cui «la perdita del senso del pudore non risulta solo dall’abuso di privilegi ingiusti, ma anche da quei politici sulla scena da vent’anni e che parlano come fossero arrivati ieri da Marte». Salva, Montezemolo, solo il Quirinale: «l’unico argine che tiene e a cui dobbiamo essere tutti grati» e ha belle parole per Maroni definito «un ministro capace». La soluzione che individua «è una leadership che dica la verità agli italiani e che decida».
Il finale è un parallelo con la Ferrari: «L’Italia è come la Ferrari, una macchina fatta per vincere e che non può stare al box. Dobbiamo rimetterla in moto assieme». «E chi deve fare il presidente di questa Ferrari chiamata Italia?», gli chiede Antonio Polito che modera. Montezemolo sorride ma non replica, alimentando l’eterno tormentone della sua discesa in campo.
* La Stampa, 01/04/2011