Morti bianche, per l’Italia triste primato
in Europa siamo il Paese con più incidenti
Si continua a morire sul lavoro e anche il numero degli infortunati, seppur in calo, e’ sempre troppo elevato. Nel periodo tra il 1995 e il 2004 riduzione del 25,49 per cento. Nel resto d’Europa flessione di quasi il 30%. La denuncia nel 2° Rapporto dell’Anmil sulla tutela delle vittime del lavoro: "Effetto perverso profondamente innervato nel modo di produzione". Ancora pochi gli interventi e le risorse per il controllo e la prevenzione
Resta all’Italia il non invidiabile primato delle vittime sul lavoro in Europa. Nel nostro paese il numero delle "morti bianche", seppure in calo rispetto agli anni scorsi, è infatti diminuito meno che nel resto d’Europa. Negli ultimi dieci anni, nel periodo compreso tra il 1995 e il 2004, da noi il calo registrato è stato pari al 25,49 per cento mentre nella media europea la flessione è stata pari al 29,41 per cento.
La riduzione è stata ancora più accentuata in Germania, dove il numero di vittime si è quasi dimezzato (-48,3 per cento), e in Spagna dove si è registrato un decremento del 33,64 per cento. Sono questi alcuni dei risultati resi noti nel secondo rapporto sulla ’’Tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inapliccate e diritti negati’’ presentato oggi dall’Anmil, Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, al Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Gli autori del rapporto sottolineano come anche negli incidenti non mortali le cose non vadano molto meglio. Visto che nelle cifre ufficiali, seppure meno allarmanti di quelle relative alle vittime, non sono compresi gli incidenti che non vengono denunciati da chi è impiegato nell’ambito del lavoro nero dove, secondo l’Inail, si verificherebbero almeno 200 mila casi.
Nel complesso gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l’anno e i morti più di mille. In Germania nel 1995 le vittime erano state mille e cinquencento, duecento più di quelle italiane. Oggi sono scese a 804 unità, un numero ben inferiore a quello attuale delle vittime italiane. Questi numeri, dicono dall’Amnil, mostrano come non si tratti di un fenomeno occasionale e relegato a situazioni straordinarie ma piuttosto "un effetto perverso che sembra profondamente innervato nel modo di produzione".
L’indennizzo ridotto
Al danno sembrerebbe aggiungersi anche la beffa. La riforma realizzata con il decreto legislativo 38/2000 che ha introdotto, in via sperimentale, la copertura del danno biologico, di fatto, dicono dall’Anmil, ha comportato un "netto ridimensionamento del livello delle prestazioni in rendita se non addirittura la trasformazione dell’indennizzo da rendita, a capitale liquidato una tantum".
Se un lavoratore infortunato che perde un piede ha una moglie e un figlio a carico e una retribuzione media, si ritrova oggi a percepire dall’Inail il 13,39% di rendita in meno (ovvero 963 euro l’anno) ripetto a quanto previsto del regime precedente al Decreto 38/2000. La perdita in termini di risarcimento in sede civile sarebbe poi pari a circa 45 mila euro.
Passi troppo timidi
La rinnovata consapevolezza della gravità del fenomeno, cresciuta anche in ragione dei numerosi interventi del Presidente della Repubblica sul tema, sembra non essere riuscita a produrre ancora una significativa inversione di tendenza. Gli autori del rapporto sottolineano come a cinque mesi dall’entrata in vigore della legge 123/07, che ha stabilito nuove norme in materia di sicurezza sul lavoro, i coordinamenti provinciali delle attività ispettive stanno appena muovendo i primi passi mentre il personale impegnato nella prevenzione infortuni, al ritmo attuale, impiegherebbe 23 anni a controllare tutte le aziende. L’Anmil inoltre sottolinea anche come si intervenga quasi sempre a cose fatte e molto raramente a livello di prevenzione.
Le cose da fare
Tra i rimedi necessari indicati dall’Anmil ci sono un maggiore investimento sulle attività di prevenzione e controllo, l’introduzione di sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze dei comportamenti, l’organizzazione di un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l’applicazione certa e rapida delle sanzioni e la promozinoe di iniziative informative, formative e culturali che sviluppino nel medio-lungo periodo una maggiore attenzione alla prevenzione.
Data: 04-02-2008
Messaggio del Presidente Napolitano
al Presidente dell’Inca-Cgil, Minelli
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un messaggio al Presidente dell’Inca-Cgil, Raffaele Minelli, ha espresso "particolare apprezzamento" per l’iniziativa dell’Inca-Cgil di dedicare la campagna di comunicazione del 2008 al problema della salute e della sicurezza nei posti di lavoro.
"Importanti risposte sono già venute e stanno venendo da più parti per contrastare il gravissimo fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle ’morti bianche’ la cui preoccupante frequenza suscita grande allarme sociale. La campagna di comunicazione che presenta oggi l’Inca-Cgil, importante componente del movimento sindacale e del mondo del lavoro, offre un prezioso contributo per la diffusione e l’affermazione di una radicata cultura sulla salute e sulla sicurezza nel lavoro. Auspico che lo slogan della vostra campagna ’Lavoro insicuro? Vincano i diritti’, il disegno strappato del bambino che trasmette con efficacia le tragiche conseguenze, anche familiari, del ’lavoro insicuro’, le varie iniziative che intendete intraprendere nel Paese, diano un forte impulso ad operare attraverso impegni puntuali, a prendere decisioni, concrete, ad adottare efficaci misure volte a prevenire la piaga degli infortuni sul lavoro. E’ un cammino di civiltà e giustizia che deve vedere impegnati tutti i lavoratori, le imprese, le istituzioni nazionali e locali e la stessa opinione pubblica in una opera congiunta volta a individuare le priorità di intervento e realizzare appropriate ed efficaci azioni di prevenzione per il miglioramentio dei livelli di sicurezza nei luoghi di lavoro".
Roma, 4 febbraio 2008(www.quirinale.it/Comunicati)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ITALIA 2010. Il lavoro spogliato dei diritti
Non ci sono più morti bianche
di Luciano Gallino (la Repubblica, 16.04.2011)
La sentenza a carico dei dirigenti della ThyssenKrupp è molto dura. Su un punto fondamentale, quello di giudicare gli investimenti in tema di sicurezza consapevolmente non effettuati come prova di omicidio volontario da parte dell’amministratore delegato, la Corte ha accolto in pieno le richieste dell’accusa.
Come si aspettavano familiari e compagni delle vittime. Condannando la massima autorità dell’impresa al massimo della pena proposta dai Pm, sedici anni, e cinque dirigenti a pene che vanno da dieci anni - un anno in più rispetto alla richiesta - a tredici e mezzo, la sentenza riafferma con estrema forza un principio cruciale: di lavoro non si può, non si deve morire. Per cui ogni dirigente o imprenditore che non si occupa e preoccupa a sufficienza della sicurezza dei dipendenti sui luoghi di lavoro incorre in una colpa grave. Anche quando non abbia contribuito direttamente all’incidente che ha ucciso qualcuno, ma in qualche modo abbia accettato che esso succedesse come effetto eventuale del suo comportamento. Come decidere di non predisporre adeguate misure di sicurezza in un impianto che di lì a qualche tempo si dovrebbe chiudere o trasferire, perché in fondo esse sarebbero, nella ratio della contabilità aziendale cui un dirigente ritiene di doversi attenere, un inutile spreco. Anche se, per evitare quello spreco, finisce che ci vanno di mezzo vite umane.
La contabilità fondata sull’idea del "non è mai successo, perché dovrebbe accadere adesso?" è molto diffusa nelle imprese di ogni dimensione. Essa contribuisce a provocare oltre mille morti l’anno, decine di migliaia di infortuni invalidanti, nonché gran numero di malattie professionali che rattristano e accorciano la vita. La sentenza ThyssenKrupp è un grosso aiuto per combattere tale cultura. Essa fa severamente presente a dirigenti e imprenditori che se quello che non sarebbe dovuto succedere poi accade davvero, perché loro non hanno preso le dovute misure precauzionali, d’ora innanzi rischiano molto.
Una pena di tal gravità non era mai stata avanzata nelle numerose cause derivanti da incidenti sul lavoro che si sono susseguite negli scorsi decenni. Poiché gravissime erano le colpe degli imputati, si può essere soddisfatti perché giustizia è stata fatta, anche se essa non riduce né l’entità della tragedia né il dolore delle famiglie. Ma v’è un aspetto di questa sentenza che va al di là del senso di restituzione di qualcosa che era dovuto alle vittime, ai loro compagni, ai familiari. Negli ultimi decenni il mondo del lavoro ha pagato un prezzo elevatissimo in termini di compressione dei salari, peggioramento delle condizioni di lavoro, erosione dei diritti acquisiti, oltre che di vittime di incidenti e malattie professionali che la legge sulla sicurezza nei posti di lavoro dovrebbe limitare, se negli ultimi anni non fosse stata indebolita in vari modi dal legislatore.
Questa sentenza - che arriva una volta, ma può essere una volta determinante; e verte su un caso specifico, che può però diventare generale - afferma che tutto ciò non è giusto. E che tutti i suoi elementi si tengono, per cui se si attenta a uno si compromettono anche gli altri.
Da ultimo è il lavoro a creare benessere per tutti. E’ la base su cui si regge sia la ricchezza privata che quella pubblica. Merita un ampio riconoscimento sociale - lo dice perfino la Costituzione. Perciò né il lavoro né il lavoratore dovrebbero essere trattati come una merce che si usa se serve, si butta da parte se non serve, si cerca di pagare il meno possibile, e non importa poi troppo se chi presta il lavoro ci rimette la vita perché l’impresa, in nome della globalizzazione e del mondo che è cambiato, deve anzitutto far quadrare il bilancio. Dopo la sentenza di Torino, un simile modo di ragionare dovrebbe ridurre un po’ la sua iniqua presa, nel sistema economico non meno che in politica.
MORTI BIANCHE
Capua, la figlia di una vittima
"Erano trattati come schiavi"
Le lacrime della donna: "E’ da ieri che siamo qui e nessuno si è degnato di dire ci dispiace". Oggi tutti i dipendenti sono stati convocati per prendere parte ad un’assemblea alla quale parteciperanno anche di alcuni vertici dell’azienda
Davanti all’azienda di Dsm la rabbia dei parenti dei tre operai morti ieri mattina si sente tutta. Urla la figlia di Giuseppe Cecere, uno dei tre operai morti ieri nello stabilimento Dsm di Capua, nel Casertano. Parole di disperazione, di chi si sente abbandonato. "Li comandavate come schiavi - dice la figlia del 52enne - . E’ da ieri che siamo qui e nessuno si è degnato di dire ci dispiace".
"Devono parlare i testimoni", dice la cognata di Giuseppe Cecere. Cecere è proprio di Capua e la sua abitazione si trova esattamente di fronte allo stabilimento dove è morto. La cognata aggiunge: "I testimoni devono far giustizia, ci devono dire come sono andate le cose". E poi un dettaglio che rende ancora più tragico quanto avvenuto: "Giuseppe, li dentro, aveva tanta paura di morire".
Il giorno dopo la morte di Giuseppe Cecere, Antonio Di Matteo e Vincenzo Musso alla Dsm di Capua, i dipendenti dell’azienda non hanno alcuna voglia di parlare. Le vittime lavoravano per una ditta esterna di Afragola e sono stati investiti dalle esalazioni. Stavano lavorando in ore di straordinario e sono stati investiti dai fumi tossici provenienti dal silos, probabilmente dovuti ad un processo di fermentazione che si è innescato quando l’hanno aperto.
Oggi tutti i dipendenti sono stati convocati per prendere parte ad un’assemblea alla quale parteciperanno anche di alcuni vertici dell’azienda arrivati direttamente dall’Olanda.
Se a qualcuno si prova a chiedere se all’interno della Dsm siano rispettate le norme relative alla sicurezza, in tanti, tutti, rispondono con il silenzio. "Non vogliamo parlare", la prima risposta, poi qualcuno aggiunge anche "ci hanno detto di non parlare".
Questa mattina davanti ai cancelli dell’azienda del Casertano si è presentato anche un ex dipendente che ha lavorato qui per 40 anni. Giuseppe D’Este lo dice senza se e senza ma: "I lavoratori delle ditte esterne qui sono considerati di serie B, un pò come una merce". Ma c’è anche chi, tra i dipendenti ci tiene a precisare: "Qui la sicurezza è il fiore all’occhiello, quanto è successo è stato solo un brutto incidente".
* la Repubblica, 12 settembre 2010
MORTI BIANCHE
Capua, la procura: "Lì non dovevano entrare"
Verso l’iscrizione di una decina di indagati
Lavoratori in assemblea, rabbia e dolore. I vertici dell’azienda: "Un tragico evento". Domani sopralluogo con le telecamere nel silos dove ieri sono morti i tre operai, che secondo i primi accertamenti non dovevano essere autorizzati all’ingresso nella cisterna non bonificata *
Davanti all’azienda di Dsm la rabbia dei parenti dei tre operai morti ieri mattina si sente tutta. Urla la figlia di Giuseppe Cecere, uno dei tre operai morti ieri nello stabilimento Dsm di Capua, nel Casertano. Parole di disperazione sono voltate durante l’assemblea organizzata per protestare contro questi nuovi lutti, pianti di chi si sente abbandonato. "Li comandavate come schiavi", dice la figlia del 52enne. Il giorno dopo la morte di Giuseppe Cecere, Antonio Di Matteo e Vincenzo Musso alla Dsm di Capua, i dipendenti dell’azienda non hanno alcuna voglia di parlare. Le vittime lavoravano per una ditta esterna di Afragola e sono stati investiti dalle esalazioni. Per la loro morte la procura ipotizza l’iscrizione nel registro degli indagati di una decina di persone, mentre sulla dinamica dell’incidente c’è già quella che pare una certezza: gli operai lì non dovevano entrare.
Operai in assemblea, arrivano i vertici dell’azienda - Stavano lavorando in ore di straordinario e sono stati investiti dai fumi tossici provenienti dal silos, probabilmente dovuti ad un processo di fermentazione che si è innescato quando l’hanno aperto. Oggi tutti i dipendenti sono stati convocati per prendere parte ad un’assemblea alla quale hanno partecipato anche di alcuni vertici dell’azienda arrivati direttamente dall’Olanda e il sindaco della cittadina. La Dsm di Capua ha tutte le intenzioni di fare piena luce sull’incidente. A ribadirlo, più volte, è Luca Rosetto, responsabile sicurezza dell’azienda. Rosetto ha parlato di un "tragico evento", ma ha detto anche "è un dato che tutti gli incidenti possono essere evitati. La nostra attenzione sarà concentrata proprio su questo ci chiederemo tutti insieme cosa avremmo potuto fare per evitare una simile tragedia". A tal fine è stato istituito un comitato interno per ricostruire quanto successo. Ha partecipato all’assemblea anche il sindaco di Capua Carmine Antropoli. "I dirigenti dell’azienda sono mortificati - ha detto - e ritengono che quanto successo possa essere ricollegabile a un errore umano". Restano i dubbi però sul rispetto delle norme relative alla sicurezza all’interno della Dsm. Provando a chiedere agli operai, in tanti sono rimasti in silenzio. "Non vogliamo parlare", "ci hanno detto di non parlare". Questa mattina davanti ai cancelli dell’azienda del Casertano si è presentato anche un ex dipendente che ha lavorato qui per 40 anni, Giuseppe D’Este: "I lavoratori delle ditte esterne qui sono considerati di serie B, un po’ come una merce". Ma c’è stato anche chi, tra i dipendenti ha voluto precisare: "Qui la sicurezza è il fiore all’occhiello, quanto è successo è stato solo un brutto incidente".
La procura verso l’iscrizione di una decina indagati - Sul frotne delle indagini, secondo quanto si apprende dalla Procura di Santa Maria Capua a Vetere, la morte dei tre operai farà scattare l’iscrizione nel registro degli indagati di almeno una decina di persone. Si tratta di responsabili e rappresentanti delle quattro ditte coinvolte nell’incidente: la Dsm, la ditta Errichiello di Afragola per la quale lavoravano gli operai, la ditta Rivoira che si occupa della gestione dei gas liberi e di una quarta ditta che avrebbe dovuto effettuare la bonifica della cisterna, quest’ultima indicata da alcuni testimoni ai carabinieri. L’inchiesta sulla tragedia di Capua è affidata al pm Donato Ceglie. Si sta cercando di ricostruire quanto avvenuto e, soprattutto, quanto forse poteva essere evitato. Secondo le risultanze della Procura al momento viene confermato che le vittime stavano effettuando un’operazione di smontaggio e che "improvvidamente all’interno della cisterna c’era un grosso quantitativo di azoto oltre che di elio". Questo significa, secondo il ragionamento della Procura, che l’ingresso doveva essere vietato ai tre operai. Ma non è andata così: attaccati agli indumenti delle vittime sono stati infatti ritrovati i permessi di autorizzazione ad entrare nella cisterna dove la bonifica non è stata, quindi, mai effettuata. Domani sarà effettuato un esperimento per cercare di ricostruire la dinamica dell’incidente. Nello specifico all’interno della cisterna dove sono morti soffocati gli operai si caleranno carabinieri e vigili del fuoco che con telecamere riprenderanno l’interno del silos. Sempre domani dovrebbe essere decisa la data, di pensa a mercoledì, in cui sarà effettuata l’autopsia delle tre vittime. Nel collegio peritale ci saranno anche tre docenti e ci si avvarrà anche di esperti nazionali del settore.
Il responsabile della sicurezza in visita dai familiari - La famiglia di Giuseppe Cecere, uno dei tre operai morti, continua a chiedere giustizia. Oggi i parenti della vittima hanno ricevuto a casa loro, proprio di fronte allo stabilimento, la visita del sindaco e del responsabile sicurezza della Dsm, Luca Rosetto. "Sono molto addolorati e anche arrabbiati - ha riferito il sindaco al termine della visita - ciò che chiedono è soprattutto di fare giustizia e di capire cosa sia davvero avvenuto". Poi, il primo cittadino ricorda Giuseppe Cecere, di Capua. "Era un uomo casa e famiglia - dice il sindaco - aveva tre figli, guadagnava mille euro al mese ma nonostante questo non ha fatto mai mancare nulla alla sua famiglia". Il sindaco lo definisce un "eroe, perché è stato lui l’ultimo ad entrare nella cisterna nel tentativo di aiutare i suoi compagni". "Ieri era andato al lavoro per guadagnare 30 euro di straordinario - aggiunge - soldi che addirittura gli sarebbero stati dati a dicembre". Antropoli anticipa anche che si sta valutando l’eventualità di organizzare un funerale ufficiale per le tre vittime.
* la Repubblica, 12 settembre 2010
Lo scandalo morti bianche sono più degli omicidi
di Gad Lerner (la Repubblica, 6 agosto 2008)
Una modesta proposta al ministro La Russa e al governo tutto, che s’è preso tanto a cuore la sicurezza dei cittadini italiani: perché non inviare l’esercito anche nei cantieri, nelle fabbriche, e magari lungo le autostrade? A meno che si vogliano considerare i morti sul lavoro e negli incidenti stradali "meno importanti" rispetto alle vittime della criminalità.
Rendiamo merito al Censis che di tanto in tanto, sommessamente, introduce qualche cifra rivelatrice in un dibattito pubblico dominato dalla propaganda. Così, mentre i telegiornali celebrano la trovata dei militari affiancati alle forze di polizia nel pattugliamento delle città, l’istituto di ricerche sociali fondato da Giuseppe De Rita pubblica delle statistiche che sovvertono il "comune sentire" montato ad arte dagli imprenditori politici della paura: in Italia le vittime degli incidenti sul lavoro sono quasi il doppio rispetto alle vittime della criminalità. Che sono peraltro in costante diminuzione e restano otto volte di meno rispetto ai morti negli incidenti stradali.
Se di emergenza si deve parlare, riguarda il fatto che da noi i morti sul lavoro sono quasi il doppio della Francia, il 30% in più rispetto a Germania e Spagna. Cifre che dovrebbero far arrossire la nostra classe dirigente, a proposito di sicurezza. Ma i fautori di "legge e ordine" non paiono scossi neppure dal fatto che si registrino più morti sulle nostre strade che in paesi europei più popolosi dell’Italia: la severità torna ad essere categoria elastica, quando debba applicarsi ai cittadini "perbene".
Naturalmente vi sono ragioni culturali e sociali che spiegano l’ipersensibilità dei cittadini nei confronti di furti, rapine, degrado dell’ambiente urbano. Così come vi sono interessi economici che hanno convenienza a minimizzare le deroghe alla prevenzione antinfortunistica e al rispetto del codice della strada. Ma il compito di una classe dirigente, in democrazia, dovrebbe essere quello di assumere le priorità dettate dall’interesse generale, svolgendo un’opera educativa in tal senso. Mostrandosi superiore agli umori fomentati per convenienza o pregiudizio.
Invece tra i nostri politici vige l’andazzo contrario: adulare il popolo, cavalcandone l’ignoranza. Lo fa notare con parole più diplomatiche il direttore del Censis, Giuseppe Roma, presentando i risultati della ricerca: «Risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli. Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini». E non ci si venga a dire che le morti bianche e gli incidenti stradali sono fatalità, o che succede così dappertutto. Lo scandaloso divario fra l’Italia e i paesi europei ad essa comparabili, dimostra il contrario.
La sicurezza manipolata come un feticcio, semmai, rivela la volontà di sottomettere i ceti più deboli all’ingiustizia sociale, indirizzandone il malcontento su bersagli meno impegnativi. È più facile prendersela con la devianza degli emarginati, specie se stranieri, che con la camorra, la mafia, la ’ndrangheta (sono queste organizzazioni le principali responsabili degli omicidi in Italia). Ancor più complicato è imporre la regola morale, prima ancora che giuridica, secondo cui la tutela della vita del lavoratore è più importante della produttività. Addirittura impopolare, infine, suona l’equazione fra mancato rispetto del codice della strada e delinquenza.
Naturalmente mandare i soldati in pattuglia nei cantieri, nelle fabbriche e lungo le autostrade è solo una boutade. Ma denunciare la menzogna di questi politici, falsi difensori della sicurezza pubblica, resta una necessità. Perché una comunità impaurita non progredisce inseguendo fantasmi: semmai arretra, correndo all’impazzata sulle strade e umiliando i suoi lavoratori.
Altre 2 morti bianche
Napolitano firma il decreto
Altre due morti bianche proprio nel giorno in cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, firma il Decreto sulla Salute e Sicurezza nel Lavoro. In mattinata, un operaio extracomunitario di 26 anni è morto in un cantiere edile di Busto Arsizio, in provincia di Varese. Il giovane è rimasto ucciso da un pesante cassone colmo di malta che si è staccato da una gru da un’altezza di una quindicina di metri, e mlo ha colpito in pieno. Il ragazzo era appena uscito da sotto una tettoia. Inutile ogni tentativo di soccorso. Il manovale è deceduto sul colpo.Del caso si sta occupando la Polizia.
«Siamo di fronte a un`ecatombe, di cui la Lombardia ha il più triste dei primati. Quello che è avvenuto oggi a Busto Arsizio è semplicemente inaccettabile» ha commentato Alfio Nicotra, segretario regionale del Prc e componente il comitato di coordinamento de la Sinistra l’Arcobaleno. «Lo stillicidio di morti bianche è una normalità alla quale non possiamo abituarci, ma che grida vergogna».
«Non chiamatela fatalità - ha detto Nicotra - perché in molti cantieri edili la sicurezza è solo un optional. Si pretendono ritmi di lavoro estenuanti, si caricano le gru con pesi eccessivi e le si agganciano in tutta fretta. Mancano i corsi di addestramento per i lavoratori dei cantieri, perché si preferisce ricorrere a manodopera in nero spesso gestita da mercanti di braccia, veri e propri caporali della globalizzazione. Chiediamo che sia fatta piena luce su quanto accaduto e che si intensifichino i controlli. Intanto gli Enti locali e lo Stato - e la comunità di Busto Arsizio - non lascino sola la famiglia di questo operaio immigrato». Nel pomeriggio, Massimo Borriello, 36 anni, di Vietri sul Mare, autista di un tir che aveva trasportato prodotti agroalimentari in un’azienda conserviera di Sant’Antonio Abate, nel napoletano, è morto schiacciato da due casse del carico. Il fatto è accaduto nel deposito-parcheggio dell’azienda cui erano destinati i prodotti, la «Antonino Russo».
Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, subito intervenuti, Borriello stava seguendo il lavoro di scarico compiuto con l’ausilio di un muletto in piedi accanto al portellone aperto del camion; il suo mezzo era probabilmente carico oltremisura, e alcune casse erano state sistemate di traverso. La forcella del muletto, in questo modo, non è riuscita a sollevare senza problemi due di queste, che, sbilanciate, sono franate addosso all’uomo, uccidendolo sul colpo.
Le due vittime non sono che le ultime di una catena infinita, cui il governo ha cercato di porre rimedio col decreto. «Accogliamo con grande soddisfazione la sottoscrizione da parte del Presidente della Repubblica del Decreto sulla Salute e Sicurezza nel Lavoro», affermano in una nota Paola Agnello Modica, Renzo Bellini e Paolo Carcassi, segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil. D’altra parte, ricordano, «il presidente Napolitano ha sempre mostrato grande sensibilità e impegno su un tema così importante per la vita di tutti i lavoratori e lavoratrici, che non possono che ringraziarlo per l’impulso che ha dato». «Ora per l’applicazione del Decreto manca solo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che ci auguriamo avvenga nei tempi più solleciti possibile», concludono i sindacati.
* l’Unità, Pubblicato il: 10.04.08, Modificato il: 10.04.08 alle ore 18.48
Si aggrava il bilancio della strage sul lavoro, provocata dalle esalazioni
di una cisterna per lo zolfo. I dipendenti non indossavano protezioni
Molfetta, le vittime salgono a cinque
morto anche l’operaio ventenne
Comune proclama lutto fino ai funerali. Prodi incontra i parenti delle vittime
Il pm apre l’inchiesta: l’ipotesi di reato è omicidio colposo plurimo
BARI - Non ce l’ha fatta, la quinta persona di Molfetta rimasta intossicata sul lavoro, ieri, dalle esalazioni di zolfo fuoriuscite durante le operazioni di lavaggio di un’autocisterna. All’alba Michele Tasca, operaio, vent’anni, è morto. Il giovane era ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Monopoli (Bari) per le lesioni ai polmoni provocate dall’inalazione di gas da zolfo. E intanto, la Procura ha aperto un fascicolo: l’ipotesi di reato è omicidio colposo plurimo.
Le altre vittime della strage sono gli operai Guglielmo Mangano, 43 anni, e Luigi Farinola, 36 anni; il camionista Biagio Sciancalepore, 22 anni; e il titolare dell’azienda, Vincenzo Altomare, di 63 anni. Il Comune di Molfetta ha proclamato il lutto cittadino da oggi fino al giorno dei funerali dei cinque lavoratori del Truck Center.
Nel pomeriggio il presidente del Consiglio, Romano Prodi, si è recato a Molfetta dove ha incontrato i parenti delle vittime. Nel palazzo del Comune è stato accolto dal commissario straordinario, Antonella Bellomo, dal presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e dal vescovo Luigi Martella.
L’incidente è avvenuto ieri pomeriggio, intorno alle 15.30, presso la Truck Center, azienda specializzata nella manutenzione e nel lavaggio di grossi automezzi. Nel corso di quella che avrebbe dovuto essere un’operazione di routine, la pulitura di una cisterna vuota utilizzata per trasportare zolfo: lo ha confermato questa mattina anche il legale dell’azienda, l’avvocato Bepi Maralfa. Secondo il quale venivano rispettate tutte le norme di sicurezza previste.
Ieri, invece, la tragedia: Mangano viene risucchiato all’interno, gli altri, nell’inutile tentativo di salvarlo, perdono la vita. Vittime delle esalazioni velenose. Un solo sopravvissuto, Tasca, ricoverato in ospedale in gravissime condizioni. Ma questa mattina, anche lui non ce l’ha fatta.
Sulla strage, la Procura della Repubblica presso il tribunale di Trani - col pm Giuseppe Maralfa - ha aperto l’inchiesta (contro ignoti) per omicidio colposo plurimo. In attesa degli esiti, c’è da registrare il fatto che nessuna delle vittime indossava uno scafandro o una mascherina. E anche che era classificato come "prodotto altamente tossico" il contenuto della cisterna: la definizione è contenuta nella bolla di accompagnamento del quale era corredato il mezzo, e che è stata acquisita dagli inquirenti.
Proprio in queste ore i carabinieri stanno studiando a fondo normative e decreti sui lavaggi di cisterne, per capire se ci siano state violazioni delle procedure obbligatorie di sicurezza.
* la Repubblica, 4 marzo 2008
L’OPERAIO STAVA PULENDO UNA VASCA
Morti per salvare il collega
La tragedia sul lavoro a Molfetta:
cinque vittime in un’autocisterna
Pronto il decreto sulla sicurezza *
MOLFETTA. E’ morto all’alba il quinto operaio ferito a Molfetta, dove ieri altri quattro colleghi sono rimasti uccisi dalla zolfo in polvere mentre facevano degli interventi di manutenzione all’interno di una cisterna. L’autocisterna si trovava all’interno della zona industriale di Molfetta e appertiene all’azienda Trac Center di Molfetta. Un quinto operaio è stato trasportato in gravi condizioni all’ospedale locale. Nell’autolavaggio Truckcenter di Molfetta, specializzato nella pulitura di mezzi speciali e autobotti, secondo quanto racconta il comandante dei Vigili del Fuoco di Bari, Giovanni Micunco: «si stava completando il ciclo di lavaggio di una cisterna che aveva trasportato zolfo per un’azienda chimica della zonà. Si operava probabilmente con l’uso di un robot quando uno degli operai si è avvicinato ad un oblò del mezzo del diametro di circa 60 centimetri. Colpito dalle esalazione deve essere precipitato all’interno e gli altri operai, oltre all’autista del mezzo, avrebbero provato a formare una catena di soccorso, ma le esalazioni hanno colpito anche loro».
«Occorre assolutamente reagire alla tragica catena degli incidenti», ha detto il Napolitano. «Auspico che tutte le forze politiche convengano sul testo del decreto legislativo da attuare sulla base della recente legge sulla sicurezza sul lavoro». E Romano Prodi, poco dopo, ha annunciato un rapido intervento del governo per completare l’iter legislativo ma, al momento, nessun Cdm straordinario. «Proprio in questi giorni sono stati messi a punto ulteriori provvedimenti che saranno sottoposti nelle prossime ore all’approvazione delle parti sociali», ha spiegato il Premier. «Con l’adozione di questi atti il Governo sarà in grado di completare in tempi rapidissimi il quadro normativo della sicurezza sui luoghi di lavoro». L’impegno per un intervento anche a Camere sciolte è l’elemento centrale del messaggio del Presidente del Senato al Prefetto di Bari:«Attuare tutte le azioni necessarie», dice Marini. Il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha invece chiesto un Cdm straordinario già per la giornata di oggi.
* La Stampa, 4/3/2008 (7:22)
Molfetta, strage in una cisterna
Quattro operai morti intossicati *
MOLFETTA - Quattro operai sono morti in un incidente mentre stavano lavorando alla manutenzione di un’autocisterna adibita al trasporto di zolfo in polvere nella zona industriale di Molfetta. Un quinto operaio, soccorso, è in gravi condizioni: è in una situazione di gasping, respirazione terminale, ed è stato ricoverato nell’ospedale. C’è anche un sesto intossicato, in condizioni meno gravi perchè non si sarebbe calato nell’autocisterna. Attualmente è ricoverato nell’ospedale di Bisceglie. L’incidente è avvenuto nel pomeriggio all’interno dell’azienda Truck Center che si occupa di parcheggi, attrezzature e impianti. Dalle prime notizie sembra che il primo operaio si sia calato nell’autocisterna e si sia sentito male. Per soccorrerlo i suoi compagni si sono calati ma sono rimasti intossicati anche loro.
* la Repubblica, 03-03-2008,
Molfetta, le vittime salgono a cinque
BARI - Non ce l’ha fatta, la quinta persona di Molfetta rimasta intossicata sul lavoro, ieri, dalle esalazioni di zolfo fuoriuscite durante le operazioni di lavaggio di un’autocisterna. All’alba il giovane - Michele Tasca, vent’anni - è morto.
(la Repubblica, 04-03-2008)