RIPRENDIAMOCI QUELLE PAROLE
di Beppe Grillo (La Repubblica, 20.06.2004, p. 16)
Vorrei aderire alla Casa della libertà, ma a quella vera, vorrei intitolare "forza Italia" il mio prossimo spettacolo, ma forza Italia davvero. L’Italia ha bisogno di più libertà e di una riscossa! Altro che pulirsi il sedere con il tricolore, come gridò uno dei leader di questo governo. Altro che "chi non salta, italiano è!", come strillò per strada un suo ministro, dopo aver mandato tremila italiani a rischiare la pelle a Nassiriya. Cosa penseranno di questi ministri della vergogna quei soldati che con il tricolore rischiano sì di saltare, ma sulle bombe irakene?
Nel mio spettacolo chiedo: "Casa delle Libertà"? Ma vogliamo scherzare? Siamo all’appropriazione indebita, all’"economia della truffa", come scrive l’economista statunitense J. K. Galbraith. Secondo un altro economista statunitense, J. Stiglitz, domina l’"asimmetria dell’informazione" (la teoria per cui prese il Nobel): è l’approfittamento - non il profitto - di chi sa a danno di chi non sa: per esempio quello dei top manager che sempre più spesso saccheggiano azionisti, consumatori e Stato.
Secondo Stiglitz dai "ruggenti ‘90" rubano di più molti top manager - per esempio con le famigerate stock option - di quanto mai possano sognar di rubare i peggiori politici (http://www-1.gsb.columbia.edu/faculty/jstiglitz/). E in Italia come reagiamo? Fuori i politici delle "convergenze parallele", dentro i pubblicitari, i top manager e gli avvocati della "Milano da bere"! Dentro - purtroppo - non in adatti edifici sorvegliati; dentro nel parlamento, nel governo, nella RAI.
Attenzione, non parlo solo del furto dei soldi, ma di uno peggiore, il furto delle parole. Mettiamo, per ipotesi, che costoro non abbiano mai rubato, evaso le tasse, corrotto un finanziere o un giudice, maneggiato fondi neri, società offshore, P2, tangenti, condoni. Ma le parole? Come la mettiamo con il furto con destrezza delle parole? La lingua è il principale bene di un popolo. Rubargliela è un delitto. Condoniamogli i delitti finanziari, ma non perdoniamogli l’appropriazione indebita delle parole!
La vera "Casa della libertà" (Freedom House) esiste da sessant’anni, non da tre. Fu fondata da Eleanor Roosvelt e da altre personalità statunitensi per promuovere la democrazia nel mondo. Il suo rapporto annuale sulla libertà di stampa classifica le nazioni in libere, semilibere, non libere. Nel 2004 l’Italia è passata da paese libero a semilibero, scendendo al 74° posto, dietro a Benin e Botswana (http://www.freedomhouse.org/research/pressurvey.htm).
In Europa, Turchia e Italia sono le uniche pecore nere, i due Paesi semiliberi. Come può un Paese semilibero pretendere di insegnare la libertà agli altri come vuol fare l’Italia in Irak?
Come casi di "Deterioramento globale della libertà di stampa" la "Casa della libertà" cita Bulgaria, Italia e Russia, degradate quest’anno di una categoria. Per illustrare il degrado della libertà, la direttrice del rapporto statunitense, signora K. D. Karlekar, cita per nome e cognome il primo ministro italiano e il suo "enorme impero mediatico". Chi sono allora i cialtroni della libertà, quelli della Casa statunitense o quelli della Casa italiana? Del resto la Casa italiana è nata sulle tradizioni e con gli uomini di due aberrazioni della libertà: il fascismo - insieme al comunismo reale tra le maggiori negazioni della libertà in questo secolo - e la propaganda commerciale invasiva e obbligatoria.
Per mascherare con la "Libertà" una compagnia di squali della pubblicità, piduisti, mussoline e mussoliniani, fascisti di tutti i tipi (post, ex, neo, ultra), xenofobi mangia bingo-bongo e pochi clericali, non basta la faccia di bronzo, ci vuole un lifting al titanio.
Denunciando le truffe della pubblicità dicevo nel 1993: "Attenti! Mastrolindo è più pericoloso di Craxi". Oggi Mastrolindo e i suoi creativi si son presi il governo, il parlamento, la RAI. I governanti di prima arraffavano soldi per fare il partito. I governanti di adesso fanno il partito per difendere i soldi arraffati. Cosa dirà Mastrolindo del rapporto 2004 della vera "Casa della libertà"? "Spazzatura!" dirà? Come disse dell’Economist che gli dedicò in due anni tre copertine - un record in 160 anni di pubblicazioni. Minaccerà querele anche agli eredi della signora Roosvelt come fece vanamente con l’Economist?
Se la sua fede a stelle e strisce fosse vera, il portatore sano di democrazia ribattezzerebbe la sua compagnia "Casa delle semilibertà" e cercherebbe di riportare l’Italia al rating statunitense di paese libero. Sapete che Cina, Russia, Italia, Cuba, Vietnam e Nord Corea sono tra i pochi paesi dove il governo o il suo capo pagano ogni mese lo stipendio a più di un migliaio di giornalisti? Ovviamente per garantire la loro libertà.
E poi, perché "Casa delle Libertà"? Perché la libertà da garantire non è una sola, quella di Mastrolindo. Sono molte! Quella di Previti, di Dell’Utri, di Borghezio e della cinquantina di inquisiti o processati o patteggiati o o prescritti o condannati che la CdL ha messo al sicuro in parlamento.
C’è un’altra "truffa innocente": Forza Italia. Da più di un secolo era l’incitamento degli italiani per i nostri atleti nel mondo. Prima era di tutti, ora è stato sequestrato. Non possiamo più usarlo, a meno di fare propaganda gratuita al partito di Dell’Utri, Previti e Mastrolindo. "Forza Italia" non lo hanno semplicemente privatizzato, ce lo hanno proprio rubato. Nelle privatizzazioni di un bene pubblico, si paga un indennizzo. Dorian Gray invece si è preso il malloppo e non ci ha pagato niente.
Anzi, già che c’era, si è preso anche il nostro colore - l’azzurro - e visto che un colore non gli bastava, s’è acchiappato anche il tricolore. Lui sa bene che nomi, marchi e logo di successo - es. "Marlboro" o "Nike" - valgono decine di miliardi di euro. Lui invece "Forza Italia", il nostro azzurro e il nostro tricolore se li è acchiappati gratis. Calcolando poco, diciamo mille euro a testa, Dorian Gray deve agli italiani almeno 57 miliardi di euro, dieci volte più del suo patrimonio. Ha fatto un colpo grosso, eh?
Dovremmo battezzare "forza Italia" pizze, gelati, cocktail, barche, navi, spiagge, sentieri alpini, gatti, cani, cavalli, circoli culturali, romanzi, bande, feste. Riprendiamoci il nostro "forza Italia"! Questo bisogno mi è venuto con il mio spettacolo "Blackout", mentre spiegavo quanto l’Italia sia scesa in basso. Una ventina dei principali indicatori internazionali di sviluppo ci danno in media al 35° posto nel mondo. Altro che "nuovo miracolo italiano"!
Siamo tra il 20° e il 25° posto per indice di sviluppo umano, reddito pro capite, indice di capacità tecnologica, aiuti allo sviluppo, libri venduti; tra il 30° e il 35° posto per mortalità infantile, indice di corruzione, computer e giornali pro capite; 40° per indice di uguaglianza, 51° per indice di competitività, 74° per indice di libertà di stampa, 83° per indice di sostenibilità ambientale. Sintomatico è il nostro indice di competitività: 32°, 33° e 34° posto nel 2000, 2001, 2002, 41° nel 2003, 51° nel 2004. Il lento smottamento ora è frana. Altro che miracoli!
Le cause di questo crepuscolo hanno radici nei decenni passati. Una delle cause importanti però è il degrado intellettuale e morale provocato dalla televisione commerciale, sia privata sia statale. Vent’anni di questa intossicazione finiscono per convincere che benessere e felicità non dipendono dall’ingegno, dal lavoro e dall’onestà, ma dalla seduzione, dall’imbonimento e dalla furbizia. Economia allora non vuol più dire studiare, ricercare, inventare, produrre, ma ridere, ingannare e vendere.
Conducendo gli affari di Stato come quelli pubblicitari e televisivi, i nostri mastrolindi sono riusciti in pochi anni a indebolire l’Italia più di quanto avessero fatto in decenni i loro protettori socialisti e democristiani. Adeguando diversi ministri e parlamentari alla volgarità e al turpiloquio delle loro televisioni, hanno ribaltato il significato della parola "volgare".
Oggi sono le elite a involgarire il volgo. La volgarità non viene più dal basso, ma dall’alto, dagli uomini più ricchi e più potenti del paese, dalle tecnologie e dalle istituzioni che controllano. Non è grottesco che proprio chi per vent’anni ha corrotto la forza, l’intelligenza e la reputazione di questo Paese prenda ancora in giro gli italiani al grido di "Forza Italia"? Proprio loro, che da vent’anni sono i becchini dell’Italia, non possono ora far finta di volerla rianimare
* Il dialogo, Lunedì, 28 giugno 2004
MATERIALI SUL TEMA. Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora!) il Partito al di sopra di tutti i partiti.
Politica
Conte: “Grillo decida se essere il genitore generoso o il padre padrone. Non può esserci leadership dimezzata”. E sfida il garante: “Sul mio statuto voti la base”
IL FUTURO DEI 5 STELLE - L’ex premier consegnerà domani il nuovo statuto a Grillo e Crimi perché sia diffuso tra gli iscritti: “Condizioni imprescindibili perché io continui, serve un punto fermo”. “Non ci può essere una leadership dimezzata o un leader ombra affiancato da un prestanome”
di F. Q. (il Fatto quotidiano, 28 Giugno 2021)
Beppe Grillo “decida se essere il genitore generoso o il padre padrone”. Giuseppe Conte, davanti ai giornalisti convocati al Tempio di Adriano, ha rivolto un vero e proprio appello al garante del Movimento e “all’intera comunità M5s”, perché non venga bloccata quella che secondo lui è una “profonda” e “necessaria” ristrutturazione del progetto. Tre giorni dopo aver subito gli attacchi del fondatore 5 stelle davanti all’assemblea dei parlamentari, l’ex premier ha deciso di replicare pubblicamente. Non ha chiesto però, come anticipato da alcuni retroscena, le scuse pubbliche di Beppe Grillo: ha evitato con attenzione di cadere sulla sfera personale e si è limitato a chiedere che non venga interrotta quella rifondazione che lo stesso garante gli chiese di mettere in pratica solo il 28 febbraio scorso. “A Beppe dico che non ne faccio una questione personale, lui sa bene che ho avuto e ho rispetto per lui. Ma non possono esserci ambiguità“.
Ha ridotto frasi come “Conte deve studiare la storia M5s” o “è lui ad avere bisogno di me” a semplici “battute” e accettato, di fatto, di voltare pagina nonostante nei giorni scorsi fosse stato descritto come fuori di sé per la mancanza di rispetto. “Non è certo una battuta irriverente o sgradevole che mi preoccupa”, ha detto oggi. “Per fortuna ho senso dell’ironia e a queste affermazioni so rispondere a tono, come nella telefonata che abbiamo avuto ieri”. Quindi, ha annunciato quello è che l’ultimo e unico spiraglio di trattativa: domani 29 giugno consegnerà a Beppe Grillo e poi a Vito Crimi il suo progetto di riforma dello statuto del Movimento e chiederà che sia votato al più presto dagli iscritti M5s. “Alla comunità Cinque stelle chiedo di non rimanere spettatrice passiva di questo processo, chiedo di partecipare a una valutazione sincera di questa proposta di Statuto e di esprimersi con un voto. Non mi accontenterò di una risicata maggioranza, mi metto in discussione”.
La strada è ancora quella del dialogo, ma ora la parola spetta a Grillo: solo il garante può decidere se si va avanti e si archiviano le divergenze o se le distanze sono insormontabili. Nel frattempo Conte ha detto di non aver in mente soluzioni alternative. “Chi mi conosce sa che non ho doppie agende. Se lavoro anima e corpo a un progetto lo faccio con trasparenza. Nel cassetto non ho un piano B“, ha assicurato. In realtà sono in tanti a pensarci in queste ore: se il compromesso tra i leader fosse impossibile, una parte consistente dei parlamentari (e non solo M5s) si aspetta che l’ex premier scelga di fondare un suo progetto politico. Ipotesi che al momento Conte ha escluso categoricamente. E se la sua offerta non sarà accettata? “Valuterò cosa fare”. Ma le sue condizioni, questo lo ha dichiarato, restano imprescindibili per restare a lavorare con il Movimento: “Io ho parlato con tutti, sono passati quattro mesi, la comunità M5s ormai non ce la fa più, è sfibrata, dobbiamo mettere un punto fermo“.
Ora, dopo che i 5 stelle hanno atteso per ore le parole di Conte, l’attesa è per la reazione di Beppe Grillo. Secondo Luigi Di Maio, tra i mediatori più attivi delle ultime ore, l’intesa non è impossibile: “Stiamo remando tutti nella stessa direzione, il MoVimento è pronto ad evolversi, coraggio. Confido nell’intesa. Dialogo e confronto sono fondamentali, siamo una forza matura, dotata di buon senso, visione e concretezza”. Così anche secondo Roberto Fico: “Sta accadendo che stiamo lavorando a una riorganizzazione del Movimento, una delle tante fasi che sta vivendo e ha vissuto”, ha detto a “In Onda” su La7. “Un ulteriore passo e andremo avanti e saremo più forti di prima. Non esistono ultimatum, ma un lavoro che si sta facendo, un dibattito pubblico, non vedo problemi”.
“Le diversità di vedute con Beppe” - La cornice scelta da Conte per parlare (il Tempio di Adriano a Roma) è la stessa dove Luigi Di Maio, un anno e mezzo fa, annunciò le sue dimissioni da capo politico. E da quel momento i 5 stelle ancora non sono riusciti a portare a termine la successione. L’ex premier ha esordito spiegando il perché la decisione di convocare una conferenza stampa e non presentarsi come prima cosa davanti ai parlamentari. “Ho sempre ispirato la mia azione politica a criteri di trasparenza”, ha detto, “spiegare in modo chiaro e franco le situazioni credo sia la premessa fondamentale per aumentare il vincolo di fiducia tra politici e cittadini”. Quindi ha iniziato ripercorrendo le tappe delle ultime settimane e spiegando cosa, secondo lui, è andato storto nel percorso intrapreso con Grillo. “Sono emerse diversità di vedute su alcuni aspetti fondamentali”, ha detto. “E’ emerso un equivoco di fondo: io credo che non abbia senso imbiancare una casa che ha bisogno di profonde ristrutturazioni. Beppe mi è sembrato ritenere che vada bene così com’è, salvo alcuni moderati aggiustamenti. Ma io non mi sarei mai prestato a un’operazione di facciata, di puro restyling. Al Movimento servono forti cambiamenti”. Ma la strada delle piccole modifiche, per Conte, non è accettabile: “Io non posso assumere una decisione solo con il cuore se la mia testa mi suggerisce che il percorso è sbagliato. Non posso prestarmi ad un’operazione in cui non credo”, ha detto. “Questa mia franchezza non nasconde arroganza, è dovuta all’affetto per il M5s. La mia posizione nasce da un ragionamento secondo cui, dopo la fase di crescita del Movimento, oggi rischiamo di entrare in una fase di declino se non rilanciamo in modo nuovo la forza” dei 5 stelle.
Il nodo cruciale, lo ha riconosciuto lo stesso Conte, è la gestione della leadership e la diarchia obbligata che si creerebbe se il garante non fosse pronto a fare un passo indietro. “Una forza politica che ambisce a guidare il Paese”, ha detto, “non può affidarsi a una leadership dimezzata. Sono stato descritto spesso come uomo delle mediazioni, ma su questo aspetto non possono esservi mediazioni, serve una leadership forte e solida, una diarchia non può essere funzionale, non ci può essere un leader ombra affiancato da un prestanome e in ogni caso non potrei essere io”. Un attacco molto netto alle richieste di Grillo che invece insiste nel chiedere che il ruolo di garante venga preservato e che possa avere l’ultima parola in qualsiasi circostanza. Ma quindi, è stata la domanda dei giornalisti, “i leader fin qui succedutisi sono prestanome?”. “Io non l’ho mai detto”, ha ribattuto Conte. “Luigi Di Maio ha fatto benissimo. Il problema è che se si definisce oggi un impegno bisogna avere una distinzione di ruolo e funzioni”.
La proposta di riforma del M5s - Conte ha anche chiarito come ha portato avanti il processo di riforma negli ultimi quattro mesi. Ed è partito dal 4 febbraio scorso, giorno dell’addio a Palazzo Chigi e giorno in cui si rivolse proprio ai 5 stelle: “Quando dissi agli amici del M5s ‘io ci sono e i ci sarò’. Confesso che non avevo un’idea di impegno preciso”, ha detto. “Fu una frase di affetto e riconoscenza per la lealtà e la reciproca fiducia tra noi. Pochi giorni dopo Beppe Grillo mi chiese di entrare nel Movimento. Poi mi invitò al Forum, dove rifiutai di entrare nel M5s ritenendo che una mia investitura a freddo fosse un’operazione del tutto inadeguata“. A questo proposito, “il confronto all’Hotel Forum con Grillo fu molto schietto. Ho elencato alcune carenze, ambiguità che impediscono le grandi potenzialità di questa forza politica che potrebbero dispiegarsi appieno. Ho illustrato una serie di innovazioni secondo me indispensabili”.
Dall’incontro all’Hotel Forum, il 28 febbraio scorso, “ci siamo lasciati con il mio impegno a elaborare un progetto di riforma del M5s, che una volta condiviso ci avrebbe fatto partire con il piede giusto. Ho iniziato quindi a lavorare ad una sfida complessa, ma anche stimolante. In questi quattro mesi ho studiato tanto, ho studiato gli Statuti del M5s, ho ascoltato suggerimenti di parlamentari, sindaci e singoli iscritti”. E, la conclusione di Conte è che i 5 stelle hanno bisogno di “un campo largo”. Ovvero guardare al centrosinistra e quelle forze che hanno sostenuto il governo Conte 2. “Dobbiamo lavorare nel rispetto delle reciproche autonomie con tutte le forze che fin qui si sono mostrate concretamente sensibili al nostro slancio innovatore. Questo è il momento in cui l’intera comunità 5 Stelle deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Il mio l’ho fatto“.
I documenti e il ruolo di leader politico - L’ultima possibilità di mediazione ora, sarà sui documenti. “Ho avuto un fittissimo scambio di mail con Grillo, ho accolto un buon numero delle sue osservazioni“, ha riferito Conte. “Le altre non possono accoglierle, perché alterano questo disegno e creano confusione di ruoli e di funzioni. Domani mattina consegnerò i documenti frutto del mio lavoro dapprima a Grillo e poi a Crimi chiedendo che siano diffusi alla comunità. Sono condizioni imprescindibili del mio impegno“.
Resta da capire ora che ruolo avrà il fondatore M5s in questa nuova visione: “Beppe sa bene che ho avuto e avrò sempre rispetto per lui. Per lui c’è e ci sarà sempre il ruolo di Garante, ma ci sarà distinzione tra la filiera di garanzia e la filiera degli organi di politica attiva al cui vertice ci deve essere il leader politico e la filiera di controllo”. E la sintesi politica, ha aggiunto “spetta al leader politico”. Questo leader, nello statuto elaborato da Conte, “ha una scadenza. Poi il leader politico risente anche delle contingenze politiche, se ci sono cose che non vanno diventa automaticamente contendibile“. Quindi “c’è una scadenza naturale del leader politico, se si perdono le elezioni è difficile che un leader abbia voglia di rimanere a dispetto dei risultati. Il garante aveva prima e ha adesso la possibilità di sfiduciare il leader sottoponendo al vaglio assembleare”. Ma non solo. Conte ha anche aggiunto che il leader M5s “deve poter avere il pieno controllo della comunicazione“. Proprio questo era uno dei nodi su cui Grillo non voleva sentire ragioni e sul quale nelle scorse ore i due, stando alle ricostruzioni, avrebbero trovato un accordo.
A proposito poi dell’ipotesi di inserire uno scudo legale per il garante nello statuto, Conte ha replicato: “Non c’era prima e non c’è adesso. Ma io non voglio pregiudicare in alcun modo la figura del Garante”. Poco invece ha detto l’ex premier, rispondendo a una delle domande, su uno dei casus belli delle scorse settimane: la decisione di non accompagnare Beppe Grillo dall’ambasciatore cinese. “Ho avuto un impegno familiare”, si è limitato a rispondere Conte.
L’ex premier si è quindi rivolto nuovamente al garante, dicendo che non gli basta “la fiducia di Grillo”, ma “confido nel vero, sano entusiasmo di Grillo in questo progetto“. E ha aggiunto: “Certo che ci confronteremo, anche ieri abbiamo avuto un lunghissimo scambio e continueremo ad averlo indipendentemente dalle decisioni che verranno prese”. Quindi, proprio come aveva iniziato, ha chiuso evitando lo scontro personale: “Conserverò il sorriso comunque andranno le cose con gli amici del M5s e con Grillo. Io se ho detto che auspico un coinvolgimento di tutta la comunità incluso Grillo - e penso che Beppe ci ascolti - io credo e sono convinto che Grillo resti un perno di questo soggetto, a dispetto che si voti o no sulla mia proposta”.
La festa del 2 giugno
La democrazia a un bivio
di Guido Crainz (la Repubblica, 01.06.2018)
Mai come quest’anno il 2 giugno ci costringe a interrogarci sul nostro essere nazione e sulla tenuta della nostra democrazia, ed è difficile sfuggire alla sensazione di essere di fronte a un bivio. Mai infatti, neanche nelle fasi più aspre, questa data ha cessato di essere la festa di tutti gli italiani: il momento in cui ribadiscono i fondamenti culturali, politici e civili del proprio vivere collettivo. Mai qualcuno aveva pensato di utilizzare il 2 giugno per contestare le nostre regole costituzionali. Mai, neanche per un attimo, era stata proposto di lacerare questa giornata con una manifestazione di parte volta a colpire proprio quelle regole, assieme alla figura istituzionale che ne è garante ( e il vulnus resta, anche se la miserevole proposta è crollata grazie alla alta e necessaria fermezza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella).
Non avvenne neppure nel clima teso della Guerra fredda, nonostante le profonde divisioni e contrapposizioni di allora. E non avvenne negli anni cupi della strategia della tensione e del terrorismo degli anni Settanta: la centralità del 2 giugno verrà appannata semmai dalla smemoratezza degli anni Ottanta, nel prolungarsi dell’abolizione della festività decisa nel 1977 (discutibile conseguenza di esigenze di “austerità”).
Quell’appannarsi era in realtà il sintomo dell’indebolimento civile del Paese, malamente mascherato dalle euforie di quel decennio, e alla vigilia del crollo della “ prima Repubblica” Giorgio Bocca evocava a contrasto, su queste pagine, l’Italia uscita dalla guerra: eravamo divisi in fazioni, scriveva, in un Paese distrutto, eppure «uniti nel vivere, liberali, cattolici, monarchici, comunisti, padroni, operai, tutti certi di essere padroni del nostro destino. Ma questa voglia di avere un’identità, di essere noi, sembra esserci uscita dal corpo. Che Paese siamo? Che cosa significa essere italiani? » . In quella crisi il valore centrale del 2 giugno sembrò offuscarsi ancora e la sua decisa riaffermazione fu parte integrante della pedagogia civile avviata con forza dal presidente Ciampi e proseguita dai suoi successori.
Fu parte integrante del loro impegno a rifondare il “ patriottismo repubblicano” nella coscienza collettiva, collocandolo nella più ampia appartenenza europea e rafforzandone al tempo stesso i momenti simbolici e le date fondative. In primo luogo, appunto, la festa del 2 giugno, ripristinata da Ciampi nella sua interezza e accompagnata da una parata che poneva ora al centro l’impegno dell’esercito nelle calamità civili e nelle missioni di pace. Ciampi stesso ha ricordato: andai a quella prima, rinnovata sfilata «in una vettura scoperta, con al fianco il ministro della Difesa, Sergio Mattarella. Eravamo circondati da una folla festosa che mi diceva di andare avanti, mi ringraziava, era contenta » . Quella ispirazione è andata via via arricchendosi e sono ancora vive le immagini di un anno fa, con la folta presenza di sindaci e con quell’enorme tricolore che calava sul Colosseo.
È forte dunque la sensazione di essere oggi di fronte a una possibile, inquietante divaricazione, e nei giorni scorsi lo abbiamo compreso in maniera traumatica: in essi infatti il fantasma del populismo è uscito definitivamente dal limbo delle definizioni astratte o da territori ancora lontani. È diventato forza corposa e devastante, con la lacerante contrapposizione fra una “ sovranità del popolo” arbitrariamente interpretata e le istituzioni che la fanno realmente vivere, svilite e calpestate assieme alle loro regole. Questo abbiamo vissuto e viviamo, e quelle lontane parole di Giorgio Bocca sembrano di nuovo drammaticamente attuali.
FILOSOFIA, FILOLOGIA, E TEOLOGIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO ... *
Il Colle ha fallito? Dipende da noi
«Il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male (Simone Weil)»
di Roberta de Monticelli (Il Fatto, 01.06.2018)
Un filosofo è come il matto di corte, lo si può lasciar parlare. C’è chi vuole far processare per alto tradimento il presidente della Repubblica e chi lancia hashtag in suo sostegno. Ci sono giuristi pronti ad affermare che non ha fatto che il suo dovere (Flick) e altri radicalmente critici (Villone e Carlassare), come ce ne sono di molto perplessi (Onida). Ci sono commentatori che in mancanza d’altre idee attribuiscono lo sconquasso al “circo mediatico giudiziario” che ci avrebbe per troppo anni lavato il cervello facendoci credere che in Italia corruzione e impunità siano maggiori che altrove (Panebianco) - ma non vedono che il lavaggio non è bastato, visto che nessuno (neppure il capo dello Stato) s’è fatto un baffo della circostanza che il candidato ministro dell’Economia da ex presidente dell’Impregilo era incorso in inchieste giudiziarie ben motivate dalle intercettazioni, che gli avrebbero sbarrato in ogni altro Paese civile la porta di quel ministero.
C’è chi sostiene con assoluta convinzione che il gesto del Presidente ha salvato la democrazia assediata dai populismi e chi con convinzione altrettanto assoluta sostiene che ha soffocato la domanda democratica di cambiamento, per asservire lo Stato alla tecno-plutocrazia europea, o peggio al diktat tedesco. Nota a margine: non si percepisce traccia di simili congiure e diktat da quassù - il regno del fool è il vuoto celeste, dove le linee aeree franco-canadesi forniscono una massa di giornali nelle principali lingue europee, e neppure un angolino contiene un commento su queste indebite pressioni, nonostante i titoli ridondino di “crisi istituzionale in Italia” e “l’Italia mette a processo l’Europa”.
Ed ecco lo sragionamento del fool, per chi volesse conoscerlo. Che il gesto del presidente della Repubblica sia o non sia stato un tragico errore, dipende da noi. Nel senso che non sarà stato un errore, e forse sarà stato invece uno di quegli attimi che le generazioni future ricorderanno con ammirata gratitudine, solo se d’ora in poi gli uomini e le donne di buona volontà non si daranno tregua a costruire in due mesi la Parte della Speranza Progressista e Civile, per farla trovare pronta alle elezioni, con a capo i migliori cavalieri delle buone cause sconfitte nell’ultimo quinquennio...
Quanti ce ne sono, e come saranno bravi se somigliano alle idee per cui furono silenziati, in materia di anticorruzione e legalità, di taglio alla spesa, di politica industriale e del lavoro, di lotta alla disuguaglianza, allo scempio dell’ambiente e del paesaggio, di vera politica della scuola, dell’università e della ricerca.
Non contro ma verso gli Stati Uniti d’Europa. Il programma di questa Parte? Sarà buono se si procederà con infinita attenzione ai veri tagli. “Il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male” (Simone Weil).
È questo il taglio sottile da operare, o il groviglio da dirimere. Guardate se non torna, lo sragionamento. Tutto il male che ci circonda viene da questo groviglio! Vorresti difendere, certo, la bandiera italiana dal disprezzo di chi ci tratta da gente che non sa stare ai patti, ma poi guardi quelli che la levano ora sulla piazza e ti accorgi che è sporca, lordata dall’uso che ne fece il demagogo lombardo predecessore dell’attuale. Vorresti accorrere, certo, a difesa della Repubblica e del suo presidente, allinearti a quei poveri corazzieri in alta uniforme, ma ti si stringe il cuore solo a guardarli, tanto svilita è l’idea che difendono, che solo il ricordo di quell’adunata di ceffi e mammole che presiedettero all’elezione del precedente presidente al suo secondo mandato ti riempie di vergogna, come quello delle innumerevoli forzature di un governo che da incostituzionalmente eletto si fa costituente senza averlo mai avuto in alcun programma. Vorresti ripetere anche tu, lo stesso, “sto col presidente”, perché dall’altra parte c’è la prepotenza di chi “se ne frega” di qualunque vincolo etico e giuridico in nome di folle senza volto, di chi addirittura non si vergogna a ripetere “chi si ferma è perduto”. E ti accorgi che il solo sostegno al governo del presidente verrà dai responsabili di tutte quelle forzature che hanno svilito l’uniforme dei miei corazzieri, e anche dal ghigno trionfale di un signore politicamente appena riabilitato, ancora prima che si sia quietato l’effetto di rivolta emetica indotto dalle immagini di Sorrentino in Loro 1 e Loro 2...
Il fool nella sua follia si rivolge anche a molti elettori Cinque Stelle: avete lottato - lo so perché ero con voi - per preservare un po’ di bellezza dove interessi biechi la sconciavano. Ma la bellezza non è un valore, è il nome di tutti i valori, compresa la (pari) dignità di tutte le persone. Come potete ora sostenere anche la bruttezza di parole e gesta di chi la nega? Non sta lì il primo nefasto miscuglio?
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Sul tema, nel sito, si cfr.:
MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
Federico La Sala
Stimatissimi cittadini-magistrati
"Nella democrazia - come già scriveva Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).
Tempo fa una ragazza, a cui da poco era morta la madre e altrettanto da poco cominciava ad affermarsi il partito denominato "Forza Italia", discutendo con le sue amiche e i suoi amici, disse: "Prima potevo gridare "forza Italia" e ne ero felice. Ora non più, e non solo perché è morta mia madre e sono spesso triste. Non posso gridarlo più, perché quando sto per farlo la gola mi si stringe - la mia coscienza subito la blocca e ricaccia indietro tutto. Sono stata derubata: il mio grido per tutti gli italiani e per tutte le italiane è diventato il grido per un solo uomo e per un solo partito. No, non è possibile, non può essere. E’ una tragedia!". Un signore poco distante, che aveva ascoltato le parole della ragazza, si fece più vicino al gruppo e disse alla ragazza: "Eh, sì, purtroppo siamo alla fine, hanno rubato l’anima, il nome della Nazionale e della Patria. E noi, cittadini e cittadine, abbiamo lasciato fare: non solo un vilipendio, ma un furto - il furto dell’anima di tutti e di tutte. Nessuno ha parlato, nessuno. Nemmeno la Magistratura!".
Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la coscienza di essere tutti e tutte - non più figli e figlie della preistorica alleanza della lupa (o della vecchia alleanza del solo ’Abramo’ o della sola ’Maria’) - figli e figlie della nuova alleanza di uomini liberi (’Giuseppe’) e donne libere (’Maria’), re e regine, cittadine-sovrane e cittadini-sovrani di una repubblica democratica.
Bene avete fatto, con la Vs. Lettera aperta ai cittadini, a rendere pubbliche le vostre preoccupazioni e a dire e a ridire che la giustizia non è materia esclusiva dei magistrati e degli addetti ai lavori, ma un bene di tutti e di tutte, e che tutti i cittadini e tutte le cittadine sono uguali davanti alla legge. E altrettanto bene, e meglio (se permettete), ha fatto il Procuratore Generale di Milano Borrelli, già all’inizio (e non solo alla fine) del suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha detto: "porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, alle loro maestà i cittadini, come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata"; e, poco oltre, riferendosi specificamente alle "difficoltà che la giustizia minorile incontra", ha denunciato che "il denominatore comune - generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti - è rappresentato dalle carenze di un’autentica cultura dell’infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall’incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall’ideologia di un’identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell’avere piuttosto che nell’essere". Da cittadino-magistrato non ha fatto altro che dire e fare la stessa cosa che don Lorenzo Milani, il cittadino-prete mandato in esilio a Barbiana, in tempi di sonnambulismo già diffuso (1965): suonare la campana a martello, svegliare - praticare la tecnica dell’amore costruttivo per la legge e, ricondandoci di chi siamo e della parte di corona che ancora abbiamo in testa, avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani....
Federico La Sala
La pentola scoperchiata
di BARBARA SPINELLI *
La cosa più difficile, dopo il gran botto delle elezioni, è districare il groviglio di luoghi comuni, frasi fatte, formule-slogan che ci accompagnano da mesi e anni. La parola populismo innanzitutto.
Ovvero quest’accusa lanciata disordinatamente contro chiunque abbia l’ardire di accusare i politici regnanti e le loro vaste provinciali inadeguatezze. Ma anche vocaboli come sacrifici, austerità: presentati come nobili porte strette che ci avrebbero restituito prestigio europeo, e che dovevamo alle generazioni future. Infine il concetto-chiave: governabilità. Parola un po’ irrisoria, quando il termine oggi preferito non è governo ma l’inafferrabile governance tecnica. Si sono accartocciate come foglie, queste frasi fatte, trascinate da un vento che non sappiamo dove andrà ma sappiamo da dove viene, sempre che si voglia reimparare non solo la politica, ma anche la geografia di un’Italia così poco perlustrata, e compresa.
Ilvo Diamanti ha detto una delle cose più sensate, constatando lunedì lo straordinario successo di Grillo e la non meno portentosa ripresa di Berlusconi. Ha detto, quasi smarrito: "Non sappiano quale sarà la prossima storia d’Italia". È uno smarrimento salutare: sospende il giudizio davanti al monumentale evento. Comunque non lo interpreta ricorrendo ai luoghi comuni su cui tanta parte della politica, della stampa, della Tv, da tempo sono adagiati.
È vero: c’è del populismo in Grillo come in Berlusconi. C’è l’antico ribrezzo provato dalla democrazia sostanziale (il paese reale) verso la democrazia formale, rappresentativa (il paese legale). Se però l’avanzata di Grillo e la rivolta fiscale berlusconiana fossero un vento solo distruttivo, la storia sarebbe prevedibile. Non lo è affatto invece. Anche se dissimili, i populismi non sono oggi solo furia e raptus.
Altro s’intuisce, specie nel voto a Grillo. C’è il desiderio del popolo di farsi cittadino, anziché massa informe, zittita, spostabile. E c’è una vera e propria esplosione partecipativa: non un fuoriuscire dalle istituzioni pubbliche, come in Forza Italia o Lega, ma una presa di parola. Qualcosa di simile all’Azione popolare che Salvatore Settis chiede ai "cittadini per il bene comune", al loro spirito comunitario. Il cittadino dipinto da Grillo non intende annientare lo Stato: "si fa Stato", vuol essere ascoltato, contare. Diffida di un patto con le generazioni future che "salti" quella presente.
Non fu Monti a dire, senza arrossire, che esisteva una generazione perduta di 30-40enni? Citiamo quel che disse al Corriere il 27 luglio 2012: "Esiste un aspetto di ’generazione perduta’, purtroppo. Si può cercare di ridurre al minimo i danni, di trovare formule compensative di appoggio, ma più che attenuare il fenomeno con parole buone, credo che chi (...) partecipa alle decisioni pubbliche debba guardare alla crudezza di questo fenomeno e dire: facciamo il possibile per limitare i danni alla generazione perduta, ma soprattutto impegniamoci seriamente a non ripetere gli errori del passato, a non crearne altre, di ’generazioni perdute’". Non facile, per tale generazione, votare senza far deflagrare questa disinvoltura.
Viene poi l’austerità: la condanna di gran parte dei votanti è detta irresponsabile, come se le elezioni fossero una tavola rotonda fra massimi esperti e massime dottrine. Ma un paese deciso a prender la parola non disquisisce calmo: ne va della sua pelle. Qui è l’aspetto più sconvolgente del voto, a mio parere. È l’abissale ignoranza di quel che bolliva nei nostri sottofondi: non da mesi, ma dall’inizio della crisi e forse prima. Le prime iniziative civiche nascono negli anni ’90, così come i Verdi tedeschi son figli di Iniziative cittadine (Bürgerinitiativen) che negli anni ’70 immaginarono un altro sviluppo economico, un vivere più austero, e nuovi diritti civili (comunità familiari, unioni analoghe ai matrimoni, anche omosessuali).
Il sottosuolo italiano era ignoto a quasi ogni partito, e la lotta elettorale non sarà dimenticata: chi è andato a parlare al Sulcis o a Taranto, chi ha scandagliato la Sicilia città dopo città, come i comunisti d’un tempo, se non Grillo? Gridava slogan, ma era lì dove si soffriva, l’occhio fisso sulla crisi. Grillo non nega il baratro, a differenza di Berlusconi. Guarda in faccia le paure annunciando guerre, ma il legame crisi-guerra è innegabile. Non solo. È stato l’unico a dire l’acre verità, per noi e i paesi industrializzati: "Saremo tutti più poveri, forse, ma almeno saremo più solidali". All’Economist ha confidato: "Il mio movimento è un antidetonante: regola la paura". Difficile confutare il suo presagio: senza M5S, l’ira popolare secernerebbe un’Alba Dorata greca o il dispotismo ungherese di Orbán.
Si è parlato più volte del New Deal di Roosevelt, per vincere una crisi che ricorda il ’29. Nulla di analogo viene proposto, né dai governi né dall’Europa, che se solo lo volesse potrebbe lanciare un piano simile. Vorremmo ricordare tuttavia che il New Deal non costruì solo strade, ponti, scuole, università. Roosevelt era convinto che il governo dell’economia aveva fallito, cedendo ai mercati, per un’altra ragione, non contabile ma culturale: l’immane continente americano era ignoto, oscurato da stampa, libri e cinema. Il gran pentolone andava scoperchiato: primo perché chi vive nel cono d’ombra - se visto - si sente riconosciuto, riconquista dignità; secondo perché i governanti correggono i mali solo se li discernono.
Nacque così negli anni ’30 il WPA (Work Progress Administration), finanziato dal pubblico e incaricato di esplorare i recessi dell’America. Senza quel programma non avremmo avuto Il Furore di Steinbeck; le emissioni radio e le messinscene teatrali di Orson Welles (fra il ’36 e il ’37); le musiche popolari raccolte in tutta America da Nicholas Ray; i documentari e fotoreportage sul continente invisibile. Venne poi il Living Newspaper: i fatti del presente venivano inscenati in teatri molto popolari, promuovendo la partecipazione sociale (senza remore ideologiche si imitò il teatro-agitprop sovietico).
C’è chi parla di macerie: tale sarebbe l’Italia dopo il voto. Ma anche questo è luogo comune. Le macerie già c’erano, affastellate da partiti chiusi nei recinti e da regioni (la Lombardia, non esclusivamente la Sicilia) prive di senso dello Stato da un secolo e più. In tutta la campagna, Bersani non ha trovato un solo progetto forte, che oltrepassasse la propria cerchia e si mettesse in ascolto di rivolte e paure. Tanto temeva il populismo che ha sottostimato la rivolta contro le tasse, quasi non sapesse che pagare un’Imu altissima in piena crisi era impossibile a persone con una casa, ma senza soldi. Ha minacciato di tassare i patrimoni superiori a 1,3 milioni, impaurendo le classi medie più che i veri ricchi. Vuol vietare i pagamenti in contante oltre i 300 euro, e ironizza sulla "storiella delle vecchiette" senza carta di credito. Tutt’altro che storiella in un paese vecchio, non abituato alla credit card. Non sono certo lì gli evasori.
L’ignoranza del paese ha distrutto partiti-padroni, e tutto diventa davvero imprevedibile. Ma l’imprevedibilità può essere anche un’enorme occasione: incita a cambiamenti sociali profondi. I progetti alternativi ai dogmi dell’austerità possono sortire effetti negativi: tanti lo temono, insieme al governo tedesco. Ma anche l’anticipazione di effetti perversi può fallire. Se ci precludessimo ogni sperimentazione saremmo paralizzati, prede di ricette che già annientano la Grecia. Nella vita individuale come in quella collettiva vale la pena buttarsi nell’ignoto, riconoscere che certe cure sono mortali. In Italia vale la pena tentare alleanze inedite (l’accordo prospettato da M5S sulle idee: conflitto d’interessi, corruzione, costi della politica), perché solo osando e provando tramuteremo la crisi in una trasformazione. E non è una trasformazione, ciò cui aspiriamo?
* la Repubblica, 27 febbraio 2013
Boom Cinque Stelle, il Senato bloccato
Il vero vincitore è Grillo: niente inciuci *
Il leader: “Siamo il primo partito, Bersani e Berlusconi sono falliti”
Torino. È Beppe Grillo il vincitore delle elezioni 2013. Il suo Movimento 5 Stelle vola, sfonda la soglia del 20% ritenuta impensabile fino a qualche mese fa e fa tremare i partiti. Il Pd, se vuole governare senza allearsi con il Pdl, dovrà necessariamente trovare un accordo con i parlamentari a cinque stelle.
Lui, Grillo, nel giorno della vittoria comunica soltanto attraverso la rete («L’onestà sarà di moda», ritwitta non appena vengono diffusi i primi risultati più che incoraggianti per il M5S). Ma la linea è quella della prudenza. Attendere che i dati siano ufficiali perché, lasciano trapelare dallo staff, «ci saranno delle sorprese». Nel quartier generale a cinque stelle, in un albergo nei pressi di piazza San Giovanni a Roma, i commenti vengono infatti rinviati a «quando i dati saranno certi». Così come avviene per le decisioni di natura politica. Nessun azzardo. Appoggiare una coalizione o un’altra per il governo? Decidere quali presidenti votare per Camere e Senato? «Prima ci conteremo, ci riuniremo, ascolteremo la base poi decideremo che fare», spiegano i futuri parlamentari a cinque stelle.
In serata Beppe rompe il silenzio: «Saremo una forza straordinaria. Faremo tutto ciò che abbiamo detto: il reddito di cittadinanza, nessuno indietro. Saremo 110 dentro e qualche milione fuori. Bersani e Berlusconi? Sono dei falliti». E le alleanze? «Intanto entriamo in Parlamento e ci perfezioniamo. E non pensino di fare inciucetti, inciucini. Faremo tutto quello che abbiamo promesso in campagna elettorale: reddito di cittadinanza, nessuno deve rimanere indietro. Abbiamo iniziato a cambiare le parole». La soddisfazione è grande: «Abbiamo raggiunto un risultato eccezionale. Siamo il primo partito in assoluto e questo in solo tre anni e qualche mese. Aspettateci in Parlamento, sarà un vero piacere osservarvi. Mi chiedo dove ci collocheranno, spero che dietro ognuno di voi ci sia uno di noi».
Grillo pesca a destra e a sinistra, dallla Sicilia alle regioni del Nord. L’ormai ex comico se ne sta barricato nella sua villa di Sant’Ilario da questa mattina intorno alle 11 quando era uscito a piedi con la moglie e un figlio per recarsi a votare nel vicino seggio allestito presso l’Istituto agrario Marsano. In Sicilia e Sardegna i Cinque Stelle incassano quasi il 30% delle preferenze. I dati (parziali) raccontano che i grillini navigano attorno al 25% in Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Abruzzo. Solo in Lombardia Grillo non raggiunge il 20%. A Venaus, comune della Valle di Susa divenuto nel 2005 simbolo della lotta contro la Tav Torino-Lione, il Movimento 5 stelle ha ottenuto il 46,9% al Senato, pari a 278 preferenze su 609 votanti. E anche a Bussoleno Grillo conquista la maggioranza dei consensi dei 3524 elettori, ottenendo il 44,48% dei voti.
Sorridenti ed emozionati, vestiti casual (in maglione o con una camicetta), ma soprattutto giovanissimi: Alessandro Di Battista, Marta Grande (probabilmente la più giovane parlamentare con i suoi 25 anni), l’ormai “esperto” Davide Barillari e Domenico Falconieri sono il volto del MoVimento subito dopo le prime proiezioni. Si tratta di tre neo parlamentari in pectore e del candidato presidente alla Regione Lazio. Si vede che non sono abituati alle luci delle telecamere ed ai flash ma sanno rispondere alle provocazioni: «Inesperienza? Ci sono pro e contro, ma se ce l’ha fatta Scilipoti...», replicano lasciando trapelare un po’ di nervosismo.
Ma è il giorno della vittoria. Si festeggia soprattutto sul web. Su twitter esplode la gioia grillina. La “Cosa”, la web tv a cinque stelle, trasmette in streaming da tutta Italia: telefonate, commenti. È la festa di M5S. Interviene anche Dario Fo, il premio Nobel che si è speso apertamente al fianco di Grillo: «Questa è una straordinaria vittoria dei giovani. Pulizia e giovinezza stanno vincendo!», esulta in collegamento telefonico. Poi unisce una riflessione di natura politica: «Il M5S ha imparato ad ascoltare qualcosa pure dai vecchi - spiega - Abbiamo bisogno di cambiare tutto. Ora si rischia una legislatura breve ma intanto bisogna reinventare il modo di stare nelle istituzioni».
È questa la preoccupazione principale degli analisti politici. Che cosa succederà ora? Cosa farà il Movimento? La risposta dei militanti è ferma: siamo pronti ad appoggiare le proposte che riterremo valide. Difficile però capire se siamo pronti ad un sostegno, seppur esterno, a qualsiasi tipo di formazione.
Dialogo con Berlusconi? «È molto difficile che Berlusconi proponga idee utili per la collettività. Non è mai successo finora ma se accade un miracolo, ascolteremo la rete», risponde Alessandro Di Battista, che bacchetta anche il Pd che «quando doveva proporre una legge sul conflitto d’interesse non l’ha fatto» ma ora «non ha più scuse» se intende proporre leggi valide.
Più sottile il commento di Marta Grande che replica così a chi gli chiede se il M5S abbia rubato voti al Pd: «Non abbiamo tolto voti a nessuno - sottolinea - Sono loro che li hanno persi». E se si tornasse al voto? «Alle prossime elezioni, non sappiamo quando, saremo la maggioranza assoluta del Paese».
* La Stampa, 25/02/2013
Il dovere di scelte coraggiose
di Mario Calabresi (La Stampa, 26/02/2013)
Nelle prime elezioni sotto la neve sono venuti al pettine i nodi che la politica non ha sciolto negli ultimi vent’anni: il rapporto con i cittadini prima di tutto, quel senso di incomunicabilità che ha portato a esprimere una protesta che non ha precedenti.
Ora abbiamo un Parlamento in cui nessuno schieramento è in grado di dare vita a una maggioranza di governo, in cui un quarto dei votanti ha scelto il Movimento di Beppe Grillo e in cui la doppia ribellione dei cittadini verso la «casta» da un lato e verso i tagli e i sacrifici dall’altro è la vera vincitrice.
L’Italia reale ha espresso tutto il suo malessere e dentro questo voto si sentono le voci e le storie di chi non trova lavoro, di chi non riesce ad arrivare alla pensione o alla fine del mese, di chi pensa di non avere futuro e fugge all’estero, di chi ha vissuto le nuove tasse come un’insopportabile angheria.
C’è stata nel governo e nei partiti, ce lo dicono le urne, una sottovalutazione dell’impatto sociale delle politiche di austerità, una mancanza di sensibilità drammatica. A cui si deve sommare la rabbia maturata per la distanza percepita tra i sacrifici richiesti ai cittadini e quelli rifiutati dai politici.
La scelta di Monti di partecipare alla campagna elettorale e l’offensiva dei due partiti maggiori contro le politiche del suo governo hanno anche impedito di dare un senso ai sacrifici, di valorizzarli come passo fondamentale verso la ripresa dell’Italia. Sulla pelle sono rimasti solo tagli che hanno perso via via senso, in un coro sguaiato di promesse impossibili. Così il nostro ancoraggio all’Europa, il recupero di credibilità, la possibilità di far sentire la propria voce ai tavoli internazionali sono stati dimenticati in fretta. Eppure, non illudiamoci, solo grazie a queste conquiste siamo stati messi al riparo dal disastro e da oggi torniamo a rappresentare un pericolo e un segnale di allarme e instabilità per tutti.
Di fronte al malessere del Paese Beppe Grillo è stato capace di parlare un linguaggio eccessivo ma immaginifico che ha raccolto e dato cittadinanza ad ogni tipo di protesta e di rabbia, mentre Berlusconi, come avevano intuito per tempo su queste pagine Luca Ricolfi e Michele Brambilla, è stato il più abile ad intercettare la rivolta contro le tasse e i controlli fiscali. Pier Luigi Bersani invece ha confidato troppo nel risultato delle primarie, nell’assenza dell’avversario, nella corrente che lo avrebbe portato a Palazzo Chigi senza troppa fatica. Così al Pd sono mancati un progetto ma anche un sogno capaci di scaldare i cuori degli elettori, di dare risposte forti e convincenti al malessere, di indicare una direzione per il futuro.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ci racconta un’Italia nuova, provata e spaventata dalle dinamiche nuove del mondo globale, dove il lavoro si sposta senza badare ai confini, dove sarebbe necessario rimettersi a studiare e ripensarsi ogni giorno. Ma anche un’Italia profonda che continua a mostrare diffidenza verso gli eredi del vecchio Pci, tanto da non concedergli più di un terzo dei voti.
Ora rimettere a posto i pezzi di questo sistema piombato nel caos appare impresa di difficile soluzione. Ci vorrebbero coraggio, spirito di sacrificio e saggezza, doti che scarseggiano.
A scrutinio non ancora concluso si è già sentito parlare di nuove elezioni da tenere dopo aver approvato una nuova legge elettorale, una prospettiva che appare ancora più drammatica e irreale. Per fare una legge elettorale è necessaria una maggioranza in Parlamento, quella maggioranza che non c’è stata nell’ultimo anno nonostante i numeri ci fossero e fossero abbondanti. E pensare che il presidente della Repubblica ha insistito fino all’ultimo per riformare il sistema di voto, chiedendo che fosse ristabilito un rapporto tra elettori e eletti, affinché i cittadini potessero scegliere i propri rappresentanti e non fossero chiamati solo a ratificare le scelte dei partiti, e che venisse eliminato il mostruoso premio di maggioranza della Camera. Ma la miopia di chi pensava di avere la vittoria in tasca e di chi era convinto di poter ancora lucrare una rendita di posizione hanno avuto la meglio. La stessa miopia che ha fatto gettare via ogni modifica istituzionale: così non è stato diminuito il numero dei parlamentari, si sono mantenute le province e si è data l’idea di voler salvare l’esistente con tutti i suoi privilegi.
Immaginate adesso se il primo atto di queste nuove Camere fosse accordarsi per dare vita a una nuova legge elettorale, immediato sorgerebbe il sospetto nei cittadini di trovarsi di fronte all’ultima disperata mossa del sistema dei partiti per salvare la propria esistenza. La rivolta salirebbe ancora più forte.
Abbiamo invece bisogno di passi chiari, di scelte nette e coraggiose. Si provi a vedere in Parlamento se sono possibili convergenze per dare risposte urgenti ai cittadini, senza trattative incomprensibili. Dopo il voto di ieri e domenica una cosa è certa: ogni passo politico deve essere fatto alla luce del sole e deve essere leggibile e comprensibile da parte di tutti. In Parlamento si possono e si dovranno trovare convergenze, tra i partiti tradizionali ma anche tra i nuovissimi parlamentari Cinque Stelle che ora vantano come un merito la loro inesperienza politica e il loro candore. Vanno trattati come una risorsa, non come dei nemici. Sono rappresentanti degli italiani, come tutti gli altri. La politica quand’è nobile cerca soluzioni e quand’è efficace, le trova. Non c’è più tempo per giochi oscuri. Il voto degli italiani lo ha detto chiaramente.
Il premio Nobel: non mi aspettavo un successo così
Dario Fo: Beppe vuole trattare con la sinistra il Pd deve ascoltarlo
Porteremo al potere tanti giovani preparati, che sapranno rinnovare l’Italia. Io li ho conosciuti da vicino
di Zita Dazzi (la Repubblica, 26.02.2013)
MILANO - «È una grande giornata, il segnale delle elezioni è straordinario». Il premio Nobel Dario Fo all’ora di cena è nella sua casa milanese, incollato alla televisione e non nasconde l’entusiasmo davanti ai risultati. «Il movimento Cinque stelle è il primo partito. E ora finalmente conterà in Parlamento. Potrà fare le leggi che cambieranno l’Italia e che nemmeno il Pd ha avuto il coraggio di fare quando era al Governo».
È sicuro che Grillo saprà fare buon uso dei suoi voti?
«Ma certo, lo conosco bene, io. Da anni. Porterà al potere tanti giovani preparati, che sapranno rinnovare l’Italia. Io li ho conosciuti da vicino. Non ho dato il mio voto senza informarmi. E parlando con Grillo dei suoi programmi, ho capito che solo loro possono garantire una vera rivoluzione. Non è vero che sono populisti: Berlusconi è populista. Orrendo. E bugiardo, con quelle promesse sull’Imu».
Si aspettava che i “grillini” prendessero tutti questi voti?
«A dire il vero nemmeno io mi aspettavo un successo così. Gli italiani hanno deciso di mandarli tutti a casa, questi che hanno governato per anni. Grillo e i nuovi eletti - giovani, intelligenti, preparati - sapranno trasformare l’Italia in una nazione civile».
Berlusconi sembrava spacciato e invece è tornato sulla scena. Non la preoccupa nemmeno questo?
«Certo, è sorprendente. Ma aspetto di vedere i risultati definitivi. Sarebbe grave se il suo risultato fosse confermato».
E del centrosinistra che non sfonda nemmeno dopo tutti gli scandali che hanno travolto Berlusconi, che pensa?
«Il Pd s’è ben guardato dal fare le leggi sul conflitto di interesse. Ha lasciato che Berlusconi facesse i provvedimenti ad personam che gli hanno garantito l’impunità. E questo gli elettori l’hanno capito».
Non pensa che il Paese diventerà ingovernabile?
«Affatto. Che cosa cambiava se il Pd prendeva più voti? Chi crede ancora in un partito che non ha fatto le leggi che potevano fermare Berlusconi?».
Che scenario politico vede adesso?
«Se il Pd pensa di allearsi con Monti si torna a votare. Se invece collabora con Grillo, le cose cambieranno. Cinque stelle è pronto a ragionare con la sinistra per fare le cose che gli italiani chiedono da anni».
Tipo?
«Per esempio, il taglio dell’esercito e della marina. Siamo l’unico Paese europeo che ancora spende per i cacciabombardieri, un’infamia».
E in Lombiardia? Il centrodestra è in vantaggio, rischia di diventare governatore Roberto Maroni.
«Speriamo di no. Io ho fatto il voto disgiunto per far passare Ambrosoli e sono convinto che tanti anche del movimento cinque stelle hanno fatto lo stesso ragionamento».
Elezioni 2013, così funziona il "5 Stelle"
"democrazia orizzontale" dal web al Parlamento
di TIZIANO TONIUTTI *
"IL WEB è più un’innovazione sociale che tecnica". A dirlo è Tim Berners-Lee, "padre" del World Wide Web, una delle forme della Rete come oggi la intendiamo. Una definizione sovrapponibile senza difficoltà a quella del MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. E degli oltre otto milioni di elettori che hanno segnato la loro preferenza per il primo non-partito ad entrare in maniera così massiccia in un Parlamento. E che chiedono una ridefinizione delle basi della partecipazione democratica alla vita del Paese, superando la rappresentanza offerta dai partiti, applicando i fondamentali "democrazia diretta", orizzontale e non più verticale. Intervenendo nell’attività politica delle Camere "come cittadini e non come onorevoli" attraverso la consultazione della Rete e il lavoro dei portavoce della popolazione nelle sedi istituzionali.
Come funziona. I "precedenti" che l’ingresso del Movimento 5 stelle porterà nelle istituzioni sono importanti. Anzitutto, il M5s non è un partito, e si basa su un non-statuto, pubblicato sul sito di Beppe Grillo. Ogni attività del Movimento fa comunque riferimento a questo documento, assieme al programma politico a 5 stelle. Nel non-statuto sono contenuti i fondamenti del M5s, tra cui la mancanza di una sede fisica (sostituita da una nel "cloud", il blog di Grillo). Ma oltre l’infrastruttura, che è la Rete, soprattutto si definisce la struttura di base. Che è quella costituita dalle liste civiche certificate e dai Meetup, le comunità digitali che organizzano incontri e attività sul territorio. Aperte a chiunque, è sufficiente iscriversi sul sito per essere informati su temi e attività nella propria zona. Una visione iperlocale della politica che di fatto sostituisce i circoli e le sezioni, divulgando le attività delle singole cellule a livello globale, e agendo nei perimetri dei quartieri e delle circoscrizioni. Il mito dell’Agorà digitale, la piazza telematica, o più semplicemente la Rete applicata al territorio, attraverso il web e applicazioni mobili, come quelle per la gestione dei Meetup. E come potrebbe essere tutta la politica dei prossimi anni: un’applicazione sociale, in un mondo che aggiorna le proprie applicazioni - economia, energia, lavoro, salute - quando ne sono pronte nuove versioni, come accade con gli smartphone. Una visione, che poi dovrà resistere alla prova dei fatti e alla vita quotidiana di un Paese.
Governo a 5 Stelle. Per quanto riguarda l’attività parlamentare, l’esperienza a 5 Stelle si declinerà probabilmente attraverso gli stessi canoni che hanno definito le consultazioni locali e l’elezione dei candidati, come accaduto con le "Parlamentarie". Un esperimento che ha visto i candidati a Camera e Senato pubblicare testi e video di presentazione sul web, per poi sottoporsi alle preferenze degli iscritti al Movimento. Una selezione che ha sollevato dubbi sul metodo di gestione: i candidati dovevano necessariamente aver partecipato a consultazioni amministrative precedenti, per il Movimento. Porta chiusa agli altri. Per il Parlamento, le cose potrebbero funzionare in maniera simile. Ovvero con l’iscrizione dei cittadini interessati ad esprimere la propria posizione al sito del Movimento, su cui presumibilmente verranno aperti spazi di informazione proposta e discussione su quanto avviene in Parlamento. Attraverso questa piattaforma il cittadino-utente parteciperà direttamente alle decisioni politiche che poi i deputati e senatori (in una sola parola, i portavoce) del Movimento faranno proprie in sede parlamentare.
Eletti, cittadini e "citoyens". Ma chi sono i parlamentari a 5 stelle, e che esperienze di governo hanno? Per la seconda domanda, la risposta è "nessuna". Esistono però delle realtà amministrative come Parma e Palermo che vanno oltre l’esperimento di laboratorio sull’innesto tra la visione a 5 Stelle e la realtà del territorio. La Sicilia in particolare appare come un tornasole, con il governatore Crocetta che dice che "Con Grillo si può governare", e con i portavoce del Movimento che partecipano attivamente all’amministrazione della regione. Uno scenario che potrebbe replicarsi a livello nazionale alla luce delle elezioni. I profili degli eletti, anzi dei "cittadini", come i rivoluzionari francesi del 1789, si distinguono già dall’età, con la media di età degli eletti intorno ai 37 anni (33 alla Camera e 46 al Senato). Molte donne, tutti nomi nuovi. Dalla più votata in Italia alle parlamentarie, Paola Carinelli, milanese, 32enne e impiegata, a Giulia Sarti, la preferita in Emilia Romagna, animatrice estiva. Poi Federica Daga, numero uno alle parlamentarie del Lazio. C’è la "poetessa" romanesca Paola Taverna, che vive a Torre Maura. Roberta Lombardi, sempre romana, lavora nel settore del lusso "made in Italy". E poi l’autore di "Sicari a 5 euro", un libro inchiesta curato da Casaleggio Associati, Alessandro Di Battista. E poi il caso di Ivana Simeoni e Christian Iannuzzi, rispettivamente mamma e figlio, lei eletta al Senato e lui alla Camera. E Azzurra Cancelleri, eletta in Sicilia, sorella del capogruppo M5s all’assemblea regionale.
Il vertice. Il ruolo di internet nell’economia del Movimento 5 Stelle arriva fino al vertice, rappresentato dal binomio Grillo-Casaleggio, ma non appare coinvolgerlo. A internet il non-statuto riconosce un ruolo nelle fasi di "adesione al Movimento, consultazione, deliberazione, decisione ed elezione" dei rappresentanti, che dal documento si configurano come il principio e la fine del Movimento. La dirigenza assume nel non-statuto un ruolo a quanto sembra puramente formale, tranne che per quanto riguarda le questioni di proprietà del marchio del Movimento, registrato a nome di Beppe Grillo. Un aspetto di impronta "aziendalista" che ha sollevato polemiche. Quanto avviene con il "marchio" in realtà può indicare una visione padronale del Movimento: in questo contesto Grillo e Casaleggio hanno le mani libere per fare e disfare. Questo è uno degli aspetti più controversi, risolto parzialmente da quanto si legge nel non-statuto, ovvero che il M5s "non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro". Si tratta di una piattaforma, con un proprietario, un capo politico e uno staff che la gestisce. Un ritorno alla burocratica realtà, accanto alla rivoluzionaria visione del Paese offerta dal programma a 5 Stelle. Un argomento con cui la nuova identità politica assunta dal Movimento dovrà confrontarsi. E sul tema, il web offre ironia e satira. Il primo bersaglio è naturalmente il "santone" Beppe Grillo, anzi "Peppe". E a ruota gli aspetti fideistici del M5s, con gli attivisti dipinti come cultori di una nuova chiesa digitale, presi da problemi come le "scie kimike" e l’efficienza della Biowashball, sottintendendo l’esistenza di questioni più "serie" che dovrebbero impegnare le menti politiche. Aggiungendo magari il confronto e il contraddittorio con altre forze e altri pensieri. E con la stampa, senza distinzioni.
Casaleggio. Gianroberto Casaleggio è il cofondatore del Movimento 5 Stelle e numero uno di Casaleggio Associati, azienda che si occupa di strategie di rete. Viene indicato come l’ideologo del movimento. La figura imprenditoriale di Casaleggio nasce con il boom della new economy e si modifica dopo lo scoppio della "bolla". Figura di spicco nell’Olivetti di Roberto Colaninno e poi manager di Telecom e amministratore della Webegg, Casaleggio a dispetto della lunga attività su internet non è una figura molto presente in rete. Più volte però si è esposto come volto non-occulto del Movimento 5 Stelle, l’ultima a piazza San Giovanni a Roma nella data conclusiva dello Tsunami Tour di Grillo, altre volte in interviste e lettere ai giornali. Non sono mancate le attenzioni su di lui quando i riflettori dell’informazione evidenziarono un collegamento con Enrico Sassoon, attualmente ex-membro del cda di Casaleggio Associati e personaggio dal curriculum importante nei rapporti internazionali: presidente del comitato affari economici dell’American Chamber of commerce in Italy, una carriera in Pirelli e la direzione della rivista Affari Internazionali, ora sotto la guida di Stefano Silvestri. Sassoon lasciò il board di Casaleggio dopo polemiche relative alla sua presenza agli incontri del gruppo Bildeberg, di cui fanno parte i nomi più pesanti dell’economia e della finanza internazionale. Stanze lontane da quelle del Movimento 5 Stelle, non necessariamente incompatibili con la "nuova democrazia" ma dalle categorie al momento distanti.
Ma la figura di Gianroberto Casaleggio (portato a sorpresa da Grillo sul palco di San Giovanni) appare più complessa di quella offerta dalle ricostruzioni giornalistiche: l’uomo è autore di testi e contributi multimediali su ipotetici scenari per il mondo e per il web. Una figura che in un mondo senza nazioni e barriere culturali verrebbe facile accostare proprio a quella di Tim Berners-Lee. Non un guru e non un ideologo, ma un tessitore di quella rete che è più sociale che tecnica. O più banalmente un silenzioso analista del futuro. L’elemento mai nominato, ma più presente del presente nei sogni programmatici del Movimento 5 Stelle.
Elezioni, Grillo: "Alle consultazioni vado io"
Poi apre al Pd: "Esperienza Sicilia meravigliosa"
Il leader del M5S dopo le polemiche dei giorni scorsi si concede ai giornalisti e si presenta con un profilo più pacato: "Non siamo contro il mondo, vedremo riforma per riforma, legge su legge". Ed esalta la situazione siciliana, dove il movimento sta permettendo al presidente Crocetta di governare *
ROMA - Qualcosa è cambiato. Per ora sono piccoli segnali, sfumature nei toni e nelle parole, ma l’impressione è che il Movimento 5 Stelle, e soprattutto la prospettiva del suo leader, ora solidamente insediati in Parlamento, non siano esattamente quelli con cui si è picconato il sistema negli ultimi tre anni. Tanto per iniziare, dopo il lunghissimo braccio di ferro con la stampa e i ripetuti dispetti, un Beppe Grillo pacato e sereno al momento di lasciare la sua casa genovese si è diligentemente concesso a un lungo fuoco di domande dei cronisti. Aprendo chiaramente alla possibilità di un’intesa, per quanto limitata, con il centrosinistra. "Il modello Sicilia è meraviglioso", dice riferendosi all’esperienza dell’Isola dove i 15 deputati eletti all’Ars con il movimento non fanno parte della maggioranza né del governo guidato da Rosario Crocetta, ma hanno sostenuto provvedimenti di giunta e maggioranza come Dpef e la mozione sul no al Muos, il sistema di comunicazione satellitare in costruzione a Niscemi.
Che il M5S d’ora in poi possa agire almeno in parte come forza interna al gioco istituzionale, piuttosto che come perenne outsider, è confermato anche da altre parole pronunciate dal leader. Grillo spiega, ad esempio, che sarà lui in persona a presentarsi al Quirinale per il colloquio con il presidente della Repubblica quando avranno inizio le consultazioni in vista della difficile formazione di un governo.
"Noi non siamo contro il mondo - precisa quindi il leader del movimento - Vedremo riforma per riforma, legge su legge. Se ci sono proposte che rientrano nel nostro programma, le valuteremo". Il vincitore delle elezione elenca subito quindi un paio di punti ai quali tiene in maniera particolare: "Se non ci sono soldi non si fanno le grandi opere, né la Tav né la Gronda (il nuovo asse autostradale di Genova, ndr). Per chi perderà il lavoro noi proponiamo il reddito di cittadinanza".
Come era facilmente immaginabile, Grillo spara a zero sull’ipotesi di una grande coalizione tra Pd e Pdl, ma davanti alla possibilità di un’alleanza del M5S con altre forze politiche usa espressioni molto più sfumate rispetto alla chiusura netta del passato. "Non è il momento di parlare di alleanze. Messi così non riusciranno a governare. Il nostro appoggio dipende se seguiranno il nostro programma", afferma Grillo. E così dicendo consente a chi nella coalizione Pd-Sel tifa per un dialogo con il movimento di aggrapparsi con un barlume di fiducia a quel sibillino "non è il momento".
"Qui - prosegue Grillo - si tratta di percepire che il cambiamento è epocale. Non è solo italiano. Perché abbiamo votato on-line, perché i cittadini non hanno più intermediazioni". Novità che il movimento intende estendere immediatamente anche all’imminente scelta del nuovo presidente della Repubblica. Il capo dello Stato, spiega, "noi lo voteremo online con il movimento" non sarà il gruppo a votarlo "ma il movimento". Quanto ai possibili candidati, Grillo lancia una provocazione: "Io dico Dario Fo. E’ un nobel famoso nel mondo, ha una lucidità fantastica, è un ragazzo e ha capito il senso del movimento, ha voluto parlare con i ragazzi, ha capito che cosa stava succedendo".
* la Repubblica, 26 febbraio 2013
Se non sono chiacchiere, è una buona occasione
di Margherita Hack (l’Unità, 27.02.2013)
MI SEMBRA CHE SE CI FOSSE UN PO’ DI BUON SENSO E DI BUONA VOLONTÀ, da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni. Per dire questo, parto da una constatazione: Grillo e i grillini in fondo vogliono molte cose che vuole anche la coalizione di centro sinistra. Almeno su quelle cose, quindi, le due forze potrebbero trovare un accordo. Così l’Italia ingovernabile potrebbe essere governata per fare quello che c’è da fare in tempi brevi.
E cioè:
1) Intervenire sul conflitto d’interessi.
2) Una nuova legge elettorale che ridia al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
3) Una drastica riduzione dei costi della politica, con riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione dei vantaggi e dei privilegi di cui godono.
4) Una riduzione delle spese militari che renda subito disponibili fondi da investire in modo prioritario per la scuola e la ricerca.
5) L’eliminazione delle province. E non il loro accorpamento che solleverebbe infinite diatribe e avrebbe come risultato un raddoppiamento degli uffici e quindi delle spese.
6) Una politica del lavoro. Su questo, non ho ricette perché non sono un’economista e non so come si faccia a creare lavoro in un’Europa in crisi. Però credo che ci siano alcuni settori pubblici di risanamento e di rispetto dell’ambiente che potrebbero creare posti di lavoro e andrebbero privilegiati.
7) I diritti civili. C’è da mettere mano al testamento biologico, ai matrimoni di fatto, alla revisione della legge 40. Su alcune di queste cose si può pensare di mettere d’accordo anche i grillini.
8) Infine, ci sarebbe da facilitare il processo di integrazione degli immigrati, abolendo le leggi indegne fatte dalla Lega.
Almeno su alcuni di questi punti si potrebbe trovare un accordo e andare avanti fino alla fine della legislatura, senza perdersi nei distinguo sulle cose meno importanti. In questo quadro anche Monti con i suoi potrebbe fare un’opposizione intelligente, da economista che ha a cuore la riduzione del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese.
Del resto, non c’è altra possibilità: la grande coalizione col Pdl non è possibile. Basta che quello che dice Grillo non siano chiacchiere.
L’avventurismo del senso comune
Il nuovo libro di Michele Prospero. Il «populismo mite» del potere è la cifra ideologica del capo. Che non è solo un produttore di annunci, ma un fattore di stabilità
di Carlo Galli (il manifesto, 20.10.2015)
Più di vent’anni di politica italiana sono ricondotti, nell’ultimo libro di Michele Prospero (Il nuovismo realizzato. L’antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda, Roma, Bordeaux, 2015, pp. 418, euro 26) al filo conduttore dell’antipartitismo, e in generale dell’antipolitica che nei partiti ha avuto la propria testa di turco.
Un’antipolitica solo parzialmente spontanea - generata da una rivolta etica contro il sistema politico degenerato - e in gran parte indotta dall’alto, da agenzie di senso e da poteri mediatici (a loro volta riconducibili a forze economiche) interessati al risultato dell’antipolitica: non solo distruggere i partiti esistenti (un disegno di lungo periodo della storia d’Italia, prevalentemente connotato a destra, da Minghetti a Maranini a Miglio), realizzando una discontinuità radicale (un’idea a cui non si sottrassero però né il Pd di Occhetto né i Girotondi, e che fu il cavallo di battaglia del primo Berlusconi), ma screditare la forma partito in quanto tale (s’intende, il partito pesante, organizzato, che è spazio di confronto e di partecipazione dialettica, ovvero di mediazione).
E aprire così la strada al Nuovo, che è un miscuglio di ideologia (la società liquida, l’individualismo postpolitico, l’immediatezza) e di solida realtà, tanto istituzionale (il partito leggero, la democrazia d’investitura, lo spostamento del potere verso l’esecutivo, il leaderismo pseudo-carismatico) quanto economica (la fine della politicità del lavoro, la sua precarizzazione e la sua subalternità) quanto infine sociale (l’aumento delle disuguaglianze, il declino - programmato - del ceto medio).
Prospero, per questa via, incontra (convocando un grande materiale analitico in chiave prevalentemente politologica) una contraddizione strutturale dell’intero processo storico-politico preso in esame, ossia le due crisi di sistema del 1993-94 e del 2013-14, tutta la seconda repubblica e l’inizio della terza: da una parte vi è in questa storia un dato di occasionalità, di contingenza, e quindi vi è preponderante l’agire di una persona (ovviamente, Renzi) e anche il suo dire, il suo narrare, il suo raffigurare per il popolo un altro mondo, ricco di speranza e di ottimismo e quindi ben diverso da quello di cui la maggior parte dei cittadini fa esperienza.
Questo livello è spiegato con frequenti riferimenti a Machiavelli, non tanto perché l’autore sostenga che Renzi incarna il “Principe nuovo” - anzi, spesso attraverso Machiavelli si mettono in rilievo debolezze e fallacie del suo agire, la sua propensione alla fuga nell’irrealtà, al «romanticismo politico», a un decisionismo fatto di annunci - quanto piuttosto per il peso inusuale («rinascimentale») che la figura del singolo ha nella vicenda politica contemporanea.
D’altra parte, nondimeno, questa figura di Principe immaginario e dopo tutto incapace di dare una forma alla repubblica, impegnato com’è a gestire continue emergenze in continue affabulazioni, è contraddetta dalla robustissima realtà delle profonde trasformazioni che il suo agire produce:
veramente il partito è sul punto di estinguersi e di divenire un corteo di obbedienti seguaci, in perenne lotta tra loro (soprattutto attraverso lo strumento delle primarie, che doveva essere di apertura alla società civile e che invece è una leva per i conflitti interni), mentre nei territori le cordate di potere prendono il posto della partecipazione;
veramente le istituzioni (e il parlamento in primo luogo) sono indebolite dalla personalizzazione della politica, e trovano energia politica solo in quelle che erano state pensate come posizioni di garanzia (Quirinale e Consulta);
veramente la politica è ormai competizione fra leader populisti extraparlamentari per la conquista di un elettorato sempre più passivo (anche se in parte estremizzato);
veramente questi processi si sono sviluppati coinvolgendo tanto la destra quanto la sinistra fino all’attuale formarsi, non casuale, di un partito di Centro la cui forza di gravità spappola ogni altra formazione politica;
veramente sono stati varati il jobs Act e la legge elettorale per la camera ed è in corso di approvazione la riforma della Costituzione;
veramente il sindacato è stretto nell’angolo e gli viene sottratta la contrattazione nazionale; veramente la sinistra fatica (ed è un eufemismo) a trovare una base sociale, una chiave di lettura del presente, una missione politica;
veramente l’astensione e il populismo assorbono e neutralizzano le energie che potrebbero essere di protesta;
veramente l’analisi strutturale della realtà passa in secondo piano rispetto alla traduzione emotiva dei problemi e alla questione della legalità.
L’occasionalismo produce un ordine, quindi; l’avventura personale costruisce forma politica, la chiacchiera è largamente performativa; l’immediatezza è anche mediazione. Un ordine, certo, non inclusivo ma escludente - che espelle da sé le contraddizioni, perché non le teme (e in ciò il Pd è ben diverso dalla Democrazia Cristiana, pur riprendendone il ruolo centrale di pivot e di diga) - e che cerca una base di consenso nel livello più semplice del senso comune (molto bene interpretato), eludendo o smorzando ogni tema controverso ed escludendo il pensiero critico (i «gufi», i «professoroni»); una forma contraddittoria, segnata dalla conflittualità fra quel che resta del vecchio partito e il nuovo leader, fra antichi professionismi e il nuovo «populismo mite» che è la cifra ideologica del Capo (tutt’altro che dilettante, in verità).
Eppure, con queste contraddizioni, Renzi è non solo un problema, ma anche una soluzione; non solo un coacervo di azzardi e di provvisorietà ma anche un fattore di stabilità; non solo un produttore d’annunci e d’irrealtà ma anche un fabbricante di realtà e di processi.
È una realtà condizionata dal populismo (Berlusconi è il populismo nichilistico-aziendalistico, Grillo è il populismo aggressivo dal basso, Renzi è il populismo mite del potere), funzionale, in quanto implica una società disgregata che non deve essere letta politicamente, alla presenza onnipervasiva di logiche e valori liberisti, rispetto ai quali la sinistra (il Pd) è, non certo da oggi, del tutto interna. Ma è realtà, o almeno fascio di potere efficace. È vano pensare che il tempo breve, l’attimo, dell’occasione e della decisione non abbiano la forza di reggere l’assetto della politica; anzi, ne sono capaci, si dilatano in un’eccezione permanente che è il tempo lungo in cui si presentano oggi il potere e la libertà che esso concede.
La risposta a ciò della sinistra, secondo Prospero, è il partito organizzato, capace di esprimere ripoliticizzazione della società, partecipazione popolare e leadership autorevole (non populista). Più facile a dirsi che a farsi, naturalmente. Certo è che la sinistra avrà un futuro solo se saprà pensarsi a questa altezza, e se a partire dalle contraddizioni del presente, ben identificate, saprà proporre un modello di società che combini in sé, con la stessa forza, un’analoga e opposta capacità di tenere insieme l’immaginario e il reale.