IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NAPOLITANO RASSICURA IL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’", SILVIO BERLUSCONI: "Bisogna guardare con ragionevolezza allo svolgimento di questa legislatura ancora nella fase iniziale, non si paventino complotti che la Costituzione e le sue regole rendono impraticabili contro un governo che goda della fiducia della maggioranza in Parlamento". Giorgio Napolitano pronuncia parole chiare sulle tensioni politiche che agitano l’Italia. Ricordando la funzione di salvaguardia della Costituzione che impedisce "scorciatoie". E rilanciando la necessità delle riforme. (la Repubblica, 21.12.2009)
CARISSIMO SIG. PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA ITALIANA
CARISSIMO CITTADINO
GIORGIO NAPOLITANO
A LEI ARBITRO IMPARZIALE DELLA VITA POLITICA DELLA NOSTRA SOCIETA’ DI CITTADINI-SOVRANI E DI CITTADINE-SOVRANE CHIEDIAMO UN INTERVENTO E UN MESSAGGIO CHIARO E FORTE INDIRIZZATO A TUTTO IL PARLAMENTO E A TUTTO IL PAESE.
L’ITALIA HA UN SOLO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E LA PAROLA "ITALIA" E’ COSTITUZIONALMENTE SOLO SUA. NESSUNO PUO’ APPROPRIARSENE PER FARNE PAROLA DI PARTITO O SCUDO PER COPRIRE INTERESSI DI PARTE, COME E’ AVVENUTO E CONTINUA AD AVVENIRE SOTTO GLI OCCHI SUOI E DI TUTTI I CITTADINI E DI TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA.
NON E’ PIU’ POSSIBILE TEMPOREGGIARE E GIOCARE CON IL FUOCO E CON LA MORTE CIVILE CULTURALE E POLITICA SUA E DELL’INTERA ITALIA.
LA "LOGICA" E IL SOFISMA DEL MENTITORE ISTITUZIONALE HA ASSICURATO AL PARTITO "FORZA ITALIA" UNA MAGGIORANZA FALSA E BUGIARDA, CAMUFFATA DA LEGALITA’ E LEGITTIMITA’, E PRODOTTO UNO STRAVOLGIMENTO DELLE STESSE REGOLE COSTITUZIONALI.
NON SI PUO’ PIU’ PROCEDERE OLTRE SU QUESTA STRADA DI DEVASTAZIONE E MORTE CULTURALE POLITICA E CIVILE. E’ L’ORA DI DIRE SEMPLICEMENTE E DECISAMENTE: BASTA!!!
OLTRE C’E’ SOLO LA FINE DI OGNI DIGNITA’, COME DELLA SUA COSI’ DELL’INTERA ITALIA.
PER UNA VERA PACIFICAZIONE E UN VERO DIALOGO TRA LE FORZE IN CAMPO CHIEDIAMO UN SUO IMMEDIATO INTERVENTO E UN SUO MESSAGGIO DI CHIARIFICAZIONE E DI ESORTAZIONE IN MERITO.
IL NOSTRO AUGURIO E LA NOSTRA SOLLECITAZIONE E’ CHE ELLA INTERVENGA IMMEDIATAMENTE E CHE FINALMENTE
LA PAROLA "ITALIA" VENGA RESTITUITA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA,
AL CITTADINO GIORGIO NAPOLITANO,
ALL’INTERO PARLAMENTO
E A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA!!!
E CHE SOTTO LA SUA IMPARZIALE E COSTITUZIONALE GUIDA
E CON LEI TUTTI I CITTADINI E TUTTE LE CITTADINE, TUTTI I GIOVANI E TUTTE LE GIOVANI, TUTTI GLI STUDENTI E TUTTE LE STUDENTESSE D’***ITALIA***
POSSANO RICOMINCIARE A GRIDARE IN MODO CHIARO, SERENO,
DIGNITOSO E FIERO
COME GIA’ IL NOSTRO E SUO PRESIDENTE SANDRO PERTINI:
FORZA ***ITALIA***
Che l’Italia viva: Forza ***Italia***!!!
VIVA L’ITALIA!!!
Federico La Sala
NAPOLITANO RASSICURA BERLUSCONI. "La Costituzione garantisce il governo".
Sul tema, nel sito, si cfr.:
1992-2008: LA GUERRA DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA.
NAPOLITANO RASSICURA BERLUSCONI. "La Costituzione garantisce il governo".
ACCADEMIA E BERLUSCONISMO. PREMIATO IL PRESIDENTE BERLUSCONI, PER IL RILANCIO DEL PLATONISMO ATEO E DEVOTO. "IO, PLATONE, SONO LA VERITA’": "FORZA ITALIA"!!! Nelle piazze e nei campi di calcio il popolo ateo-devoto è tutto in festa, in un mare di bandiere "nazionali"
’Pm come Tartaglia’: interviene il Csm
Parole Berlusconi in dossier a tutela magistrati gia’ attaccati dal premier *
ROMA - Il Csm si occuperà delle frasi pronunciate ieri dal presidente del Consiglio, che ha paragonato "l’aggressione" giudiziaria nei suoi confronti a quella fisica subita in piazza Duomo a Milano per mano di Tartaglia. La prima commissione di Palazzo dei Marescialli ha infatti deciso di acquisire i giornali che riportano le dichiarazioni di Berlusconi e di inserirle nell’ampia pratica a tutela di magistrati oggetto in passato di accuse rivolte dal premier. Questo fascicolo pende da tempo e riguarda in particolare i giudizi espressi dal presidente del Consiglio sui magistrati delle Procure di Palermo e di Milano che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose e sui giudici del processo Mills.
Berlusconi, parlando ieri dopo la riunione del Consiglio dei ministri, ha definito le aggressioni giudiziarie "parificabili a quelle di piazza del Duomo, se non peggio’’.’’Mi attaccano sul piano della persona con la ’character assassination’ che e’ stata messa in campo - ha detto ancora Berlusconi riferendosi ora a un ambito più generale -, mi attaccano sul piano patrimoniale, ora non gli resta che attaccarmi sul piano fisico, come hanno iniziato a fare, ma - ha avvertito - ’non praevalebunt’’’.
Sempre parlando di giustizia il Presidente del Consiglio ha annunciato che il governo ’’riproporra’ l’inappellabilita’ delle sentenze di primo grado nella riforma della giustizia che stiamo esamindando’’. Per quanto riguarda la riforma fiscale, ha invece parlato di tempi lunghi. Per ora - ha detto - la crisi non consente una riduzione delle tasse.
Di giustizia e molto altro, Berlusconi parlera’ oggi in un faccia a faccia con il presidente della Camera Gianfranco Fini, durante una colazione in programma a Montecitorio. All’ordine del giorno anche una ricognizione su equilibri nel Pdl, agenda di governo, regionali, innesti nel governo di nuovi sottosegretari, alleanze con l’Udc.
* Ansa, 14 gennaio, 10:57
Il potere unico
di EZIO MAURO *
SIAMO dunque giunti al punto. Ieri Berlusconi ha annunciato l’intenzione di cambiare la Costituzione, a colpi di maggioranza, per "riformare" la giustizia. Poiché per la semplice separazione delle carriere non è necessario toccare la carta costituzionale, diventa chiaro che l’obiettivo del premier è più ambizioso.
O la modifica del principio previsto in Costituzione dell’obbligatorietà dell’azione penale, o la creazione di due Csm separati, uno per i magistrati giudicanti e uno per i pubblici ministeri, creando così un ordine autonomo che ha in mano la potestà della pubblica accusa, il comando della polizia giudiziaria e il potere di autocontrollo: e che sarà guidato nella sua iniziativa penale selettiva dai "consigli" e dagli indirizzi del governo o della maggioranza parlamentare, cioè sarà di fatto uno strumento della politica dominante.
Viene così a compiersi un disegno che non è solo di potere, ma è in qualche modo di sistema, e a cui fin dall’origine il berlusconismo trasformato in politica tendeva per sua stessa natura. Il passaggio, per dirlo in una formula chiara, da una meccanica istituzionale con poteri divisi ad un aggregato post-costituzionale che prefigura un potere sempre più unico. Un potere incarnato da un uomo che già ha sciolto se stesso dalla regola secondo cui la legge era uguale per tutti con il lodo Alfano, vero primo atto della riforma della giustizia, digerito passivamente dall’Italia con il plauso compiacente della stampa "liberale" ormai acquisita al pensiero unico e alla logica del più forte.
Oggi quel prologo vede il suo sviluppo logico e conseguente. Ovviamente la Costituzione si può cambiare, come la stessa carta fondamentale prevede. Ma cambiarla a maggioranza, annunciando questa intenzione come un trofeo anticipato di guerra, significa puntare sulla divisione del Paese, mentre il Capo dello Stato, il presidente della Camera e persino questo presidente del Senato ancora ieri invitavano al dialogo per riformare la giustizia. Con ogni evidenza, a Berlusconi non interessa riformare la giustizia. Gli preme invece riformare i giudici, come ha cercato di fare dall’inizio della sua avventura politica, e come può fare più agevolmente oggi che l’establishment vola compatto insieme con lui, due procure danno spettacolo indecoroso, il Pd si lascia incredibilmente affibbiare la titolarità di una "questione morale" da chi ha svillaneggiato la morale repubblicana e costituzionale, con la tessera della P2 ancora in tasca.
Tutto ciò consente oggi a Berlusconi qualcosa di più, che va oltre il regolamento personale dei conti con la magistratura. È l’attacco ad un potere di controllo - il controllo della legalità - che la Costituzione ha finora garantito alla magistratura, disegnandola nella sua architettura istituzionale come un ordine autonomo e indipendente, soggetto solo alla legge, dunque sottratto ad ogni rapporto di dipendenza da soggetti esterni, in particolare la politica. Il governo che lascia formalmente intatta l’obbligatorietà dell’azione penale, ma interviene sul suo "funzionamento" - come ha annunciato ieri il Guardasigilli Alfano - attraverso criteri suoi di "selezione" dei reati e "canoni di priorità" nell’esercizio dell’accusa, attacca proprio questa garanzia e questa autonomia, subordinando di fatto a sé i pubblici ministeri.
Siamo quindi davanti non a una riforma, ma a una modifica nell’equilibrio dei poteri, che va ancora una volta nella direzione di sovraordinare il potere politico supremo dell’eletto dal popolo, facendo infine prevalere la legittimità dell’investitura del moderno Sovrano alla legalità. Eppure, è il caso di ricordarlo, la funzione giurisdizionale è esercitata "in nome del popolo" perché nel nostro ordinamento è il popolo l’organo sovrano, non il capo del governo. Altrimenti, si torna allo Statuto, secondo cui "la giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome".
Questa e non altra è la posta in gioco. Vale la pena discuterla davanti al Paese, spiegando la strategia della destra di ridisegnare il potere repubblicano dopo averlo conquistato. Ma la sinistra sembra prigioniera di una di quelle palle di vetro natalizie con la finta neve che cade, cercando di aprire (invano) la porta della Rai, come se lì si giocasse la partita. Fuori invece c’è il Paese reale, con il problema concreto di una crisi che ridisegna il mondo. A questo Paese abbandonato, Berlusconi propone oggi di fatto di costituzionalizzare la sua anomalia, sanandola infine dopo un quindicennio: e restandone così deformato.
* la Repubblica, 11 dicembre 2008
GIUSTIZIA E POLITICA
La voglia di regolare i conti
di CARLO FEDERICO GROSSO (La Stampa, 8/12/2008)
Le Procure di Salerno e di Catanzaro, dovunque stiano ragione e torto, dalle vicende di questi ultimi giorni escono a pezzi. In realtà, è la stessa magistratura italiana, nel suo insieme, a uscirne con un’immagine fortemente incrinata.
In passato era accaduto più d’una volta di assistere a polemiche roventi fra magistrati o di essere chiamati a dirimere conflitti più o meno aspri. Non era peraltro mai accaduto di assistere a un contrasto tanto duro, anche nella forma. Non è sicuramente consueto che decine di sostituti procuratori e carabinieri eseguano perquisizioni e sequestri penetrando in massa negli uffici e nelle abitazioni private di altri magistrati. Non è usuale che magistrati inquisiti reagiscano a loro volta indagando gli avversari e procedendo al sequestro degli stessi atti processuali loro sequestrati. A tacer d’altro, i procuratori di Catanzaro, essendo parte lesa degli asseriti reati compiuti a loro danno, avrebbero dovuto astenersi da ogni attività giudiziaria e investire della questione la Procura competente (Napoli o Roma).
Come abbiamo letto nelle cronache di ieri, Consiglio superiore della magistratura e Guardasigilli, dopo l’inusuale, ma necessario, intervento del Presidente della Repubblica di giovedì scorso, si sono mossi con tempestività: il primo convocando a Palazzo dei Marescialli i due capi degli uffici interessati e aprendo nei confronti di entrambi una procedura di trasferimento, il secondo sguinzagliando i suoi ispettori a Salerno e Catanzaro per acquisire notizie e cercare di avere chiarezza. Ieri vi sono state lodi sperticate per tanta speditezza. A me sembra che si sia compiuto, soltanto, ciò che era necessario fare, poiché, nella situazione, qualunque ritardo sarebbe stato inimmaginabile. D’altronde, vi ricordate con quanta rapidità, e quanta intransigenza, all’inizio di questa vicenda l’allora ministro della giustizia Mastella e il Consiglio Superiore si erano mossi nei confronti di De Magistris?
Le indagini su quanto è accaduto si dipaneranno secondo le competenze di ciascun ufficio interessato e secondo le regole stabilite dall’ordinamento giudiziario. Al di là della soluzione delle questioni di merito, le vicende di questi ultimi giorni hanno rivelato che vi sono pezzi della magistratura fortemente malati. Queste malattie, queste deviazioni, devono essere estirpate con la massima urgenza. Mi auguro che l’ordine giudiziario sia in grado di trovare al suo interno gli strumenti per realizzare le correzioni necessarie e restituire serenità e trasparenza a ogni settore di giustizia.
La preoccupazione maggiore, oggi, è comunque un’altra. Da tempo settori importanti della politica stanno scaldando i muscoli contro la magistratura. Non è in gioco, si afferma, la libertà dei magistrati di esercitare la giurisdizione; è in gioco l’abnorme interferenza che l’ordine giudiziario si arrogherebbe sul terreno dell’esercizio del potere. È qui che bisogna intervenire, si sostiene, modificando la struttura del Consiglio Superiore (più rappresentanti dei partiti, meno magistrati); spezzando in due tronconi il Consiglio in modo da indebolire entrambi; rendendo autonoma la polizia dai pubblici ministeri e stemperando pertanto il loro potere; magari attenuando l’obbligatorietà dell’azione penale e facendola dipendere, in qualche modo, anche dal governo.
Non vorrei che, a questo punto, il contesto di guerra fra Procure fornisca alla politica la grande occasione per giungere finalmente là dove, fino ad ora, non sono riusciti affondi decisivi. Leggiamo le più recenti dichiarazioni rilasciate da esponenti politici di primo piano dell’una e dell’altra sponda. Il ministro Alfano ha affermato giovedì scorso che, di fronte allo sfacelo, occorre porre urgentemente mano alle riforme costituzionali e ha chiesto all’uopo il contributo dell’opposizione. Massimo D’Alema in persona, il giorno dopo, ha dichiarato che, in effetti, è giunto il momento di occuparsi con serietà del problema dell’organizzazione costituzionale della giustizia italiana. Ha chiuso il cerchio ieri, in un’intervista alla Stampa, Niccolò Ghedini, appena sbarcato a New York per il grande ponte: gli americani non riescono a capire per quale ragione i giudici, da noi, hanno tanto potere al di fuori di ogni verifica democratica; ora tocca pertanto, necessariamente, alla giustizia essere raggiunta da riforme forti; ben venga, se ci sarà, il contributo dell’opposizione.
Ce n’è abbastanza per essere preoccupati. Quando erano soltanto Berlusconi e i suoi più stretti collaboratori a elaborare una riforma punitiva del mondo giudiziario, si poteva temere, ma anche sperare nelle resistenze degli altri. Quando hanno cominciato qua e là ad abbozzare anche esponenti dell’attuale opposizione, si è cominciato a essere sorpresi. Oggi non si è più soltanto sorpresi. C’è il timore che, di fronte a inchieste giudiziarie che coinvolgono esponenti di ogni partito, si decida di regolare i conti una volta per tutte, risolvendo in questo modo i problemi giudiziari presenti e futuri.
È ciò che, francamente, non dovrebbe accadere. Se lo Stato ha stabilito che non si deve rubare, o non si deve prevaricare, nessuno deve essere legittimato a rubare o prevaricare, si tratti di un cittadino comune o di un esponente politico. In entrambi i casi la magistratura deve essere libera di intervenire, senza lacci, impedimenti, autorizzazioni. Questo, si badi, è, semplicemente, rispetto per la legalità, non è questione di potere.
Gli stralci degli interrogatori dell’ex pm davanti alla procura di Salerno
"Il procuratore Iannelli sta svolgendo indagini in modo illegittimo ed illecito"
De Magistris: "Stavo scoprendo la verità
perciò mi hanno tolto le inchieste"
CATANZARO - "E’ proprio per evitare che si potesse scoprire la verità che mi sono state sottratte, illecitamente, le inchieste Poseidone e Why Not". L’ex pm di Catanzaro, Luigi De Magistris, dice questo ai magistrati che lo interrogano. Era il 3 luglio del 2008. E De Magistris fa riferimento ad alcuni articoli di giornali nei quali, sostiene "si può avere conferma che nell’inchiesta Why Not è subentrato un altro autore di condotte illecite ai miei danni". Fa nome e cognome l’ex pm: "E’ Salvatore Curcio, già imputato presso l’autorità giudiziaria di Salerno per gravi reati, ma sempre rimasto, saldamente, negli uffici della procura della Repubblica di Catanzaro, ed adesso quale ’esperto’, evidentemente dopo gli ’egregi’ risultati di un anno di conduzione dell’inchiesta Poseidone, subentrato nell’inchiesta Why Not".
Il 15 luglio del 2008, davanti ai magistrati salernitani è la volta della cosidetta "guerra tra le procure" di Salerno e catanzaro. E anche stavolta De magistris fa nomi e cognomi. "Il dottor Jannelli (che è il procuratore generale di Catanzaro, ndr) ha svolto e sta svolgendo in modo illegittimo ed illecito attività d’indagine direttamente e indirettamente nei miei confronti".
* la Repubblica, 8 dicembre 2008.
Il dito e la luna
di Marco Travaglio (l’Unità, 05.12.2008)
L’operazione è chiara e spudorata: intimidire la Procura di Salerno che sembra aver trovato le prove del complotto contro De Magistris e gabellare l’indagine sulle toghe calabro-lucane come una“lotta fra procure”, una guerra per bande che qualcuno deve fermare per il bene di tutti. E stabilire una volta per tutte che sui politici e i loro protettori non si indaga. Non c’è alcuna guerra per bande, almeno non da tutte le parti. I pm salernitani, competenti per legge sulle vicende giudiziarie di Catanzaro, sono stati investiti da denunce di e contro De Magistris. Hanno indagato per un anno, e alla fine non han trovato prove sulle denunce contro De Magistris, mentre le han trovate sui gravissimi fatti denunciati dal pm. Come la legge li obbliga a fare, hanno archiviato le prime e approfondito i secondi, indagando i magistrati calabresi sospettati e perquisendone gli uffici. Fin qui, tutto normale.
Le anomalie sono accadute ieri: l’atto di insubordinazione del Pg di Catanzaro, che definisce “atto eversivo” un’indagine doverosa nei suoi uffici; gli avvisi di garanzia partiti da Catanzaro contro i pm di Salerno (Catanzaro non è competente su Salerno: lo è Napoli, le competenze incrociate sono abolite da 10 anni) e il contro-sequestro degli atti acquisiti dai salernitani; l’ispezione a piedi giunti del cosiddetto ministro Alfano, gravissima interferenza politica in un’inchiesta in corso. Insolita è anche la richiesta degli atti dal capo dello Stato. Si spera almeno che quelle carte inducano il Csm a mettere finalmente il naso nel vero scandalo: Salerno è il dito che indica la luna, ma la luna sta a Catanzaro.
Caso De Magistris, il procuratore Apicella: «Ho la coscienza a posto»
«Quando si ha la coscienza tranquilla si è sereni». Non ha esitazioni il procuratore di Salerno, Luigi Apicella, diretto a Roma dove sarà ascoltato dal Csm in merito alla decisione di effettuare il sequestro degli atti della vicenda de Magistris alla procura di Catanzaro. «Non abbiamo violato alcuna norma né aperto alcun conflitto con la procura generale di Catanzaro, non contestando la competenza di quell’ufficio a trattare il procedimento "Why Not". Questa procura ha disposto il sequestro penale del fascicolo al solo fine di acquisire copia di atti in esso contenuti che, secondo elementi già in nostro possesso, potevano essere rilevanti in ordine a reati contestati ai magistrati».
La decisione di effettuare il sequestro dei documenti delle inchieste «Poseidon» e «Why Not» da parte della procura di Salerno «è stata fatta - spiega ancora Apicella - dopo tante inutili richieste di acquisizione. Quando c’è una inchiesta e ci sono atti che coinvolgevano magistrati dell’ufficio di Catanzaro quegli stessi magistrati erano tenuti secondo le norme processuali a trasmettere di loro iniziativa quegli atti al nostro ufficio che stava procedendo per ragioni di competenza funzionale già prima delle richieste avanzate da in poi». Il procuratore ha aggiunto poi che nel giugno scorso è andato personalmente negli uffici giudiziari di Catanzaro per acquisire copia degli atti delle inchieste, ma «sono tornato a Salerno a mani vuote». Sarebbero state oltre sette le richieste fatte dalla procura della Repubblica di Salerno a Catanzaro.
Sulla vicenda sono cominciate intanto le audizioni al Csm dei vertici delle procure di Salerno e Catanzaro, protagoniste dello scontro. La prima commissione di Palazzo dei marescialli - competente sui trasferimenti d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale dei magistrati - ha ascoltato per circa un’ora e mezza il procuratore generale di Salerno Lucio Di Pietro e poi il pg di Catanzaro Enzo Jannelli.
Entrambi avevano fornito già venerdì i primi chiarimenti sulla vicenda al procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, che insieme al ministro della Giustizia Alfano è titolare dell’azione disciplinare. Nel pomeriggio saranno ascoltati i presidenti delle Corti di appello di Salerno, Matteo Casale, e Catanzaro, Pietro Sirena, poi sarà la volta dei due procuratori Luigi Apicella e Antonio Lombardo. Le audizioni sono state decise venerdì in una riunione straordinaria, all’indomani dell’intervento del presidente Napolitano, che aveva stigmatizzato la guerra tra le procure.
E sullo scontro interviene anche il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, che sottolinea come le competenze terrioriali debbano essere rispettate: «Su Salerno è competente la procura di Napoli, non quella di Catanzaro». L’ex procuratore generale di Milano Gerardo D’Ambrosio esprime invece una «pessima opinione» sullo scontro in atto tra le procure di Salerno e Catanzaro, che definisce «abbastanza sconcertante». Spiega che l’errore iniziale è stato l’avocazione dell’inchiesta Why not a De Magistris e ritiene «incredibile che si possa accusare il Csm»- che «funziona abbastanza bene»- di «abusi» nei confronti dell’ex pm di Catanzaro.
«È vero che si deve indagare sui colleghi se ci sono dei forti indizi di reato, che però poi si facciano queste operazione eclatanti con perquisizioni mi pare un fatto al di fuori del bene e del male - a proposito dello scontro - Ancora peggio poi la ritorsione con incriminazione per abuso. È un qualcosa che lascia abbastanza perplessi». Per il senatore del Pd «la cosa sbagliata iniziale è stata l’avocazione dell’inchiesta che aveva De Magistris: «Se c’è un magistrato che sta indagando lo si lascia lavorare. Poi, una volta che deposita gli atti, si fanno i controll».
* l’Unità, 06 Dic 2008
Ansa» 2008-12-06 19:37
IL CSM: TRASFERIMENTO PER I PG DI SALERNO E CATANZARO
ROMA - La prima commissione del Csm all’unanimità ha aperto la procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale nei confronti del procuratore di Salerno Luigi Apicella e del procuratore generale di Catanzaro Enzo Iannelli. La decisione è stata presa a conclusione delle audizioni dei vertici dei due uffici giudiziari.
Sono emerse "cose sconcertanti": questo il giudizio che - a quanto è stato riferito - avrebbe espresso il vice presidente del Csm, Nicola Mancino, dopo le audizioni dei vertici degli uffici giudiziari di Salerno e Catanzaro.
PM CATANZARO DENUDATI PER PEQUISIZIONI - Avrebbero avuto modalità sconcertanti le perquisizioni ordinate dalla Procura di Salerno nelle abitazioni dei pm di Catanzaro. Alcuni di loro sarebbero stati addirittura denudati, secondo quanto avrebbe riferito al Csm il procuratore generale di Catanzaro Enzo Jannelli.
ALFANO, BENE CSM, MI ATTIVERO’ DOPO ATTI "Apprezzo la tempestività del Csm, spero che con altrettanta tempestività mi inviino le documentazione per i profili di mia competenza". Così il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, commenta all’ANSA la decisione della prima commissione di Palazzo dei Marescialli di aprire una procedura per i trasferimento d’ufficio nei confronti del procuratore di Salerno Luigi Apicella e del procuratore generale di Catanzaro Enzo Jannelli. Il Guardasigilli, titolare dell’azione disciplinare assieme al pg della Cassazione, chiede dunque al Csm di avere le trascrizioni delle audizioni di oggi per decidere su eventuali atti di incolpazione.
PROCURATORE LOMBARDO, COSCIENZA A POSTO "Noi abbiamo la coscienza a posto e speriamo di spegnere l’incendio". Così il Procuratore capo di Catanzaro, Antonio Lombardo.
PROCURATORE APICELLA SI DICE TRANQUILLO ’’Quando si ha la coscienza tranquilla si e’ sereni’’. Cosi’ il procuratore di Salerno, Luigi Apicella spiega per la prima volta, tramite l’agenzia ANSA, la decisione di effettuare il sequestro degli atti della vicenda De Magistris alla procura di Catanzaro.
’’Non abbiamo violato alcuna norma ne’ aperto alcun conflitto con la procura generale di Catanzaro, non contestando la competenza di quell’ufficio a trattare il procedimento ’Why Not’’’. Cosi’ il procuratore di Salerno, Luigi Apicella spiega le iniziative adottate dal suo ufficio da cui e’ scaturita la cosiddetta guerre tra procure. ’’Questa procura della Repubblica - ha disposto il sequestro penale del procedimento Why Not al solo fine di acquisire copia di atti in esso contenuti che, secondo elementi gia’ in nostro possesso potevano essere rilevanti in ordine a reati contestati ai magistrati che gestivano quel fascicolo processuale’’.
’’Se la procura generale di Catanzaro riteneva che la nostra richiesta di acquisizione di documenti dell’inchiesta Why Not era illegittima avrebbe dovuto fare ricorso al Tribunale del Riesame’’. Risponde con voce pacata, dietro la scrivana del suo studio al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Salerno il procuratore Apicella alle domande dell’ANSA e in particolare replica cosi’ all’affermazione del procuratore generale di Catanzaro che aveva bollato come eversiva la richiesta di sequestro degli atti della procura salernitana. Sulla sua scrivania il procuratore ha appena di finito di limare il comunicato stampa, in cui ha precisato le motivazioni del suo ufficio.
’’Appare opportuno ricordare - scrive il procuratore nella nota - che il nostro sistema processuale penale in conformita’ dell’articolo 111 della Costituzione, nel caso di provvedimenti ritenuti illegittimi, garantisce i diritti dei cittadini indagati anche se magistrati con l’impugnazione nelle sedi giudiziarie competenti’’. Sedi giudiziarie che il procuratore poi precisa essere ’’il tribunale del riesame’’.
Campane d’allarme e trombe stonate
di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 7.12.2008)
Da un partito guidato da persone perbene ci si aspetta che le mele marce siano messe da parte Non esisterà più un capitalismo come quello che abbiamo conosciuto, basato soprattutto sui consumi
Non c’è un solo allarme rosso sul quale occorra tener fisso lo sguardo per comprenderne le cause e prevederne gli effetti con quotidiano monitoraggio. Ce ne sono tre, che insidiano la nostra vita dei prossimi mesi alimentando le nostre incertezze e i nostri timori.
Due hanno dimensioni nazionali e sono l’allarme sul funzionamento della giustizia e quello che viene definito la questione morale. Il terzo ha dimensione mondiale ed è la crisi dell’economia, la recessione americana diffusa ormai su tutto il pianeta, il pericolo che la recessione si trasformi in deflazione e che questa degradi ulteriormente in depressione.
La stampa americana parla ormai correntemente di «great depression, part 2» riferendosi a quella del ’29, le cui conseguenze devastarono gli Stati Uniti e l’Europa per otto anni. Ce ne vollero poi altri due affinché cominciasse un nuovo ciclo di crescita economica il cui mostruoso motore fu l’industria degli armamenti e la guerra scoppiata nel 1939, con i suoi milioni e milioni di morti, compresi quelli di Hiroshima e Nagasaki e lo sterminio dell’Olocausto. Proprio per queste sue terrificanti dimensioni comincerò queste mie note domenicali dal terzo allarme rosso. Me ne sto occupando ormai da alcuni mesi ma ogni giorno accadono fatti nuovi e un aggiornamento critico è dunque necessario.
Negli undici mesi fin qui trascorsi dal gennaio 2008 gli Stati Uniti sono in recessione, dapprima sottotraccia, poi esplosa a giugno con la crisi immobiliare. I sei mesi passati da allora hanno visto i listini di Wall Street perdere più del 50 per cento del loro valore e poiché i cittadini di quel paese hanno una familiarità con la Borsa sconosciuta nel resto del mondo ne è derivato un impoverimento, in parte virtuale ma in parte reale, che ha inciso sui consumi e sugli investimenti.
L’effetto, in un paese ad economia liberista, si è ripercosso sull’occupazione ed è stato un crescendo di mese in mese. Allo stato attuale dei fatti sono andati distrutti in undici mesi un milione e centomila posti di lavoro, dei quali 200.000 in ottobre e 536.000 in novembre. Un’accelerazione spaventosa che, secondo le previsioni più aggiornate, supererà nel primo semestre del 2009 i quattro milioni di persone.
Quando Obama e i suoi consiglieri affermano che il peggio deve ancora venire pensano esattamente a questo: lo spettro della disoccupazione di massa e quindi una diminuzione del reddito, specie nei ceti e per le etnie più deboli, ma non soltanto. Il saldo tra questa distruzione del reddito e l’apparente beneficio della discesa dei prezzi (dovuta appunto al crollo della domanda) sarà fortemente negativo, deprimerà i consumi e gli investimenti, manderà in fallimento decine di migliaia di aziende come in parte sta già accadendo.
Tra tanti germi negativi che l’America ha già disseminato nel resto dell’Occidente, l’effetto principale sta nel fatto che il motore americano si è ingolfato e così resterà a dir poco fino al 2011. Ma poi ricomincerà a tirare come prima? Joseph Stiglitz in un’intervista pubblicata ieri sul nostro giornale, dà risposta negativa a questa domanda. Il capitalismo americano (e sul suo modello tutto il capitalismo internazionale) ha vissuto da decenni sulle bolle speculative. Sono state le bolle a far battere al massimo i pistoni del motore americano, locomotiva di tutto il resto del mondo. Le bolle, cioè il credito facile, cioè la speculazione. Ma le bolle, dice Stiglitz, dopo la durissima crisi che stiamo vivendo non si ripeteranno più. Non nella dimensione che abbiamo visto all’opera negli ultimi anni. E quindi non esisterà più un capitalismo come quello che abbiamo conosciuto, basato per quattro quinti sui consumi.
Subentrerà probabilmente un capitalismo basato sugli investimenti e su una redistribuzione della ricchezza mondiale e, all’interno dei vari paesi, della ricchezza tra i vari ceti sociali. Si capovolgerà lo schema (finora imperante) che vede la redistribuzione del reddito e della ricchezza come una conseguenza dipendente dalla produzione del reddito e dei profitti. Sarà invece la redistribuzione a mettere in moto la produzione e i pistoni del motore economico.
Ricordo a chi non lo sapesse o l’avesse dimenticato che fu l’allora giovane liberale Luigi Einaudi a propugnare (era il 1911) un’imposta unica basata sui consumi e un’imposta patrimoniale di successione che al di là d’una certa soglia di reddito passasse i patrimoni con un’aliquota del 50 per cento da impiegare per ridistribuire socialmente la ricchezza. Forse, con un secolo di ritardo, ci si sta dirigendo verso soluzioni di questo tipo. Lo chiameremo ancora capitalismo? Oppure come?
* * *
Il nostro governo e il nostro ministro dell’Economia sostengono che in Italia le cose andranno meglio perché le banche qui da noi sono più solide che altrove e i conti pubblici «sono in sicurezza». Salvo il debito pubblico, ma la colpa di quella voragine fu creata negli anni Ottanta e quindi riguarda la precedente generazione.
Quest’ultimo punto del ragionamento è esatto; che le nostre banche siano solide è una fondata speranza; ma che le nostre prospettive siano migliori degli altri paesi è una bufala delle tante che il governo ci propina. Noi non stiamo meglio, stiamo decisamente peggio, ci tiene ancora a galla l’euro senza il quale staremmo da tempo sott’acqua. Stiamo peggio perché non abbiamo un soldo da spendere.
Quelli che avevamo venivano da una forte azione di recupero dell’evasione fiscale che ci dette nel 2006-7 più di 20 miliardi da spendere. Questa fonte si è inaridita. Il fabbisogno è aumentato, l’abolizione dell’Ici ha distrutto un reddito tributario di 3 miliardi e mezzo l’anno; l’Alitalia tricolore è costata all’erario 3 miliardi (se basteranno).
Sicché Tremonti non ha un soldo. Per mandare avanti il motorino italiano ha dovuto redigere nel luglio scorso una legge finanziaria gremita di tagli. Per far sopravvivere il sistema ha concesso la settimana scorsa un’elemosina di 6 miliardi "una tantum" alle famiglie e alle imprese; con qualche spicciolo aggiuntivo per far tacere le invettive del Papa e dei vescovi per i tagli alle scuole cattoliche (ma quelli alla scuola statale e all’Università sono rimasti tutti ferocemente in piedi).
Anche in Italia tuttavia, come altrove, la crisi finora ha soltanto graffiato la pelle ma non ha ferito né i muscoli né i tendini. Si consuma un po’ meno, si investe poco o nulla (ma questa latitanza degli investimenti privati e pubblici è da anni una costante). Il peggio deve venire dice Tremonti ed ha purtroppo ragione. La diagnosi è giusta. La terapia non c’è per ragioni di forza maggiore determinati dagli errori commessi sei mesi fa. Come uscirne dovrebbero dircelo il premier e il ministro dell’Economia. Certo non se ne esce con gli inviti ai risparmiatori a sottoscrivere i Bot. Tanto meno facendone colpa all’opposizione. Per Tremonti la via d’uscita sembrerebbe quella di metter le mani sul risparmio postale della Cassa depositi e prestiti. Si sperava che il presidente della Cdp, Franco Bassanini, si opponesse a quel progetto così arrischiato, ma sento dire che ne è stato addirittura uno degli ispiratori. Se fosse vero ne sarei stupefatto.
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Tratterò insieme i due allarmi rossi nazionali: la crisi della giustizia e la questione morale.
Il presidente del Consiglio, in un comizio di ieri a Pescara, ha scandito che «nel Pd c’è una questione morale». Il Corriere della Sera con un articolo di fondo in prima pagina del vicedirettore Battista, ha inneggiato all’Espresso che ha pubblicato un’inchiesta sulle indagini giudiziarie di alcuni assessori del Comune di Firenze e alcune attendibili voci su una sorta di comitato d’affari sugli appalti in terra di Napoli. Il Tg1 di venerdì sera ha anch’esso registrato tra le primissime notizie l’inchiesta dell’Espresso ed ha intervistato in presa diretta il direttore di quel giornale, Daniela Hamaui.
Un’attenzione simile, del resto più che meritata dall’amica e collega che dirige il settimanale del nostro gruppo e dai suoi collaboratori, è del tutto insolita da parte d’un giornale che scia a slalom sui fatti e i misfatti e di un telegiornale che si fa giusto vanto di essere "super partes" anche se molti dei suoi ascoltatori non se ne accorgono.
Non ho mai letto un editoriale del Corriere e mai visto sugli schermi del Tg1 un collega di Repubblica o dell’Espresso complimentato o chiamato ad illustrare i servizi pubblicati, quando quei servizi documentavano la questione morale nei partiti e nei personaggi del centrodestra a cominciare dallo stesso Berlusconi. Non parlo di giudizi politici, parlo di inchieste sul malaffare. In questi anni ne abbiamo scritti a centinaia ma nessuno di essi ha avuto la possibilità di imporsi alla pubblica opinione al di fuori di quanti ci leggono (che per fortuna sono tanti).
È un vanto dei giornalisti del nostro gruppo di non guardare in faccia ai colori di bandiera di questo o di quello quando si parla di malaffare.
Giuseppe D’Avanzo è un nome per tutti. Ma è sospetto e sospettabile il rilievo che viene dato dalla stampa cosiddetta indipendente e dal servizio pubblico televisivo solo quando le inchieste riguardano la sinistra riformista e mai quando riguardano i personaggi del centrodestra.
Quanto ai giornali e ai giornalisti di centrodestra è inutile cercare qualche loro articolo che metta sotto esame i colori della propria parte. Non sono certo pagati per questo dai loro padroni.
C’è una questione morale che riguarda alcune persone del Pd che rivestono cariche pubbliche. Personalmente non ritengo che riguardi il sindaco di Firenze che per protestare la sua innocenza si è voluto incatenare davanti al cancello d’ingresso dell’edificio dove lavorano tutti i giornalisti del nostro gruppo. Incatenarsi mi sembra un gesto che sa di retorica ma capisco la sua sofferenza e le sue motivazioni. Ciò detto, sentenzieranno i magistrati la loro verità.
Il partito cui gli indagati appartengono non ha sovranità sugli incarichi istituzionali elettivi, non può obbligare alle dimissioni un governatore di Regione o un sindaco che derivano dagli elettori i propri poteri. Ma può (secondo me deve) sospendere dal partito in attesa di accertamenti le persone inquisite. A Firenze dovrebbe sospendere gli inquisiti dalle elezioni primarie alla carica di sindaco. A Napoli dovrebbe sospendere gli inquisiti, se e quando ne conosceremo i nomi, di un’inchiesta giudiziaria in corso. Così pure dovrebbe sospendere il governatore della Campania, anche lui da tempo sotto inchiesta.
Di quanto bolle in pentola alla Procura napoletana per ora non si sa molto. D’Avanzo ne ha ampiamente parlato in due recenti articoli dai quali deduco che ci sarebbe una sorta di "comitato d’affari" formato da politici tra i quali importanti nomi di centrodestra e di centrosinistra in combutta tra loro e, come referente napoletano, Antonio Saladino, che non ha niente a che vedere con il feroce Saladino delle gloriose figurine del cioccolato Perugina, ma è stato dal 1995 al 2006 (cioè per undici anni) il presidente per il Mezzogiorno della Società delle Opere, filiazione in affari di Comunione e Liberazione. Dove si vede che le (supposte) mele marce ci sono dovunque e quando si avvistano vanno messe da parte affinché non contagino le buone. Questo ci si aspetta da un partito guidato da persone perbene. Questo, anzi lo si reclama.
Dall’altra parte politica ci si aspetta poco o niente perché lì il malaffare sta al vertice il quale ovviamente non può bonificare gli altri suoi compagni di viaggio visto che, per definizione, non può bonificare se stesso.
* * * Delle Procure di Salerno e di Catanzaro e della crisi della giurisdizione che in quelle Procure ha avuto in questi giorni la sua immagine più inquietante, ha detto tutto con parole tanto sobrie quanto severe il presidente della Repubblica. Sembra che ci sia stata in quegli ambienti una sorta di ventata di follia, di vanità, di ripicca, di megalomania che ha fatto crollare in poche ore la credibilità dell’intero ordine giudiziario e del suo potere diffuso.
Il ministro Guardasigilli Alfano chiede ora una riforma costituzionale bipartisan. Vedremo come si condurrà nelle prossime settimane. Sarebbe auspicabile che l’aggettivo "bipartisan" non venisse confuso con l’incitamento all’opposizione di approvare un manufatto della maggioranza con la sola facoltà di cambiare un paio di virgole e qualche punto esclamativo. Finora è stato così e questo spiega la risposta sempre negativa dell’opposizione.
C’è un punto che non richiede modifiche costituzionali e che a mio avviso dovrebbe essere affrontato: riportare in capo al procuratore del tribunale e al procuratore della corte d’appello l’esercizio dell’azione penale oggi diffusa in capo ai sostituti. Buona parte delle discrasie in corso nella magistratura inquirente derivano da questa parcellizzazione estremamente pericolosa che va a mio avviso abolita.
La smentita del legale dei pm di Salerno
"Nessuna violazione nelle perquisizioni"
ROMA - La Procura di Salerno non ha compiuto "nessuna violazione" durante le perquisizioni fatte ai magistrati della procura generale di Catanzaro. Il giorno dopo la decisione del Csm di avviare il trasferimento d’ufficio per i procuratori di Salerno e Catanzaro Jannelli e Apicella e dopo le rivelazioni sugli inquietanti retroscena della guerra tra i due uffici, arriva la smentita dell’avvocato Francesco Saverio D’Ambrosio, difensore di Luigi Apicella e dei sei sostituti campani accusati di abuso in atti d’ufficio e interruzione di pubblico servizio.
Il legale ribatte alle indiscrezioni sulle dichiarazioni dei magistrati di fronte alla Prima Commissione del Csm, definite "sconcertanti" dal videpresidente Mancino. Il pg Jannelli avrebbe infatti riferito che uno dei magistrati calabresi, Salvatore Curcio, ha denunciato di essere stato denudato durante la perquisizione alla quale era presente il pm di Salerno Antonio Centore.
* la Repubblica, 7 dicembre 2008