Dall’Inghilterra lettera a Napolitano di una giovane ricercatrice italiana
"La sicurezza è un problema, ma perché emerge solo la paura dello straniero?"
"Signor presidente, dall’estero
non riconosco più la mia Italia"
"Da anni vivo in paesi multietnici, ma non ho mai visto tanta intolleranza come quella che nasce e viene alimentata da noi"
di MARIA VINCI *
Da una giovane ricercatrice italiana residente in Gran Bretagna, questa lettera-appello al Presidente della Repubblica. E’ una testo che pone al capo dello Stato e a tutti noi un problema serio. La dottoressa Vinci si chiede cioé cosa stia diventando il nostro Paese, e ci fa capire come ci vedono i nostri connazionali (e non solo loro) all’estero: chiusi in noi stessi, impauriti, spesso incapaci di distinguere le colpe dei singoli e pronti a generalizzare gettandole addosso a chiunque non sia come noi per lingua, religione e colore della pelle. Una lettera che fa riflettere e sulla quale apriamo immediatamente un forum
ECCO IL TESTO
Carissimo Presidente,
sono un’italiana residente all’estero ormai da diversi anni, ma nonostante questo sono sempre stata attaccata alla mia cara Italia. I suoi colori, la creatività, la vivacità, genuinità e ospitalità della nostra gente sono tutte cose che fino a pochi giorni fa venivano decantate all’estero come marchio dell’essere italiano e che tanto mi rendevano orgogliosa.
Come può ben immaginare, continuo a seguire tutti i fatti di attualità, di politica, di cronaca che riguardano il nostro Paese, e mi creda, mi rattrista dover confessare a Lei e prima ancora a me stessa che mi vergogno dell’Italia ritratta in questi giorni su tutte le prime pagine dei giornali nazionali e internazionali.
Signor Presidente ma che succede? Dove è finita la succitata "ospitalità" degli italiani? E’ davvero possibile che il sentimento più forte che emerge nella popolazione sia ormai la paura dello straniero, del migrante, dell’immigrato?
La sicurezza è certamente un problema serio, ma non penso che il modo giusto di risolverlo sia quello di alimentare la paura e l’intolleranza nei confronti di persone comunitarie ed extracomunitarie. Piuttosto penso che una più attenta politica di integrazione sociale sia la soluzione al problema dell’Immigrazione che a mio avviso, non coincide (come il governo vuole far credere) con il problema della Sicurezza.
Siamo in EUROPA e credo sia assurdo leggere ancora sui giornali, titoli come "ragazza italiana violentata da un romeno". Con questo non voglio sminuire affatto la bruttura del reato, mi auguro soltanto che la giustizia faccia il suo corso indipendentemente da chi lo ha commesso. Quindi mi chiedo quale sia il bisogno di sottolineare la diversa nazionalità?
Sono una ricercatrice e il mio lavoro mi ha dato la possibilità di uscire fuori dai "nostri confini" e mi creda non ho mai trovato tanta intolleranza come quella che sta nascendo e che si sta alimentando negli ultimi tempi in Italia.
Adesso sono in Inghilterra e come lei sa qui di immigrati (comunitari ed extra comunitari) ce ne sono tanti, ma così tanti che non si può più fare una distinzione. Per farle solo un esempio, a Pasqua ero ad Oxford e in Chiesa ho assistito ad uno spettacolo meraviglioso: c’era tutto il mondo rappresentato in quella piccola Chiesa Cattolica. Mi colpì e mi commosse la diversità dei colori della pelle, dei costumi, ma al tempo stesso l’omogeneità e la coralità di tutte quelle persone.
Mi chiedo quando in Italia sarà possibile respirare quella stessa atmosfera di integrazione che si trova ormai nel resto d’Europa?
Signor Presidente spero tanto che Lei non permetterà al presente governo di inasprire i rapporti tra gli italiani e gli immigrati, spero che Lei alzi la voce davanti a ministri che giustificano e incitano alla pulizia dei campi rom, spero che Lei faccia tutto quello che è in suo potere per rendersi portavoce della necessità di migliorare la politica di integrazione sociale di cui l’Italia ha oggi bisogno per confrontarsi alla pari con il resto del mondo e d’Europa.
Fiduciosa nella sua persona e nell’importante carica istituzionale che lei ricopre, la ringrazio per la sua attenzione e le auguro buon lavoro.
Cordiali saluti,
Maria Vinci
(Pugliese, 34 anni, da 5 o 6 si dedica alla ricerca sul cancro. Ha studiato e lavorato a Milano (Ifom) e a Heidelberg in Germania. Ora si trova in Inghilterra)
* la Repubblica, 31 maggio 2008
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’ITALIA "CONFUSA E AGITATA" E OFFESA!!!
Nuovo governo. Fedeltà alla costituzione e alla repubblica....
IL SUD GIÀ E NON ANCORA/ Il vero dramma che rende i giovani felici di andarsene
Come dice Baldessarro, il dramma del Sud non sono più i suoi figli che se ne vanno. Il dramma vero del Sud è che sono felici di andarsene
di Emiliano Morrone (Il sussidiario, 29.09.2019)
Il Sud non fa più notizia né questione, in primo luogo la Calabria. I media replicano “l’effetto Duisburg”, l’eco dell’orrore, quando in una provincia meridionale si sparge sangue oppure per casi di lupara in Emilia, Lombardia, Liguria, nei “ghetti” del centro Italia riservati ai collaboratori di giustizia. La ribalta della cronaca dura un attimo, poi tutto procede come sempre. È una costante della società 2.0: dello spettacolo, delle emozioni sul dolore altrui.
In questa dimensione di apparenza, priva di spessore, memoria e discernimento, le mafie sollevano la politica dalla responsabilità del divario del Mezzogiorno dal Nord produttivo; divario intanto economico, di diritti, occasioni. La colpa è soltanto dei boss, dei loro apparati di morte. Questa è la vulgata dominante, mentre si mescolano la paura e la rassegnazione popolare alla punta dello Stivale.
In Calabria due aziende sanitarie provinciali su cinque sono state sciolte per infiltrazioni e perciò commissariate: a Reggio e Catanzaro, con la probabilità che la stessa sorte tocchi a quella di Cosenza. Tanto basta per dimostrare l’interesse, la presenza, il pugno dello Stato in un territorio di antichi affari e commistioni, di irrisolti che hanno prodotto carriere politiche folgoranti, acuito fenomeni letterari e amplificato personaggi e clamori televisivi.
Eppure c’erano dati, elementi raccapriccianti: l’Asp di Reggio Calabria non aveva - e non ha - un bilancio certo; assurdo ma vero. Da lì sparirono quasi 400 milioni di euro senza tracce, in un contesto blindato dal vecchio patto tra imprenditoria spregiudicata, colletti bianchi e “uomini d’onore”. L’Asp catanzarese aumentava il disavanzo, mentre Lamezia Terme, con aeroporto e ospedale strategici, si preparava all’ennesimo, prevedibile scioglimento del Consiglio comunale, al tracollo della società di gestione dei servizi aeroportuali e al collasso repentino dei “reparti” sanitari, accompagnato dall’annessione forzosa del nosocomio locale alla nuova azienda ospedaliera di Catanzaro.
I commissari del governo e i ministeri vigilanti (Economia e Salute) conoscevano bene i livelli della degenerazione, ma Roma era - e rimane - lontana come Bruxelles; tolti gli inutili, stucchevoli protocolli di intesa per la legalità e le misure palliative tipo “Garanzia giovani”, valsa a trasformare in questuanti i giovani laureati, a perpetrare promesse e ricatti di un’immarcescibile classe politica.
Oggi in Calabria, l’area più martoriata del Sud, le Regionali si preparano con calcoli e strategie anni ’70, prove di puro mauqillage e contrattazioni a porte chiuse. Nella cantina dell’oblio restano fuori di ogni confronto, sepolte dalla polvere, tante priorità di questa terra: la creazione di lavoro dignitoso, l’incremento indispensabile della quota parte del Fondo sanitario, l’esigenza di ridurre la diaspora dal territorio, di rinverdire e controllare la burocrazia regionale, di rivedere il costo del denaro e l’accesso al credito, di prevedere vantaggiosi sgravi per le imprese, di rilanciare sul serio il porto di Gioia Tauro e il sistema aeroportuale, di collegare università e aziende locali.
La ‘ndrangheta prospera nella povertà, di cultura e di economia. Come ha osservato il giornalista Giuseppe Baldessarro, «il dramma del Sud non sono più i suoi figli che se ne vanno. Il dramma vero del Sud è che sono felici di andarsene».
Se l’Italia fosse Bologna
di Carlo Lucarelli (l’Unità, 8 gennaio 2010)
Ultimamente per una serie di motivi, anche letterari, mi capita di incontrare, sia in Italia che all’estero, molte persone che vengono dall’Eritrea.
Tutte le volte che mi chiedono dove abito io rispondo, per semplificare, che sto in un paese vicino a Bologna e quando lo dico - dico quella parola, Bologna - il mio interlocutore fa subito un sorriso e un cenno di assenso, anche se magari, a Bologna, non c’è mai stato. Bologna, mi dicono, è stata molto importante per gli eritrei durante gli anni in cui il loro paese era impegnato a combattere per l’indipendenza dall’Etiopia del regime sanguinario di Menghistu in una guerra che è durata trent’anni.
A Bologna molti fuoriusciti avevano trovato rifugio e ogni anno si teneva una grande festa, una specie di festival, che riuniva gli eritrei come in una seconda patria.
Oggi quella festa non c’è più e Bologna forse è meno importante in quel senso, ma il ricordo positivo di quel suono - Bologna! - è rimasto e quando dici ad un eritreo - anche negli Stati Uniti, come mi è capitato - che sei di quella città hai subito l’impressione di stargli più simpatico.
E siccome è una gran bella sensazione quella di stare istintivamente simpatico a qualcuno - perché è sempre molto più gratificante essere amati che odiati - ed è anche un buon punto di partenza per qualunque cosa, a me piacerebbe che anche quando dico che sono italiano chi mi sta davanti faccia lo stesso sorriso e lo stesso cenno di assenso.
Perché in Italia c’è stato bene - come turista, come lavoratore, come rifugiato, come persona e basta - e che per questo, guarda un po’ gli sto subito più simpatico.
Il reato di clandestinità colpisce anche l’infanzia
di Luigi Cancrini (l’Unità, 02.06.2008)
L’allarme che voglio lanciare riguarda i "bambini invisibili". I pediatri di famiglia che si riconoscono nella Federazione Italiana Medici Pediatri (Fimp) sono oltre settemila e sono preoccupati per le norme del pacchetto sicurezza licenziato dal Governo. Oggi - ha dichiarato il presidente nazionale della Fimp Giuseppe Mele - tantissimi figli di immigrati, sino ad oggi non rei, vanno a scuola e sono assistiti dai Pediatri di famiglia, come prevede la legge, il contratto nazionale e le relative deroghe che ne disciplinano l’accesso temporaneo al Servizio sanitario nazionale. L’introduzione del concetto di reato di immigrazione clandestina - ha aggiunto Mele - non potrà che avere come esito, che era ed è facilmente immaginabile, il fatto che questi bambini verranno dai loro genitori tolti dalla scuola e dall’accesso ai servizi sanitari diventando, in breve tempo, bambini invisibili". L’allarme per il quale la Fimp fa appello anche all’Unicef, è una richiesta di attenzione al problema da parte del governo, cui fa richiesta di un incontro urgente, "che dovrà tener conto anche di questo genere di problemi i cui effetti ricadranno sulla salute di migliaia di bambini, innocenti per natura, colpevoli per genesi e per decreto". Lei che ne pensa?
Antonella Ciurlia
Ne penso che il pacchetto sicurezza approvato dal Governo provocherà, se interamente approvato dal Parlamento, effetti disastrosi. Che non riuscirà a fermare una immigrazione le cui ragioni, economiche e politiche, sono più forti di qualsiasi legge e che il suo risultato sarà, come ben dice Mele, quello di spingere nella clandestinità chi dovrebbe essere soprattutto aiutato ad integrarsi. Anche se tanta stampa ne ha parlato come di una iniziativa politica necessaria ed anche se l’opposizione parlamentare ne ha sostanzialmente avallato le scelte e l’orientamento. Senza preoccuparsi del modo in cui (lo scrive Livio Pepino su l’Unità del 28 Maggio) "il nuovo diritto penale dello straniero alla base di questi decreti è espressione della convinzione, profondamente razzista, che sia possibile importare braccia e non persone.
Inutile sottolineare la distanza di tale impostazione dal dettato della Costituzione e dai principi di uguaglianza che la ispirano. Quel che nessuno può ignorare è che misure come queste produrranno solo ulteriore insicurezza": per le persone che si trovano in condizioni di clandestinità perché quello che i clandestini eviteranno sistematicamente d’ora in poi è il contatto, a qualsiasi livello, con le istituzioni dello Stato e, inevitabilmente, anche per i cittadini italiani che sempre di più avranno a che fare con persone piene di difficoltà e di paura. Per ciò che riguarda le conseguenze che tutto questo avrà sui minori (ed in particolare sui bambini) il problema segnalato da Mele è, dunque, un problema reale. Di cui non è difficile immaginare le conseguenze.
L’esempio più banale è quello del bambino che ha una febbre alta. Portarlo in Ospedale chiede, al genitore clandestino, di presentarsi. Se il suo essere clandestino diventerà un reato, farlo significherà autodenunciarsi, finire in carcere e andare incontro ad una espulsione: rischiando di perdere (questo nel suo immaginario è inevitabile) il rapporto con il bambino. In modo analogo andranno le cose, del resto per quello che riguarda le vaccinazioni e la scuola. Aprendo un vero e proprio conflitto d’interessi fra il figlio ed i suoi genitori, di fronte al semplice manifestarsi di un diritto del bambino: di ogni diritto, per ogni bambino che si trovi coinvolto in questo grande ciclone, nello tsunami umanitario che si determina intorno a tutte le emigrazioni.L’obiezione che viene fatta a questo discorso è quella che riguarda la necessità di contrastare a qualsiasi costo i comportamenti che si sviluppano nell’illegalità. Chi entra illegalmente in un paese, si dice, deve accettarne le leggi affrontando le conseguenze delle sue scelte. Se qualcuno decide di entrare clandestinamente in un paese in cui la clandestinità è un reato, dunque, è lui (o lei) quello che coinvolge il figlio in una situazione sbagliata. Se qualcosa di negativo ne deriverà per il minore la colpa non è della legge ma di colui che non l’ha rispettata.
Quella che si combatte contro l’illegalità (lo dice ogni giorno il Ministro Maroni col tono di chi vuole mettere riparo alle inadempienze dei suoi predecessori) è una battaglia senza esclusione di colpi. Produce, probabilmente, dei danni secondarii ma va combattuta. La risposta da dare a questo ragionamento non piace oggi al governo né, purtroppo, all’opposizione. Si basa sull’osservazione di fondo per cui decidere che la clandestinità è un reato in una situazione caratterizzata da una differenza inaccettabile fra i paesi ricchi dell’occidente e quelli da cui gli emigranti provengono significa applicare a degli esseri umani l’idea per cui (la frase è di La Fontaine, la favola è quella del lupo e dell’agnello) "la loi du plus fort est toujours la meilleure": giustificando con una legge ad hoc la violenza di chi non accetta di confrontarsi con le difficoltà di chi sta peggio di lui. Delittuosa è la legge stabilita da chi si sente più forte, dunque, non il tentativo di sopravvivere e di far sopravvivere i propri figli alla miseria o alla persecuzione politica e delittuoso è soprattutto il modo in cui, definendo reato la richiesta di aiuto, si fa diventare criminale chi non lo è.
Mettendo insieme quelli che cercano lavoro e rispetto del loro diritto di esistere e quelli che arrivano da noi con l’idea di prendere tutto quello che c’è da prendere. Osservato da questo punto di vista il problema dei "bambini invisibili" non è più il danno secondario prodotto da una scelta giusta. E, più semplicemente, la più infame e la più vergognosa delle conseguenze prodotte da una scelta sbagliata. Il sentimento più forte che provo in questa fase è una grande malinconia. Può darsi che io stia male ovviamente e che abbia bisogno degli antidepressivi di cui continuo a contestare inutilmente l’utilità, ma lo spettacolo del paese in cui vivo è davvero sconfortante se ci troviamo di fronte ad un governo che dichiara reato la clandestinità, ad una opposizione che non si scandalizza, ad un Papa e ad una stampa che lodano il clima "nuovo" che di questa collusione è il frutto avvelenato mentre nessuno risponde a questo appello dei pediatri italiani. Come se tutti fossero d’accordo insomma, nel pensare che il Berlusconi quater di quella che alcuni cominciano a chiamare pomposamente la terza repubblica sta facendo una cosa giusta nel momento in cui dà forza di legge all’odio della Lega e dei leghisti contro gli emigranti e contro i loro bambini.
Mentre l’unica strada che resterà aperta a chi la pensa in modo diverso, credendo davvero nelle ragioni della vita, potrebbe essere la disobbedienza civile: di protezione dei clandestini e dei loro figli dai rigori stretti di una legge inaccettabile.